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Alvar Aalto

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Alvar Aalto con la moglie Elissa Aalto nel 1950
Premio Premio Sonning 1962 Firma di Alvar Aalto

Hugo Alvar Henrik Aalto (Kuortane, 3 febbraio 1898Helsinki, 11 maggio 1976) è stato un architetto e designer finlandese, tra le figure più importanti nell'architettura del XX secolo e ricordato – assieme a Ludwig Mies van der Rohe, Walter Gropius, Frank Lloyd Wright e Le Corbusier – come maestro del Movimento Moderno.

Hugo Alvar Henrik Aalto nacque il 3 febbraio 1898 a Kuortane, in Finlandia, primogenito di Johan Henrik, ingegnere finlandese specializzato in geodesia e cartografia, e Selly Hackstedt, postina nativa della Svezia. Sin da piccolo Aalto poté beneficiare di un eccellente clima familiare, animato dall'eleganza vestiaria e dal cosmopolitismo del padre e dall'esuberanza creativa, talentuosa, quasi anarchica della madre: questa bipolarità, poi, si conciliava in un rispettoso e fervente amore nei confronti del creato e della Natura (suggellato da un motto del nonno, che recitava: «La foresta può fare a meno dell'uomo, ma l'uomo non può fare a meno della foresta»).[1] Quando il piccolo Alvar non aveva che cinque anni la famiglia si trasferì dapprima ad Alajärvi e poi a Jyväskylä, al centro della Finlandia, nella prospettiva di fornire ai bambini (cinque in totale, di cui solo quattro sopravvissuti alla vita adulta) un'educazione eccellente: fu proprio presso quest'ultima cittadina, in effetti che Aalto iniziò la sua formazione, frequentando un istituto d'istruzione classica dallo stampo prettamente umanistico.[2] Le lettere, tuttavia, non entusiasmavano Alvar, che sin da quand'era piccino nutriva una passione contagiosa per l'architettura e il disegno, discipline che iniziò a studiare approfonditamente a partire dall'immatricolazione presso l'Istituto di Tecnologia di Helsinki, avvenuta nel 1916: malgrado la dislessia e gli scoraggiamenti di un architetto di nome Salervo («Non sarai mai un buon architetto, ma prova a prestarti all'editoria giornalistica!»), Aalto diede brillantemente prova di sé in questi anni, sia dal punto di vista accademico sia da quello sociale. Nonostante una breve interruzione, dovuta alla deflagrazione della guerra civile finnica (che vide Aalto combattere valorosamente tra le file controrivoluzionarie dell'Armata Bianca), Alvar riuscì a laurearsi cum laude nel 1921 e, ancora studente, iniziò persino la sua attività progettuale, realizzando una dimora per i propri genitori, ad Alajärvi.

Alvar Aalto nel 1935 circa

Nel frattempo, contemporaneamente alla promozione a secondo tenente (avvenuta nel giugno 1923), Aalto si iscrisse all'ordine degli architetti ed effettuò il suo primo viaggio all'estero, con tappe a Stoccolma e Göteborg, città presso la quale si mise persino alle dipendenze dell'architetto Arvid Bjerke, seppur per pochissimo tempo. Ritornato a Jyväskylä Aalto inaugurò il suo primo studio architettonico con il nome «Alvar Aalto, Architetto e Artista Monumentale». In quello stesso periodo Aalto era particolarmente attivo non solo dal punto di vista progettuale - a questi anni sono ascrivibili numerose unità abitative unifamiliari presso Jyväskylä - bensì anche sotto il profilo redazionale: assai prolifica, infatti, fu la sua collaborazione con la rivista Sisä-Suomi, dove sotto lo pseudonimo di «Remus» scriveva articoli dalla validità tuttora assai viva. Frattanto, in data 6 ottobre 1924, Aalto si unì in matrimonio con Aino Marsio, sua compagna di Politecnico e diplomata un anno prima di lui, con la quale avviò una felicissima relazione non solo amorosa, bensì anche professionale, destinata a dare i propri frutti sino al 1949, anno di morte di lei (fino a tale anno, invero, i loro progetti recavano la loro firma congiunta).[3] I due celebrarono la propria luna di miele in Italia, terra già nota ad Aino ma non ad Aalto, che ivi suggellò un saldo legame intellettuale con le culture della regione mediterranea, le quali ebbero riverberi anche importanti nella sua oeuvre architettonica (si pensi al club dei lavoratori di Jyväskylä, tra i primi cimenti di rilievo dell'Aalto, il quale presenta decise tangenze stilistiche con il tempietto del Santo Sepolcro di Leon Battista Alberti): gli edifici dolcemente inseriti lungo le colline, i maestosi palazzi del potere (come quello di Siena), le monumentali piazze pubbliche e il fascino lagunare di Venezia furono tutte esperienze che lasciarono un'impronta profonda nella sua fantasia di architetto.

Omaggio filatelico ad Aalto emesso nel 1976, anno della sua morte

Dopo aver vinto il primo premio del concorso architettonico della Cooperativa dell'Agricoltura del Sud-Ovest di Finlandia - Aino e Alvar si trasferirono a Turku e vi trasferirono il loro studio: tale decisione fu molto prospera, considerando i fermenti architettonici che gravitavano intorno a tale cittadina e, in particolar modo, intorno alla figura di Erik Bryggman, architetto finlandese dal carattere spiccatamente progressista (il biografo più accreditato di Aalto, Göran Schildt, riporta che Bryggman era l'unico architetto che Aalto considerava proprio eguale). Nel frattempo Alvar ebbe l'opportunità di intensificare la sua presenza nella scena architettonica mondiale con il trasferimento a Helsinki (1931), partecipando al quarto Congresso internazionale di architettura moderna e all'elaborazione della carta di Atene, nonché stendendo numerosissimi progetti di successo, come ad esempio il sanatorio di Paimio (1929-1933), la biblioteca municipale di Viipuri (1933-1935) e la villa Mairea (1938). La caratura architettonica dell'Aalto, in effetti, era confermata anche dal numero esorbitante di architetti famosi che lo omaggiarono della loro amicizia: non solo Bryggman bensì anche Le Corbusier, Walter Gropius, Karl Moser e Sigfried Giedion.[4]

