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Lagenaria siceraria

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Lagenaria siceraria
Lagenaria siceraria
Classificazione APG IV
DominioEukaryota
RegnoPlantae
(clade)Angiosperme
(clade)Mesangiosperme
(clade)Eudicotiledoni
(clade)Eudicotiledoni centrali
(clade)Superrosidi
(clade)Rosidi
(clade)Eurosidi
(clade)Eurosidi I
OrdineCucurbitales
FamigliaCucurbitaceae
GenereLagenaria
SpecieL. siceraria
Classificazione Cronquist
DominioEukaryota
RegnoPlantae
DivisioneMagnoliophyta
ClasseMagnoliopsida
OrdineViolales
FamigliaCucurbitaceae
GenereLagenaria
SpecieL. siceraria
Nomenclatura binomiale
Lagenaria siceraria
(Molina) Standl., 1930
Sinonimi
  • Cucurbita lagenaria (L.) L.
  • Lagenaria vulgaris Ser.

La zucca a fiasco, zucca da vino[1], zucca bottiglia, zucca lagenaria[2], cocozza (Lagenaria siceraria (Molina) Standl., 1930) è una pianta della famiglia Cucurbitacee.[3] Produce zucche utilizzate anche come varietà ornamentali. È l'unica zucca presente nel vecchio continente prima della scoperta dell'America, da dove invece provengono le zucche del genere Cucurbita. Della lagenaria parlano Columella e Plinio, il quale, nell'opera Naturalis historia, afferma che assomiglia al cetriolo, almeno per quanto riguarda il tipo di coltivazione.

Fiore di L. siceraria

La zucca bottiglia è una pianta rampicante annuale. I fusti crescono oltre i 10 metri di lunghezza. Le foglie sono grandi, cuoriformi e densamente pelose su entrambi i lati. Il loro odore è descritto come sgradevole. Nel punto di transizione dallo stelo alla lamina fogliare sono presenti due ghiandole secretrici.

La zucca bottiglia è una specie monoica a sessi separati. Le varietà coltivate hanno fiori grandi, bianchi, solitari, con lunghi peduncoli. I fiori si aprono durante la notte e sono probabilmente impollinati da falene e altri insetti .

I frutti presentano un'ampia varietà di forme e dimensioni: la forma varia da larga, sferica, a pera, a clava, a cilindrica. Le varietà più piccole hanno un diametro di 5 cm, la più grande può raggiungere i tre metri di lunghezza. Il colore varia dal verde chiaro con macchie bianche al bianco, con la scorza che diventa marrone chiaro con il passare del tempo. I frutti giovani sono pelosi e diventano glabri a maturazione. La scorza è molto densa e legnosa, molto resistente e impermeabile. La polpa è bianca e acquosa nei frutti acerbi, diventa cartacea a maturazione. I semi sono grandi, marroni, sugherosi e hanno una forma particolare e solcata.

Distribuzione e habitat

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L'areale nativo della zucca bottiglia si estende dall'Africa tropicale occidentale all'Etiopia e alla Tanzania, ma è stata introdotta in tutti i continenti. In natura, cresce principalmente in climi tropicali stagionalmente secchi.[4]

La zucca bottiglia viene coltivata principalmente nelle pianure soleggiate e semiaride, ma può anche essere coltivata nei tropici umidi su terreni ben drenati. Le varietà con frutti lunghi e sottili vengono coltivate su tralicci, ma non quelle con frutti pesanti. L'irrigazione è necessaria durante i periodi secchi.

I frutti giovani possono essere modellati in forme specifiche e sono possibili anche nodi. I frutti acerbi vengono raccolti dai 60 ai 90 giorni dopo la semina. Per una maturazione completa i frutti devono rimanere sulla pianta almeno un mese in più. Le rese medie si aggirano intorno alle 25 tonnellate per ettaro.

Zucca da pergola

Ne esiste una varietà nota come Lagenaria siceraria var. longissima, o "zucca da pergola", i cui frutti hanno una forma molto allungata invece della tipica forma a fiasco;[5] nella coltivazione a pergola pendono in basso per gravità, mentre nella coltivazione spontanea sul terreno si ricurvano e prendono una forma a "serpentello".

Queste zucche sono utilizzate per preparare delle zuppe (ad esempio, la zuppa verde del Cilento) o mangiate con la pasta,[5] tradizione della cucina siciliana, cilentana e napoletana. Le foglie hanno una caratteristica consistenza vellutata, e le cime con le foglie più tenere vengono anch'esse consumate come minestra e come contorno, ad esempio saltate in padella. Esse sono note come tenerumi; questo uso è particolarmente diffuso in Sicilia,[5] dove i tenerumi vengono anche utilizzati nella cucina creativa insieme ai ricci di mare e in varie altre zuppe miste di verdure. I tenerumi vengono utilizzati anche per accompagnare la pasta all'interno del pesto rosso.

I frutti acerbi vengono spesso utilizzati cotti come verdure estive, ad esempio in India, Italia e Cina.

Le lagenarie, al pari delle zucchine e simili, possono essere consumate cotte e possono inoltre essere conservate utilizzando aceto.Si predilige in cucina l'utilizzo dei frutti più giovani, i quali tra l'altro presentano un elevato grado di delicatezza e di succosità.

I frutti maturi erano e sono usati come contenitori per conservare il cibo. Poiché sono impermeabili, è possibile conservarvi anche liquidi. In Kenya vengono utilizzati come secchi per la mungitura dal popolo Masai. In Cina le piccole zucche venivano usate come terrari per i grilli; più diffuso era il loro utilizzo come casette per gli uccelli; In Nuova Guinea, Sud America e Africa, le zucche venivano usate come koteka. La tradizione di decorare le zucche con intagli è nata indipendentemente in diverse aree.

La zucca bottiglia è ampiamente utilizzata anche per realizzare strumenti musicali. Questi includono strumenti a corda come kora, sitar, berimbau e sonagli come maracas e shékere, spesso anche armoniche a bocca (come l'hulusi).

  1. ^ Calabash: Traduzione in italiano di Calabash – Dizionario inglese Corriere.it, su dizionari.corriere.it. URL consultato il 22 marzo 2012.
  2. ^ Erbario – Università di Bologna, su dipsa.unibo.it. URL consultato il 22 ottobre 2016 (archiviato dall'url originale il 23 ottobre 2016).
  3. ^ (EN) Lagenaria siceraria (Molina) Standl., su Plants of the World Online, Royal Botanic Gardens, Kew. URL consultato il 25 gennaio 2021.
  4. ^ (EN) Lagenaria siceraria (Molina) Standl. | Plants of the World Online | Kew Science, su Plants of the World Online. URL consultato il 1º dicembre 2024.
  5. ^ a b c (EN) F. Branca, Traditional Vegetables of Sicily, in Chronica Horticulturae, vol. 48, n. 1, 2008, pp. 20-25.

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