Febbraio
2007


Paolo Canettieri

LE VARIANTI NEL CANTO POPOLARE
Data d’immissione:
7 febbraio 2007

Ultima modifica:
7 febbraio 2007

Il canto popolare vive nelle sue varianti: questo è lo slogan più efficace con cui si può riassumere e sintetizzare tutta la letteratura critica che vede nella variante il momento centrale nella creazione e nella ri-creazione del testo poetico tradito oralmente (Rubieri 1877; D’Ancona 1878; Child 1888; Dessauer 1928; Nigra 1888; Menéndez Pidal 1927 e 1954; Funk 1931; Barbi 1939; Santoli 1940 e 1947; Toschi 1947; Croce 1957; Cocchiara 1966, Segre 1982). La variante, inoltre, volontaria o involontaria che sia, è un fenomeno di natura prettamente cognitiva, essendo il prodotto di un intervento memoriale e/o creativo su un testo dato (memoria e creatività sono infatti due ambiti dei quali la psicologia cognitiva si interessa da sempre in maniera sistematica). Risulta quindi sorprendente che ancora manchi uno studio che non trascuri alcuni aspetti fondamentali di ordine filologico - il genere dei componimenti, la distinzione lirico-narrativo, la trasmissione interlinguistica, la collazione dei testi, il tentativo di ricostruzione di un ipotetico originale - e che cerchi di fornire una tipologia analitica delle varianti prodotte dall’oralità anche alla luce delle scienze cognitive: queste discipline hanno infatti analizzato molti aspetti inerenti la formazione, la trasmissione e quindi la variazione del messaggio, sia pur in contesti per certi versi differenti da quelli che ci riguardano. Questo contributo, senza pretendere di essere esaustivo, si inserisce nell’ambito del più vasto progetto della filologia cognitiva, segnatamente in quel campo di ricerca che potremmo qui definire «ecdotica cognitiva»: questo settore della disciplina dovrebbe analizzare dal punto di vista cognitivo i fenomeni normalmente studiati dalla critica del testo (l’errore, le varianti, le modalità della recensione e della collazione, lo stemma, ecc.). Gli psicologi, anche quando si sono occupati direttamente del canto popolare, non hanno tentato di distinguere la fenomenologia variantistica, giungendo spesso a conclusioni utili anche se talvolta perfettibili (Rubin 1995). Peraltro, le considerazioni che si possono trarre dallo studio del canto popolare possono essere d’aiuto anche per gli psicologi e addurre importanti dati al dibattito sulla memoria ricostruttiva e riproduttiva, dibattito che potrebbe essere fortemente smussato qualora non si considerasse il significato come unica costrizione di rilievo.
Dal punto di vista tipologico sembra che si possano individuare modalità di variazione che vanno dalla conservazione pressoché totale dei contenuti testuali con perdita parziale di elementi strutturali di natura formale, alla totale desemantizzazione del materiale originario, nella completa conservazione della forma. La maggior parte delle strutture tipologiche intermedie sono assimilabili alla variantistica culta di opere volgari, il più delle volte prodotta dalla trasmissione scrittoria e adducibile sia alla precisa volontà di variare un testo dato, sia alla semplificazione o fraintendimento di dati testuali, scritti o orali che siano: casi di sostituzione di parole, varianti morfologiche e sintattiche, inversioni di versi e di emistichi, varianti rimiche, di varia composizione di materiali disparati, casi di adattamento da lingua a lingua e da dialetto a dialetto (per la lirica occitanica e siciliana disponiamo per ora dei primi sondaggi di Rovetta 2003). In particolare i casi di varianza interlinguistica sembrano rivestire un particolare interesse sia per il filologo, sia per lo psicologo ed è dunque soprattutto su di essi che ci soffermeremo.

1. La memoria creativa nei generi «lirici» del canto popolare.

La questione più rilevante dal punto di vista cognitivo nella formazione delle varianti riguarda la memoria e la sua funzione creativa e ri-creativa. Fino ad oggi, i risultati di numerosi lavori sul recupero di informazioni immagazzinate nella memoria a lungo termine (MLT) indicano che ripescare ricordi non è una atto di tipo passivo, assimilabile alla mera rappresentazione fotografica di un evento: nel momento in cui si tenta di rievocare qualcosa, si riattivano piuttosto varie informazioni, che vengono ricucite e riorganizzate in modo da creare un evento mentale che può essere chiamato «ricordo». La memoria � quindi fondamentalmente un processo di tipo ricostruttivo e il ricordo non è mai una rappresentazione completa di quel che è veramente accaduto, anzi esso è sempre la somma di una ricomposizione di frammenti di informazioni o di memorie disparate. Sul recupero di informazioni di qualsiasi genere dal magazzino della memoria incidono necessariamente e pesantemente le nostre conoscenze preterite, che danno forma al ricordo, contribuedo ad eliminare gli elementi in contrasto con esse e ad acquisire i dati che invece sono presenti in modo obbligatorio nelle conoscenze stesse. Si tratta di un concetto ben noto agli studiosi del canto popolare, tanto che già Ermolao Rubieri poteva trattare in modo circostanziato della poesia da lui definita «memorativa»; essa, a suo avviso, abbracciava tutte le specie della poesia popolare, perché nata dal continuo decomporsi e ricomporsi di vari elementi nella memoria umana:

La memoria adempie nella poesia popolare l’ufficio spettante alla scrittura nella letteraria; cioè conserva, diffonde e accomuna non solo le idee, ma anche le forme. Mediante tale ufficio ciascuna specie di poesia popolare quando d’inventata diviene ripetuta, comincia ad assicurare quel maggiore o minor grado di stabilità che è consentito all’indole sua, rendendo attuale ciò che prima era virtuale soltanto (Rubieri 1877: 322).

Anche nella trasmissione della poesia popolare, dunque, la memoria gioca un ruolo creativo, proprio per il principio che la ricomposizione di frammenti sparsi è di per se stessa una ricerca, un atto ri-creativo, insomma un’invenzione. Si prenda l’esempio famosissimo della canzone di Nina (punto 2 dell’appendice), così commentato da Rubieri:

Il poeta popolare, per propria indole, per proprio istinto, si preserva da questo doppio pericolo col far della sua memoria non uno scaffaletto ben ordinato da cui possa, a seconda del bisogno, trarre tutto un componimento bell’e stampato, ma un universal serbatoio di tanti mescolati pezzetti tra i quali, a seconda della fantasia, pesca, sceglie, innesta, modifica quelli che gli sembran più acconci a formare un Rispetto o un Dispetto esprimente l’idea, e per lo più la passione, che è nell’animo suo. Ciò spiega come sia raro trovare un canto veramente spassionato che da cima a fondo sia ripetuto con ordine esatto di versi, di concetti, di parole, di rime, e come sia invece comunissimo trovarne uno dove sieno riprodotti non solo rime, parole, concetti e versi interi, ma anche coppiuole e quartine che si incontrano sparsi e diversamente combinati in mille altri canti (Rubieri 1877: 347).

Abbiamo qui certamente a che fare con una canzone fortemente variante, che esprime una medesima idea di fondo, in termini cognitivi uno script su cui variare liberamente: l’acqua con cui ogni mattina si lava Nina, la donna di cui l’io cantante è innamorato, non deve essere dispersa, ma riutilizzata in qualche modo: nelle versioni 2a-b-c è riutilizzata con intenti taumaturgici, se gettata in terra, infatti, farà crescere un fiore (una rosa in 2a-b, un giglio e un gelsomino in 2c) con cui si il medico (2a) o lo speziale (2b-c) potrà fare una medicina capace di risanare i malati (2a) o la stessa Nina (2b-c); nelle versioni 2e-f l’acqua serve a «temperare» il vino, poiché è fresca e chiara come la donna amata (2f). Si noti che, anche dal punto di vista formale, abbiamo qui una serie di varianti sulla stessa struttura fondamentale. In 2a-b tale struttura è data dalla più classica ottava siciliana, con schema 11abababab (a: ina/ima, b: ari-are); in 2c e 2f si assiste alla destrutturazione dell’ottava, con uno schema rimico che risulta in entrambi i casi privo di simmetria: nel primo testo ababcccbdd (a: ina, b: are/ale, c: ino, d: ata), nel secondo abcbcbdd (a: ina, b: are, c: iso/ino, d: ara). Le versioni 2d-e sono invece quartine con ogni probabilità monche di una parte, anche se in entrambe è dato riconoscere alcuni elementi strutturali propri anche delle altre versioni: lo schema metrico 11abab, le terminazioni a: ina, b: are in 2d e a: iso, b: are. In ogni caso sembra da escludere che la forma sia qui più stabile del contenuto dei testi, anzi, sembrerebbe che al variare del contenuto corrisponda abbastanza precisamente il variare della struttura metrico-rimica.

