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FRANCESCANESIMO, MINORITISMO E POLITICA
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Recibido el 17 de diciembre de 2014 // Aceptado el 11 de marzo de 2015
FRANCESCANESIMO, MINORITISMO E POLITICA
Grado Giovanni Merlo
Università degli Studi di Milano
Resumen/Summary
De las tres palabras que componen el título de este trabajo, la que más sobresale
en el siglo XIII es la política, entendida como «la ciencia y el arte de gobernar un
Estado». Y ella hay que tenerla en cuenta en el nacimiento y difusión de la experiencia religiosa de San Francisco de Asís. Es evidente que el testimonio evangélico
del Poverello no es político en sentido estricto, pero sus escritos y sus obras tienen
consecuencias políticas, cuando trata de aplicar a la realidad social y personal las
propuestas pacíficas de Jesús. Y Francisco, como sabemos, se dirige al pueblo llano
y a las clases dominante de la Iglesia y de la sociedad de entonces.
Palabras clave: Francisco de Asís, Franciscanismo, Política en la Italia Medieval.
Franciscanism, Minority, and Politics
Of the three words that make up the title of this work, what stands out most in
the 13th century is politics, which is understood as “the science and art of governing a state.” Also it must be taken into account that in this period, the religious
experience of St. Francis of Assisi began, grew and spread. Clearly, the evangelical
witness of the Poverello is not political in the strict sense, but his writings and his
works have political implications, when applied and implemented in the social and
personal realities, it is about peace that Jesus proposed. And Francis, as we know
him, addressed it to the common people and to the ruling classes of the Church and
of the society at that time.
Keywords: Francis, Franciscanism, Politics in Medieval Italy.
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Delle tre parole che fanno da titolo al presente saggio soltanto una risale
al volgare italiano del secolo XIII, anzi della seconda metà di quel secolo.
La parola non è francescanesimo, né tanto meno minoritismo. La parola
è ovviamente politica, che secondo la definizione aristotelica di Brunetto
Latini significa «la scienza e l’arte di governare lo Stato1». Tale definizione
spinge a immettersi subito in medias res, ovvero nella complessa e articolata questione dei rapporti tra francescanesimo, minoritismo e politica: con
particolare riferimento ai contesti in cui avvengono così la nascita e la prima
diffusione dell’esperienza religiosa di frate Francesco d’Assisi e dei suoi
iniziali fratelli/frati, come il costituirsi e l’espandersi dell’Ordine dei frati
Minori. D’altronde, occorre non dimenticare che la dirigenza della nuova
formazione religiosa è presente ed agisce soprattutto nella penisola italiana,
per lo meno fino alla “crisi” dei primi decenni del secolo XIV.
Il grande complesso tematico e problematico relativo a “francescanesimo, minoritismo e politica” (in Italia) ha una lunga tradizione storiografica
che muove da antiche e acute osservazioni di un Volpe2 o di un Hefele3 per
risalire, gradino per gradino, sino agli «Atti del Convegno internazionale di
studio» tenutosi a Palermo nel dicembre 2002, pubblicati in due massicci
tomi col titolo I francescani e la politica, a cura del compianto Alessandro
Musco, da «Officina di studi medievali» nel 20074, passando attraverso la
Tavola rotonda, organizzata dall’École Française di Roma nell’aprile 1977,
su Les Ordres mendiants et la ville en Italie centrale tra gli inizi del Duecento e la metà del Trecento, e attraverso il numero speciale della rivista «Civis.
Studi e testi» del 1983 dedicato a Minoritismo e centri veneti nel Duecento5.
Né è da dimenticare il contributo, ovvero il bilancio critico, di Antonio Ri-
1
M. Cortelazzo, P. Zolli, Dizionario etimologico, Bologna 1985, p. 950.
Cf.. G. Volpe, Movimenti religiosi e sette ereticali nella società medievale italiana
(secoli XI-XIV), Roma 1997 (1a ed., Firenze 1922, ma la prima redazione del lungo saggio
risale al 1907), pp. 155-171: su cui vi veda M. Benedetti, Eresie medievali e eretici modernisti, in La riforma della Chiesa nelle riviste religiose di inizio Novecento, a cura di Ead., D.
Saresella, Milano 2010, pp. 313-330.
2
3
H. Hefele, Die Bettelorden und das religiöse Volksleben Ober- und Mittelitaliens im
13. Jahrhundert, Leipzig 1910.
4
Cf. I francescani e la politica, a cura di A. Musco, con Indice dei nomi e dei luoghi
a cura di G. Musotto, e Nota bibliografica ragionata di aggiornamento di L. Parisoli, I-II,
Palemo 1907.
5
Minoritismo e centri veneti nel Duecento, Trento 1983 (= «Civis. Studi e testi», VII,
num. 19-20).
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gon su Frati Minori e società locali nell’oramai classico volume einaudiano
su Francesco d’Assisi e il primo secolo di storia francescana6.
A ben pensare, però, gli studi dell’ultimo trentennio del secolo XX presentano un’attenzione tutta particolare alla “società cittadina”, piuttosto che
alle forme politico-istituzionali che avevano preso i governi basso-medievali operanti nelle città: l’influenza, in generale, della “storia sociale” delle «Annales» – un’influenza che si estendeva in verità a larga parte della
medievistica italiana – e, in particolare, delle ricerche di Jacques Le Goff7
era assai forte, se non addirittura condizionante. Nell’ambito degli “studi
francescani” l’influenza ha primi esempi di notevole qualità in un saggio di
Anna Benvenuti su Ordini mendicanti e città del 19768 e negli studi di Anna
Imelde Galletti su Insediamento e primo sviluppo dei frati Minori a Perugia
e di Attilio Bartoli Langeli su La famiglia Coppoli nella società perugina
del Duecento nel volume Francescanesimo e società cittadina. L’esempio
di Perugia, edito nel 1979 in occasione del VII Centenario del convento
francescano di Monteripido in Perugia9. Possiamo considerare questo volume come l’antesignano di non poche successive opere variamente dedicate
al rapporto tra francescanesimo e società analizzato nelle più diverse parti
d’Italia: opere che hanno trovato alimento tematico e problematico nei molti
contributi di André Vauchez10.
Proseguire secondo la direzione tracciata dall’importante produzione che
abbiamo evocato sarebbe magari interessante, ma, in quanto direzione di
6
A. Rigon, Frati Minori e società locali, in M. P. Alberzoni, et alii,, Francesco
d’Assisi e il primo secolo di storia francescana, [a cura di A. Bartoli Langeli, E. Prinzivalli],
Torino 1997, pp. 259-281.
7
Il riferimento eminente era a J. Le Goff, Apostolat mendiant et fait urbain dans la
France médiévale: l’implantation des ordres mendiants. Programme-questionnaire pour une
enquête, in «Annales. Économie, Sociétés, Civilisations», XXIII (1968), pp. 335-353; Id.,
Ordres mendiants et urbansation dans la France médiévale. État de l’énquête, in «Annales»
cit:, XXV (1970), pp. 924-946.
8
A. Benvenuti Papi, Ordini mendicanti e città. Appunti per un’indagine, il caso di
Firenze, in Da Dante a Cosimo I. Ricerche di storia religiosa e culturale toscana nei secoli
XIV-XVI, a cura di D. Maselli, Pistoia 1976, pp. 122-145.
9
Francescanesimo e società cittadina: l’esempio di Perugia, a cura di U. Nicolini,
Perugia 1979 (Pubblicazioni del «Centro per il collegamento degli studi medievali e umanistici dell’Università di Perugia», 1): i saggi di A. I. Galletti e di A. Bartoli Langeli sono
rispettivamente alle pp. 1-44 e 45-112.
