STUDI E RICERCHE
DELLA SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN ARCHEOLOGIA
DI MATERA
10,2009
SIRIS 10,2009 - Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-618-0- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it
SIRIS
Studi e ricerche
della Scuola di Specializzazione in Archeologia di Matera
Università degli Studi della Basilicata
Scuola di Specializzazione in Archeologia di Matera
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Massimo Osanna
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Emmanuele Curti, Angela Laviano, Ina Macaione, Marco Mucciarelli, Maria Luisa Nava, Massimo Osanna,
Francesco Panarelli, Anna Rita Parente, Dimitris Roubis, M. Maddalena Sica, Francesco Sdao,
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Redazione
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Grande cantaroide dalla tomba 35 di Ruvo del Monte (foto M. Scalici).
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Redazione: Valentina Natali
Copertina: Paolo Azzella
ISBN 978-88-7228-618-0
ISSN 1824-8659
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LO SPAZIO DELLA MEMORIA
NECROPOLI E RITUALI FUNERARI NELLA MAGNA GRECIA INDIGENA
Atti della Tavola rotonda (Matera 11 dicembre 2009)
a cura di
Massimo Osanna e Michele Scalici
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Siris 10,2009, 5-6
Introduzione
di Massimo Osanna
A partire dal 2006 è stato intrapreso presso la
Scuola di Specializzazione in Archeologia di Matera
(Università degli Studi della Basilicata) in stretta collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata un ambizioso e articolato
progetto di ricerca scientifica sul territorio lucano, il
quale è rivolto in particolare allo studio delle necropoli ancora inedite, sia del mondo indigeno che dell’area coloniale. Il progetto, avviato grazie all’allora
Soprintendente ad interim della Basilicata Giuliana
Tocco, prosegue tuttora con il sostegno impagabile
dei funzionari della Soprintendenza, Salvatore
Bianco, Rosalba Ciriello e Annamaria Patrone e con
il fattivo supporto tanto scientifico quanto organizzativo dell’attuale Soprintendente Antonio De Siena.
L’accordo iniziale tra le due istituzioni, finalizzato
allo studio di materiali per tesi di specializzazione,
ha fatto sì che protagonisti del nuovo progetto fossero innanzitutto i giovani specializzandi dell’istituzione materana, che hanno profuso impegno ed
entusiasmo nel recupero di dati e nel laborioso processo di documentazione e studio dei diversi contesti.
Sono state avviate così ricerche su rilevanti necropoli
della fascia appenninica, tra cui quella di Ruvo del
Monte da parte di Michele Scalici, di Melfi-Pisciolo
da parte di Raphaëlle-Anne Kok e di Baragiano da
parte di Antonio Bruscella. Contemporaneamente,
nell’ambito di un progetto parallelo, incentrato sulla
ricostruzione del paesaggio urbano di Matera tra antichità e medioevo, è stata avviata da Rosanna Colucci una ricerca (finalizzata ad una tesi di dottorato
presso l’École pratique des Hautes Études di Paris)
sulle necropoli antiche di Matera. Inoltre, allo stesso
tempo proseguivano i lavori sul campo e in laboratorio relativi al sito di Torre di Satriano, dove all’interno del progetto di archeologia globale perseguito
dalla Scuola materana trova spazio, ovviamente, grazie al coordinamento di Lucia Colangelo, anche lo
studio delle tombe, tanto di quelle frutto delle nuove
ricerche quanto dei nuclei sepolcrali reperiti nelle indagini del passato.
Lo svolgimento a Matera di tali ricerche ha portato il gruppo di lavoro interno alla Scuola di Specializzazione a confrontarsi con i problemi comuni
sottesi ad ogni caso di studio, da quello di cronologia,
produzione e distribuzione dei manufatti, a quelli più
teorici di ideologia funeraria e di definizione “etnica”
dei gruppi sepolti. Da questo dibattito informale è
scaturita, da parte degli stessi giovani ricercatori, la
necessità di un confronto anche con altri colleghi impegnati nelle aree limitrofe in ricerche sulle necropoli indigene, in modo da allargare il dibattito,
ampliando al contempo la base documentaria da
porre al centro dell’attenzione.
Sono stati invitati così a prendere parte ad una
giornata di studi dottorandi o dottori di ricerca alle
prese con ricerche su significativi complessi sepolcrali del mondo indigeno magnogreco, in particolare
M. Luisa Tardugno (Università di Napoli “Federico
II”), impegnata nello studio della necropoli di Atena
Lucana, Patrizia Macrì (Università di Cambridge)
che lavora sulla necropoli di Guardia Perticara e
Maria Pina Gargano (Università di Bari), la quale ha
ultimato un significativo lavoro sulle necropoli di
Monte Sannace.
I lavori della giornata di studi sono stati coordinati da chi scrive insieme alla amica Alfonsina Russo,
cui va il mio più vivo ringraziamento per l’impegno
profuso (ma anche per aver voluto concedere lo studio delle necropoli di Baragiano), mentre alla conclusiva Tavola Rotonda hanno partecipato anche i già
citati funzionari della Soprintendenza lucana che si
sono prodigati in un vivace dibattito, proponendo
suggerimenti, stimoli e indicazioni.
In questa sede confluiscono, dunque, i risultati
preliminari di queste indagini su vari contesti sepolcrali svolte dai giovani ricercatori e presentate
alla giornata di Studi organizzata a Matera nel dicembre 2009. La realizzazione del Convegno e la
pubblicazione di questi Atti è stata resa possibile
grazie ad una convergenza significativa di intenti
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Massimo Osanna
che ha visto proficuamente collaborare la Scuola di
Specializzazione in Archeologia con la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata, una
circostanza importante questa, che ormai può dirsi
una consuetudine consolidata in territorio lucano. Un
grazie particolare, dunque, ai rappresentanti di tale
Istituzione, che si sono succeduti alla direzione della
Soprintendenza, e hanno sempre voluto assicurare un
significativo sostegno alla ricerca: Giuliana Tocco,
che ha dato avvio alle ricerche e che ha anche voluto
concedere, con grande liberalità, lo studio di contesti
da lei stessa portati alla luce, come Melfi-Pisciolo;
Caterina Greco, che ha sostenuto nell’anno del suo
interim in Basilicata, in tutti i modi, le ricerche in collaborazione con l’Università; infine Antonio De
Siena, con il quale il lavorare “insieme” è diventato
una costante del suo indefesso impegno sul territorio.
Ma un grazie particolare va soprattutto all’amico Angelo Bottini, già soprintendente in Basilicata, il quale
ha dato un tale impulso allo studio sulle necropoli indigene che senza il suo apporto all’archeologia lucana, non si potrebbe oggi avviare discussioni di
sorta: a lui anche il ringraziamento per aver concesso
lo studio di contesti eccezionali come Ruvo del
Monte e per un dibattito scientifico sempre vivo, che
si è rafforzato nel tempo.
Pianta dell’Italia meridionale con indicazione dei principali siti citati nel volume; in neretto i centri riferibili all’orizzonte nord-lucano
(elaborazione M. Di Lieto).