La potenza della funzione memoriale nella trasmissione orale del testo conduce a mettere in discussione lo stesso concetto dell’identità testuale. I tre rispetti riportati al punto 1 dell’appendice illustrano chiaramente questo concetto. Come già notava Rubieri:

Questi tre Rispetti sono diversi un dall’altro, ma hanno tutti qualcosa di comune tra loro ... Ciò costringe a riconoscere che qualcuno de’ tre Rispetti può essere stato improvvisato, ma che gli altri due non possono aspirare allo stesso vanto e debbono essere almeno in parte una copia di quello, qualora non derivino tutti e tre da un quarto, incognito tipo ... Dall’altra parte bensì non può essere deciso in verun modo qual de’ tre sia l’improvvisato, quali i rifatti ... Viene dunque da ciò a risultare lo intervento che ha la potenza della memoria nella poesia popolare anche spassionata, le trasformazioni che ne derivano, e la persistenza della naturale impronta primitiva più o meno estemporanea anche quando tal poesia è diventata memorativa, poiché altrimenti dovrebbe esser facile discernere la memorativa dalla estemporanea, e determinare di quella la più o men legittima origine (Rubieri 1877: 324).

Dal punto di vista tematico, possiamo distinguere 19 tratti:

1. chi canta è disperato
2. ma canta comunque
3. non canterebbe per un’altra/o
4. non ha più voglia di cantare
5. non può stare senza l’amata nemmeno un’ora
6. gli converrebbe starci tanto
7. non riesce più a bere né a mangiare
8. il suo cuore si strugge per il pianto
9. .............si strugge per non vedere l’amato/a ogni mattina
10..................................................mattina e sera
11. .............si strugge come la cera al fuoco
12. ..............si strugge come la brina
13. ..............si strugge poco a poco
14. il sole si è oscurato ovunque
15. .....................ed è tramontato
16. ........ dal volto chiaro si è oscurato
17. nel cuore non v’è più allegria
18. aveva del bene e ora gli resta l’amaro in bocca
19......................non lo ha più.

In ciascun rispetto sono presenti i seguenti tratti:

Versione 1a: 1. 2. 3. 8. 13. 11. 12. 10.
Versione 1b: 1. 2. 3. 14. 16. 18. 15. 19.
Versione 1c: 5. 6. 7. 8. 11. 10. 12. 10.

I tratti 1.2.3. sono quindi comuni alle versioni 1a e 1b, i tratti 8.10.11.12. alle versioni 1a e 1c. Nessun tratto accomuna 1b e 1c. Lo schema metrico 11ababccdd è invece comune a tutt’e tre i testi, anche se le rime sono distribuite in modo differente:

Versione 1a: a anto b ia c oco d ina
Versione 1b: a anto b ia c aro d ù
Versione 1c: a are b anto c era d ina.

C’è quindi fra i tre testi analizzati comunanza e diversità: non si può parlare di un medesimo componimento, ma nemmeno stabilire un’estraneità tale da poter identificare e quindi schedare tre testi distinti: ciò conduce all’impossibilità di determinare quale sia la poesia memorativa e quale l’estemporanea. Tale livello estremo della «funzione variante» - è doveroso dirlo - ha tuttavia un’incidenza soprattutto in quei generi che possiamo assimilare alla lirica: ben diversi sono i casi in cui viene narrata una storia.

2. Stabilità di forma e contenuto nella canzone popolare di tipo narrativo.

Gli psicologi hanno mostrato che la memorizzazione non ha luogo senza il beneficio di costrizioni valide per il memorizzatore e che la ri-creazione o anche la creazione non può sussistere in un genere senza che sia posta attenzione alle costrizioni di quel genere. Se si considerano tutte le costrizioni e non esclusivamente il tema o la storia, lo studio della memorizzazione in presenza di costrizioni formali (e la ri-creazione nelle medesime condizioni) produce risultati molto più simili fra loro di quello che hanno creduto gli studiosi finora. Fra le qualità intrinseche della poesia popolare il Rubieri additava la stabilità come operante al livello del tema e del concetto e la cedevolezza al livello dello sviluppo e della forma (Rubieri 1877: 331-367). Dall’osservazione sul campo fatta da vari studiosi di ambiti disciplinari differenti sappiamo invece che nel variare del testo è più probabile che si preservino i vincoli formali che le parole esatte; sappiamo che le varianti che si producono nelle diverse esecuzioni dello stesso cantore, nella trasmissione da cantore a cantore e nel momento in cui i cantori generano nuove canzoni seguendo costrizioni già esistenti, tendono verso la conservazione formale e che le variazioni tematiche occorrono soprattutto laddove le costrizioni formali sono più lasche.

Due psicologi cognitivisti, Wallace e Rubin, studiando le varianti prodotte da un cantastorie americano, Bobby McMillon, in due esecuzioni distanziate di cinque mesi hanno notato un certo numero di versi inclusi in una sessione e non in un’altra. Questi versi erano i più descrittivi e non contenevano informazioni importanti per la progressione della storia. Si avevano inoltre numerose sostituzioni di parole che preservavano il significato complessivo e un numero limitato di versi in cui la variazione incideva sul significato in maniera non determinante (gli esempi sono riportati al punto 3 dell’appendice). I due autori hanno anche dimostrato la maggiore stabilità delle rime rispetto alle singole parole nell’esecuzione della stessa ballata attraverso differenti cantori, le rime costituendo sempre uno dei più importanti elementi nella stabilità del sistema (Wallace e Rubin 1988: 257-262). Rubin ha inoltre notato che si può parlare di stabilità della canzone popolare perché una volta iniziata, la sua creazione o rievocazione è ristretta alle parole e frasi che possono supportare tutte le esigenze delle molteplici costrizioni. Le canzoni variano a ogni esecuzione perché all’interno delle costrizioni possono generarsi nuove alternative quando è necessario o desiderato. Se esiste più di una possibilità all’interno delle differenti costrizioni, quando una canzone è cantata ripetutamente, possono essere e saranno trovate più soluzioni (Rubin 1995: 285).

3. Trasmissione del significato e variazione.

In effetti, gli studi dei cognitivisti sulla trasmissione delle informazioni e quindi sulla memoria più in generale, mostrano che i processi di conservazione messi in atto e studiati nel canto popolare non differiscono sostanzialmente da quelli più comuni determinati semplicemente dalla memoria umana.

La teoria di riferimento è quella di Barlett e la sua nozione di schema (Barlett 1932). Barlett ha fatto uso di esperimenti che utilizzavano il metodo delle riproduzioni in serie. Ad un primo soggetto, A, viene dato qualcosa da ricordare. A mette per iscritto tutti i particolari che è in grado di rievocare. La versione fornita da A, a sua volta, viene fatta leggere ad un secondo soggetto, B, il quale cerca di rievocarla. La versione fornita da B, a sua volta viene presentata al soggetto C e così via. Ad esempio in uno di questi esperimenti bisognava rievocare la storia nordamericana riprodotta al punto 4a. Ciascun soggetto doveva leggere il materiale per due volte e cercare di riprodurlo dopo un intervallo che variava da 15 a 30 minuti. Come ci si può facilmente immaginare, con l’aumentare del numero di riproduzioni le differenze con il testo originario aumentavano. Alla decima riproduzione la storia aveva assunto la forma che si può leggere al punto 4b. Ovviamente ci sono parecchie omissioni rispetto all’originale e la storia viene notevolmente semplificata e sintetizzata, tanto che nonostante il titolo del testo, nell’ultima riproduzione gli spettri sono del tutto assenti. Gli individui tendono a rendere il racconto per quanto possibile coerente e ragionevole dal loro punto di vista. Il materiale incoerente viene progressivamente escluso. La scena della morte dell’indiano dopo una serie di riproduzioni viene descritta facendo riferimento ad una «cosa nera» che «si precipitò fuori dalla sua bocca», poi all’anima dell’indiano «di colore nero che uscì dalla bocca», poi al «suo spirito che fuggì», fino alla totale scomparsa di questo particolare nell’ultima versione: il misterioso oggetto nero viene prima reso familiare nella forma di un’anima e infine eliminato: ciò che è inusuale viene trasformato nel corso del tempo in un contenuto sempre più familiare. Barlett credeva che le trasformazioni che possono essere individuate all’interno di questa sequenza di riproduzioni rivelano ciò che succede alla memoria nel corso del tempo e sulla base di innumerevoli esperimenti di questo tipo ha concluso che:

Il ricordo non è una rieccitazione di tracce isolate, fisse e senza vita, ma una costruzione immaginativa costruita dalla relazione del nostro atteggiamento verso un’intera massa attiva di reazioni passate organizzate e verso qualche dettaglio di rilievo che emerge sul resto, apparendo in forma di immagine sensoriale o in forma verbale.