10
Sufficiente, ma non esaustivo, il rinvio a A. Vauchez, Ordini mendicanti e società
italiana, XIII-XV secolo, Milano 1990; Id., Francesco d’Assisi e gli Ordini mendicanti,
Assisi 2005.
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“storia sociale”, porterebbe forse fuori da un ambito propriamente politico.
Certo, società e politica sono strettamente intrecciate pressoché ovunque
nell’Italia del Duecento, generando instabilità strutturali nella vita collettiva
delle città: instabilità che a loro volta spinsero a ricercare e sperimentare
forme di governo che rompessero quell’intreccio e si elevassero al di sopra
dei conflitti sociali, per giungere finalmente, se non proprio a eliminarli, a
ridurne gli effetti negativi11. Una delle prime sperimentazioni è costituita dai
regimi podestarili, che rivelano il proposito di dar vita a un vertice politico
capace di esprimere in modo unitario il governo cittadino e di trovare una
forma di potere agente “al di sopra” delle forze rappresentate dai milites
e dal populus, attenuandone l’aspra concorrenza, anche se quel proposito
ebbe realizzazioni raramente compiute e mai durature12. Insomma, urgente
era l’esigenza di pacificare la vita collettiva.
In questa tensione pacificatrice si esaltano talune forme della predicazione e dell’azione di frate Francesco d’Assisi che sono testimoniate dai suoi
stessi scritti, dalle leggende “francescane” e dalla notissima testimonianza
del chierico Tommaso da Spalato13. Su quest’ultima è intervenuto più volte
con grande competenza e finezza Enrico Artifoni e non è caso di insistervi14.
Il Francesco che non segue il modus predicantis, ma opta per «uno stile quasi concionatorio (modus quasi concionantis)»15, condivide modalità dell’o-
Cf., in generale, J.-C. Maire-Viguer, Cavalieri e cittadini, conflitti e società nell’Italia comunale, Bologna 2004.
11
12
Cf. I podestà dell’Italia comunale. Reclutamento e circolazione degli ufficiali
forestieri (fine XII secolo – metà XIV secolo), a cura di J.-C. Maire-Viguer, Roma 2000.
13
Cf. i lucidi e chiarificatori saggi di R. Michetti, François d’Assise et la paix révelée.
Réflexions sur le muthe du pacifisme franciscain et sur la prédication de paix de François
d’Assise dans la société communale du XIIIe siècle, in Prêcher la paix et duscipliner la
société. Itaie, France, Angleterre (XIIIe-XIVe siècle), a cura di R. M. Dessì, Turnhout 2005,
pp. 279-312, e di G. Miccoli, Francesco e la pace, in Id., Francesco d’Assisi. Memoria,
storia e storiografia, Milano 2010, pp. 167-187 (già in Vita evangelica. Essays in Honor
of Margaret Carney, cura di M. F. Cusato, J. F. Godet-Calogeras, in Franciscan Studies 64
(2006) 35-52).
14
Cf. E. Artifoni, Gli uomini dell’assemblea. L’oratoria civile, i concionatori e i
predicatori nella società comunale, in La predicazione dei frati dalla metà del ‘200 alla fine
del ‘300, Spoleto 1995, pp. 141-188, in particolare alle pp. 160-164; Id., Egemonie culturali
e parole nuove: sulla comunicazione politica nel mondo comunale, in Frate Francesco e i
Minori nello specchio dell’Europa, in corso di stampa.
15
Cf. E. Artifoni, Gli uomini dell’assemblea. L’oratoria civile, i concionatori e i
predicatori nella società comunale, in La predicazione dei frati dalla metà del ‘200 alla fine
del ‘300, Spoleto 1995, pp. 141-188, in particolare alle pp. 160-164; Id., Egemonie culturali
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ratoria politica con la comune finalità di rafforzare la res publica, mirando
«a spegnere le inimicizie e a gettare le fondamenta di nuovi patti [ad extinguendas inimicitias et ad pacis foedera reformanda]»16. D’altronde, la lassa
del Cantico di frate Sole che inizia con il versetto «Laudato si’, mi’ Signore,
per quelli ke perdonano per lo Tuo amore»17 fu composta in occasione di un
duro scontro tra il vescovo e il podestà di Assisi nel corso del quale frate
Francesco intervenne per ristabilire «tra i due la pace e la concordia»18. La
pacificazione degli individui si determina attraverso il perdono “per amore
di Dio”, nonostante i costi personali che esso può comportare, poiché “l’incoronazione” ultraterrena è il compimento della vita di quanti sostengono
«infirmitate e tribulazione (…) in pace».
Ciò vale ancor più, si potrebbe aggiungere, per coloro che detengono
poteri politico-istituzionali e possono “dimenticare il Signore” e “allontanarsi dai suoi comandamenti” «a causa delle cure e della sollecitudine di
questo secolo [propter curas et sollicitudines huius seculi]» e a seguito della
presunzione derivata dal potere stesso. E ancora: «Quanto più sapienti e più
potenti saranno stati in questo secolo, tanto più grandi tormenti sosterranno
nell’inferno [quanto sapientiores et potentiores fuerint in hoc seculo, tanto
maiora tormenta sustinebunt in inferno]». Così frate Francesco si esprime
nella lettera destinata a «tutti i podestà e consoli, giudici e rettori di qualsiasi terra [universis potestatibus et consulibus, iudicibus atque rectoribus
ubique terrarum]», di norma detta Epistola ad populorum rectores19. Da notare infine che frate Francesco manifesta una viva preoccupazione circa gli
effetti che, in merito alla fede e alla devozione delle popolazioni, possono
determinarsi a seguito dello scarso livello di fedeltà cristiana dei «reggitori
dei popoli». Ma, si badi, per frate Francesco anche la pace è un dono della
Grazia che gli uomini e le donne possono o non possono accogliere: perciò
l’insistenza di frate Francesco sul saluto «Dominus det tibi pacem [il Si-
e parole nuove: sulla comunicazione politica nel mondo comunale, in Frate Francesco e i
Minori nello specchio dell’Europa, in corso di stampa.
Testimonia minora saeculi XIII de sancto Francisco Assisiensi, a cura di L. Lemmens,
Ad Claras Aquas 1926, p. 10.
16
17
Francisci Assisiensis Scripta, a cura di C. Paolazzi, Grottaferrata (Roma) 2009, pp.
122 s.
18
Cf., tra i molti riferimenti possibili, C. Paolazzi, Il Cantico di frate Sole, Genova
1992, pp. 46-50.
19
Francisci Assisiensis Scripta cit., pp. 148-151; Francesco d’Assisi, Scritti, a cura di
A. Cabassi, con la collaborazione speciale di G. G. Merlo, Padova 2002, pp. 407-411.
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gnore ti dia pace]»20, oltre che sul parallelo saluto «Pace a questa casa [pax
huic domui]»21. La pace, interiore ed esteriore, è un tratto della fede in un
Dio che vuole pacifici i suoi figli: un tratto però non statico e disincarnato,
bensì dinamico e concreto, poiché implica continue decisioni “pacificatrici”
di ogni credente, di ogni individuo.