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L’ORIZZONTE CULTURALE NORD-LUCANO
Siris 10,2009, 7-19
Le necropoli arcaiche di Torre di Satriano.
Distribuzione delle tombe e rituale funerario
di Lucia Colangelo
La Scuola di Specializzazione di Matera opera nel
territorio di Torre di Satriano dal 2000 con un Progetto di Archeologia Globale diretto dal Prof. Massimo Osanna in collaborazione con la Soprintendenza
per i Beni Archeologici della Basilicata. A partire dal
2002 alle attività di scavo stratigrafico sono state affiancate ricognizioni territoriali e prospezioni archeologiche 1. Grazie all’interazione delle diverse
metodologie di indagine è stato quindi possibile ottimizzare la ricerca scientifica giungendo a risultati che
si sono rivelati di fondamentale importanza per la conoscenza di questo territorio 2; nel corso delle indagini condotte nel biennio 2007-2008 è stata scoperta
ed indagata una residenza ad abside realizzata alla
fine del VII sec. a.C. con le relative sepolture 3. Sempre nel corso delle indagini stratigrafiche condotte
nel 2008 è stata riportata alla luce una monumentale
struttura palaziale, edificata nel secondo quarto del
VI sec. a.C., con relativa necropoli, ancora in corso di
scavo 4.
Le recentissime scoperte hanno consentito di approfondire la conoscenza del sistema insediativo nel
territorio soprattutto in merito alla aree necropolari
arcaiche individuate nel corso delle attività di ricerche, permettendo, per la prima volta, di mettere a
confronto i nuovi risultati con quelli delle altre missioni archeologiche che si sono avvicendate nel territorio a partire dagli anni ’60 del XX sec. 5. Si è
pertanto avviato lo studio complessivo delle sepolture con una rilettura della consistente documentazione archeologica cercando di mettere in evidenza
gli elementi utili per la lettura delle pratiche sociali
e dell’ideologia funeraria attestate in questo comparto territoriale dell’area nord-lucana in età arcaica 6. Nella presentazione dei dati si seguirà un
ordine topografico e cronologico, cercando di sottolineare elementi evolutivi nel rituale funerario attestato ed evidenziando elementi di continuità o
discontinuità 7.
Il dato territoriale risulta essenziale per una lettura corretta delle dinamiche sociali che hanno interessato l’insediamento antico dall’avanzato VIII fino
al IV sec. a.C. Le ricognizioni di superficie condotte
in tutto il territorio circostante il rilievo, segnato dalla
torre medievale, hanno permesso di ricostruire un’occupazione intensiva del territorio per tutta l’età arcaica 8. L’analisi spaziale dei siti individuati e lo
studio dei manufatti rinvenuti hanno permesso di ricostruire un sistema insediativo composto da nuclei
abitativi, isolati tra loro e circondati da tombe, distribuiti sui pianori prossimi alle pendici dell’altura, serviti da corsi d’acqua e sorgenti naturali ed aperti
naturalmente su tracciati viari collegati con le principali direttrici di transito del comprensorio (fig. 1).
Risalgono all’VIII sec. a.C. due sepolture rinvenute in località Masseria Satriano, alle pendici sud-
Osanna, Serio 2009, pp. 89-118; Osanna 2009, pp. 301-306;
Di Lieto et alii 2005, pp. 117-146.
2
Di Lieto et alii 2009, pp. 227-232; Osanna 2009, pp. 301305.
3
Carollo 2009, pp. 19-32; Battiloro et alii 2008, pp. 113-129.
4
Serio 2009, pp. 117-125, Osanna 2009, pp. 312-320.
5
Satriano; Holloway 1970; Whitehouse 1970; Valente 1949.
6
L’analisi delle sepolture, in fase di studio da parte di scrive
in collaborazione con F. Colivicchi, è stata avviata da M.M.
Sica (Sica 2004, pp. 217-251) e M. Di Lieto (Di Lieto 2007,
pp. 18-37), che ringrazio per il prezioso aiuto offerto all’analisi dei contesti. Ringrazio ancora il Prof. Osanna per l’opportunità concessami nell’intraprendere lo studio di un contesto
così interessante e soprattutto per il continuo stimolo alla ricerca.
7
Lo studio delle sepolture è stato possibile grazie al meticoloso
lavoro effettuato da B. Serio nei depositi della Soprintendenza per
i Beni Archeologici della Basilicata. Ringrazio per la liberalità
nella ricerca il Soprintendente A. De Siena che ha concesso l’accesso ai depositi. Ringrazio ancora P. Palese e M. Salvatore e il laboratorio fotografico della Soprintendenza, in particolare N.
Figliuolo, per il supporto dato alla ricerca grazie ai disegni dei reperti e alle foto dei contesti, effettuati in tempi rapidissimi. A G.
Cappiello, M. Martorano, A. Pace, I. Trombone, A. Sabatella, va
il mio ringraziamento per il paziente lavoro di restauro.
8
Osanna, Serio 2009, pp. 89-118; Osanna 2009, pp. 301-306;
Di Lieto et alii 2005, pp. 117-146.
1
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Lucia Colangelo
Fig. 1. - Stralcio cartografico del territorio di Torre di Satriano con distribuzione dei siti di età arcaica (VII-V sec. a.C.) e ubicazione
delle aree di scavo (scala 1:12.500).
occidentali della collina della Torre, nell’area che
ospiterà il santuario di età lucana 9. Entrambe le
tombe, collocate rispettivamente a nord e ad ovest
delle strutture del complesso sacro, presentano l’inumato in posizione rannicchiata sul fianco. La tomba
meglio conservata, T. 37, esibisce oltre al corredo ceramico, composto dall’olla su alto piede e da un amphoriskos di impasto, una fibula ed una punta di
lancia in ferro (fig. 2).
Tra i nuclei di abitato di VII sec. a.C. meglio noti
se ne distinguono due, posti rispettivamente lungo le
pendici sud-orientali e meridionali della collina, dove
le indagini stratigrafiche hanno riportato in luce strutture abitative e nuclei di sepolture. Sulla terrazza che
segna le pendici sud-orientali della collina è stata indagata una grande struttura, a pianta rettangolare absidata, con le relative sepolture (TT. 56, 57). Le
9
Torre di Satriano I; Rituali per una dea lucana.
tombe, databili all’ultimo quarto del VII sec. a.C.,
erano poste immediatamente a sud dell’abside e presentavano un orientamento omogeneo, in senso NOSE. Erano del tipo a fossa terragna semplice, prive di
elemento esterno di individuazione. Le deposizioni,
monosome, presentavano il defunto deposto in posizione rannicchiata sul fianco sinistro con il corredo
vascolare distribuito ai piedi e lungo il fianco o presso
la testa dell’inumato 10 (fig. 3). In particolare per la T.