Questa «massa attiva di reazioni passate organizzate» è ciò che Barlett intendeva con la nozione di schema. Uno schema costituisce una struttura organizzata che guida il nostro ricordo, un modello che può essere modificato per adatarsi a circostanze diverse.

Le teorie basate sulla nozione di schema solitamente descrivono la memoria nei termini dei seguenti processi: a. selezione, b. astrazione, c. interpretazione, d. integrazione. Lo schema seleziona le informazioni che sono in linea con i nostri interessi correnti. In seguito, l’informazione selezionata viene convertita in una forma più astratta. Piuttosto che cercare di conservare in forma esatta l’evento in questione, noi estraiamo da esso il suo senso generale. Queste informazioni sono poi interpretate facendo riferimento ad altri dati contenuti in memoria e infine integrate in modo da renderle coerenti con lo schema.

Lo studio della canzone popolare e in particolare della ballata di tradizione anglosassone è stato utilizzato da più di uno psicologo per verificare le teorie sui processi di richiamo, rievocazione e riproduzione in contesti specifici. Rubin nel volume sopra citato ha notato l’esistenza di un numero ristretto di possibilità all’interno del quale si muovono le varianti delle ballate e la progressiva riduzione degli accadimenti di cronaca da cui le ballate prendono le mosse agli stereotipi: essi, quindi, sul piano cognitivo, avrebbero la stessa funzione dello schema barlettiano, prevalendo nel tempo sia sulla veridicità della storia, sia sulla varietà tematica e sull’originalità: le varianti si muoverebbero contro la varietà, almeno sul piano della diegesi. Si tratta dello stesso meccanismo - la tendenza verso la semplificazione e razionalizzazione, l’eliminazione tendenziale di ciò che è atipico - che rende in genere una lectio difficilior preferibile in ecdotica ad una lectio facilior.

Questo sviluppo tendenziale, del resto, è ben noto da sempre a tutti gli studiosi di canto tradizionale, anche d’impostazione umanistica. Costantino Nigra, ad esempio, avendo confrontato la canzone popolare di Donna lombarda con le sue presunte fonti cronachistiche e avendo notato una discrepanza fondamentale nel luogo della vicenda in cui si narra di come la donna aveva preparato la pozione venefica ammannita all’ignaro marito, commentava tale fenomeno dandoci un’indicazione di lavoro preziosa:

La poesia popolare, al contrario della storia, ama certi minuti particolari, spesso oziosi, vi si ferma e vi si compiace, mentre poi pretermette momenti essenziali, o rapidamente li tocca. Come Rosmunda e il suo complice abbiano preparato il veleno, quale fosse e donde tolto, la storia non sa. Ma il poeta popolare lo sa, e se non lo sa, lo immagina. È molto dubbio se il vino in cui siasi diluita la testa pestata d’un serpente sia una bevanda micidiale. Ma l’idea del veleno suggerisce quella del serpente in maniera così naturale, che gli avvelenamenti con serpenti distillati nella bevanda, o dati in cibo, divennero un vero luogo comune della poesia popolare dei vari paesi. Nella canzone la bevanda è preparata al marito per quando entrerà in casa assetato, e secondo molte versioni, dopo la caccia. Nelle cronache invece, gli è offerta all’uscire dal bagno. Le due varianti non sono inconciliabili [...] e forse parve più naturale al senso popolare la sete dopo la caccia che dopo il bagno (Nigra 1957: 24).

In termini barlettiani, la creatività popolare si sarebbe rifatta ad uno schema memoriale prodotto dal genere cui il componimento appartiene e da un sistema immaginario codificato, per cui veleno = serpente distillato nel vino. In questo caso, si badi, il processo non va verso la semplificazione dei dati, ma verso la loro complicazione, in quanto sarebbe lo schema memoriale a creare il surplus diegetico. Ci si può chiedere, a questo punto, se i puntelli formali che individuano il genere siano funzionali o meno. Jacqueline Sachs ha dimostrato che gli individui ricordano il significato delle frasi che sentono, ma dimenticano le parole che sono state effettivamente pronunciate (Saches 1967: 437-442). Sachs chiedeva ai soggetti di ascoltare una storia in cui la frase «A questo proposito mandò una lettera a Galileo, il grande scienziato italiano» poteva essere inserita in posizioni diverse della storia (all’inizio, a metà o alla fine). Dopo avere ascoltato la storia, ai soggetti veniva presentata un’altra frase ed essi dovevano decidere se era identica alla frase originale. In alcuni casi la frase era identica, altre volte era composta da parole diverse da quelle della frase originale, pur avendo lo stesso significato (variazione formale), altre volte ancora aveva un significato diverso da quello della frase originale (variazione semantica). I risultati erano che i soggetti ricordavano la forma della frase originale se essa era presente alla fine della storia: se non passava troppo tempo tra la frase originale e la frase di controllo, i soggetti erano in grado di ricordare le parole esatte. Se, invece, la frase originale era presente all’inizio o a metà della storia i soggetti non erano in grado di notare cambiamenti formali, anche se erano in grado di notare i cambiamenti semantici: il materiale immagazzinato, insomma, tende ad organizzarsi attivamente nella direzione del significato e che quindi le costrizioni formali che individuiamo nella canzone popolare potrebbero essere un espediente fondamentale per la conservazione della forma.

David Rubin ha messo in rilevo che talune condizioni formali, quali il metro, le rime, l’utilizzo di immagini concrete, la presenza di un solo personaggio per ogni ruolo siano potenti mezzi per stimolare la memoria, quindi per la ricostruzione e la generazione di nuove ballate (Rubin 1995).

L’analisi particolareggiata delle varianti rintracciabili nelle differenti versioni della canzone del «Moro Saracino» che troviamo in Nigra (n. 40) darà conto dei processi fin qui descritti. Rispetto alla versione più ampia, quella del testimone A, preso qui come base di collazione per la sua maggior integrità contenutistica e pregnanza formale, le altre versioni presentano tutte omissioni di interi passi che non incidono in linea generale sul senso complessivo della storia, ma danno particolari tonalità registrali. Nigra descrive così i lineamenti comuni a tutte le lezioni:

Una giovane si marita, tanto giovane che non sa vestirsi. Lo sposo la lascia e va alla guerra. Dopo sette anni ritorna, picchia alla porta e chiede della moglie. La madre risponde: «non è più qui; fu presa dai Mori Saracini». Lo sposo dice che andrà a cercarla, sapesse di morire. Vestito da pellegrino va a chieder limosina al castello del Moro. La donna lo riconosce e fugge con lui a cavallo. Il Moro si lagna. L’ha mantenuta sette anni e intatta! (Nigra 1957: 257).

Di fatto, la collazione mostra che si ha un gruppo di dodici versi (1, 4, 9, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 20, 24), presenti in tutte o quasi tutte le versioni, che forniscono il nucleo della storia: il Bel galante si sposa con una donna che in quasi tutte le versioni è denominata Fiorensa; poco dopo la lascia e torna dopo sette anni, la madre gli dice che Fiorensa è stata rapita, il Bel galante le chiede le armi per andarla a liberare, anche a costo di morire, trova delle lavandaie e chiede loro notizie di un castello, loro rispondono che è del Moro Saracino, gli suggeriscono di vestirsi da pellegrino per entrarvi, il Moro vede il pellegrino. Le varianti più cospicue riguardano il finale della storia. In A C D il Moro si accoglie il pellegrino e così Fiorensa lo riconosce, in F G Fiorensa mette il Moro a dormire, in A C F G Fiorensa se ne torna a casa con il primo marito. In B D E il finale varia per sottrazione: B è del tutto mutila della parte finale e termina con l’amara constatazione di Fiorensa che il pellegrino non può venire dal suo paese di origine, perché neanche gli uccelli, volando, possono arrivare fin lì, D termina con l’agnizione del primo marito, senza andare oltre, E presenta una versione estremamente sintetica: facendo l’elemosina Fiorensa monta sul cavallo. In ciò queste versioni si comportano in maniera assai simile ai romances, che spesso si interrompono bruscamente senza che l’azione venga condotta a termine. Secondo Cesare Acutis:

Se l’inizio «in medias res» è carattere comune della ballatistica europea, il finale enigmaticamente repentino è tratto particolare del romancero. Da siffatto arrestarsi dell’azione, che ha luogo il più delle volte nel momento di maggiore tensione emotiva, si ricava un’impressione di mistero, di turbamento, un’alta emozione lirica [...] Non si tratta di testi tronchi, ma piuttosto troncati; non di testi frammentari, ma frammentatisi per vari incidenti occorsi nella loro vita tradizionale (Acutis 1983: XVI).