Insomma, la testimonianza evangelica e la proposta cristiana del Poverello, ovvero quello che possiamo o, forse meglio, dobbiamo definire il
francescanesimo di frate Francesco22, non sono direttamente politiche, ma
hanno comunque riflessi politici – la pace territoriale, la pace tra gli individui e nella società è obiettivo peculiare dell’ordinamento pubblico e dovere
specifico dei detentori del potere politico-istituzionale – soprattutto quando
esse si rivolgevano e coinvolgevano le classi eminenti e gli uomini di governo delle singole realtà in cui il Poverello si veniva a trovare e comportavano moniti severi circa il destino ultraterreno di quegli stessi uomini e
classi, oltre che delle popolazioni a loro sottoposte. I moniti erano segnati
da rigore e speranza, comunicati nelle forme migliori per essere compresi.
Perciò, il modus quasi concionandi, scelto per parlare a Bologna il 15 agosto
1222, esprime una modalità comunicativa davvero innovativa rispetto alle
20
Francisci Assisiensis Scripta cit., pp.
21
Ibid.
22
Sulle problematiche connesse a tale definizione cf.. G. G. Merlo, Intorno a francescanesimo e minoritismo. Cinque studi e un’appendice, Milano 2010. Ovviamente esiste un
significato assai più esteso, in dimensioni sia cronologiche sia contenutistiche, di francescanesimo. In tal senso efficace è la definizione di Francisco Victor Sánchez Gil nella sua
relazione al I Congreso Internacional della Asociación Hispánica de Estudios Franciscanos
del 2003: «La ultima centuria del II Milenio (…) puede calificarse con toda verdad de haber
sido capaz de lograr un acercamiento a la inteligencia y comprensione (…) tanto de la
figura y significacion histórica del “Poverello” (…), como de su rica herencia. Es decir, del
origen, expansion, trayectoria, modalidades, reformas familiares, momentos de esplendor
y etapas de decadencia. La supervivencia, en suma, del movimiento franciscano, tras siete
largos siglos de presencia, actividad multiple y de innegable aportación efectiva al acervo
común dell’Occidente medieval cristiano primero y de la Europa moderna y contemporánea
después. Sin olvidar, naturalmente, sus eficaces proyecciones evangelizadoras y culturales
americanas, asiáticas en general y extremo-orientales en particular. Algo asi puede ser (…) la
idea et concepto de lo que aqui entendemos y se expresa con el vocablo franciscanismo. Por
lo que un franciscanismo asi descrito a grandes rasgos, puede ser considerado, con perfecta
objectivación y legitimidad históricas, además, a la vista de los presupuestos y condicionamiemtos apuntados, como categoria historiografica», F. V. Sánchez Gil, La historiografía
franciscana de la península ibérica en el siglo XX: bosquejo histórico, autores y obras, in El
franciscanismo en la península ibérica. Balance y perspectivas, a cura di M. del Mar Graña
Cid, Barcelona 2005, p. 71.
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tradizionali forme delle artes praedicandi: una modalità comunicativa che
in seguito doveva essere ripresa in contesti e termini assai diversi da altri
frati. Esemplare è la definizione che frate Salimbene de Adam dà di uno dei
protagonisti del moto dell’Alleluia del 1233, ossia frate Gherardo da Modena qualificato come «magnus concionator, ossia (…) esperto nei discorsi
pubblici di argomento civile, il che ben si attaglia alle alte responsabilità
politiche assunte da Gherardo»23.
L’accenno all’assunzione di «alte responsabilità politiche» da parte del
frate Minore modenese costituisce la porta d’accesso alle considerazioni
circa il passaggio dal quasi concionator, impersonato da frate Francesco
d’Assisi, al magnus concionator frate Gherardo da Modena, il quale non
solo parla in modo politico, ma agisce politicamente in prima persona, addirittura assumendo «alte responsabilità politiche». Il moto dell’Alleluia del
1233 è davvero centrale nell’emergere sociale e politico degli Ordini dei
frati Minori e dei frati Predicatori. L’aveva ben compreso André Vauchez
quasi cinquant’anni fa nel saggio Une campagne de pacification en Lombardie autour de 1233, che aveva il significativo sottotitolo di L’action politique des ordres mendiants d’après la réforme des statuts communaux et
les accords de paix24. Assai meno penetrante la lettura offerta da Augustine
Thompson nel suo Revival Preachers and Politics in Thirteenth-Century
Italy. The Great Devotion of 1233 del 199225: si tratta di un’ampia e ambiziosa ricerca non sempre sorretta da un’adeguata esegesi documentaria
né sempre libera da precomprensioni e da intenti apologetici. La ricerca è
qua e là carente in riferimento alle «premesse» dell’azione dei «predicatori»
dell’Alleluia26 e sulla cultura politico-istituzionale degli stessi. Soprattutto
Artifoni, Gli uomini dell’assemblea cit., p. 173; ma cf.. anche ID., I podestà professionali e la fondazione retorica della politica comunale, in «Quaderni storici», 63 (1986), pp.
697 s., 715. Non sarà superfluo ricordare che la definizione di «magnus concionator» si deve
a frate Salimbene, il quale però aggiunge che frate Gherardo da Modena era pure «optimus et
gratiosus predicator» (Salimbene de Adam, Cronica, a cura di G. Scalia, I, p. 106), a sottolineare una distinzione importante tra «concionator» e «predicator», due differenti modalità
di rivolgersi alla folla a seconda delle circostanze, delle opportunità e delle finalità.
23
24
Pubblicato in Mélanges de l’École Française de Rome – Moyen Age – Temps
modernes, 78 (1966) 519-549.
25
Se ne veda anche la traduzione italiana: A. Thompson, Predicatori e politica nell’Italia del XIII secolo. La “Grande Devozione” del 1233, Milano 1966.
26
Cf. A. Piazza, Grazia, vescovo di Parma, e la lotta contro gli eretici al tempo
dell’Alleluia, in Le scritture della storia. Pagine offerte dalla Scuola Nazionale di Studi
Medievali a Massimo Miglio, a cura di F. Delle Donne, G. Pesiri, Roma 2012, pp. 35-47; M.
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non coglie in tutta la loro rilevanza, oltre che i costi umani della cosiddetta “pacificazione”, i processi politici in atto e le iniziative della Chiesa di
Roma nell’Italia centro-settentrionale27.
Affatto trascurata dal Thompson la rilevanza dell’impegno repressivo antiereticale dei frati protagonisti dell’Alleluia e del suo carattere propriamente politico, assunto in modo definitivo a seguito della innocenziana decretale
Vergentis in senium del 1199, che aveva equiparato l’eresia al crimine di
lesa maestà28: un carattere su cui aveva insistito con forza il cardinale Ugolino d’Ostia nel condurre le proprie legazioni nell’Italia centro-settentrionale
e su cui insisterà una volta divenuto papa Gregorio IX, stabilendo una sorta
di rapporto biunivoco inversamente proporzionale tra dimensioni della diffusione ereticale e limiti della «libertas Ecclesiae»29. Perciò si imponeva una
generale ricomposizione delle fratture, createsi al volgere dal XII al XIII
secolo, tra ceti eminenti cittadini e gerarchie ecclesiastiche e una altrettanto
generale alleanza tra governi comunali e papato, come aveva ben compreso un pontefice quale Innocenzo III, inaugurando una strategia che sarebbe
stata proseguita con coerente continuità da Onorio III e Gregorio IX e con
soluzioni via via sollecitate dal mutare delle situazioni generale e locali30. I
membri dei nuovi Ordini religiosi, che non erano condizionati da precedenti
relazioni e posizioni sociali e politiche, apparivano particolarmente adatti
alla collaborazione con i disegni pontifici: una collaborazione che, per converso, contribuiva alla loro espansione e al loro radicamento31. Espansione e
Gazzini, Tra Chiesa e impero: i francescani tra movimenti di pace e di eresia, in Francescani e politica nelle autonomie cittadine dell’Italia basso-medievale, in corso di stampa.