56, l’analisi della composizione del corredo permette
di evidenziare una precisa distinzione in gruppi funzionali dei manufatti: una grande olla in impasto, con
all’interno un piccolo attingitoio, era posta ai piedi;
in prossimità del torace erano disposti vasi per contenere, versare e bere: un’olletta cantaroide, una brocca
ed una coppa a filetti, manufatto di produzione coloniale che attesta precoci contatti con le colonie gre-
10
Carollo 2009, pp. 19-32; Battiloro et alii 2008, pp. 113-129.
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Le necropoli arcaiche di Torre di Satriano.
EmilianoDistribuzione
Cruccas
delle tombe e rituale funerario
9
spalle vi era, inoltre,
una punta di lancia in
ferro 13.
Lungo le pendici
meridionali dell’altura
le indagini hanno consentito di riportare in
luce i resti di una seconda struttura di VIIVI sec. a.C., rinvenuta
ai margini sud-occidentali dell’area sacra di
età lucana, e quattro sepolture successive al
suo abbandono. Agli
inizi del VI sec. a.C. si
datano le due sepolture
più antiche, le TT. 38 e
39, riferibili rispettivamente ad un individuo
di sesso maschile e ad
una deposizione infantile, rinvenute ai marFig. 2. - La necropoli dell’area del santuario lucano, le sepolture di VIII sec. a.C. (foto N. Figliuolo).
gini della struttura.
Altre due sepolture,
scoperte sia all’interno che ai margini orientali delche della costa ionica 11. Accanto alla grande forma
l’area sacra sono la T. 40, rinvenuta priva di corredo, e
per contenere, di tradizione indigena, che rimarrà un
la T. 39 databile alla fine del VI sec. a.C., in un periodo
forte indicatore culturale presente in tutte le sepolin cui le attestazioni funerarie a Torre di Satriano si inture, si delinea la presenza di un gruppo rituale di vasi
tensificano, in linea con un incremento demografico
legato al consumo del vino, costituito dalla brocca e
evidenziato anche dalle ricognizioni topografiche 14
dal vaso cantaroide, presente indistintamente sia nelle
(fig. 4).
sepolture maschili che in quelle femminili, a partire
Le sepolture sono a fossa terragna semplice, prive
12
dalla fine del VII e fino al V sec. a.C. . Nel corso
di copertura con un orientamento omogeneo, norddelle indagini stratigrafiche condotte nel 2008 è stata
sud; si differenziano per la composizione del corredo,
indagata una terza sepoltura, la T. 62, realizzata tache nelle più antiche appare composto da poche
gliando l’ultimo piano di frequentazione dell’area anforme ceramiche di tradizione indigena, due vasi cantistante l’ingresso alla grande dimora e databile entro
taroidi e da una brocca, mentre si arricchisce di nuil secondo quarto del VI sec. a.C. Il defunto, rannicmerose forme ceramiche, anche di tradizione ionica,
chiato sul fianco destro, era accompagnato da un elenella T. 40. Questa ricca deposizione femminile pregante corredo ceramico: al di sopra della testa erano
senta l’inumato in posizione rannicchiata sul fianco
vasi per versare e per bere (la brocca, un vaso cantasinistro. In corrispondenza della testa erano due olle,
roide ed una coppa schifoide di tradizione corinzia);
un’oinochoe ed un vaso cantaroide. Presso il busto
all’altezza del torace, vasi potori (il vaso cantaroide
una brocchetta-attingitoio, vasi cantaroidi ed una
coppa ionica. Ai piedi dell’inumata, invece, era posta
e due coppe ioniche); ai piedi erano collocati un’olla
una grande olla, con attingitoio ed una scodella moin impasto con attingitoio ed una coppa ionica. Alle
Carollo, Osanna 2009, pp. 105-111.
Sica 2004, pp. 217-225; Colivicchi 2004, pp. 23-64; Di
Lieto 2007, pp. 18-37.
11
12
Carollo, Osanna 2009, pp. 105-111.
Osanna 2000-2001, pp. 233-268; Osanna 2009, pp. 301-330;
Sica 2004, pp. 217-251.
13
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Lucia Colangelo
Fig. 3. - La residenza ad abside e le sepolture di VII e VI sec. a.C. (foto N. Figliuolo).
noansata. Tre spiedi in ferro erano collocati all’altezza del bacino, mentre una ricca parure costituita
da pendenti e fibule in ambra, ferro e bronzo, e un
anellino in argento, decorava le vesti 15.
Gli elementi del rituale funerario che è possibile
desumere dall’analisi delle sepolture presentate documentano come la deposizione rannicchiata, rappresenti il tratto distintivo delle comunità che
abitavano questo territorio a partire dall’VIII sec. a.C.
Particolare è l’evoluzione della composizione del corredo. Nelle sepolture più antiche, dell’ultimo quarto
del VII sec. a.C., si compone essenzialmente di poche
forme della tradizione locale, il vaso cantaroide e la
brocca, che costituiscono di fatto la coppia di vasi rituali legati al consumo del vino 16. Si registra anche
una certa diversificazione dovuta alle classi d’età,
considerando che nella T. 39, una deposizione infantile, è presente l’olla ad impasto della tradizione lo-
15
Sica 2004, pp. 217-251.
cale associata a forme ceramiche diverse: una coppa
ed un attingitoio, che attestano probabilmente il mancato accesso dell’inumato alle pratiche sociali proprie
dell’età adulta.
Le sepolture più tarde, TT. 40 e 62, sono rappresentative, invece, di una standardizzazione del rituale
funerario che, accanto al consueto trattamento del
corpo dell’inumato, prevede una precisa distinzione
tra sepolture maschili, caratterizzate sempre dalla presenza di un’arma, e sepolture femminili, contraddistinte da oggetti d’ornamento e oggetti d’uso. Per
quanto riguarda la disposizione del corredo ceramico,
la volontà di raggruppare i vasi in base alla funzione,
con la compresenza di forme della tradizione indigena
e di derivazione greca, rappresenta un valido elemento per la comprensione dell’ideologia funeraria
di queste comunità locali, che nel corso del VI sec.
a.C. hanno ormai assimilato i tratti “innovativi” della
16
Sica 2004, pp. 217-251; Colivicchi 2004, pp. 23-64.
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Le necropoli arcaiche di Torre di Satriano.
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delle tombe e rituale funerario
11
Fig. 4. - La necropoli dell’area del santuario lucano, le sepolture di VI sec. a.C. (foto N. Figliuolo).
cultura materiale greca e praticano azioni rituali che
prevedono l’uso del vino e delle carni arrostite, cui
rimandano strumenti come gli spiedi rinvenuti nella
T. 40 17. Tali elementi sono anche un chiaro rimando
al ruolo sociale assolto della defunta come custode
dei beni del gruppo di riferimento, in qualità di amministratrice e dispensatrice delle ricchezze della comunità 18.