È indubbio che il processo di semplificazione ed omissione chiarito da Barlett proceda qui con modalità del tutto differenti. L’assenza del finale, ad esempio, potrebbe non essere affatto intenzionale, ma dovuta piuttosto ad una inferiore capacità di ritenzione dei materiali non iniziali in contesti formalmente strutturati. È qualcosa che ognuno di noi ha provato sia nella recitazione di poesie imparate a memoria, sia nell’esecuzione di canzoni: la parte iniziale è generalmente quella che si ricorda meglio. Rispetto al processo individuato da Barlett, la massima semplificazione e razionalizzazione della storia per via di omissioni successive, assistiamo qui ad alcune forti analogie, ma anche ad alcune differenze fondamentali. Fra le due versione di prosa della guerra dei fantasmi le porzioni linguistiche comuni sono estremamente limitate. Così non è per le differenti versioni del testo poetico, dove la sostanza del materiale lessicale viene mantenuta intatta, insieme al significato globale del testo. Se un processo di semplificazione è indiscutibile, è anche vero che esso si appaia nelle versioni della canzone ad un sostanziale processo di sostituzione, che è invece del tutto assente nel processo barlettiano.

Le omissioni sembrano procedere per gradi. Le seguenti informazioni, ricavate dai primi cinque versi dell’intero corpus, vengono omesse in misura differente nell’una o nell’altra versione:

1. la tipologia umana del marito
2. l’esogamia
3. le qualità della donna
4. la sua incapacità di vestirsi
5. i giorni della settimana in cui avvengono le nozze
6. l’abbandono
7. il numero di anni in cui il marito è stato lontano
8. l’affidamento di Fiorensa alla madre
9. la richiesta di sorveglianza alla madre
10. la mancata sorveglianza dalla madre

La storia risulta integra solo nelle versioni A B; in C è omesso il secondo emistichio del v. 2 («tanto giuvo e tant gentil») e il primo del v. 3 («Tanto giuvo coma l’era»), con la perdita di una sola informazione di scarso rilievo (3.); in D viene omesso il secondo emistichio del v. 2, il v. 3 e il primo emistichio del v. 4, con perdita di tre informazioni (3., 4., 5.); in E mancano del tutto i vv. 2-3 e 5, l’infomazione fondamentale di quest’ultimo («Bel galant l’è andà a la guerra») essendo raccolta nel secondo emistichio del v. 1 («si marida for d’ pais» è sostituito con «ch’a la guerra l’à andè»): si perdono quindi sei informazioni (2., 3., 4., 5., 6., 7.). Quella di G è la versione più lontana dalle altre, fin dall’incipit: il soggetto non è il Bel galante, ma Fiorensa; nel secondo emistichio del v. 1 è raccolta l’informazione che in AB è al v. 2 (3.) e nel secondo del v. 2 l’informazione che in AB è al v. 3 (4.), il v. 4 sostituisce le informazioni 5. e 6. trattando del vestito coniugale, presto abbandonato; in G si perdono quindi tre informazioni (1, 2., 5.), ma ne vengono fornite altre tre (ai vv. 5a-b-c) non presenti nelle altre versioni (8., 9. 10.).

Per ciò che riguarda la variantistica di tipo intermedio, il tipo certamente più frequente è quello delle sostituzioni di tipo sinonimico o sinfrastico (v. 3 giuvo] gentil, v. 4 la chita lì] la lassa lì, la pianta lì, l’è sparì, v. 8] rubà] pià, v. 14 serchè] trovè, v. 15 trovà] scuntrà, v. 17 gran] bel, ecc.). Numerose anche le sostituzioni frastiche che incidono in maniera minima sul significato (v. 10 cun un pè pica la porta] a da pè dint a la porta, l’è èndà tambussè la porta, v. 13 tirè-me] dunei-me, tampè-me, campè (-me) giù, ecc.) o che non lo alterano nella sostanza (v. 17 a l’è] s’ciama). Alcune sostituzioni frastiche, invece, comportano un cambio globale del significato (v. 6, l’è restà senza marì] s’è sercà-sse èn aut marì), altre sono basate su formule del tutto analoghe a quelle dell’epica (v. 12 del gran Moro Sarazi] tan luntan fora d’pais, che ripete il v. 1, v. 21 staseira o duman matin] limozna l’è andà ciamè, dove la formula è quella di A). In taluni casi una replicazione retorica alterna con un elemento non essenziale (v. 1 si marida] tant luntan, v. 2 tanto guvo] tant bela, ecc.) Talvolta le varianti specificano un termine generico nelle altre versioni (v. 5 so fardel] pann bianc). Frequenti anche le varianti sui nomi propri, sui giorni della settimana (v. 4), sui numeri in genere (vv. 15-16). Del resto già Nigra (1957: 44) osservava: «i nomi propri sono una delle materie più mobili della poesia popolare».

Sembrebbe insomma che le diffrenti versioni della storia che intrattengano fra loro quelle che Wittgenstein ha definito «somiglianze di famiglia».

Gli elementi di stabilità sul piano formale sono evidenti dall’analisi della forma metrica e rimica delle sette versioni: domina il doppio 7sill., piano-tronco, con l’assonanza in -ì nei secondi emistichi (per la nomenclatura e la simbologia del verso nelle comparazioni romanze, utilizzo il criterio già enunciato in Canettieri 1999: 493-554). È un metro dalle origini antichissime, che si può far risalire alla lassa dell’epica francese e del quale troviamo precisi corrispondente nel romancero spagnolo. Ad esempio il medesimo metro e la stessa assonanza che abbiamo nella canzone del Moro Saracino nel romance de La infanta preñada, contenuto nei Pliegos poéticos españoles de la Universidad de Praga (Colleciòn «Joyas bibliogràfica», Madrid, 1960, 2 voll., I, p. 281, n. 76):

Tiempo es, el cavallero,
tiempo es de andar de aquì,
que me cresce la barriga
e se me corta el vestir,
que no puedo estar en pie
ni al emperador servir...


Il paradigma metrico è eluso con l’inserimento di un limitato numero di versi 6sill o 8sill: essi rappresentano poco più di un nono del totale (36 emistichi su 336 complessivi) ed incidono peraltro su un verso votato all’anisosillabismo. Si tratta con tutta chiarezza (lo notava già Nigra) di un adattamento del doppio 6sill presente presente nelle redazioni provenzali e francesi.

Il secondo tratto viene meno in due versi (15 fardel : 16 castel) di tutte le versioni tranne (e solo parzialmente) in F, dove alla variante formale corrisponde una minima variazione diegetica. Si può quindi pensare che la rima fardel : castel fosse presente già alle origini della trasmissione del testo in ambito piemontese. Se è l’unico caso di eccezione in A e ad esso si possono aggiungere i tre di B (5 riturnar : 9 turnà : 11 andà), i nove di C (9 rivè, 13 spà : 14 strà, 29 man : 30 aman, 31 castel : 32 turnè : 33 piurè : 34 bazè), i due di D (13 argent : 14 troverei), i sette di E (1 andè, 13 andorà : 14 strà, 14a argent : 14b convent, 20 rumè : 21 ciamè), i sei di G (4a mojè : 4b lavè, 9 cà : 10 andà, 13 spà : 14 strà), mentre i nove eccezioni in tutto troviamo in F (4 mojè : 9 rivè, 13 argent : 14 trovè, 14a luntan : 15 bianc, 19 parlè : 20 rumè : 21 ciamè). Nel complesso le eccezioni al paradigma dell’assonanza in -ì riguardano poco più di un terzo del totale dei versi di tutt’e sette le versioni analizzate (48 su 168). È un dato che rispecchia la situazione riscontrabile nella versione francese della canzone, nella quale si hanno 33 assonanze in -ì su 42 versi. Nelle versioni provenzali, linguadociane, catalane e guascona il paradigma è rispettato in maniera pressoché integrale.