Su cui ora l’ampia e importante ricerca di L. Baietto, Il papa e le città. Papato e
comuni in Italia centro-settentrionale durante la prima metà del secolo XIII, Spoleto 2007.
27
Cf. O. Hageneder, Il sole e la luna. Papato, impero e regni nella teoria e nella
prassi dei secoli XII e XIII, a cura di M. P. Alberzoni, Milano 2000, pp. 131-163, 213-234.
28
Cf. G. G. Merlo, Contro gli eretici. La coercizione all’ortodossia prima dell’Inquisizione, Bologna 1996, pp. 34-46; D. Rando, Religione e politica nella Marca. Studi
su Treviso e il suo territorio nei secoli XI-XV, I: «Religionum diversitas», Verona1996,
pp. 77-91. Con estensione alla strategia antiereticale del cardinale Ugolino divenuto papa
Gregorio IX, cf. A. Piazza, Paix et hérétiques dans lò’Italie communale: les stratégies du
langage dans les registres du pape Grégoire IX, in in Prêcher la paix cit., pp. 103-122; M.
Benedetti, Gregorio IX: l’inquisizione, i frati e gli eretici, in Gregorio IX e gli Ordini
mendicanti. Atti del XXXVIII Convegno internazionale (Assisi, 7-9 ottobre 2010), Spoleto
2011, pp. 293-323.
29
30
Cf. Baietto, Il papa e le città cit., pp. 3- 139, 190-246, 269-334.
Una più ampia trattazione di tali temi e problemi in G. G. Merlo, Tra eremo e città.
Studi su Francesco d’Assisi e sul francescanesimo medievale. Seconda edizione riveduta e
31
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radicamento avvenivano anche attraverso la loro specifica vocazione all’annuncio della Parola, attraverso una predicazione assai rinnovata ed efficace32, che rappresentava un ponte robustissimo tra teoria e prassi: una sorta
di «nuova militanza della parola religiosa destinata a incidere, in superficie
e in profondità, sui modi e sulle forme della convivenza umana»33. Il moto
dell’Alleluia del 1233 ne rappresenta un primo straordinario momento di
sperimentazione34.
I “predicatori” alleluiatici non si limitano a inviti etico-religiosi, per
quanto forti e coinvolgenti: compiono scelte ed azioni peculiarmente politiche di cui ebbero acuta consapevolezza non solo i protagonisti, ma anche gli ambienti ereticali35. Ne è una prima testimonianza chiarissima la
deposizione di frate Stefano di Spagna, provinciale dei frati Predicatori di
“Lombardia”, al processo bolognese di canonizzazione di frate Domenico
da Caleruega del 123336:
In civitatibus Lombardie (…) maxima multitudo hereticorum est combusta et plusquam centum millia hominum qui
nesciebant utrum ecclesie Romane an hereticis deberent adherere, ad catholicam fidem Romane ecclesie (…) ex corde sunt
conversi. Et hoc scit quia illi conversi hereticos quos primo defendebant, modo persequuntur et abhominantur. Et fere omnes
civitates Lombardie et Marchie facta sua et statuta ordinando
ampliata, Assisi 2007, pp. 269-335, 391-409, 411-433.
Costituiscono una svolta nelle ricerche sui mutamenti decisivi nella predicazione
degli inizi del Duecento le analisi e le suggestioni di J. Le Goff, J.-C. Schmitt, Nel XIII
secolo. Una parola nuova, in Storia vissuta del popolo cristiano, direzione di J. Delumeau,
ed. it. a cura di F. Bolgiani, Torino 1985, pp. 307-330. Un contributo originale è dato da
R. Rusconi, «Trasse la storia per farne la tavola»: immagini di predicatori degli Ordini
mendicanti nei secoli XIII e XIV, in La predicazione dei frati dalla metà del ‘200 alla fine del
‘300. Atti del XXII Convegno internazionale (Assisi, 13-15 ottobre 1994), Spoleto 1995, pp.
405-450.
32
G. G. Merlo, Nel nome di san Francesco. Storia dei frati Minori e del francescanesimo sino agli inizi del XVI secolo, Padova 2003, p. 114.
33
34
Di «sperimentazioni dell’Alleluia» parla anche M. P. Alberzoni, Minori e Predicatori fino alla metà del Duecento, in Martire per la fede. San Pietro da Verona domenicano e
inquisitore, a cura di G. Festa, Bologna 2007, pp. 77-82.
35
Cfr. Merlo, Contro gli eretici cit., pp. 140-147.
Acta canonizationis sancti Dominici, in Monumenta historica sancti patris nostri
Dominici, II, Roma 1935, pp. 158 s.
36
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et mutando ad voluntatem fratrum tradunt in manibus eorum
ut radant, addant, minuant et mutent secundum quod eis visum
fuerit expedire. Et hoc enim faciunt de guerris extirpandis et
pacibus faciendis et compenendis inter eos. Et de usuris et male
ablatis reddendis et confessionibus audiendis et multis aliis bonis.
[Nelle città di Lombardia (…) una grandissima moltitudine
di eretici fu bruciata e più di centomila uomini, che non sapevano se aderire alla Chiesa di Roma o agli eretici, si sono convertiti sinceramente alla fede cattolica della Chiesa romana (…).
E ciò appare dal fatto che costoro, convertitisi, ora esecrano e
perseguitano gli eretici che prima difendevano. E quasi tutte le
città della Lombardia e della Marca rimettono nelle mani dei
frati le loro questioni e i loro statuti affinché essi ordinino e
mutino secondo la propria volontà. E fanno la stessa cosa per
interrompere le guerre e trovano accordi di pace tra loro, oltre
che a proposito delle usure e della restituzione del mal tolto,
dell’ascolto delle confessioni e di molte altre buone cose].
Ai contenuti della deposizione di frate Stefano di Spagna fanno da speculare contrappunto le riflessioni degli “eretici” riportate nel Liber supra
Stella di Salvo Burci, o di Burca, del 123537:
Prelati huius ecclesie dant vim et laborant in quantum possunt ut ponatur in scriptis civitatum quod variis tormentis crucierunt hii quos ipsi ereticos appellant; et si comune civitatum
non vult hoc facere, pugnant eos dicentes: «Excommunicavimus vos!». Et oportet quod fiat; et si non faciunt, neque dicunt
officium, neque quasdam suas truphas; et in hoc comune est
stultum et sequitur stultitias suas. O populi, videte quare faciunt eos occidere, quia nolunt iurare nec adulterari, nec comedere carnes et cetera. Sed de illis qui habent gladium ad latus
et qui faciunt adulteria et homicidia, non faciunt ipsis ponere.
O ecclesia Romana, omnes habes plenas manus de sanguine
martirum.
37
Salvo Burci, Lliber Suprastella, a cura di C. Bruschi, Roma 2002, p. 280.
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[I prelati di questa Chiesa si danno da fare in ogni modo
perché negli statuti delle città si stabilisca che con svariati
tormenti siano colpiti coloro che essi chiamano eretici; e se
il comune non vuole farlo, essi lo combattono e dicono: «Vi
scomunicheremo tutti!». Ed è necessario che sia fatto; e se non
viene fatto, non dicono l’ufficio né quelle altre loro truffe; e in
questo il comune è stolto e segue le loro stoltezze. O popoli,
vedete come li fanno uccidere quelli che non vogliono giurare,
né peccare di adulterio, né mangiar carne eccetera. Ma a quelli
che hanno la spada al fianco e commettono omicidi e adulterii,
non la fanno deporre. O Chiesa romana, hai le mani tutte piene
del sangue dei martiri].