La tomba di Alvar, Aino ed Elissa Aalto a Helsinki, in Finlandia

La fama ormai sfolgorante da lui goduta fu poi rafforzata anche dalla grande mostra organizzata nel 1938 dal Museum of Modern Art di New York in suo onore e dal progressivo conseguimento di prestigiosi riconoscimenti internazionali, tra cui si segnalano la medaglia d'oro del Royal Institute of British Architects nel 1957 e la laurea ad honorem conferitagli dal Politecnico di Milano. Nel 1965 Aalto tenne una grande esposizione nel palazzo Strozzi di Firenze, che lo celebrò come uno tra i migliori artisti europei del secolo. Il culto aaltiano ha potuto beneficiare anche dell'istituzione di un ente museale a lui dedicato, il museo Alvar Aalto a Jyväskylä, progettato dallo stesso architetto e dedicato alla catalogazione, conservazione ed esposizione della sua opera. Più travagliata, invece, fu la sua vita privata: morta la moglie Aino nel 1949, Aalto precipitò in un tragico silenzio architettonico che si interruppe solo tre anni dopo, quando si risposò con Elissa Mäkiniemi, attiva come collaboratrice nel suo studio (anche questa volta, dunque, si venne a creare un'intima quanto attiva collaborazione non solo amorosa bensì anche lavorativa). Superata questa drammatica battuta d'arresto Aalto si confermò come uno dei punti di riferimento più imprescindibili per l'intera architettura mondiale: questa gloria è attestata non solo dall'intensa attività professionale, costellata di progetti in Finlandia, Italia, America, Medio Oriente, Svizzera, Danimarca e Germania (in quest'ultima nazione, in particolare, riscosse grande successo con la partecipazione all'Interbau del 1957),[5] bensì anche dall'enorme numero di premi, onorificenze, lauree honoris causa e nomine in accademie e istituzioni culturali riscosse in questo periodo.[6] Alvar Aalto, infine, morì l'11 maggio 1976 a Helsinki.

Dal classicismo degli esordi all'organicismo della maturità

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Gli inizi classicisti

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Nel 1898, anno di nascita di Aalto, la Finlandia era uno Stato che, pur beneficiando di una vasta autonomia, era sottoposta al dominio dell'Impero russo, del quale rappresentava un granducato. Questa subordinazione alla corona zarista, tuttavia, era incompatibile con il progressivo costituirsi di un'identità nazionale, che deflagrò nel 1917 quando, dopo una tumultuosa contrapposizione politica interna e una sanguinosa guerra civile che vide contrapposti i Bianchi con i Rossi, la Finlandia ottenne finalmente l'indipendenza nazionale. Venne così coronata una raggiunta consapevolezza di un'identità linguistica e culturale, da suggellare definitivamente con l'acquisizione di uno stile architettonico finlandese coeso e compiuto. È a questo imperativo culturale ben preciso che rispondono le esperienze architettoniche iniziali di Aalto, il quale negli esordi nutrì un'ambiziosa quanto inusitata passione per la storia dell'architettura: «Ciò che è stato non ritorna più. Ma nemmeno sparisce del tutto. Ciò che è stato riappare sempre ma in forme nuove». Il giovane architetto, nei suoi primi cimenti progettuali, si rivolse senza pudore ad altre civiltà architettoniche estranee a quella nordica, fagocitate senza alcun interesse di erudizione fisiologica, in maniera funzionale alla formazione di orientamenti stilistici personali coerenti, nonché di un'immagine architettonica nazionale più compiuta.[7] Aalto, in altre parole, non emulava acriticamente il patrimonio architettonico del passato: certo, lo studiò con devota attenzione, però ne disconobbe il valore normativo e, accantonando ogni tipo di precettistica, utilizzò codici linguistici diversi, saggiò i vari stili, elaborò continuamente nuove forme, desumendone in maniera spontanea ma esatta una pluralità inesauribile di soluzioni figurative, formali e spaziali.

Nell'edificio dell'associazione regionale dei patrioti a Seinäjoki il giovane Aalto prospetta un sincretismo stilistico tra Palladio, vistosamente citato nel corpo laterale, e Asplund, visibile nel corpo posteriore

È solo utilizzando queste coordinate teoriche nette e allo stesso tempo così spregiudicate, secondo il giudizio del giovane Aalto, che si evita di decadere in un'anacronistica venerazione del passato e che si può ambire a una nuova progettualità e a una personale invenzione stilistica. In quest'ampia gamma di referenti architettonici, senza gerarchie o subordinazioni di sorta, figurano in maniera armonicamente indisciplinata citazioni rinascimentali, barocche, neoclassiche, Liberty: i chioschi per la vendita del carburante a Jyväskylä, ad esempio, si rivolgono esplicitamente all'architettura neogotica, e non mancano nemmeno rivisitazioni rinascimentali, con dotte citazioni palladiane (casa Manner), albertiane (chiese di Pertunmaa e Jämsä) o brunelleschiane (progetto di chiesa lignea a pianta centrale).[8][9] Questo classicismo poco ortodosso ma assolutamente legittimo,[10] poi, concedeva ampi spazi a sperimentazioni sincretiche, dove in un singolo gesto progettuale convivevano armoniosamente stili appartenenti a epoche diverse: la chiesa di Pertunmaa, ad esempio, presenta eterogenee memorie classiche, oscillanti tra il romanico e il rinascimentale,[11] così come la sede del Corpo della Guardia civile prefigura un confronto tra ipotesi stilistiche diverse, pompeiane negli interni, asplundiane e palladiane nei prospetti.[12] Importante, in questi anni, è stata infatti anche la figura di Gunnar Asplund, architetto svedese dal quale Aalto derivò un rigoroso approccio pragmatista ed empirista: dalle compiaciute ascendenze asplundiane, ad esempio, è il corpo posteriore della sede dell'associazione regionale dei patrioti a Seinäjoki.[13]