La rima sembra essere un potente mezzo di stabilità, ma non più potente della cesura. Qui di seguito indico le parole in cesura e quelle con assonanza in -ì che si ripetono in più di una versione (il primo numero seguito dai due punti indica il verso relativo nella collazione, segue la parola in cesura e il numero di versioni in cui compare, segue la parola in rima e il numero di volte in cui compare. Se ci si trova in presenza di una sostituzione indico con il trattino il fenomeno e il numero che segue indica la somma delle due stabilità. La forma grafica è quella di A):

1: marida 6/7, pais 4/7. 2-3: giuvo - l’era 6/7, gentil - vestì 6/6. 4: spuzà-la - dumegna 5/6, lì 5/7. 5: guerra - ani 5/5, pi 2/5. 6: Fiorensa 3/3, marì 3/3. 7: Moro 2/2, Sarazì 2/2. 8: Fiorensa 2/3, pais 2/3. 9: ani 6/6, lì 2/6. 10: porta 4/5, durbì 4/5. 11: finestra 5/7, sì - pi 5/7. 12: rubeia 5/6, Sarazì 4/6. 13: speja - spadinha 5/7, 0/7. 14: Fiorensa 4/7, murì 2/7. 15: lavandere/a 7/7, 0/7, 16: lavandere/a 7/7, 0/7, 17: Moro 4/6, Sarazì 6/6. 18: Fiorensa 4/5, drin 5/5. 19: lavandere/a 5/5, drin 4/5. 20: pagi 5/5, piligrin 4/5. 21: limozna 3/4, 0/4. 22: Fiorensa 2/2, vin 2/2 23: finestra 5/5, vnì 5/5. 24: Fiorensa 5/6, pais 6/6 25: esse 4/4, pais 4/4. 26: aria 3/5, sì 5/5. 27: rundanina 2/2, dì 2/2. 28: limozna 2/3, piligrin 2/3. 29: limozna 2/3, dì 2/3. 30: via 2/5, marì 3/5. 31: 0/3, gris 2/3. 32: 0/2, 0/2 33: finestra 2/2, 0/2. 34: ani 2/2, 0/2.

L’analisi dimostra che gli elementi di stabilità in cesura rappresentano i 4/5 del totale (circa 120 su 150), mentre quelli in assonanza i 3/5 (circa 90 su 150).

4. L’annullamento del significato.

Nonostante i colpi ricevuti nel tempo dalla Gestaltpsychologie, è quindi indubbio che la forma resti centrale nel processo di ristrutturazione attiva del ricordo. Così, gli psicologi hanno ricondotto alle leggi della forma le modificazioni rilevate durante la conservazione dei contenuti percettivi: i modelli più complessi tendono, dopo una riproduzione composita, a una modificazione che va progressivamente verso un ordine e una completezza maggiori e verso una relativa semplicità, cioè, insomma, verso una maggiore pregnanza. Le asserzioni generali della psicologia della Gestalt non messe in dubbio sono che la memoria è migliore per il materiale ordinato che per quello disordinato ed è migliore per il materiale significativo che per quello insignificante.

Si è visto del resto che in taluni casi gli elementi formali possano costituire tradizione e abbiano più potenza degli elementi contenutistici nel processo di rievocazione. Se analizziamo il polo estremo della tipologia sopra delineata, vediamo come l’elemento formale possa costituire talvolta e in determinate condizioni un veicolo mnemonico preponderante se non esclusivo. A tal riguardo, già Leydi aveva indicato alcune interessanti linee di ricerca, notando che non è infrequente che alcuni popoli cambino le parole ad una canzone e si trovino poi in difficoltà per sistemare nella melodia un testo troppo lungo o troppo corto. Per ovviare a questo inconveniente, essi scelgono musiche con frasi molto lunghe, collocano il testo e poi riempiono di ripetizioni totali o parziali o anche di semplici gruppi sillabici senza senso le parti musicali rimaste senza parole. Leydi quindi registrava che:

L’uso di sillabe (o di gruppi di sillabe) senza significato logico è frequente nella musica primitiva in ogni parte del mondo e ricorre, seppure meno frequentemente, anche in quella popolare (Leydi 1961: 93).

Leydi adduceva inoltre i due esempi che si possono leggere ai punti 3 e 4 e annotava che:

ogni popolazione predilige determinati gruppi sillabici e raggruppa queste entità in modo da comporre delle vere e proprie parole senza significato, con caratteri sonori esattamente definiti. Se analizzati in riferimento alla musica questi gruppi sillabici offrono ancor più seri motivi di interesse, dimostrando come la loro apparente illogicità segua una serie di regole sonore ed espressive molto ferme e molto precise (Leydi 1961: 93).

Secondo Leydi, inoltre:

Sarebbe...molto importante cercare di scoprire se davvero, come alcuni sostengono, i gruppi sillabici sono i resti di parole ormai dimenticate o provenienti da altre lingue, oppure creazioni originali (dettate da necessità espressive in parte comprensibili), riferite a modelli lessicali di vario genere (Leydi 1961: 97).

In questo quadro teorico si possono leggere vari testi di natura popolare o meno, ma in genere veicolati dall’oralità, che possono aver subito una pressione formale superiore alla pressione del significato. Fra gli esempi più noti ai filologi romanzi mi pare possa addursi le jarchas mozarabiche, che hanno subito una mutilazione del senso su base formale, a causa della trasmissione recenziore e dell’ignoranza da parte dei copisti arabi della lingua in cui erano scritte. Secondo Galmés de Fuentes:

tutti questi manoscritti furono scritti in regioni in cui si ignorava la lingua romanza, per cui non dovrà sorprenderci il deturpamento di alcune jarchas, che lo scriba non capiva e che finirono in molte occasioni ridotte a frasi prive di senso (Galmés de Fuentes 1994).

Galmés de Fuentes ricorda come esempio il rapido deturpamento di una canzoncina francese, cantata in Spagna nei girotondi dei bambini (vedi al punto 5). Qui la serie francese «Meunier tu dors», di perfetto e compiuto significato («Mugnaio tu dormi»), viene completamente desemantizzata nel passaggio al castigliano nella serie giambica «Manén didón, Manén didón», quasi del tutto priva di significato, ma che non manca di ricordarci serie evidentemente nate dalla stessa matrice cognitiva, come il dantesco «Pape satan, pape satan Aleppe» (si consideri qui che l’assenza di significato è funzionalizzata al discorso infernale) o la formula magica di Cagliostro «Helion Melion Tetragrammaton», evocata a Ortega y Gasset dal ritmo giambico del treno su cui viaggiava. In questi casi, insomma, il ritmo ha gioco su tutto il resto: qualsiasi tentativo di risemantizzzione è scartato in favore del suono. Nella conta spagnola l’avvicinamento ad un senso qualsiasi si ha con il secondo e quarto verso: anche qui il francese ha senso compiuto «il tuo mulino va troppo veloce», «il tuo mulino va troppo forte», con quel parallelismo sinonimico tanto tipico della canzone popolare di ogni epoca e luogo. Nello spagnolo «tómala, tómala, guardia en fite», rispecchia perfettamente il ritmo prima dattilico e poi trocaico della melodia francese, si adagia quanto a forma e schema Consonante/Vocale su «ton moulin, ton moulin va trop vite», e tenta una semantizzazione parziale, incompiuta «prendila, prendila, guardia en fite» dove l’ultima parte non ha nessun significato e la seconda «prendila prendila guardia in fa» assume un significato brioso che rinvia quasi al pendere qualcosa in maniera musicale, «in fa», per l’appunto.

Un esempio analogo si può desumere dalle conte italiane. La comtine francese che si può leggere al punto 7 ha la sua versione del tutto semantizzata al punto 7a una venditrice di mele parigina espone la sua mercanzia, vende mele renette e mele appie, nella varietà rossa e grigia. Poi la venditrice si rivolge ad un presunto ladro e gli impone di nascondere il pugno dietro la schiena. Nella variante 7b la «d’api» diviene «tapis» ètappeto’. Evidentemente vale qui la regola della lectio facilior: non conoscendo questa rara varietà di mele, i bambini assimilavano il sintagma al lemma fonicamente più vicino, dotato peraltro di senso anche unito agli aggettivi rosso e grigio. Nella variante 7c si assite alla dissimilazione del dittico «tapis tapis» in «petit tapis», con l’aggiunta dell’aggettivo petit mantenuto anche nella versione 7e, che evidentemente contamina fra i due poli. Nella versione 7d, infine, si rinuncia all’iterazione «d’api d’api» in favore della specificazione delle qualità della mela «verde gialla o rossa», «rossa e tanto carina». Questa comtine rientra peraltro in una serie che vede in primo piano le mele o dei venditori/venditrici di frutta. Il passaggio in Italia comporta la totale desemantizzazione, nel mantenimento della struttura formale e del suono. La conta è al punto 9. Il sintagma «pomme de renette» diviene «ponte ponente», indizio forse di un passaggio della conta da Genova dove si ha un Ponte Parodi levante Ponte Parodi ponente. La varietà «pomme d’api» viene resa in maniera totalmente priva di senso «ponte pì». Il verso «d’api d’api rouge» diviene «tappetà perugia», dove evidentemente l’unica serie fonica semantizzabile per i bambini nel passaggio interlinguistico evocava la città di Perugia. Il quarto verso è completamente privo di senso. È invero interessante che si assista ad un doppio processo: da un lato si va verso la fonizzazione (versione 9b), dall’altro verso una sia pur parziale risemantizzazione (versione 9c): sul Ponte pontente «passerà Perì» e «passa Flo». Si ha inoltre il processo, comune a tutte le canzoni e canzoncine di parodizazione nella versione 9d.