Condivise con alcuni frati Predicatori, le iniziative dei frati Minori durante il moto dell’Alleluia del 1233 incidono, prima di tutto, a livello politico-istituzionale agendo sulle leggi statutarie che devono regolare la vita dei
cittadini, con gli obiettivi non secondari di conquistare il consenso religioso
delle popolazioni e di operare alla ricomposizione dell’universo di ortodossia quale era voluto dal vertice della cattolicità romana. In proposito nascono alcune domande: quali gli esiti? è accettabile il giudizio di chi ha affermato che «in generale l’azione politica di riforma statutaria e di imposizione
della pace dei predicatori dell’Alleluia si risolse in un fallimento»38? Più che
sbagliato, si tratta di un giudizio fuorviante, poiché l’«azione politica» dei
predicatori alleluiatici, al di là di contingenti ed effimeri risultati, favorisce
l’avvio di un mutamento decisivo nei rapporti, difficili e talora apertamente
conflittuali, dei ceti eminenti e delle popolazioni delle città con enti ecclesiastici e monastici: il mutamento si attua pure attraverso un’accentuata lotta
antieterodossa, togliendo qualsiasi spazio istituzionale e sociale agli eretici.
Questi, in quanto violatori dell’ordinamento sia pubblico sia ecclesiastico,
sono proiettati nella “illegalità” e ridotti a una sempre maggiore clandestina
marginalità. L’impegno antiereticale dei frati alleluiatici non era una novità,
poiché si situava in continuità con precoci incarichi e sollecitazioni prove-
38
Baietto, Il papa e le città cit., p. 289: si consideri che la studiosa non prende in
considerazione le testimonianze di frate Stefano di Spagna e del Liber Suprastella sul moto
dell’Alleluia del 1233, limitando così le sue possibilità di comprensione, non diversamente
da T. Scharff, Häretikerverfolgung und Schriftlichkeit. Die Wirkung der Ketzergesetze auf
die oberitalienischen Kommunalstatuten im 13. Jahrhundert, Frankfurt a.M. 1996.
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nienti dal papato stesso senza provocare, per quanto ne sappiamo, reazioni
di sorta all’interno dell’Ordine minoritico39.
Si pensi alla singolare coincidenza che nel 1233 si realizza in Milano
tra l’inizio dei lavori per la costruzione del convento di San Francesco
«all’interno del fossato della città»40 e gli inizi della repressione antiereticale cruenta con l’accensione dei primi roghi sotto la podestaria di Oldrado
da Tresseno, il quale, proprio nell’anno 1233, «come era suo dovere, bruciò i Catari [Catharos ut debuit uxit]»41: fatto confermato da un breve testo
cronachistico, le Memoriae Mediolanenses, secondo cui nel 1233 «i Milanesi iniziarono a bruciare gli eretici [Mediolenenses incipierunt comburere
ereticos]»42. D’altronde, l’attiva partecipazione “milanese” dei frati Minori,
insieme ai Predicatori, nella lotta e repressione antiereticali è confermata e
lodata dallo stesso Gregorio IX alla fine di quello stesso anno43: a segnalare
un cambiamento radicale nei rapporti politici tra sede apostolica e Milano,
che troveranno una collaborazione decisiva nell’alleanza antifedericiana44.
Nella lotta contro Federico II si segnalerà frate Leone da Milano con il proprio impegno militare e diplomatico: non è caso che nel 1241 egli fosse
scelto come arcivescovo della città dallo stesso Gregorio IX, diventando
così il primo frate Minore a ricevere la consacrazione episcopale45. Da quel
momento l’Ordine minoritico diventerà uno dei serbatoi inesauribili da cui
reclutare membri da immettere nell’episcopato: frati dunque collocati in una
posizione ecclesiastica che aveva strutturali dimensioni politiche46.
Cf. Frati Minori e Inquisizione. Atti del XXXIII Convegno internazionale (Assisi,
6-8 ottobre 2005), Spoleto 2006.
39
40
M. P. Alberzoni, Francescanesimo a Milano nel Duecento, Milano 1991, p. 31.
G. Giulini, Memorie spettanti alla storia, al governo ed alla descrizione della città
e campagna di Milano ne’ secoli bassi, IV, Milano 1855 (rist. anast., Milano 1974), p. 348.
41
42
Ma cfr., anche, Memoriae Mediolanenses, in Monumenta Germaniae Historica,
Scriptores, 18, Hannoverae 1867, p. 402: «Mediolanenses incepierunt comburere ereticos».
43
Cf. Merlo, Contro gli eretici cit., p. 43.
Cf. P. Montanari, Milano «fovea haereticorum»; le fonti di un’immagine, in
Vite di eretici e storie di frati. A Giovanni Miccoli, a cura di M. Benedetti, G. G. Merlo,
A. Piazza, Milano 1998, pp. 62-74. Sul seguito della repressione antiereticale in Milano e
in “Lombardia”, cf. M. Benedetti, Inquisitori lombardi del Duecento, prefazione di A.
Prosperi, Roma 2008.
44
45
Cf. Merlo, Tra eremo e città cit. (sopra, nota 32), pp. 269-335.
Cf. Dal pulpito alla cattedra. I vescovi degli Ordini Mendicanti nel ‘200 e nel primo
‘300. Atti del XXVII Convegno internazionale (Assisi, 14-16 ottobre 1999), Spoleto 200: in
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Si sono aperti così alcuni fra i tanti possibili spiragli di intelligibilità sul
minoritismo, ovvero sui modi di essere e di imporsi dell’Ordine dei Minori
e dei suoi membri nella Chiesa e nella società47. In proposito sono ancora del
tutto valide le considerazioni di Antonio Rigon quando nel 1991 parlò dei
frati appartenenti agli ambienti internazionali, dunque, alle
cerchie papali, all’area nord dell’Italia; uomini di diritto, dotti
teologi, famosi predicatori (…); questi frati, che non avevano
vissuto l’esperienza della primitiva “fraternitas”, rappresentano una linea del minoritismo internazionale e padano cresciuto per lo più lontano dall’Umbria e da Francesco, maturato
nell’attività apostolica in stretto collegamento con la curia romana, con i frati Predicatori, con gli ambienti di studio e con
le Chiese locali. La novità da essi introdotta fu nell’assunzione
diretta di compiti di riforma ecclesiastica, guidata da Roma,
estranei a Francesco e al gruppo iniziale dei suoi seguaci per i
quali valeva la testimonianza evangelica e non altro. Con loro
la linea dell’impegno pastorale di guida, insegnamento, educazione e formazione nella Chiesa e nella società prevaleva nettamente su quella della pura e semplice professione del Vangelo
tra i poveri e gli emarginati in una vita di servizio e di umile
sottomissione48.
In questo meditato brano viene espressa con nitida chiarezza e precisa
puntualità la distinzione tra francescanesimo e minoritismo. Ne emergono
anche i motivi di fondo che immettono i frati Minori nella concreta dinamica della vita collettiva secondo tempi e modalità nient’affatto unitari,
bensì assai complessi e diversificati, la cui dimensione politica si connette
strettamente con i disegni politici del papato duecentesco. Ma, si badi, tra
particolare si vedano le meditate riflessioni problematiche di A. Rigon, Vescovi frati o frati
vescovi?, ibid., pp. 5-26.