Si segnalano una serie di anomalie del rituale funerario documentate da Holloway nel corso delle indagini condotte alla fine degli anni ’60: la T. 1
supina 19, la T. 3, riferibile ad un inumato deposto in
una inusuale posizione: seduta con braccia e gambe
incrociate, dell’inizio del VI sec. a.C. 20, e una tomba
ad incinerazione rinvenuta in uno dei saggi aperti
lungo il circuito delle mura di IV sec. a.C., la T. 4,
della fine del VI sec. a.C. 21 (fig. 5). Tali deposizioni
sono state ritenute dallo scavatore espressione di nuclei parentali di diversa provenienza che, pur riunitisi
in un’unica entità, avrebbero mantenuto il rituale funerario d’origine 22. Recenti studi hanno invece riferito tali sepolture a singoli individui di provenienza
esterna inseriti a vario titolo in seno alla comunità 23.
Tuttavia, da una rilettura complessiva dei dati,
emerge con una certa chiarezza che tali anomalie
sono da riferirsi, molto probabilmente, ad una lacuna
della documentazione archeologica. Prendendo ad
esempio la tomba ad incinerazione, una serie di in-
17
Russo 2002, p. 102; A. Pontrandolfo, Simposio e Elites Sociali nel Mondo Etrusco e Italico, in O. Murray, E. Tecusan (a
cura di), In vino veritas, Oxford 1995, pp. 176-195; M. Tagliente,
Elementi del banchetto in un centro arcaico della Basilicata
(Chiaromonte), «MEFRA» XCVII 1985, p. 168; Johannowsky
1985, pp. 115-123; Bailo Modesti 1980, p. 192; Bottini 1979, p.
90; M. Torelli, Greci e indigeni in Magna Grecia: ideologia religiosa e rapporti di classe, «Studi Storici» XVIII 1977, pp. 4561.
18
B. d’Agostino, Il rituale funerario nel mondo indigeno, in G.
Pugliese Carratelli (a cura di), Magna Grecia. Vita religiosa e cultura letteraria, filosofica e scientifica III, Milano 1988, pp. 91-114.
19
Holloway 1970, pp. 43-44; Whitehouse 1970, pp. 201-204.
20
Holloway 1970, pp. 44-47.
21
Holloway 1970, pp. 47-49.
22
Holloway 1970, p. 7.
23
Di Lieto 2007, p. 24.
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Fig. 5. - Le deposizioni “anomale” documentate da Holloway negli anni ’60 (da Holloway 1970).
Fig. 6. - Le sepolture di fine VI-metà V sec. a.C.: le tombe ad enchytrismos indagate da Holloway sulle pendici della collina (a); Necropoli del Faraone 1 (b).
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Emiliano
tuale funerario
Cruccas 13
dizi portano a credere che le tracce di “bruciato”, cui
fa riferimento lo scavatore, soprattutto in assenza di
resti ossei, possano essere attribuite al disfacimento
di una cassa o di un tavolato ligneo, utilizzate per la
deposizione del defunto, così come documentato in
altri contesti, dove il terreno fortemente acido ha
completamente cancellato i resti ossei 24. D’altro
canto la disposizione del corredo in due gruppi funzionali rimanda direttamente ad un rituale funerario
ampiamente attestato nella maggior parte delle sepolture indagate.
Il periodo compreso tra la fine del VI sec. a.C. e la
metà del V sec. a.C., si caratterizza per una forte trasformazione sociale nota attraverso i resti di due sepolture rinvenute da Holloway nell’area della
cosiddetta Necropoli del Faraone 1, a poca distanza
dalla residenza ad abside, databili tra la fine del VI e
gli inizi del V sec. a.C. Si tratta di sepolture maschili,
identificate dalla presenza di una punta di lancia (T. 2)
e di uno schiniere in bronzo (T. 12), che indiziavano
la presenza, in quest’area, di un gruppo sociale emergente, che esibiva la propria levatura sociale attraverso la deposizione di eleganti armamenti 25 (fig. 6).
Un altro gruppo di
cinque sepolture tutte
infantili del tipo ad enkytrismos, databili tra
la fine del VI e la metà
del V sec. a.C., sono
state individuate da
Holloway nel corso
delle indagini condotte
negli anni 1966-1967
lungo il margine occidentale della collina di
Torre di Satriano 26.
Tre di esse, TT. 20, 23
e 24, presentano analogo orientamento estovest, le altre due, TT.
21-22, sono orientate
ad ovest. Comune a
tutte le deposizioni è
la composizione del corredo ceramico costituito da
vasi della tradizione locale, quali la brocca, presente
sempre in numero di due esemplari, associati alla
coppa monoansata a bande e a vernice nera nelle TT.
21 e 22 e ad un vaso poppatoio nella T. 24. Una kylix
attica a figure nere è presente invece nella T. 20. Fibule, sia in bronzo che in ferro, da sole non permettono di caratterizzare come esclusivamente femminili
tali deposizioni (fig. 6).
Nel biennio 2008-2009, le indagini stratigrafiche
condotte dalla Scuola di Specializzazione in Archeologia di Matera, lungo il versante settentrionale dell’altura della torre, hanno permesso di approfondire
e chiarire in modo significativo il profondo processo
di strutturazione sociale in corso nel VI sec. a.C. Le
attività di scavo hanno riportato alla luce i monumentali resti di un impianto palaziale, un anaktoron,
e della relativa necropoli della quale sono state esplorate tre sepolture (TT. 69, 71-72) 27 (fig. 7).
Le tombe, tutte a fossa terragna, sono inquadrabili
cronologicamente tra la seconda metà e la fine del VI
sec. a.C. Presentano orientamenti non omogenei mentre scarsi sono i resti degli inumati. Inoltre, nella T. 69
evidenti tracce carboniose indiziano la presenza di
Carollo, Osanna 2009, pp. 105-111.
Holloway 1970, p. 44, 65.
26
Holloway 1970, pp. 69-75.
27
Serio 2009, pp. 117-125; Osanna 2009, pp. 312-320. Lo stu-
dio preliminare delle sepolture dell’area dell’anaktoron è stato
presentato da chi scrive nel corso del Terzo convegno di studi su
Torre di Satriano, svoltosi a Tito il 16 e 17 ottobre 2009, dal titolo
“Dieci anni di ricerche a Torre di Satriano: l’insediamento,
l’anaktoron e la necropoli arcaica”.
Fig. 7. - La necropoli dell’area dell’anaktoron: TT. 69-72.
24
25
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Lucia Colangelo
una cassa lignea entro cui era stato posto il defunto.
Spade e oggetti d’uso come il coltello e lo spiedo contraddistinguono le due sepolture maschili (TT. 69,
71). Le tombe più integre restituiscono un numeroso
corredo ceramico, in corso di restauro, arricchito
dalla presenza di bacili in bronzo, posto all’altezza
della testa, dove è accumulata in genere la maggior
parte dei vasi, in alcuni casi duplicati, lungo il corpo
e ai piedi del defunto.