Costantino Nigra, del resto, aveva detto bene:

Un dato contenuto poetico ... può passar facilmente in paesi diversi di razza e di lingua ... Per contro, la parte formale d’un canto, il metro, la rima, non si trasmettono che fra popoli omoglotti (Nigra 1957: 27).

Nei casi delle conte che abbiamo visto si ha certamente a che fare con popoli omoglotti, anche se in questo caso l’omoglossia non impedisce la perdita del senso. È evidente dagli esempi addotti che la conservazione della forma a scapito del contenuto si ha in condizioni estreme, date 1. dal passaggio da un dominio linguistico ad un altro 2. da un contesto di parlanti tendenzialmente infantile, quindi non interessato alla semantizzazione totale del mondo, ma adagiato piuttosto su una ritmicità immanente alle cose, ritenuta superiore e più importante, visto che la funzione della conta è quella di contare il mondo prima ancora che cantarlo.

Anche questo dato della prevalenza dei moduli ritmici e del suono del linguaggio a scapito del senso, presso i bambini, nei ritornelli di certa poesia popolare, presso i primitivi e in talune condizioni anche nella poesia e nella prosa d’arte è dunque un ulteriore elemento a favore della tesi che la variazione, anche dal punto di vista psicologico, vada sempre contestualizzata e messa in relazione con la funzione cognitiva alla quale il testo variante risponde e si attiene. Quel che è certo è che la forma, nel processso di trasmissione, risulta nel complesso l’elemento in assoluto più stabile e ciò non può non farci riflettere sulle strutture profonde della nostra mente.

APPENDICE

1. I tre rispetti.

a.
Son disperato, e in ogni modo canto;
Fosse qualchedun altro, ’n canteria.
Mi si distrugge il cor dal pianger tanto,
La voglia di cantar m’è andata via;
Mi si distrugge il cuore a poco a poco,
E fa come la cera intorno al fuoco;
Mi si distrugge il cor come la brina
Quando non vedo voi sera e mattina.

b.
Son disperato, e in ogni modo canto,
Fosse qualchedun altra, ’n canteria;
Mi s’è oscurato il sole da ogni canto
L’allegrezza del cuor m’è gita via;
Mi s’è oscurato il sol dal volto chiaro,
Aveva un po’ di bene ora ho l’amaro.
Mi s’è oscurato il sole e volto giù,
L’aveva un po’ di bene, or non l’ho più.

c.
Un’ora senza voi non posso stare,
E poi mi converrà lo starci tanto.
Non posso più né bere né mangiare,
Mi si distrugge il cuor da pianger tanto.
Mi si distrugge il cuor come la cera
D’unn’avetti a veder mattina e sera,
Mi si distrugge il cuor come la brina
D’unn’avetti a veder sera e mattina.

2. La canzone di Nina.

a. Termini (Sicilia):
Oh, quantu è beddu lu nomu di Nina,
Ca sempri Nina vurissi chiamari!
L’acqua ccu cui ti lavi la matina,
Bedda; ti pregu di non la jttari:
Ca si li jetti ni nasci ’na spina,
Nasci ’na ffosa russa ppi ciarari;
Li medici ni fannu midicina,
La dannu a li malati pri sanari.

b. Lecce:
La ’namurata mmia se chiama Nina;
Nina e Ninella la voglio chiamare!
Cu l’acqua che ci te lavi la matina,
Te pregu, Nina mmia, nu’ la menare;
Addù’ la mini nci nasce ’na spina,
’Na rosa e ’na rosetta ppe’ ’ddurare;
Nde passa lu speziale e nde la cima,
Medicina nde face ppe’ sanare.

c. Marche:
E tu per nome che ti chiami Nina,
Sempre per Nina te voglio chiamare.
L’acqua che ti ci lavi la mattina,
Ti prego, Nina mia, non la buttare;
E se la butti, buttala al giardino,
Ci nascerà un bel giglio e un gelsomino;
E se la butti, buttala al giardino,
Che ci fa l’acqua rosa uno speziale;
Lo speziale ci fa l’acqua rosata,
Per guarì’ Nina sua, quand’è malata.

d. Toscana:
Bella ragazza che ti chiami Nina,
Sempre Ninetta ti voglio chiamare.
Coll’acqua che ti lavi ogni mattina,
Ti prego, Nina mia, non la buttare.

e. Venezia:
L’acqua che ti te lavi e pèto e ’l viso,
Te prego, bela, via non la buttare;
La sarà bona a intemperar lo vino
Quando sarèmo a tola per disnare.

f. Istria:
Bela, cu ti te livi a la mitina
’Na sula grazia i’ te voi dumandare;
L’aqua che ti te lavi el pianse viso,
Te prigo, bela mia, nun la butare;
Dàmela a mi, ch’intempero lo vino,
Quando ch’i’ vado a tavula a disnare;
E la tu aqua saro frisca e ciara
Cume la tu persona, anema cara.

3. Dall’esecuzione di Bobby McMillon.

There was another ship and it sailed upon the sea
.............................................in the North Amerikee
And it went by the name of the Turkish Revelee
She had not sailed far over the deep
.................................................main
Till a large ship she chanced to meet
She spied three ships a sailing from Spain
Her boat against the rock she run
.................she run against the rock
Crying alas I am undone
I thought my soul her heart is broke
Go and dig my grave don’t cry don’t weep
both wide and deep a stone
Place marble at my head and feet

4. La guerra dei fantasmi

a. Versione originale
Una notte due giovani di Eulac si recarono al fiume a caccia di foche e, mentre si trovavano là scese la nebbia e l’aria diventè stagnante. Udirono allora grida di guerra e pensarono: "Forse si tratta di una spedizione di guerra". Scapparono verso la spiaggia e si nascosero dietro a un tronco. C’erano delle canoe che risalivano il fume, ed essi potevano udire il rumore delle pagaie e videro che una canoa si dirigeva verso uno di loro. Dentro c’erano cinque uomini e uno di essi disse: "Che cosa ne dite? Vogliamo portarvi con noi. Stiamo risalendo il flume per andare a fare la guerra alla gente". Uno dei due giovani disse: "Ma non possiedo le frecce". "Le frecce sono nella carinoa",risposero. "Io non verrò. Potrei essere ucciso. I miei parenti non sanno dove sono andato. Ma tu, disse, rivolgendosi all’altro, "potresti andare con loro". Così uno dei due giovani andò, mentre l’altro tornò a casa. E i guerrieri continuarono, su per il fume, fino ad una città all’altro lato del Kalama. La gente scese fino all’acqua, incominciarono a combattere e molti vennero uccisi. Ma ben presto il giovane sentì dire da uno dei guerrieri: "Presto, torniamo a casa: l’Indiano è stato colpito. Allora egli pensò: "Oh, sono, fantasmi". Non sentiva, dolore, ma essi dicevano che era stato colpito" Così le canoe ritornarono ad Eulac e il giovane alla sua casa sulla spiaggia, e accese il fuoco. E raccntò a tutti: "Pensate, ho accompagnato i fantasmi e siamo andati a combattere. Molti dei nostri compagni sono stati uccisi, come pure molti di coloro che ci attaccarono. Essi dicevano che ero stato colpito, ma io non sentii affatto dolore". Raccontò tutto questo, e poi si calmò. Quando il sole sorse, cadde a terra. E qualcosa di nero gli venne fuori dalla bocca. Il suo volto si contrasse. La gente balzò in piedi e gridò. Era morto.

b. Versione alla decima riproduzione
Due Indiani erano a pesca di foche nella baia di Momapan, quando si fecero avanti altri cinque indiani in una canoa di guerra. Stavano andando a combattere. "Venite con noi", dissero i cinque "a combattere". "Non posso venire", fu la risposta di uno, "perché ho una vecchia madre a casa che dipende da me". Anche l’altro disse che non poteva venire perchè non aveva armi. "Questa non è una difficoltà", replicarono gli altri, "perché ne abbiamo in abbondanza con noi nella canoa"; così entrò nella canoa e andò con loro. Poco dopo, in una battaglia, l’Indiano ricevette una ferita mortale. Ritenendo che fosse venuta la sua ora, gridò che stava per morire. "Sciocchezze", disse uno degli altri, "non morirai". Ma invece morì.