47
Cf. G. G. Merlo, Nel nome di san Francesco cit., pp. 86-107; Id., La minorità di
frate Francesco e il minoritismo dei frati Minori, in Sémata. Ciencias Sociais e Humanidades, 26 (2014) 35-45:
A. Rigon, Antonio di Padova e il minoritismo padano, in I compagni di Francesco
e la prima generazione minoritica. Atti del XIX Convegno internazionale (Assisi, 17-19
ottobre 1991), Spoleto 1992, pp. 189 s. (poi in Id., Dal Libro alla folla. Antonio di Padova e
il francescanesimo medioevale, Roma 2002, p. 34).
48
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minoritismo e francescanesimo vi sono elementi non soltanto di distinzione,
ma anche di connessione. Frate Gherardo da Modena era stato, prima del
1233, «uno dei primi frati, ossia dell’Ordine dei frati Minori, non tuttavia
dei dodici, amico e intimo del beato Francesco e talvolta suo compagno [de
primitivis fratribus unus, scilicet Ordinis fratrum Minorum, non tamen de
XII, amicus et intimus beati Francisci et aliquando socius]»49. Tuttavia le
esperienze originarie, talora vissute al fianco dello stesso frate Francesco,
avevano condotto frate Gherardo a comportamenti pubblici all’apparenza
simili a quelli del Poverello, ma nella sostanza assai diversi: a Parma nel
1233 egli si propone come mediatore per riportare la concordia e la pace
tra quanti erano l’un contro l’altro armati, accettando di ricoprire la carica
politico-istituzionale di podestà. I risultati positivi non furono pochi, anche
se il suo agire, almeno in un’occasione, era stato condizionato dalle proprie
convinzioni, per dir così, ideologico-politiche: secondo frate Salimbene egli
era infatti «imperialis multum»50.
Ciò non deve stupire, quando si consideri la parallela vicenda di frate
Elia di Cortona, anch’egli legatissimo a frate Francesco e a madonna Chiara d’Assisi, eppure addirittura collaboratore dell’imperatore Federico II di
Svevia51. Insomma, per riprendere espressioni di Luigi Pellegrini, il «passaggio, dopo la sua deposizione, al campo dell’imperatore (…) appare come
conseguenza (…) di una logica insita nelle specifiche modalità di gestione,
da parte di fra’ Elia di un potere che la forza decisiva dell’Ordine minoritico in quella società [la cristianità latina della prima metà del Duecento]
impediva rimanesse estraneo alle tensioni e agli scontri anche di vertice»52.
Da queste sintetiche considerazioni si potrebbe inferire e, dunque, affermare che francescanesimo e minoritismo coesistessero nella persona stessa di
frate Elia: non diversamente, si deve aggiungere, francescanesimo e minoritismo coesistevano in molti altri membri, più o meno eminenti, dell’Ordine
dei frati Minori e, soprattutto, nell’Ordine stesso. Esemplare al riguardo è
49
50
Salimbene de Adam, Cronica cit., I, p. 106.
Ibidem.
51
Cf., da ultimo, i diversi saggi raccolti in Elia di Cortona tra realtà e mito.
Atti dell’incontro di studio (Cortona, 12-13 luglio 2013), Spoleto 2014.
52
L. Pellegrini, «Che sono queste novità?». Le religiones novae in Italia meridionale (secoli XIII e XIV), Napoli 2000, p. 79.
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un exemplum rintracciabile nella Vita fratris Aegidii contenuta nella trecentesca Chronica XXIV generalium Ordinis Minorum53:
Venerunt duo fratres (…). Quos frater Aegidius interrogavit post caritativam receptionem unde erant et unde veniebant.
Qui responderunt quod eiecti erant de terra sua per Fridericum
Ecclesiae persecutorem. Quod cum audisset frater Aegidius,
zelo paupertatis succensus, coepit eis clamando corripere dicens: «Eiecti estis de terra vestra; cachati estis de terra vestra?
Certe non estis fratres Minores». Et sic clamans et replicans
palmas percutiendo adiecit: «Carissimi, vos peccatis contra
illum maximum peccatorem Fridericum. Cum enim vobis multa bona contulerit, deberetis sibi compati et pro ipso orare, ut
Dominus eius cor emolliret, non de ipso murmurare, quia non
eiecit vos de terra vestra, si veri fratres Minores estis, quia terram vestram habere non potestis.
[Giunsero due frati (…). Dopo averli caritativamente accolti, Egidio chiese loro di dove fossero e di dove venissero. Essi
risposero che erano stati cacciati dalla loro terra da Federico
persecutore della Chiesa. Avendo udito ciò, frate Egidio, acceso dallo zelo di povertà, iniziò a riprenderli dicendo ad alta
voce: «Siete stati cacciati dalla vostra terra; siete stati cacati
dalla vostra terra? Di certo non siete frati Minori».E così replicando sempre ad alta voce, percuotendo le palme delle mani,
aggiunse: «Carissimi, voi peccate verso quel Federico grandissimo peccatore. Poiché infatti vi ha dato molti beni, dovreste
compatirlo e pregare per lui affinché il Signore ammorbidisse il
suo cuore, non lamentarvi di lui, poiché non vi avrebbe potuto
cacciare dalla vostra terra, se foste veri frati Minori, in quanto
non potete avere un vostra terra].
53
Chronica XXIV generalium Ordinis Minorum, Ad Claras Aquas (Quaracchi) 1897,
pp. 110 s. (Analecta Franciscana, III). Cf. Pellegrini, «Che sono queste novità?» cit., p. 83;
M. T. Dolso, Le Vitae di Egidio di Assisi nella Chronica XXIV generalium e nel De conformitate di Bartolomeo da Pisa, in Frate Egidio d’Assisi. Atti dell’Incontro di studio in opccasione del 750° anniversario della morte (1262-2012) (Perugia, 30 giugno 2012), Spoleto
2014, p. 66. .
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In questo testo esemplare coesistono il minoritismo, identificabile
dall’accettazione dei «multa bona» che Federico II di Svevia aveva fatto ai
frati Minori, e il francescanesimo rappresentato dal rigoroso rifiuto di ogni
proprietà e possesso di natura giuridica, e persino affettiva, e dalla evangelica disposizione ad amare i nemici e a pregare per loro. L’espulsione
dei frati Minori dal regno di Sicilia – evocata in modo causticamente assai
forte per mezzo della colorita espressione «cachati estis de terra vestra» –
era stata decisa dall’imperatore per ragioni politiche nel radicalizzarsi dello
scontro con il papato: pertanto, per ragioni politiche venivano meno quelle
dimensioni evangeliche che avrebbero dovuto caratterizzare l’esistenza dei
“figli” di san Francesco. Il coinvolgimento dei Minori a ogni livello della
vita collettiva generava molteplici metamorfosi del francescanesimo al fine
di portare a compimento il progressivo e pieno inserimento dei frati nella società e nella Chiesa, oltre che nelle Chiese locali54, con le connesse tensioni
e divisioni all’interno dell’Ordine55: un inserimento nell’una e nelle altre che
non poteva avvenire al di fuori di una dimensione politica. Non spetta alla
presente relazione fornire in proposito esempi, che comunque sarebbero numerosissimi. Sarà invece opportuno ricordare che, a partire all’incirca dalla
metà del secolo XI, la cristianità latina convergente nel papato contiene ed
esprime una dimensione politica nel suo stesso essere56. Il raccordo privilegiato con la Chiesa di Roma immette l’Ordine dei frati Minori nei vari
ambiti di quella dimensione, anche in riferimento alla propria irradiazione e
alla successiva stabilizzazione insediativa. Si riaffaccia dunque la questione
dei rapporti tra Minori e società cittadine.