In nuce è possibile riscontrare che l'attività del giovane Aalto, ascrivibile stilisticamente al cosiddetto «classicismo nordico» e comprendente tutte quelle sue fatiche progettuali andanti dall'elaborazione scolastica ai primi cimenti di successo, «deve essere considerata come una fase sperimentale, votata all'incessante ricerca di modelli formali e referenti culturali, piuttosto che come rivelazione subitanea di una geniale personalità architettonica» (Mangone, Scalvini).[14] Quest'indisciplinatezza stilistica, pur essendo per certi versi del tutto embrionale, stimolò tuttavia Aalto ad approfondire in maniera più ligia tutte quelle problematiche relative al rapporto tra gli interni e gli esterni, all'articolazione degli spazi, alla differenziazione tra le aree collettive e quelle private, all'interconnessione - virtuale o reale - degli ambienti chiusi o aperti, alla ritmica continuità (o discontinuità) di pieni e di vuoti (una caldeggiata attenzione viene posta in particolare agli spazi «dal gradino al soggiorno [...] che simboleggiano l'aria aperta sotto il tetto della casa»).[15]

Aalto razionalista

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Il 1927 fu un anno di capitale importanza per Aalto, che lasciò scemare le proprie nostalgie classiciste in favore di una brusca virata in senso razionalista. Fu proprio nel 1927, infatti, che la scena architettonica non solo finlandese, ma anche europea attraversò un tumultuoso mutamento, stimolato dalla realizzazione del Weissenhof a Stoccarda, dalla pubblicazione del Die Baukunst der neuesten Zeit di Gustav Adolf Platz e da diversi altri eventi che, nella loro globalità, concorsero alla definitiva eclissi del Romanticismo nordico. Tra i maggiori fautori di questa rivoluzione architettonica va senza dubbio citato Le Corbusier, sviluppatore di una metodologia che assumeva la razionalità e il funzionalismo come criteri-cardine sui quali fare edilizia. Questa corrente di pensiero e di ricerca, germogliata inizialmente in Germania, trovò immediatamente ascolto anche in Finlandia, dove numerosissimi architetti si convertirono al nuovo verbo razionalista con un fervore tale che furono in molti a temere che si trattasse di una superficiale emulazione acritica e preconcetta di una mera moda stilistica piuttosto che di un'adesione formale consapevole e responsabile: esemplari, in tal senso, le parole di Pauli Blomstedt, che già nel 1928 si lamentò che «in realtà non può certo giovare al futuro dell'architettura del nostro paese il fatto che il funzionalismo sia adottato come stile e come moda, senza serie considerazioni sul suo effettivo valore. Perché quei tratti superficiali e quei dettagli formali di un nuovo idioma, sviluppatosi con la massima velocità e facilità, non rappresentano in alcun modo la sua essenza».[16]

La biblioteca municipale di Viipuri in Russia

Anche Aalto, «con tutto l'entusiasmo e la convinzione del neofita» (Mangone, Scalvini), aderì alle emergenti sensibilità moderniste. Così come già avvenne nel periodo classicista Alvar adottò spesso invenzioni architettoniche altrui, trasformandole in elementi del proprio linguaggio stilistico: partendo, in questo caso, dal lavoro di Le Corbusier (che considerava come l'erede novecentesco dell'architettura classica)[17] e Walter Gropius, Aalto si fece convinto promotore del Razionalismo, dal quale captò una solida matrice metodologica e ideologica, e arrivò a porsi in aperta e cosciente polemica con tutte quelle architetture che, cedendo alle lusinghe dell'estetica, non rispondevano coerentemente alle esigenze pratiche della costruzione. In quest'ottica, ad esempio, va letta la feroce contestazione aaltiana al progetto di erigere a Helsinki un monumento allegorico tradizionale all'indipendenza finnica, giudicato dall'architetto (nonostante le interessanti connotazioni ideologiche) superfluo e dannoso, in quanto non connesso direttamente alla soluzione di problemi funzionali: ben più intelligente, secondo Aalto, sarebbe stato costruire un edificio dotato di un proprio specifico scopo - uno stadio, ad esempio - convenientemente dedicato.[18] Di seguito si riporta un commento fornitoci dallo stesso Aalto:

«[Un monumento così come viene tradizionalmente concepito] non potrebbe mai essere bello, giacché la bellezza di un edificio non dipende da un insieme di proporzioni, cui accade di essere alla moda e che sono considerate monumentali, ma da una corrispondenza tra forma e funzione. Un edificio deve servire o Dio o l'uomo: non può essere il simulacro di un'idea, meno che mai di un'allegoria. [...] L'architetto funzionalista è completamente differente dalla figura professionale del vecchio architetto. Infatti egli non è affatto un architetto: è un amministratore sociale.»

Pur giudicando innegabili i vantaggi architettonici, economici, sociali comportati dal Razionalismo Aalto si votò a questo nuovo vocabolario stilistico in maniera tutt'altro che assiomatica. A differenza dei suoi colleghi finlandesi ed europei, infatti, Alvar non applicò rigidamente le istanze del Movimento Moderno, bensì preferì rielaborarle e servirsene per «lo sviluppo di una nuova metodologia razionale - o per lo meno pensata come tale - da misurarsi sempre con il suo personale atteggiamento progettuale piuttosto empirico e asistematico» (Mangone, Scalvini).[19] Non si trattava, dunque, di un'imitazione servile, o di uno sterile dogmatismo, bensì di un'adesione decisamente sui generis che, nonostante l'evidente interesse per argomenti squisitamente razionalisti (la cellula abitativa, l'edificio funzionale), concedeva ampi spazi anche a problematiche più «umane», giudicate superflue dagli altri colleghi europei, come - ad esempio - il rapporto tra l'organismo edilizio e la natura (argomento di cui si parlerà nel paragrafo Aalto e la natura).[20] Non a caso Aalto fu tra gli interpreti più sensibili della crisi del Razionalismo, che tuttavia visse in maniera positiva, nella prospettiva di ripensarne la metodologia in maniera più inclusiva. A parlare è sempre Aalto:

«Stiamo vivendo l'ebbrezza del modernismo, la bellicosità dei tradizionalisti si è spenta e, in un certo senso, le due posizioni si sono avvicinate, formando il grande esercito del formalismo, in posizione di guardia contro una visione razionale della vita e delle arti. Questo fronte antirazionale lo si potrebbe caratterizzare nel modo seguente: "La forma di un oggetto indipendente dalle sue caratteristiche e la logica delle sue forme includono valori umani universali, di grande significato. Il procedimento razionale ha buona ragione di esistere nelle frasi preparatorie Tuttavia, basando le arti applicate unicamente sul razionalismo, con funzione di propulsore culturale, si arriva a risultati inumani". È una tesi che in fondo possiamo condividere. [...] È fuori dubbio che il razionalismo autentico, creato negli ultimi dieci anni, abbia molti punti discutibili, specialmente in rapporto al concetto di "umano", ma il problema sta nel sapere se la "forma libera", il formalismo, sia l'angelo salvatore della situazione [...] Nella fase eroica dell'architettura moderna il razionalismo in quanto tale non era sbagliato. Si tratta di un periodo ormai trascorso. L'errore consiste, a mio giudizio, nel fatto che il razionalismo non è andato sufficientemente in profondità. Anziché opporsi all'atteggiamento razionalista, la corrente più recente dell'architettura moderna si sforza di elaborare soluzioni razionali, che partono dalla tecnica, certamente, ma che considerano contemporaneamente le componenti umane e psicologiche.»

Stilemi fondamentali

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«Esigenze sociali, umane, economiche, connesse a problemi psicologici che toccano tanto l'individuo quanto il gruppo ...»

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Si è visto, dunque, come Le Corbusier e i suoi discepoli tentassero di recare giovamento all'edilizia sottoponendo ogni realtà architettonica al «tribunale» meccanicistico del funzionalismo. Aalto condivideva questo principio, ma li riteneva di per sé insufficienti, in quanto avulsi da quelle «esigenze umane non definibili razionalmente, ma presenti in ogni individuo» e da quella «categoria di problemi [...] pertinenti a un'altra scienza, la psicologia». Da queste premesse ebbe origine una strategia progettuale ben precisa, riassunta dallo stesso Aalto nel seguente commento:

«Quando mi accingo a risolvere un problema architettonico mi trovo di fronte, quasi senza eccezione, un ostacolo difficile da scavalcare, una specie di coraggio delle tre del mattino, almeno così credo, quel peso cioè opprimente e complesso suggerito da quei mille elementi spesso contrastanti fra loro, che incombono sulla progettazione architettonica. Esigenze sociali, umane, economiche, connesse a problemi psicologici che toccano tanto l'individuo quanto il gruppo: in più la pressione delle grandi masse e del singolo con le frizioni che ne derivano ... tutto ciò è una matassa incredibile, che non si può sbrogliare con alcun metodo razionale e meccanico. L'immensa quantità di esigenze e di problemi secondari ostacolano il progredire dell'idea architettonica primaria. In tali casi procedo spesso in modo del tutto istintivo. Dopo aver assimilato fin nell'inconscio le caratteristiche del tema e le infinite esigenze che vi sono connesse, cerco di dimenticare per un momento la gran quantità di problemi e comincio a disegnare in un modo che ricorda molto l’arte astratta. Disegno, guidato unicamente dall'istinto, tralasciando qualsiasi sintesi architettonica, giungendo a volte a composizioni del tutto infantili, e per questa via nasce gradualmente, proprio da base astratta, l’idea principale, specie di punto di partenza, grazie al quale, poi, si riesce ad armonizzare fra loro gli innumerevoli problemi particolari e contraddittori.»

Il sanatorio di Paimio, con il suo apparato illuminativo accuratamente studiato per rendere più piacevole la degenza dei malati, felice espressione dell'esigenza aaltiana di rendere l'architettura un'arte sociale al servizio dei bisogni più intimi e autentici dell'uomo

Lo strumento interpretativo di cui si servì Aalto per intendere l'architettura, dunque, divenne la realtà profonda dell'uomo, con tutte le annesse dinamiche psicologiche, intuitive e inconsce. Per definire un'architettura davvero «a misura d'uomo» l'architetto, palesando una rinnovata sensibilità progettuale e tecnologica, andò oltre le formule assolutistiche, retoriche e ossessivamente teoriche del Razionalismo per raggiungere un'identità progettuale più matura. Per garantire una fruizione agevole degli spazi architettonici, secondo il giudizio di Aalto, è necessario non solo studiare accuratamente i movimenti e i bisogni degli utenti, bensì anche preconoscerne le reazioni emotive, psicologiche: è in questo modo che ciascun intervento progettuale aaltiano, indipendentemente dalla scala (che può essere tanto monumentale quanto domestica), riesce a «umanizzare» i contenuti teorici del Razionalismo (per usare una formula celebre ma da molti giudicata ambigua) con l'inserimento di elementi psicologicamente attraenti in grado di rendere più felici gli utenti.[22]

Questo nuovo corso stilistico trova, ad esempio, una nota qualificante nei nuovi spazi architettonici interni ed esterni, finalmente svincolatisi dalle rigide stereometrie razionaliste. Aalto, nella sua più piena maturità stilistica, integra e compenetra i volumi e le strutture e li impreziosisce con pareti ondulate e sinuose e con un magistrale uso dell'asimmetria: era in questo modo che l'architetto dava vita a configurazioni planovolumetriche vitali, fluide, o addirittura organiche. Sempre nella prospettiva di prioritizzare la percezione e il punto di vista umano Aalto affida una preminente importanza alla silhouette, alla sagoma di un edificio, che è quella che dopotutto viene direttamente percepita dall'occhio umano (a differenza, invece, della pianta e della sezione, elementi costitutivi del Razionalismo). Da quest'impostazione progettuale prende vita une precettistica ben precisa, ben riassunta da Andres Duany:

«La sintassi formale di Aalto si risolve in cinque formulazioni distinte della dualità pianta/sezione:

  1. Se la sagoma dominante dell'edificio è orizzontale e parallela all'asse visuale dell'osservatore, verrà percepita come una diagonale discendente.
  2. Se la sagoma dominante è orizzontale, ma perpendicolare all'asse visivo, ogni angolo in pianta sarà percepito come uno scalino nella sagoma [...] e il risultato visuale è una gradonata.
  3. Sagome indotte percettivamente (come le due appena discusse) sono di solito compatibili con le sagome reali, e possono essere progettate congiuntamente. [...]
  4. Se l'edificio è alto, o il punto d'osservazione sufficientemente basso, la configurazione in pianta apparirà potentemente proiettata nella sagoma. Aalto può deformare la pianta a questo fine, spesso contro i dettati utilitaristici. [...]
  5. Ove non sia disponibile un'altezza come sopra descritta, l'estrusione verticale della pianta può esser tagliata da una sezione diagonale, così da divenire accessibile periscopicamente a un osservatore posto al suolo.»

Aalto e la luce

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Aalto risolse queste «esigenze sociali, umane, economiche» non solo conducendo indagini spaziali fluenti, bensì anche maturando un ragionato approccio illuminotecnico in grado di rispondere coerentemente al lato emozionale dell'uomo.

La luce naturale, tradizionalmente impiegata nell'edilizia come fonte primaria d'illuminazione all'interno degli spazi abitati, è da sempre stata un elemento imprescindibile per una progettazione di qualità a causa della sua attitudine ad arricchire la percezione spaziale, temporale ed estetica di un organismo edilizio. Alvar Aalto, nella prospettiva di garantire un eccellente benessere psicofisico degli occupanti, non può esimersi dal progettare consapevolmente all'interno delle sue creazioni architettoniche l'elemento luministico. In tutta l'opera aaltiana, in effetti, è riconoscibile una tensione vitale finalizzata a ottimizzare la captazione e la distribuzione della radiazione solare, in modo tale da esaltare le qualità architettoniche e ambientali dell'edificio facilitando al contempo il compito visivo dell'osservatore.[24]

Per una progettazione consapevole del fattore luminoso Aalto pone l'accento sulle tessiture materiche e visive delle superfici, sul dimensionamento degli infissi, sui colori e sulle forme dell'architettura, senza per questo ignorare il fattore «psicologico» e più profondamente umano: la luce, secondo il giudizio dell'architetto, va infatti gestita con un approccio empirico, inclusivo, e non ingenuamente scientifico, allorché «la fiamma gialla di una candela, o la tendenza della decoratrice a usare drappi di seta giallo oro per abbellire i suoi apparecchi luminosi, sono più corrette del lavoro dell'elettrotecnico con il suo luxometro e la rigida concezione della luce bianca».[25] Alvar Aalto, dunque, è perfettamente in grado con questo approccio progettuale di soddisfare concretamente quei bisogni più intimamente umani, soprattutto nel caso di edifici più sensibili come gli ospedali:

«La malattia determina [...] una vulnerabilità fisica e una mancanza di resistenza che si sommano tra di loro. Nel mio lavoro mi sono trovato spesso di fronte a problemi del genere. Dapprima ho rilevato l'inadeguatezza dell'illuminazione usata comunemente negli ospedali (plafoniera di opalina) per l'effetto psichico negativo sul malato, difetto che perdura anche quando la luce viene abbassata al minimo. La disposizione del corpo luminoso, il classico punto centrale nel soffitto, doveva essere radicalmente mutata e l'illuminazione generale delle degenze pensata in relazione al malato in posizione supina.»

Aalto e la natura

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Italia e Finlandia: due polarità urbanistiche a confronto
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Tra l'architettura e la natura è da sempre esistita una continua mimesi di confronto e dialogo, soprattutto nelle culture progettuali più antiche, arcaiche e primitive. Lo stesso Aalto se ne accorse quando, in luna di miele, si recò in Toscana, regione dove una centenaria tradizione architettonica aveva dato vita a complessi abitativi e agricoli dalle modeste dimensioni, a sviluppo prevalentemente orizzontale e - soprattutto - dolcemente inseriti nella morfologia del territorio circostante: «Al mondo esistono tanti esempi di paesaggi costruiti belli e armoniosi, ma è in Italia e nel sud Europa che si incontrano veri e propri gioielli» avrebbe poi ricordato l'architetto.[27] A stregarlo in maniera particolare fu soprattutto Siena, città dotata di una particolarissima morfologia urbana dove l'edificato residenziale è dolcemente inserito nelle colline toscane e disposto gerarchicamente intorno ai monumenti e ai fatti urbani di ordine superiore (quale poteva essere, ad esempio, piazza del Campo). Di Siena Aalto ci ha lasciato una descrizione vividissima:

«Sono appena tornato da Siena, che a mio avviso possiede molte delle condizioni per essere una buona città. A Siena, come in genere tutte le città della Toscana, di particolare c’è di essere costruita su una collina [...]. I suoi tre punti forti, la torre del Municipio piena di grazia, il Duomo con la sua facciata bianco nera, più in alto, danno alla città un volto che rende la vita dei cittadini più piacevole.»