5. Il moro saracino: collazione delle sei versioni di Nigra.

A = Cintano, Canavese. Dettata da Teresa Bertino.
B = Villa-Casfelnuovo, Canavese. Cantata da una contadina.
C = Torino. Dettata a Giovanni Flechia da Giuseppina Morra-Fassetti.
D = Torino. Dettata da una donna di servizio.
E = Valfenera, Asti. Trasmessa da Nicolò Bianco.
F = La Morra, Alba. Trasmessa da Tommaso Borgogno.
G = Montaldo, Mondovi. Trasmessa da D. Stefano Serafino Monetto.

1.
A Bel galant a si marida, si marida for d’pais.
B Bel galant a si marida tant luntan fora d’pais.
C Bel galant ch’a si marida, si marida for d’pais.
D Bel galant a si marida, tant luntan da so pais,
E Bel galant ch’a si marida, ch’a la guerra l’à d’andè.
F Bel galan ch’a si marida tant luntan fora d’pais.
G J’àn maridà Fiorensa, Fiorensinha la genti.

2.
A L’à spuzà na fia giuvo, tanto giuvo e tant gentil.
B A l’à pià-se d’fina dama tant bela e tant gentil.
C A l’à pià na fia giuvo, ........................
D L’à pià na spuza giuvo, ........................
E
F
G I l’àn maridà tan giuvo, ch’a savia ’ncur nen vestì.

3.
A Tanto giuvo cum’a l’era si savia pa gnianc vestì.
B Tant gentil cuma ch’a l’era si savia pa gnianc vestì.
C ...........................ch’a savia pa ’ncur vestì.
D
E
F
G

4.
A Al lunes a l’à spuzà-la, al martes la chita lì.
B L’à spuzà-la a la dumegna al lunesdi a l’è sparì.
C Al lunesdi a ’l l’à spuzà-la, al martedì l’à chità lì.
D .............................. l’induman la chita lì.
E L’à spuzà-ra a la dominica, al lunesdi la lassa lì.
F L’à spuzà-la la dominica, lunesdì la pianta lì
G A s’è vestì na mània, e poi s’è butà ’l faudì.

5.
A Bel galant l’è andà a la guerra, per set agn n’a turna pi;
B Bel galant l’è andà a la guerra, l’è stà set ani a riturnar.
C A l’à fait ’l soldà set ani; dop set ani l’è rivà lì.
D
E
F S’o l’è stà fin a set ani sensa vede la sua mojè.
G So marì, ch’a va a la guerra, per set ani venha pì:
- V’racomando, mia mama, v’ racomando mia mojè
Che ’n la lassi pa’ ndè pr’eva, nè per eva nè a lavè. -
Sua mama la manda pr’eva, a la bialera del murin.

6.
A E la povera Fiorensa l’è restà sensa marì
B
C E la bela Ana Fiorensa l’è restà sensa marì.
D
E E la bela Fiorensa s’è sercà-sse ’n aut marì
F
G

7.
A E da lì passa ’l Moro, el gran Moro Sarazì.
B
C E da là a i passa ’l Moro, el Moro Seruzì,
D
E
F
G

8.
A L’à rubà bela Fiorensa, a l’à mnà-la a so pais.
B
C A l’à pià Ana Fiorensa, a l’à mnà-la a so pais.
D
E
F
G Fiorensinha l’è stà rubea dal gran Moro Sarazin.

9.
A A la fin de li set ani bel galant l’è ruvà lì.
B A la fin de li set ani bel galant a l’è turnà.
C A la fin de li set ani so marì a l’è rivè.
D
E A la fin de li set ani bel galant l’è rivà lì.
F A la fin de sti set ani bel galan s’a l’è rivè.
G A la fin de li set ani so marì l’è turnà a cà.

10.
A Cun un pè pica la porta: - O Fiorensa, vnì a durbì. -
B
C
D A da i pè dint a la porta: - Bela Fiorensa, veni durbì. -
E L’è ’ndà tambussè la porta: - Fiorensa, vnì-me durbì -
F O d’un pè pica la porta: - Fiorensa, vnì-me dorvì. -
G A l’à dit a sua mama: - Fiorensinha duv’è-la andà?

11.
A Sua mama da la finestra: - Fiorensa l’è pa pi sì
B - Di-me ’n pò, o, cara mare, Fiorensa ant è-lo andà?
C Sua mama a la finestra: - Ana Fiorensa l’è pa pi sì
D Sua mama da la finestra: - Bela Fiorensa a j’è pa pi.
E Sua mama a la finestra: - Fiorensa a j’è pa pi.
F La sua mama a la finestra: - Fiorensa a j’è pa pi.
G - Fiorensinha l’è andaita pr’eva a la bialera del murin.

12.
A Fiorensa l’è stà rubeja dal gran Moro Sarazi. -
B - Fiorensa a l’è stà rubeja tant luntan fora d’pais.
C Ana Fiorensa l’è stà rubeja l’è dal Moro Seruzì. -
D Bela Fiorensa a l’è stà rubeja dal bel Moro Sarazin.
E Fiorensa, j’è già set ani ch’s’è sercà-sse ’n aut marì.
F
G Fiorensinha l’è stà rubea dal gran Moro Sarazin.

13.
A - O tirè-me giù mia speja, cula del pugnal d’or fin.
B -O dunei-me la mia speja, cula dal fil ’n po’ pi sutil.
C L’à tampà ’l capel per terra, poi ancura sua spà:
D - Tampè-me la mia spadinha cun el pugnal d’argent,
E - Campè giù la mia spadinha cun el so pum andorà.
F - Campè giù la mia spadinha, cun el pugnal d’argent.
G - Campè-me giù, mia mama, campè-me giù mia spà

14.
A Voi andè serchè Fiorensa s’i n’a duveissa murì. -
B Voi andè trovè Fiorensa sut la pina di morir. -
C - Voi andè serchè la bela, s’i dovéis murì per strà. -
D Mi n’a vad a girè lo mondo, bela Fiorensa la troverei. -
Mi voi andè-ra trove, fuss sicur d’murì per strà.
Campè giù la mia spadinha cun me pugnal d’argent.
Mi voi andè-ra trove, s’a fussa drint al convent. -
F - A l’è la bela Fiorensa che mi voi andè a trovè. -
O caminha che t’caminha l’à caminà tan luntan.
G Voi andè trovè Fiorensa, i dvéissa murì per strà. -

15.
A L’à trovà tre lavandere, ch’a lavavo so fardel.
B L’à trovà na lavandera ch’a lavava so fardel.
C L’à trovà tre lavandere ch’a lavavo so fardel:
D L’à trovà tre lavandere, ch’a lavavo so fardel.
E R’à trovà tre lavandere ch’a lavavo ’l so fardel.
F L’à trovà dle lavandere ch’a lavavo del pann bianc.
G L’à scuntrà do lavandere, ch’i lavavo so fardel.

16.
A - Dì-me ’n pò, vui lavandere, di chi è-lo cul castel?
B - Dì-me ’n pò, vui lavandera, di chi è-lo cul castel?
C - Dì-me ’n pò, vui lavandere, d’chi a l’è cul bel castel?
D - Dì-me ’n pò, vui lavandere, cum’a s’ciama sto castel?
E - Dì-me ’n po’, vui lavandere, d’chi ch’a r’è-lo cul castel?
F - Dì-me ’n pò, vui lavandere, di chi è-lo cul bel pann fin?
G - Dì-me ’n pò, vui lavandere, cum’a s’ ciam-lo cul castel?

17.
A - Cul castel a l’è del Moro, del gran Moro Sarazì
B
C - Cul castel a l’è del Moro, l’è del Moro Seruzì,
D - Sto castel l’è del bel Moro, delbel Moro Sarazin.
E - Cul castel a r’è del Moro, r’è del Moro Sarazin.
F - O l’è dla bela Fiorensa, ch’l’è del Moro Saruzin.
G - Cul castel s’ ciama del Moro, del gran Moro Sarazin.