Nella T. 69, il corredo si compone di due nestorides, due oinochoai, due brocche, vasi per contenere e
versare, e due coppe ioniche destinate al consumo individuale. Oltre ai reperti in coppia, sono deposti singoli vasi che si distinguono per il loro pregio come
una coppa a figure nere di produzione attica, riferibile alla produzione dei Piccoli Maestri 28. Infine, all’altezza delle braccia si ritrova il consueto gruppo
rituale: la brocchetta ed il vaso cantaroide. Un dato
estremamente interessante è costituito dall’assenza
dell’olla tra i vasi del corredo ceramico presente invece nelle altre sepolture. Tale assenza può essere interpretata come un elemento di innovazione rispetto
alle coeve sepolture, da mettere in relazione con la
particolare pratica della duplicazione di due forme
ceramiche, le nestorides, che hanno sostituito l’olla
nella funzione di vaso per contenere.
Anche nella T. 72 l’associazione di vasi per contenere e per versare, sia di tradizione indigena (brocchetta e vaso cantaroide) che di imitazione greca
(oinochoe e coppe di tipo ionico), sono collocati all’altezza della testa del defunto, mentre apparentemente solo vasi della tradizione indigena, sono deposti
lungo il corpo. È da mettere in risalto la posizione
delle due olle all’interno della sepoltura, chiaramente
isolate dal resto del corredo, che sembrano assumere
una funzione legata al contenimento di derrate alimentari, vista anche la concentrazione delle forme legate all’uso di liquidi negli altri settori della sepoltura.
Riguardo quest’ultima tomba, lo scavo stratigrafico ha evidenziato tracce evidenti di manomissioni
che interessavano principalmente la parte centrale
della sepoltura. Se scarsi sono i resti del defunto rinvenuti nella sepoltura precedente, totalmente assenti
sono in quest’ultima, interamente asportati da una
fossa di spoliazione. Il corredo risultava invece in
buona parte conservato: solo la grande olla posta sul
lato meridionale era stata interessata dalla manomissione. A contrastare con l’interpretazione della riapertura della sepoltura finalizzata alla asportazione
dei pregiati oggetti metallici del corredo è la presenza
del bacile in bronzo, non trafugato assieme al resto
del corredo metallico. È possibile, quindi, pensare ad
una riapertura rituale di tale sepoltura, con la finalità
di recuperarne il solo cadavere?
Dati interessanti in merito al rituale funerario sono
emersi anche dalle indagini archeobotaniche condotte
dalla dott.ssa Donatella Novellis su alcuni campioni
di carporesti prelevati dal terreno di riempimento
delle sepolture, a più stretto contatto con reperti del
corredo, che hanno rilevato la presenza di farro (Triticum dicoccum) come offerta vegetale compiuta al
momento dell’inumazione del defunto, dopo aver subito l’azione del fuoco 29.
Da quanto presentato emerge una ideologia di matrice aristocratica, che si ispira al modello greco, pienamente assimilata dal gruppo sociale cui si riferisce
l’inumato, che ostenta il ruolo di guerriero con la presenza delle armi che lo identificano come appartenente al gruppo “emergente”. Sono uniti insieme
oggetti tradizionali e quelli desunti dal modello greco
con chiaro rimando all’uso del vino e alla pratica del
banchetto funebre. La composizione dei corredi funerari mostra quindi una marcata differenzazione sociale che si manifesta attraverso l’ostentazione della
ricchezza, indice di una società segnata da un forte
dinamismo di carattere sociale e da marcate differenzazioni economiche.
Del resto, la presenza in altre aree del territorio
di sepolture coeve a quelle del palazzo, anche se
ben più modeste, come quelle individuate nei pressi
della residenza absidata abbandonata definitivamente alla metà del VI sec. a.C., in concomitanza
proprio con l’impianto dell’anaktoron, testimoniano proprio questa forte stratificazione sociale
con l’emergere di gruppi dominanti posti ai vertici
della gerarchia comunitaria. La T. 58, databile attorno alla fine del VI sec. a.C., era posta a una ventina di metri dall’area in cui sorgeva la residenza ad
28
B. Iacobazzi, Gravisca. Scavi nel santuario greco. Le ceramiche attiche a figure nere, Bari 2004, pp. 72-111; B. Kaeser,
Größen und Maße, in K. Vierneisel, B. Kaeser (a cura di), Kunst
der Schale, München 1999, pp. 63-73.
29
Lo studio preliminare sui carporesti rinvenuti durante le indagini stratigrafiche condotte nel 2009 nell’area dell’anaktoron è
stato presentato nel corso del Terzo convegno di studi su Torre di
Satriano, svoltosi a Tito, il 16 e 17 ottobre 2009.
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Le necropoli arcaiche di Torre di Satriano.
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delle tombe e rituale funerario
Fig. 8. - La necropoli dell’area dell’anaktoron: TT. 69, 72.
abside 30. Rispetto alle ricche sepolture dell’anaktoron, il corredo si componeva di poche forme ceramiche: un’olla posta all’altezza della testa; una
seconda olla, una brocca e coppe ioniche presso i
piedi, mentre lungo i due fianchi dell’inumato erano
due ollette biansate, brocchette ed un calice su alto
piede (fig. 8).
Le indagini condotte nell’area dell’anaktoron
sembrano tuttavia documentare un abbandono repentino e violento della grande struttura abitativa nel
corso della metà del V sec. a.C. Momento storico segnato da profondi cambiamenti sociali chiaramente
percepibili archeologicamente, sia a livello territoriale, sia attraverso la lettura dei dati forniti dalle sepolture.
Al V sec. a.C. si datano numerose tombe, individuate da R.R. Holloway 31 e da E. Greco 32 tra gli anni
’60 e gli anni ’80 del XX secolo e nel corso delle più
recenti indagini condotte dalla Scuola di Specializzazione in Archeologia di Matera 33. Le pendici nord-
Battiloro et alii 2008, pp. 113-129.
Holloway 1970.
32
Satriano.
33
Battiloro et alii 2008, pp. 113-129.
15
occidentali dell’altura sono occupate
dalla cosiddetta Necropoli del Perugino.
L’area, indagata da
E. Greco nel biennio
1987-1988 34, aveva
restituito sei sepolture (TT. 30-35) databili tra gli ultimi anni
del VI e la prima
metà del V sec. a.C.,
poste a circa m 40 di
distanza dell’area di
saggio indagata nel
corso del 2007 dalla
Scuola di Archeologia, che ha restituito
altre due sepolture,
TT. 60 e 61 35 (fig.
9).
L’area sepolcrale
è senza dubbio pertinente ad un unico
gruppo sociale che frequenta la necropoli per almeno
due generazioni, dalla fine del VI sec. a.C., in cui si
data la tomba più antica, T. 30, alla prima metà del V
sec. a.C., cui si datano le altre sepolture (TT. 31-33,
60-61). Le tombe sono tutte a fossa terragna e mantengono inalterato il rituale funerario della deposizione rannicchiata. Quello che sembra cambiare è la
composizione del corredo, il cratere a colonnette caratterizza ora indistintamente le sepolture sia maschili che femminili, anche se permangono i grandi vasi
della tradizione locale, le nestorides, le olle ad impasto, mentre coppe a vernice nera prenderanno progressivamente il posto dei tradizionali vasi cantaroidi. Nelle deposizioni maschili emergenti è esaltato il
ruolo di guerriero attraverso la deposizione non soltanto di armi da offesa ma anche di un elegante elmo
in bronzo 36.