Fotografia di villa Mairea

L'amore professato da Aalto verso i paesaggi mediterranei apparve lampante anche a Richard Weston, architetto inglese che nel 1995 affermò: «Per Aalto, le città italiane in collina incarnavano un compromesso fra uomo e natura di esemplare armonia. La città si adattava alla topografia, che a sua volta acquistava risalto grazie all'intervento umano, in una sorta di simbiosi culturale».[27] A questo amore contagioso per i paesaggi italiani Aalto affiancò l'humus emozionale e culturale della sua terra natia, la Finlandia, nazione costellata di ampissime foreste di pini e betulle, «presenze forti che informano di sé quasi ogni aspetto della vita quotidiana, architettura compresa» (Reed).[29] Lontano dalla sua amata penisola mediterranea, dove riconobbe «il luogo di un'origine solare dell'architettonico [che] chiede alla forma una verità plastica di tono assoluto e di implacabile densità metafisica», Aalto maturò tuttavia una profonda insofferenza per le architetture finlandesi, le quali - pur disponendo di una massiccia presenza forestale e geografica - erano paradossalmente amorfe, avulse dal suolo sul quale vanno disponendosi, prive di rapporti visivi con la natura. Per Aalto le città finlandesi non erano null'altro che «ammassi costruiti secondo la logica del profitto [...] privi di valore progettuale, poiché i motivi di ordine formale sono regolati da calcoli economici che decidono dimensioni e grado di finitura» (l'organizzazione urbana, dunque, non rispondeva a esigenze sociali, come Aalto auspicava, bensì economiche). Non solo: se, infatti, i tessuti delle urbs italiane si riconoscevano in un edificato minore distribuito intorno a monumenti grandiosi e autentici, in Finlandia si aveva una situazione opposta, dove la città organica vagheggiata da Aalto e le esigenze umane della popolazione erano minacciate da «considerazioni estetiche esterne e [dalla] volontà di ottenere un quadro urbano unitario» mediante la costruzione di tracciati regolari di grandi isolati.[30] A parlare è sempre Aalto:

«Nel nostro paese (…) sono stati costruiti pochissimi edifici pubblici con posizione gerarchica veramente tale. Le nostre città si stanno trasformando in realtà anonime, ove il municipio, la biblioteca e gli altri istituti pubblici, perfino un edificio così rappresentativo come la Banca di Finlandia, sono normali edifici d’angolo, talvolta situati in lotto d’affitto, senza alcuna connotazione di ruolo pubblico e civico.»

Il rapporto tra paesaggio ed edificato
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Quest'«umanizzazione del Razionalismo» messa in essere da Aalto nella sua pienezza stilistica, si è visto, affonda le proprie radici nel viaggio in Italia effettuato con la moglie, nonché nelle proprie origini finlandesi. La maturità architettonica di Aalto si consuma infatti in un dialogo profondo, quasi serrato tra paesaggio ed edificato, tra natura e uomo. Le costruzioni aaltiane, infatti, non intendono sostituire il paesaggio in cui si manifestano, bensì interagiscono con esso con una diretta continuità che testimonia concretamente il segno della presenza discreta dell'uomo nella natura: Aalto otteneva questo effetto con una serie di espedienti, ad esempio sviluppando esplicitamente un edificio secondo l'andamento morfologico del terreno, il quale non viene mortificato o nascosto, bensì esaltato, nel segno di una risonante complementarità tra fusis (natura) e fisico (costruito).[29]

Questa sintesi tra natura e manufatto architettonico trova attuazione con una totale rinuncia alla settorializzazione tra spazi chiusi e aperti. Nelle costruzioni aaltiane, infatti, gli spazi interni e quelli esterni si smaterializzano o, per dirla in altre parole, si fondono armoniosamente, in una continuità che viene accentuata dall'utilizzo di un segno ondulante, morbido e dolce che avvolge tutti gli spazi abitativi, recando felicità al fruitore e fagocitando la vergine natura circostante all'interno dell'involucro edilizio. Un esempio particolarmente pregevole di quest'integrazione tra il genere umano e quello ambientale ci è dato dalla villa Mairea, oggi unanimemente considerata uno dei capolavori aaltiani più riusciti: come osservato dall'architetto greco Demetri Porphyrios in tale costruzione si assiste a un pregnante «dibattito tra natura e civilizzazione, tra la naturalità e l'opera dell'uomo, tra la campagna e la città, tra la capanna primitiva e l'habitat civile».[31]

Aalto arricchisce questa poetica, esplicitamente rivolta a principi naturalistici e umanistici, con l'utilizzo di materiali costruttivi endemici della Scandinavia, come il legno. Il legno è profondamente radicato nella prassi costruttiva mondiale per merito dei suoi innegabili pregi strutturali, statici e isolanti: Aalto, tuttavia, ritiene che «la razionalità è perlopiù applicabile a poche caratteristiche degli oggetti, ma non in tutte ...» e pertanto, dopo ponderate riflessioni, arriva ad ammirare il legno non per le sue rigorose proprietà tecniche, o magari per nostalgia delle tradizioni, bensì perché è il materiale costruttivo che secondo il suo giudizio tiene più conto dei bisogni emozionali dell'uomo. Avendo una bassa conducibilità termica e un rimarchevole pregio tattile, infatti, il legno grazie alla sua elevata espressività è in grado secondo Aalto di sollecitare in maniera evocativa l'emozionalità dei fruitori e di caricarsi di precise connotazioni segniche e simboliche, assurgendo dunque a «simbolo stesso dell'intimità domestica, delle radici autoctone dell'abitare» (Mangone, Scalvini).[31] Di seguito si riporta un commento dello stesso Aalto:

«È il legno col suo carattere specifico e la disposizione delle sue fibre che mi suggerisce la forma futura [...]. Tutte le forme d'arte nascono dal materiale e devono confrontarsi col materiale [...]. Il legno, materiale naturale per eccellenza, è il più vicino all'uomo sia biologicamente che come contesto di forme primordiali [...]. Prima ancora della parola poté giocare un ruolo essenziale nella cultura umana [...]. In quanto materiale tradizionale il legno può essere utilizzato per scopi non soltanto costruttivi ma anche psicologici e biologici [...] Le caratteristiche biologiche del legno, la sua ridotta conducibilità termica, la gradevolezza del suo contatto fisico e la adattabilità a svariate lavorazioni sono la ragione della salda posizione che tiene nel settore dell'arredamento d'interni, malgrado i tanti esperimenti che al giorno d'oggi si fanno con altri materiali.»