Il massiccio moltiplicarsi degli insediamenti urbani minoritici nel Duecento sarebbe potuto avvenire senza i necessari supporti politici a livello
locale? Senza i necessari supporti politici – oltre, è scontato, a quelli economici dati i costi assai rilevanti per la costruzione di chiese e conventi
Cf. M. Pellegrini, Itinerari dell’inserimento. Riflessioni su minoritismo e Chiese
locali nella prima stagione francescana, in Il francescanesimo dalle origini alla metà del
secolo XVI. Esplorazioni e questioni aperte. Atti del Convegno della Fondazione Michele
Pellegrino (Università di Torino, 11 novembre 2004), a cura di F. Bolgiani, G. G. Merlo,
Bologna 2005, pp. 71-111; M. C. Rossi, Gregorio IX, i frati e le Chiese locali, in Gregorio
IX e gli Ordini mendicanti cit. (sopra, nota 30), pp. 259-292.
54
55
Cf. le importanti analisi, realizzate sotto un particolare punto di vista, di M. T.
Dolso, “Et sint Minores”. Modelli di vocazione e reclutamento dei frati Minori nel primo
secolo francescano, prefazione di G. Miccoli, Milano 2001.
56
Cf.., per lo meno, G. G. Merlo, Il cristianesimo medievale in Occidente, Roma-Bari
2012, specialmente alle pp. 36-47, 86-106.
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architettonicamente imponenti – a livello locale si sarebbe realizzato, nella
seconda metà del Duecento, il significativo fenomeno del trasferimento dei
conventi minoritici nel cuore delle città? Le domande sono ovviamente retoriche e servono a introdurre un ulteriore elemento di complicazione connotante la vicenda dei frati Minori rappresentato dalle particolarità determinate da quella che giustamente Claudio Leonardi chiamò la «geografia
del francescanesimo»57. Considerare questo elemento è in tanto necessario
in quanto anche le istituzioni e le situazioni politiche nella penisola italiana
hanno avuto una loro geografia, ovvero peculiarità alle quali i frati Minori
via via si rapportarono in maniera più o meno efficace, all’interno di contesti
generali, non soltanto cittadini, che condizionarono il loro agire locale. Già
Giovanni Miccoli, nella sua notissima sintesi einaudiana del 1974, aveva
messo in guardia da generalizzazioni che appiattissero realtà mosse e diversificate e aveva invitato a cogliere e distinguere tempi e modalità nelle
relazioni tra società cittadina italiana e Ordine dei frati Minori58. Tale problematica è stata poi, nel 1997, sviluppata da Antonio Rigon giungendo a
una importante conclusione:
Nell’insieme il movimento francescano, nato nell’Italia delle città e dei Comuni da una proposta di vita cristiana rivolta
a tutti i fedeli fu profondamente partecipe di quel tipo di società e cambiò con essa. Una nuova pastorale, una nuova santità, un nuovo modo di interpretare il Vangelo senza rompere
con la tradizione, furono il contributo offerto dai frati Minori a
quel nuovo mondo che (…) nell’arco di un secolo aveva fatto
irruzione anche negli spazi, segnati da limiti, delle società locali59.
Lo stesso Rigon ha avuto in seguito, nel 2002, l’opportunità di fare affermazioni integrative, altrettanto importanti, circa il fatto che «i francescani
fossero un segmento importante e una componente di punta della società
57
Intervento di C. Leonardi nella discussione su Le immagini di Francesco nella letteratura tra documentazione biografica ed invenzione spirituale, in Gli studi francescani dal
dopoguerra ad oggi. Atti del Convegno di studio (Firenze, 5-7 novembre 1990), a cura di F.
Santi, Spoleto 1993, p. 335.
Cf. G. Miccoli, La storia religiosa, in Storia d’Italia, II: Dalla cadura dell’Impero
romano al secolo XVIII, Torino 1974, pp. 798 ss.
58
59
Rigon, Frati Minori e società locali cit., p. 279.
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comunale» e che, «come tali ne condividessero i problemi, partecipando
attivamente alle sue lotte e alle sue conquiste in uno dei momenti più alti del
suo sviluppo politico, culturale, economico»60. Potremmo così dedurne che
la componente politica della presenza minoritica nelle città dell’Italia basso- medioevale divenisse, assai presto nel corso del Ducento, strutturale61:
una presenza che però non si limitava alla realtà locale, poiché comunque i
frati appartenevano a un Ordine di dimensioni “internazionali” con propri
dirigenti centrali e “provinciali” affiancati dai relativi organismi.
Per di più, il legame con il papato, da un lato, complicava sul piano
politico la presenza minoritica così nell’Italia basso-medievale come in tutta la cristianità latina, e, d’altro lato, trovava nei frati Minori dei convinti
sostenitori, anche a livello della riflessione teorica, della ierocrazia pontificia62, per lo meno sino alla crisi dei primi decenni del Trecento con le note
vicende dello scontro – anche ecclesiologico e perciò politologico, come
avrebbe detto Ovidio Capitani – tra dirigenza dell’Ordine e papa Giovanni
XXII63. L’esaltazione del potere pontificio appariva coerente con la difesa
della «identità francescana» dell’Ordine che si voleva incentrata sulla po-
A. Rigon, Frati Minori, inquisizione e comune a Padova nel secondo Duecento, in
Il «Liber contractuum» dei frati Minori di Padova e di Vicenza (1263-1302), a cura di E.
Bonato con la collaborazione di E. Bacciga, Roma 2002, p. XXIX (Fonti per la storia della
Terraferma veneta, 18).
60
61
Se così è, il discorso genera conseguenze che ci spostano su un piano diverso da
quello su cui finora ci si è mossi: il piano dei pregiudizi e delle preclusioni operanti tra i
medievisti italiani, i quali hanno collocato gli studi di “storia religiosa”, per non dire degli
“studi francescani”, in recinti specialistici del tutto isolati, se non estranei, alla ricerca storica
cosiddetta generale, ovvero la medievistica, che così difende proprie posizioni di potere
universitario, ma risulta monca e inevitabilmente condizionata da prospettive in cui giocano
in modo negativo condizionamenti ideologici. Per un primo approccio al tema delle relazioni
tra “storia medievale” e “storia religiosa del medioevo” cf.. G. G. Merlo, Sugli studi storicoreligiosi del medioevo in Italia. Note storiografiche, in Päpste, Privilegien, Provinzen.
Beiträge zur Kirchen-, Rechts- und Landesgeschichte. Festschrift für Werner Maleczek zum
65 Geburtstag, herausg. von J. Giessauf et alii, Wien-München 2010, pp. 313-325.
Sulla ierocrazia pontificia fondamentali sono gli studi raccolti in Hageneder, Il sole
e la luna cit. (sopra, nota 29).
62
Cf. per lo meno, J. Miethke, La teoria della monarchia papale nell’alto e basso
medioevo. Mutamenti di funzione, in Il pensiero politico del basso medioevo. Antologia di
saggi, a cura di C. Dolcini, Bologna 1983, pp. 119-156; A. Tabarroni, Povertà e potere
nella tradizione francescana, in Il pensiero politico. Idee teorie dottrine, I: Età antica e
medioevo, a cura di C. Dolcini, Torino 1999, pp. 175-207; R. Lambertini, Da Egidio
Romano a Giovanni di Parigi, da Dante a Marsilio: fautori e oppositori della teocrazia
papale agli inizi del Trecento, ibid., pp. 209-254.
63
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vertà (volontaria), a sua volta garantita sul piano giuridico dal papato: povertà come concetto-valore capace di generare “pensiero”, a sua volta, assai
fecondo. In merito Paolo Evangelisti ha scritto:
La capacità fecondante della testualità francescana che, discutendo sin dal pieno XIII secolo di povertà, ricchezza, statuto idoneativo dei pauperes Christi e, per questa via, di statuti
ideoneativi dei singoli componenti di tutta intera la comunità
dei cristiani, diviene generatrice di linguaggi ed elaboratrice di
teorie e prassi politiche, giuridiche, economiche, mercantili e
militari del medioevo europeo64.