La deposizione principale è infatti la T. 31, databile al primo quarto del V sec. a.C., riferibile ad un
guerriero provvisto di elmo e spada 37. La tomba a
fossa terragna, priva di lastra di copertura era ben de-
E. Greco in Satriano, pp. 12-13, tav. 6.
Battiloro et alii 2008, pp. 113-129.
36
Armi, pp. 117-122.
37
R. Roca in Satriano, pp. 29-31, tav. 6.
30
34
31
35
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Fig. 9. - La Necropoli del Perugino, stralcio cartografico con ubicazione delle aree di scavo e corredi delle principali sepolture (T. 31
foto da Armi; TT. 33, 60 foto N. Figliuolo).
limitata da una fila irregolare di blocchetti. Il corredo
vascolare era distribuito intorno alla testa dell’inumato. A nord l’elmo di tipo apulo-corinzio, con decorazione complessa, copriva l’imboccatura del
cratere a colonnette al cui interno erano adagiati un
piatto e una brocchetta-attingitoio. La restante parte
del corredo era costituita da uno stamnos, dalla
grande nestoris, da una brocchetta e da vasi potori; a
ridosso delle gambe era invece collocato un grosso
pithos 38.
Le sepolture rinvenute nel 2007, TT. 60 e 61, ad
inumazione in fossa terragna semplice, presentano
analogo orientamento nord-est/sud-ovest. La T. 60,
databile entro la prima metà del V sec. a.C., è pertinente ad un giovane deposto in posizione rannicchiata. Il corredo restituisce ancora due olle: la prima,
associata ad una coppetta monoansata, presso i piedi;
la seconda, posta al di sopra della testa, insieme ad
una olletta biansata, una brocchetta a vernice nera e
vasi potori tra i quali una cup-skyphos a figure nere 39.
Coeve alle sepolture più recenti della Necropoli
38
39
Armi, pp. 117-122.
Battiloro et alii 2008, pp. 124-126.
del Perugino sono le tre tombe individuate da R.R.
Holloway 40 nell’area della cosiddetta Necropoli del
Faraone 2, posta sul versante opposto della collina,
che sembrano riferibili a due distinti nuclei abitati 41.
La T. 9, è posta sullo stesso pianoro su cui si ergeva
la grande struttura absidata di VII sec. a.C., dalla
quale distava solo m 30. Le altre due sepolture, TT. 7
e 8, la prima maschile, databile tra il primo quarto e
la metà del V sec. a.C. e la seconda femminile, datata
alla metà dello stesso secolo, si collocano, invece, a
più di ottanta metri di distanza dalla T. 9, in un’area
più pianeggiante lungo la moderna strada di accesso
al sito della Torre e sembrano appartenere allo stesso
gruppo parentelare (fig. 10).
Tutte le sepolture mantengono immutato il costume funerario, sia nella deposizione rannicchiata
sul fianco che nella disposizione del corredo per
gruppi funzionali. Elemento comune dal sapore squisitamente tradizionale, è la presenza della coppia di
vasi rituali per uso individuale, la brocca e il vaso
cantaroide, che come per altri contesti affini è sempre
40
41
Holloway 1970, pp. 59-62.
Holloway 1970, pp. 51-59.
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Le necropoli arcaiche di Torre di Satriano.
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delle tombe e rituale funerario
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Fig. 10. - La necropoli Faraone 2, stralcio cartografico con ubicazione delle trincee di scavo realizzate da Holloway, piante e corredi
delle principali sepolture (foto N. Figliuolo).
collocata a ridosso del corpo, quasi tra le mani del
defunto 42.
Le attività di ricerca condotte negli anni settanta
da Holloway, distribuite in più punti delle pendici
dell’altura della torre, portarono lo scavatore ad individuare una nuova area di sepolture, posta circa m
700 a nord-ovest dalla sommità del rilievo, in un’ area
denominata Necropoli di Nord-Ovest, che ha restituito i resti di 15 inumazioni, databili tra la fine del
VI- inizi del V e la metà del IV secolo a.C. 43 (fig. 11).
Analizzando nel dettaglio la disposizione spaziale
delle sepolture, appare chiara una loro organizzazione
in gruppi, probabilmente parenterali 44. Purtroppo lo
stato assai lacunoso di molti dei corredi solo parzialmente conservati, a causa di numerosi disturbi naturali ed antropici, non ci permette di ricostruire con
assoluta certezza le dinamiche culturali del complesso sepolcrale, in quanto la frammentarietà della
documentazione consente solo una parziale ricostru-
zione delle pratiche funerarie attestate. Tuttavia, grazie al fortunato rinvenimento di un gruppo di sepolture meglio conservate, è possibile presentare alcune
osservazioni, pur con cautela, in merito sia ad una diversificazione cronologica delle sepolture sia ad un
significativo cambio del rituale funerario, compiutosi
nell’arco di due generazioni.
La presenza all’interno di uno stesso gruppo di sepolture, denominato gruppo 4, di una tomba maschile con deposizione rannicchiata sul fianco, entro
fossa, la T. 10, databile tra il terzo quarto del VI e
l’inizio del V sec. a.C. e sepolture sia maschili che
femminili (TT. 27, 28, 29), databili tra la metà del V
e la metà del IV sec. a.C., che a questo rituale sembrano sostituire la deposizione supina, rappresentano
le tracce più evidenti di un ampio e precoce cambiamento dei costumi sociali che pare collegarsi direttamente con il complesso fenomeno della “lucanizzazione”. La T. 10 non sembra isolata all’interno del
Cfr. M. Scalici, infra, fig. 11.
43
Holloway 1970, pp. 44-47, 50, 62-68, 77-78, 81-82.
44
Sono stati distinti sei differenti gruppi di sepolture; purtroppo la scarsa documentazione di scavo a disposizione, limitata
alla documentazione grafica edita in Holloway 1970, pp. 75-82,
non consente al momento di aggiungere altri dati utili alla comprensione del contesto sepolcrale. Lo studio per ora si limita all’analisi dei corredi custoditi nei depositi della Soprintendenza
per i Beni Archeologici della Basilicata.
42
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Lucia Colangelo
Fig. 11. - La Necropoli di Nord-Ovest, stralcio cartografico con ubicazione dell’area, distribuzione delle sepolture (da Holloway 1970),
piante e corredi delle principali sepolture (foto N. Figliuolo; disegni P. Palese).
gruppo, ma appare invece posta al centro tra le altre,
quasi ad esaltare il ruolo di sepoltura generatrice del
gruppo. Le altre tombe, pur differenziandosi per rituale del seppellimento, mantengono tuttavia un analogo orientamento in senso nord-ovest/sud-est.
La T. 10 presenta il corredo disposto a ridosso
della testa del defunto. Tra le forme ceramiche spiccano due nestorides associate ad una coppetta a vernice nera, una coppa ionica, una kylix attica a vernice
nera e a frammenti di vasellame in bronzo, lame di
coltelli e punte di lancia, che sottolineano la ricchezza della deposizione; presenta strette analogie
con la T. 69, individuata nell’area dell’anaktoron nel
corso delle più recenti indagini.