Sperimetrazione stilistica

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Ma allora, in estrema sintesi, a quale «stile» è possibile ricondurre l'opera aaltiana? Si tratta di una vexata quaestio sulla quale critici e storici dell'architettura hanno lungamente dibattuto, senza per questo giungere a un accordo definitivo: Bruno Zevi, ad esempio, lo considerava il maestro di maggior prestigio e incisività in Europa della scuola organica, mentre Giedion - suo biografo illustre - ha tentato di farne un esponente della linea neogotica.[33]

La verità è che è quasi impossibile ridurre la complessità dell'oeuvre aaltiana in una formula stilistica cristallizzata. Il maestro finlandese, in effetti, concepiva l'architettura come un libero esperimento senza certezze precostituite, e per questo operava padroneggiando completamente un iter progettuale ed esecutivo che tornava ripetutamente su sé stesso, in maniera del tutto dissimile da un Le Corbusier o da un Mies, tanto per menzionare due architetti che agivano secondo schemi di riferimento ben consolidati (e talora espressi in maniera programmatica con la pubblicazione di opere-manifesto). Non a caso, se quest'ultimi fecero scuola presso architetti che ne continuarono l'opera facendone germinare e fruttificare i principi più validi, Aalto è rimasto un fatto singolare, se non un unicum, dell'architettura moderna - o, per usare una felice espressione del Brandi, «una chiesa separata».[33]

Avesta
Aaltohuset, 1957-1961
Bazoches-sur-Guyonne
Maison Louis Carrè, 1959-1961
Berlino
Edificio residenziale al quartiere Hansa, 1955-57
Brema
Aalto-Hochhaus, 1958-1962
Cambridge, Stati Uniti
Dormitori del MIT, 1947
Espoo
Stadio di Otaniemi, 1954
Essen, Germania
Teatro Aalto, 1983-1988
Helsinki
Chiesa di Töölö, 1927
Istituto finlandese per le pensioni popolari, 1952-56
Casa della cultura a Helsinki, 1952-1958
Campus del Politecnico di Helsinki, 1953-1973
Palazzo Enso-Gutzeit a Helsinki, 1959-1962
Casa Finlandia, 1962-1971
Imatra
Chiesa di Vuoksenniska [Chiesa delle Tre Croci], 1958
Jyväskylä
Casa Nuora, 1923-1924
Casa del popolo, 1924-1925
Museo Alvar Aalto, 1973
Kotka
Centro industriale della cellulosa, 1938
Mount Angel, Stati Uniti
Abbey Library, 1970,
Muurame
Chiesa di Muurame, 1926-1929
Muuratsalo
Casa sperimentale, 1953
Noormarkku
Villa Mairea, 1938
Paimio
Sanatorio di Paimio, 1929-1933
Reykjavík
Area universitaria di Reykjavík, 1975-1976
Nordic House, 1968
Riola di Vergato
Chiesa di Santa Maria Assunta, 1975-1980
Seinäjoki
Municipio, 1957–1967
Viipuri
Biblioteca municipale, 1933-1935
Wolfsburg
Centro culturale, 1958-1963
Heilig-Geist-Kirche, 1958-1962

Alvar Aalto

Prima di avvicinarsi all'imponente patrimonio architettonico lasciatoci da Alvar Aalto è indispensabile comprendere le qualità umane dell'architetto, animato com'è noto da una personalità erudita ma vulcanica, con sporadici accessi di arroganza, soprattutto nella gioventù. I suoi stessi progetti, d'altronde, rivelano come Aalto fosse dotato di un'esuberante vitalità intellettuale, che non si lasciava andare agli eccessi concettosi dell'ars historici ma che al contrario preferiva la concretezza della prassi. Non di rado, in effetti, Aalto conciliava un'austera quanto intellettuale ponderatezza con un'ingenuità divertente, scherzosa e senza dubbio vitale. Notevole, in tal senso, la testimonianza offertaci da Bruno Zevi:

«Mentre beveva l'undicesimo whisky di quel party, Alvar Aalto si è messo a ridere come un bambino: "Ora vi racconto la storia più bella di tutte. Sapete che Frank Lloyd Wright sta cominciando a costruire il famoso museo a spirale di New York. Mentre discuteva il progetto finale, i committenti gli esposero alcuni requisiti per la sistemazione dei quadri che implicavano varianti costruttive. Wright li ascoltava impaziente, poi ripeté la classica frase: "La mia architettura non ha bisogno di quadri". Ammutolirono tutti. E Aalto ha continuato a ridere ...»

Sigfried Giedion, intimo amico del Nostro, così ricorda l'uomo Aalto:

«Non si può discorrere di Aalto architetto senza parlare di Aalto uomo. Gli uomini hanno per lui almeno la stessa importanza dell'architettura. L'interesse di Aalto si porta verso ogni uomo, verso ognuno dei desideri e delle esperienze particolari, senza esclusione di provenienza o di classe sociale. Egli trae incentivi e stimoli dal contatto di uomini di varie professioni, come faceva James Joyce. In realtà Aalto non può metter piede fuori di casa senza trovarsi coinvolto in qualche episodio umano. Egli si avvicina agli esseri direttamente e senza inibizioni, nello stesso modo in cui si avvicina al materiale organico legno.
Quando Aalto apparve per la prima volta, sconosciuto a tutti noi, nel cerchio dei CIAM appena fondati a Francoforte nel 1929, egli non ci parlò delle sue costruzioni, ma ci raccontò invece una delicata avventura in cui s'era trovato implicato quella mattina alle nove, andando dalla stazione all'albergo.»

Utile, in tal senso, riportare anche la testimonianza di Glauco Gresleri, accademico incaricato nel 1966 di presentare la chiesa aaltiana di Riola:

«Aalto era un uomo semplice, dal taglio corporeo forte e dalla fisionomia e dai modi di fare di uomo ancorato alla terra; poteva sembrare un boscaiolo o un contadino, con le mani forti. Solo quando aveva la matita tra le dita, la mano si scioglieva e diventava leggera e veloce; disegnava con la matita nera e quella arancione, non foglio dietro foglio, ma su un nastro continuo di carta, che si sfilava dal rotolo che teneva sulla destra, quasi una sequenza cinematografica. E come il boscaiolo, aveva lo stesso rispetto per la natura: la sua casa di Sainatsaalo era posata sui sassi di granito come calata da un elicottero; la flora dell'interno era intatta, felci e fragole; il muschio non si era accorto della presenza del cantiere e non ne aveva sofferto.»