Il contributo fornito dai frati Minori al pensiero, e al pensiero politico
in particolare, degli ultimi tre secoli del cosiddetto medioevo ha una vastità
davvero notevole. La loro attenzione alla scienza e all’arte di governare lo
Stato, cioè alla politica, è stata oggetto di studi importanti nell’ultimo ventennio su suggerimento e suggestione del magistero di Ovidio Capitani e di
Carlo Dolcini. Studi importanti si devono a Giacomo Todeschini, a Roberto
Lambertini, ad Andrea Tabarroni e a Paolo Evangelisti. Quest’ultimo ha
potuto intitolare una sua monografia, edita a Padova nel 2006, I francescani
e la costruzione di uno Stato. Linguaggio politici, valori identitari, progetti
di governo in area catalano-aragonese , che, pur riferendosi a realtà dello
scorcio del Trecento, pone problemi generali e di lunga durata. Si leggano,
per esempio, le seguenti riflessioni:
L’arsenale linguistico-concettuale forgiato dalla prima
generazione viene ripreso e messo a frutto dagli esponenti
dell’Ordo Minorum delle generaizoni successive divenendo
un’autentica strumentazione in grado di articolare discorsi e
approcci teorici utili alla costruzione e all’affermazione di specifiche realtà comunitarie e politico-territoriali, le quali (…)
individuano negli esponenti del pauperismo francescano gli
interpreti credibili ed attrezzati per realizzare questi obiettivi65.
P. Evangelisti, Tra genesi delle metamorfosi nell’Ordine dei Minori e francescanesimo dominativo, in Il francescanesimo dalle origini (sopra, nota 55), cit., p. 154.
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65
Evangelisti, I Francescani e la costruzione cit. (nel testo), p. 26.
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In questa riflessione si ripresenta la questione del trinomio
francescanesimo/minoritismo/politica e della linea di continutà-rottura dei primi due termini in relazione al terzo. Il discorso si fa qui alquanto complesso, poiché concerne la “storia del
pensiero” con la sua autonomia e le sue peculiarità: un discorso
che conduce in territori poco frequentati sia da molti medievisti
sia dalla opinio communis. Roberto Lambertini ha ben chiarito
che «la povertà francescana, per essere fondata sul Vangelo, di
cui costituisce innegabilmente un’interpretazione, deve anche
essere articolabile in un discorso razionale, compatibile con un
sistema di assunti teologici e di categorie giuridiche. Infine,
deve essere inseribile in un quadro ecclesiologico coerente»66.
Andrea Tabarroni, dal canto suo, ha sottolineato che «il pensiero politico francescano» deve essere ricondotto alla «sua
genesi apologetica e pauperistica», sottolineando come «i frati
Minori, nel corso del loro tentativo di enucleare le condizioni
istituzionali del loro ideale di perfezione, abbiano affinato la
sensibilità per l’autonomia formale delle obbligazioni giuridiche e delle realtà politiche in generale»67. È chiaro che siffatte
riflessioni riguardano il minoritismo, la cui fonte originaria è
il francescanesimo di frate Francesco: un francescanesimo che
per durare nel tempo doveva farsi istituzione. Forse, in ultima analisi, aveva ragione Ovidio Capitani, quando, trattando
dell’«emergere della teoria giuridica e politica francescana»68,
ha parlato di «eterogenesi dei fini»69. Se infatti quella di frate
Francesco è e resta la proposta di una presenza, di un modo di
essere, di pensare e di sentire che per restare fedele a se stesso
e al proprio modello può aspirare solo a continuare ad essere
R. Lambertini, La povertà pensata. Evoluzione della definizione dell’identità
minoritica da Bonaventura a Ockham, Modena 2000, p. 11.
66
67
Le parole sono di A. Tabarroni, Francescanesimo e riflessione politica sino ad
Ockham, in Etica e politica: le teorie dei frati Mendicanti nel Due e Trecento. Atti del XXVI
Convegno internazionale (Assisi, 15-17 ottobre 1998), Spoleto 1999, pp. 210 e 230.
68
Tabarroni, Francescanesimo e riflessione politica cit., p. 208.
O. Capitani, Introduzione, a Una economia politica nel medioevo, a cura di ID.,
Bologna 1987, p. XII.
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tale, sfuggendo ogni ricerca di successo e lasciando a Dio e alla
grazia di operare e incidere70,
durare nel tempo, di necessità, comportava metamorfosi71, alla cui genesi, ovvero eterogenesi, concorre – oltre ai legami con il papato, alle pressioni di potenti e gruppi sociali eminenti, alla «dialettica interna» all’Ordine72 – l’attività intellettuale di non pochi frati Minori “militanti”73: proprio
quell’attività intellettuale di cui frate Francesco d’Assisi aveva temuto le
conseguenze e gli effetti, ma che era intrinseca alla natura stessa dei maestri e dell’élite dirigente dell’Ordine minoritico. Centrale risulta essere il
passaggio dalla povertà vissuta (francescana) alla povertà pensata (minoritica) tanto da assumere «la povertà come chiave interpretativa del potere»74:
pensare la povertà in quanto valore trascendente ha generato, nel Duecento,
nuove teorie e visioni dell’uomo e del mondo, assurgendo a paradigma regolatore della convivenza e delle relazioni tra gli individui, cioè la riflessione pauperistica si è fatta politologia: una politologia destinata ad affinare “la
scienza e l’arte di governare lo Stato” in funzione e in vista di una destinazione ultraterrena. Ma, per contro, agli inizi del Trecento la riflessione pauperistica, fattasi componente dell’aspra polemica che opponeva la dirigenza
dell’Ordine minoritico con papa Giovanni XXII, fu collegata persino con
«“la lotta per la de-politicizzazione” delle strutture ecclesiastiche”»75.
70
Miccoli, Francesco d’Assisi. Memoria cit. (sopra, nota 14), p. 187.
Cf. Merlo, Nel nome di san Francesco cit. (sopra, nota 34), pp. 57-187; Evangelisti,
Tra genesi delle metamorfosi cit., pp. 143-187.
71
Con piena ragione Maria Teresa Dolso, Introduzione, in Fonti agiografiche
dell’Ordine francescano, a cura di Ead, Padova 2014, pp. 22 e 31, rileva e sottolinea una
precoce duplice spinta nell’evoluzione dell’Ordine dei frati Minori: una spinta che conosce,
da un lato, una «dialettica interna» a una «istituzione in cui, da subito, convivono “anime”
diverse, realtà difformi, aspettative e progetti differenti», e, d’altro lato, una «dialettica
esterna all’Ordine che ben presto ne influenza e ne condiziona lo sviluppo, le attività e le
priorità».
72
73
Cf. Merlo, Intorno a francescanesimo cit. (sopra, nota 23), pp. 147-174.
La pregnante espressione si deve a R. Lambertini, La povertà pensata. Evoluzione
storica della definizione dell’identità minoritica da Bonaventura ad Ockham, Modena 2000,
p. 13.
74
75
C. Dolcini, Crisi di poteri e politologia in crisi da Sinibaldo Fieschi a Guglielmo
d’Ockham, Bologna 1988, p. 217, con citazione di P. Costa, Iurisdictio. Semantica del
potere politico nella pubblicistica medievale (1100-1433), Milano 1969, p. 298.
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