Le altre sepolture del gruppo (TT. 27, 28, 29), anch’esse purtroppo caratterizzate da una lacunosità del
corredo, restituiscono tuttavia dati interessanti in merito ad un precoce cambiamento degli usi funerari
(fig. 12). La T. 27 presenta ceramica a vernice nera,
uno skyphos, databile entro la metà del V sec. a.C., e
due coppette monoansate. La T. 28, probabilmente
femminile, restituisce un servizio da mensa composto
da una brocca, un’olpetta ed uno skyphos a vernice
nera, coevo al precedente. Infine, la T. 29, presenta
una kylix, un guttus, una coppetta a vernice nera e un
tegame acromo, databili invece entro la metà del IV
sec. a.C.
In assenza di resti ossei che restituiscono la di-
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Le necropoli arcaiche di Torre di Satriano.
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delle tombe e rituale funerario
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Fig. 12. - La necropoli Faraone 2, stralcio cartografico con ubicazione delle trincee di scavo realizzate da Holloway, piante e corredi
delle principali sepolture (foto N. Figliuolo).
sposizione dei defunti all’interno delle sepolture,
la tipologia dei reperti ceramici e, soprattutto, la
loro disposizione all’interno delle tombe ci permettono tuttavia di confrontare le deposizioni delle
TT. 27 e 28 con due sepolture sicuramente supine
(TT. 25-26) che costituiscono il contiguo gruppo
5. Queste tombe, databili tra la fine del V e la metà
del IV sec. a.C., sono entrambe monosome e recano chiare tracce degli inumati deposti in posi-
zione supina con corredo posto ai piedi e lungo il
corpo del defunto.
Un dato questo che apre nuovi scenari interpretativi sulle dinamiche insediative nell’area della Torre
in un momento storico molto delicato, che caratterizza il V sec. a.C., anticipando alla metà di questo
secolo quel processo di profonda trasformazione sociale che arriverà a completarsi entro la prima metà
del IV sec. a.C.
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Siris 10,2009, 21-35
La necropoli arcaica di loc. Toppo S. Antonio a Baragiano:
un nuovo caso di studio
di Antonio Bruscella
Il presente contributo vuole portare l’attenzione
sui risultati conseguiti nel corso delle recenti indagini di scavo condotte nell’area sommitale e lungo il
pendio occidentale della collina di Toppo S. Antonio;
risultati che consentono di definire in modo più puntuale le modalità insediative del centro antico di Baragiano, mettendo in luce gli aspetti funerari di questa
comunità nel corso dell’età arcaica 1.
Il sito antico di Baragiano si inserisce nell’area
nord-occidentale della Basilicata antica, segnata a
nord dall’alto corso dell’Ofanto, a est dalla linea pedemontana, che dalle pendici del Vulture raggiunge la
fiumara di Tolve, mentre a sud e a ovest, rispettivamente, dall’alta valle del Basento e dal fiume Melandro. Questa posizione nodale ha fortemente condizionato in antico lo sviluppo di un’articolata viabilità lungo varie direzioni: un’importante direttrice
metteva in collegamento quest’area con la piana del
Sele, seguendo il corso del sistema fluviale del
Marmo-Platano; un altro percorso consentiva, a nordest, l’ingresso nella valle dell’Ofanto, mentre un ulteriore itinerario lambiva il centro di Baragiano per
immettersi nell’alta valle del Basento. A queste direttrici principali si affiancavano numerosi itinerari
interni, funzionali da un lato alla pratica della transumanza, dall’altro a un sistema di viabilità a breve
e medio raggio.
Il contesto archeologico in loc. Toppo S. Antonio
è particolarmente significativo dal punto di vista topografico: una terrazza stretta e allungata con orien-
tamento est-ovest, posta a diretto controllo della confluenza delle fiumare di Avigliano e Tito, che si riversano nel Marmo-Platano 2.
Le indagini svolte nel biennio 2006-2007 hanno
consentito di mettere in luce i resti di una capanna (1,
fig. 1) la cui fase di utilizzo è stata fissata nel corso
del VI sec. a.C.3 . Si tratta di una struttura dalla planimetria polilobata, scavata direttamente nel banco
argilloso. Se la presenza di materiale lapideo sparso
va probabilmente riferita all’esistenza di uno zoccolo litico di fondazione, delimitante il perimetro
della struttura, il rinvenimento di frammenti di rivestimento parietale con tracce di incannucciata ha
suggerito la ricostruzione di un alzato in pisé 4. L’assenza di qualsiasi elemento riferibile a una copertura pesante in terracotta non lascia dubbi sull’esistenza di un tetto in materiale stramineo. Tra i reperti più significativi recuperati si segnalano alcuni
frammenti di ceramica a decorazione subgeometrica, pertinenti a forme sia chiuse che aperte, databili nel corso del VI e nei primi decenni del V sec.
a.C., termine cronologico che segna l’abbandono
della struttura.
Il carattere complesso della capanna, oltre che per
la planimetria polilobata e la superficie piuttosto ampia, quasi mq 50, deriva da un lato dall’articolazione
interna degli spazi, caratterizzata da differenti approfondimenti o sub-cavità del piano originario di vita,
dall’altro dalla stretta relazione della capanna con
due fosse ubicate a sud e un pozzo localizzato a nord
Desidero esprimere un sentito ringraziamento alla Dott.ssa
Alfonsina Russo, già Direttore del Museo Archeologico Nazionale di Muro Lucano, che ha coordinato le attività sul campo
durante le nuove indagini, per aver promosso il progetto di riesame dei contesti già noti, recuperati nel corso di vecchi scavi.
Un ringraziamento anche al Dott. Marcello Tagliente, già Direttore del Museo Archeologico Nazionale di Potenza, e al Dott.
Antonio De Siena, Soprintendente della Basilicata, per aver incoraggiato la ricerca nel sito di Baragiano. Desidero, infine,
esprimere la mia personale gratitudine al Prof. Massimo
Osanna.
2
Cfr. Bruscella 2008a, p. 89, fig. 1.
Il contesto è stato presentato già in Bruscella 2008b, pp. 2425, figg. 7-11.
4
Questo tipo di struttura trova numerosi confronti sia in area
lucana che apula, dove sono state scavate diverse capanne dal perimetro polilobato, realizzate in parte, come quella di Toppo S.
Antonio, al di sotto del piano di campagna e dotate di un alzato
in terra cruda e una copertura in materiali deperibili. Al riguardo
cfr. A. Russo, Cancellara (Potenza). Loc. Serra del Carpine.
Evoluzione di un insediamento indigeno tra VI e IV sec. a.C.,
«BA» IX 1991, pp. 95-99, con bibliografia sulla diffusione di
queste strutture a partire dall’VIII sec. a.C.; A. Liseno, Dalla capanna alla casa. Dinamiche di trasformazione nell’Italia sudorientale (VIII-V sec. a.C.), Bari 2007.