18.
A E Fiorensa, bela Fiorensa, j’è set agn ch’a l’è là drin. -
B
C La bela Ana Fiorensa l’è set ani ch’a l’è drint.
D J’è set ani che Fiorensa, j’è set ani ch’a j’è drin. -
E E la bela Fiorensa l’è set ani ch’a i stà drin.
F
G J’è set agn che Fiorensinha, j’è set agn ch’a l’è là drin. -

19.
A - Di-me ’n pò, vui lavandere, cum’ farai-ne andè là drin?
B Dì-me ’n pò, vui lavandera, cum’ farai-ne andè-je drin?
C -Dì-me ’n po’, vui lavandere, - i podrij-ne andè mi drint?
D
E - Dì-me ’n pò, vui lavandere, cum’ farò-gne andè-je drin?
F - Dì-me ’n pò, vui lavandere, s’ij pudria ’n pò parlè?
G

20.
A - Pozè cul vestì da pagi, vestirì da piligrin.
B - Pozè vost vestì da pagi, vestì-ve da piligrin. -
Piligrin pica la porta: - Fiorensa venì dorbir.
C - Pozè cul vestì da pagi, vestirì da pelegrin.
D
E - Poze ’l vestì da page, vesì-ve da pelegrin. -
Bel galant a s’è vestì-sse da pelegrin rumè.
F - Venta vestì-v’ da page, o da pelegrin rumè. -
G

21.
A Andè ciamè la limozna sta seira o duman matin.
B Venì ’n po’ a far limozna a la gent del vost pais.
C
D
E L’è andà ciamè limozna, limozna l’è andà ciamè.
F A la porta di Fiorensa limozna l’è andà ciamè.
G

22.
A E Fiorensa, bela Fiorensa, ve darà del pan e del vin. -
B
C E la bela Ana Fiorensa a v’darà del pan e del vin. -
D
E
F
G

23.
A El Moro da la finestra da luntan l’à vist a vnì:
B
C El Moro a la finestra da tan luntan l’à vist a vnì:
D E ’l bel Moro a la finestra da luntan l’à vist venì
E
F E lo Moro a la finestra tan luntan l’à vist a vnì.
G ’L Moro, ch’a l’è a la finestra, da luntan l’à vist a vnì.

24.
A - guardè, bela Fiorensa, ’n piligrin del vost pais. -
B
C O guardè, Ana Fiorensa, ’n pelegrin del vost pais.
D - Fè-ve ’nsà, bela Fiorensa, ch’a j’è ’n om del vost pais.
E - Na podèisse fè limozna a ’n pelegrin del vost pais! -
F - O guardè un pò, Fiorensa, è-lo gent del vost pais?
G - Guardè là, Fiorensinha, a j’è un del vost pais.

25.
A - D’me pais a pol pa esse, pol pa esse d’me pais.
B - D’me pais a pol pa esse, pol pa esse d’me pais.
C - Me pais a pol pa esse, pol pa esse ’l me pais.
D
E
F - O -no, no, pudria pa esse ch’a fuss gent del me pais.
G

26.
A J’uzelin ch’a vulo an’aria plo pa vnì fin a sì.
B Polo gnianc j’uzlin ch’a vulo, polo gnianc vnì fin a sì. -
C J’uzelin ch’a vulo pr’aria polo pa vnì fin a sì.
D’un pè pica la porta: -Ana Fiorensa vnì dorvì
D
E
F J’auzelin ch’a van per aria, puriss pa vulè fin sì. -
Fiorensa l’è stàita lesta, l’à butà ’l Moro a dormì.
G L’uzelin c’a vura vura tan luntan, sa pa vnì sì.
Fiorensinha l’è stàita lesta, l’à butà ’l Moro a durmì.

-
27.
A S’a n’in fuss la rundanina, ch’a gira tut quant el dì.
B
C
D
E
F
G Cetuà la rundorinha, ch’a gira tut al dì.

28.
A - L’è limozna, ’n pò d’limozna a sto pover piligrin!-
B
C Farì-ve un pò d’limozna a ’n pelegrin del vost pais
Fica la man an sua burseta, gava fora dui zechin,
- Custa si l’è la limozna che mi fass ai piligrin.
D Fè-je festa, pruntè tàula, fè-je dè delpan e del vin.
Dè-je a diznè, bela Fiorensa, dè-je a diznè, cuma per mi. -
E
F
G

29.
A An fazend-je la limozna a j’à vist so anel al dì.
B
C An fazend-je la limozna s’a j’à strinzu la man.
D Quand l’è stàit a metà tàula, j’è tumbà-je l’anlin dal dil.
E
F
G

30.
A E Fiorensa l’à conossu-lo ch’a l’era so prim marì.
B
C E da li l’à conossu-lo ch’a l’era ’l so prim aman.
D - Cul anlin ch’a v’è tumbà-ve, a l’è cul ch’m’à spuzà mi. -
E
F Poi chila l’è turnà via ansem al so prim marì.
G Poi l’è turnà-ss-ne via ansem al so prim marì.

31.
A S’a n’in va a la scudaria, munta an sela al caval gris.
B
C L’à ciamà sue creade: - Dè-me la ciav del me castel;
D
E An fazend-je la limozna, l’à ’mbrassà s’el caval gris.
F
G

32.
A - Stè-me alegre, mie creade, mi m’n’a turno al me pais.
B
C Stè-me alegre, vui altre, al me pais mi n’a vi turnè. -
D
E
F
G

33.
A El Moro da la finestra s’butà a pianzer e gemì:
B
C El Moro a la finestra n’o fazia che tan piurè:
D
E
F
G

34.
A - Avei-la mantnu set ani sensa gnianc tuchè-je ’n dì. -
B
C - Avei-la mantnu set ani sensa mai ancalè-la bazè! -
D
E
F
G

6. Canti con sillabe senza significato

a. Bird song
"Hi" said the blackbird, sitting on a chair,
"Once I courted a lady fair.
She proved fickle and turned her back,
And ever since then I’ve dressed in black"
Towdy, owdy, dil-do-dum,
Towdy, owdy, dil-do-dum,
Towdy, owdy, dil-do-dum,
Tol-lol-li-dy, dil-do-day.

b. Canzone lombarda
Trummirelillelai
L’è un bel moretto,
Come mi piace,
Trummirelillelai
Come mi piace,
Trummirelillelai,
Mi dona i baci
Trummirelillelai
I baci dell’amor.

7. Meunier tu dors.

a. Versione francese
Meunier tu dors, meunier tu dors:
ton moulin, ton moulin va trop vite.
Meunier tu dors, meunier tu dors:
ton moulin, ton moulin va trop fort.

b. Versione spagnola:
Manén didón, Mandn didón:
tómala, tómala, guardia en fite.
Manén didón, Manèn didón:
tómala, tómala guardia en fa.

8. Pomme de reinette.

a.
C’est à la halle
Que je m’installe
C’est à Paris
Que je vends mes fruits
C’est à Paris la capitale de France
C’est à Paris
Que je vends mes fruits.
(Refrain)
Pomme de reinette et pomme d’api
d’api d’api rouge
pomme de reinette et pomme d’api
d’api d’api gris
Cache ton poing derriere ton dos
Ou j’te donne un coup de marteau!

b.
Pomme de reinette et pomme d’api
Petit tapis rouge
Pomme de reinette et pornme d’api
Petit tapis gris

c.
Pomme de reinette et pomme d’api
Tapis, tapis rouge;
Pomme de reinette et pomme d’api,
Tapis, tapis gris.

d.
Pomme de reinette et pomme d’api
Petit tapis rouge
Pomme de reinette et pomme d’api
Petit tapis gris

e.
Pomme de reinette et pomme d’api
Verte, j aune ou rouge
Pomme de reinette et pomme d’api
Ronde et si jolie!

f.
Pomme de reinette et pomme d’api
petit api rouge
pomme de reinette et pomme d’api
petit api gris.

9. Ponte ponente

a.
Ponte ponente ponte pì
tappetà perugia;
ponte ponente ponte pì
tappetà perì.

b.
Ponte petipettapete
ponte petì perugia
ponte petippetapete
ponte peti perù!

c.
Ponte petitet-petapette
Ponte petit-Perugia
Ponte petitet-petapette
Ponte petit-Peru-Peru-Perugia.
Ponte ponente ponte pì
passerà Perì
Ponte ponente ponte pì
passerà Perì
passa flo una mano no!!!

d.
Pinte Polente Ponti Pi,
Tappe Tappe Rugia,
Pinte Polente Ponti Pi,
Tappe Tappe Rì.


Bibliografia