  1. ^ Lathi, p. 6.
  2. ^ Juanita, Marci, p. 11.
  3. ^ Iovino, p. 10.
  4. ^ Juanita, Marci, p. 12.
  5. ^ In occasione dell'Interbau Aalto intervenne nel quartiere Hansa con la costruzione di un edificio residenziale plurifamiliare e pluripiano particolarmente interessante soprattutto per quanto concerne i caratteri distributivi dei singoli appartamenti. Di seguito si riporta l'analisi che il Reed fornisce di un appartamento-tipo:

    «Ogni appartamento è in effetti una piccola casa con patio a un piano, e si direbbe quasi che l'aggregazione sincopata di tante unità simili crei a ogni piano l'apparenza di un minuscolo villaggio. L'appartamento base si compone di tre camere da letto, più un bagno e una cucina, raggruppati intorno ai tre lati di un soggiorno centrale che si apre direttamente all'esterno attraverso un'ampia terrazza parzialmente incassata nel corpo dell'edificio. [...] La cucina-dispensa comunica direttamente con la terrazza per consentire di mangiare all'aperto. La privacy acustica e visiva è favorita ovunque da uno schema distributivo che serve le camere da letto poste lateralmente, ma al tempo stesso è parzialmente schermato dal volume centrale della zona giorno. [Trattasi] di una delle più brillanti piante di alloggi medio borghesi concepite nell'intero arco del Novecento»

    In Reed, p. 125.

  6. ^ Mangone, Scalvini, pp. 166-167.
  7. ^ Mangone, Scalvini, p. 3.
  8. ^ Reed, p. 9.
  9. ^ Mangone, Scalvini, p. 4.
  10. ^ Così il Reed:

    «Aalto non reputava affatto intrinsecamente contraddittorio prendere a prestito motivi architettonici da culture del passato o da altri paesi. [...] Egli proponeva che gli architetti si cimentassero su due diversi campi di battaglia: quello dell'architettura popolare, che usa tipologie locali, forme e tecnologie vernacolari, profondamente radicata nel suo luogo d'origine [...] e quello, molto più ampio, in cui si riconosce "la volontà consapevole di creare forme, normalmente associata al mestiere dell'architetto". Secondo Aalto, affinché siano applicabili alla situazione locale, le suggestioni provenienti da altri paesi devono essere trasformate; qualsiasi discrepanza fra l'architettura madre e la sua variante locale non è indice di provincialismo. [...] Partendo da questo assunto, usare il linguaggio di Brunelleschi o dei borghi toscani non creava discrepanze concettuali o pratiche»

    In Reed, pp. 41-42.
  11. ^ Mangone, Scalvini, pp. 4-5.
  12. ^ Mangone, Scalvini, p. 27.
  13. ^ Mangone, Scalvini, immagine n. 24.
  14. ^ Mangone, Scalvini, p. 1.
  15. ^ Mangone, Scalvini, pp. 5, 26.
  16. ^ Mangone, Scalvini, p. 31.
  17. ^ Mangone, Scalvini, p. 32.
  18. ^ a b Mangone, Scalvini, p. 33.
  19. ^ Mangone, Scalvini, p. 34.
  20. ^ Mangone, Scalvini, p. 35, 37.
  21. ^ Mangone, Scalvini, p. 37.
  22. ^ Mangone, Scalvini, p. 77.
  23. ^ Duany, pp. 8-9.
  24. ^ Barbara Gherri, Daylight assessment. Il ruolo della luce naturale nella definizione dello spazio architettonico e protocolli di calcolo, collana Ricerche di tecnologia dell'architettura, pp. 49-50, ISBN 978-88-204-5073-1.
  25. ^ Mangone, Scalvini, p. 68.
  26. ^ Mangone, Scalvini, p. 157.
  27. ^ a b Reed, p. 41.
  28. ^ Dalla Caneva, p. 490.
  29. ^ a b Reed, p. 37.
  30. ^ a b Dalla Caneva, pp. 489-490.
  31. ^ a b Mangone, Scalvini, p. 71.
  32. ^ Iovino, p. 25.
  33. ^ a b Francesco Moschini, Alvar Aalto. Tra naturalismo nordico e razionalismo europeo.
  34. ^ Iovino, p. 19.
  35. ^ Iovino, p. 18.
  36. ^ Iovino, pp. 18-19.
Testi in italiano
  • Renato Iovino, Alvar Aalto, architettura e tecnica, Clean Edizioni, 1922.
  • Devis Clavijo Juanita, Aldo Marci, Dal Paesaggio di Alvar Aalto al Museo del Paesaggio (PDF), Politecnico di Milano, 2012.
  • Fabio Mangone, Maria Luisa Scalvini, Alvar Aalto, collana Gli architetti, Laterza, 1993, ISBN 88-420-4215-3.
  • Carlo Pietrucci, “Alvar Aalto. La Chiesa di Riola”, in Ecclesia n. 16, Roma 1998
  • Peter Reed, Alvar Aalto, 1898-1976, Milano, Electa, 1998, ISBN 88-435-6610-5.
  • Andres Duany, Principi compositivi di Aalto (PDF), in The Harvard Architecture Review, n. 5, New York, Rizzoli, 1986. URL consultato il 26 novembre 2017 (archiviato dall'url originale il 24 dicembre 2015).
  • Alessandro Dalla Caneva, L'interpretazione del paesaggio classico nei progetti di Alvar Aalto (PDF), in Viaggio e paesaggio urbano: forme e modi di rappresentazione della città, Padova, Università degli Studi di Padova, pp. 487-492.
  • Giuliano Gresleri Glauco Gresleri, Alvar Aalto la chiesa di Riola, Editrice Compositori, 2004.
Testi in altre lingue
  • (EN) Louina Lathi, Aalto, collana Basic Art, Taschen.

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