3
1
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Fig. 1. - Loc. Toppo S. Antonio. Planimetria generale dell’area di scavo.
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La necropoli arcaica di loc. Toppo
Emiliano
S. Antonio
Cruccas
a Baragiano: un nuovo caso di studio
23
(fig. 1) 5. Se è prematuro esprimersi sull’originaria
funzione e sulla cronologia di questo, sembra comunque verosimile ipotizzare un suo utilizzo come riserva idrica (fig. 2). Nel corso della prima metà del V
sec. a.C. tale cavità viene parzialmente riempita con
materiale eterogeneo, derivante dalla distruzione della
capanna 1: lo dimostrerebbero i numerosi frammenti
di rivestimento parietale e di suppellettile ceramica a
decorazione subgeometrica presenti all’interno degli
strati inferiori di riempimento. Il pozzo viene definitivamente colmato con materiali più recenti derivanti
dall’abbandono delle strutture in muratura presenti nell’area a partire dagli ultimi
anni del V fino ai primi decenni del III sec. a.C. 6.
In merito alla documentazione funeraria, oltre all’eccezionale contesto della
sepoltura 57, databile sul finire del V sec. a.C. 7, è stato
indagato, lungo il margine
meridionale della terrazza, un
importante nucleo (A), costituito da otto sepolture (fig.
3), tutte databili nel corso del
VI sec. a.C. Le analisi condotte sui corredi, affiancate
allo studio antropologico sui
resti scheletrici, hanno consentito di identificare quattro
sepolture femminili, due maschili e due infantili 8.
Le tombe sono a fossa
terragna con pianta rettangolare ad angoli stondati; in
nessun caso è stata riscontrata la presenza di nicchie
laterali per la deposizione di
oggetti di corredo. Il piano di deposizione è generalmente in terra battuta o coincidente con il banco
di pietrisco. La profondità delle fosse varia tra m
0,35 della T. 53, di bambino, e m 1,90 della T. 50, la
sepoltura maschile più antica del gruppo. Quest’ultima sembra costituire una realtà esclusiva all’interno
del nucleo A, dove le sepolture presentano una profondità delle fosse tra m 0,45 e 0,80 9. Le deposizioni
risultano sempre monosome, senza tracce di riuti-
5
In altri contesti queste cavità, disposte su quote differenti,
sono state variamente interpretate come aree di cottura o di deposito, ved. M. Castoldi, La ceramica geometrica bicroma dell’Incoronata di Metaponto (Scavi 1974-1995), Oxford 2006, pp.
11-13, con bibliografia.
6
Per una descrizione dettagliata ved. Bruscella 2008a, pp. 9295, figg. 7-8; pp. 101-102, figg. 15-17.
7
Ved. Bruscella 2008a, pp. 96-99, figg. 9-14; 2008b, pp. 3031, figg. 23-24; Russo 2008c, pp. 105-113, figg. 1-12.
8
Le analisi sono state condotte dalla Dott.ssa Norma Lonoce
del Laboratorio di Antropologia Fisica del Dipartimento Beni
Culturali dell’Università del Salento. A lei va il mio sentito ringraziamento.
9
Le differenze di profondità tra la tomba di guerriero (T. 50)
e le altre potrebbero dipendere dalla volontà di proteggere maggiormente le sepolture più ricche, in quanto considerate “luogo
della memoria” per l’intera compagine sociale, cfr. Bottini 1979,
p. 81. Un’analisi più dettagliata di queste tematiche è in B.
D’Agostino, La necropoli e i rituali della morte, in S. Settis (a
cura di), I Greci. Storia Cultura Arte Società. II. Una storia
greca, Torino 1996, pp. 435-470, con bibliografia sull’argomento.
Fig. 2. - Loc. Toppo S. Antonio. Sezione del pozzo.
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Antonio Bruscella
Fig. 3. - Loc. Toppo S. Antonio. Nucleo A. Planimetria e sezione.
lizzo 10; inoltre, non vi sono casi di tombe più antiche disturbate da fosse più recenti. I corpi sono deposti sempre in posizione rannicchiata, secondo il
costume funerario tipico del comprensorio 11, a seconda del sesso, sul fianco destro gli uomini, su
quello sinistro le donne. Il margine superiore risulta
in alcuni casi delimitato, al livello del piano di calpestio, da pietre di medie dimensioni appositamente disposte, o corrispondenti a quelle della
formazione geologica di base del banco (come nel
caso della T. 54); in altri casi non compare alcun
elemento che evidenzi il limite della cavità funeraria. In nessuna sepoltura è stata rilevata una particolare copertura, né tantomeno tumuli al di sopra
delle inumazioni, che pure sappiamo essere attestati
a Baragiano nella monumentale T. 35, ricoperta da
uno spesso strato di ciottoli e terra del diametro di
m 6 ca.12. Nessun elemento ha permesso di ipotiz-
Questa pratica sembra essere estranea al comprensorio
nord-lucano, a differenza dell’area apula, dove la manomissione
delle sepolture per il riutilizzo o la deposizione plurima sembrano
essere una prassi assai praticata nell’intero arco cronologico compreso fra il VII e IV sec. a.C. Bottini 1979, p. 82, nota 22; Prin-
cipi e re dell’Italia meridionale aicaica, in Princes de la Protohistoire, p. 92.
11
Ved. in generale Bottini 1986, p. 155.
12
Russo 2002, p. 94; 2009, p. 247. Diversi sondaggi avviati
alla fine degli anni ’90, tesi a mettere in luce eventuali evidenze
10
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La necropoli arcaica di loc. Toppo
Emiliano
S. Antonio
Cruccas
a Baragiano: un nuovo caso di studio
25
zare la presenza di semata, poco attestati nel comprensorio nord-lucano 13.
Il corredo vascolare viene disposto intorno al
corpo dei defunti: in genere si riscontra una preferenza a disporre la maggior parte del corredo vascolare in corrispondenza dei piedi e lungo il fianco
dell’inumato, ovvero in quello compreso fra una delle
due pareti lunghe del taglio e il corpo del defunto. In
corrispondenza del capo si trovano solitamente poche
forme vascolari, come il kantharos e la brocca 14. I
servizi documentati, prodotti nella classe subgeometrica monocroma e bicroma, presentano vasi per versare (brocchette e attingitoi), per contenere e bere
(ollette cantaroidi), per conservare derrate (olle) e olii
(askoi). Si tratta, nella quasi totalità dei casi, di forme
vascolari prodotte localmente o provenienti da botteghe dell’area nord-lucana, in particolare Satriano,
Buccino, Oppido Lucano e Ruvo del Monte. Sono attestati, a partire dalla metà del VI sec. a.C., vasi importati dall’ambito greco coloniale, come le kylikes
di tipo ionico presenti nelle TT. 50 e 56.
Le armi, cuspidi di lance deposte lungo la spalla,
rimandano al ruolo di guerriero delle inumazioni
maschili 50 e 54. Sono presenti oggetti di ornamento in ambra e fibule realizzate sia in metallo che
in osso e avorio, definiscono lo status delle defunte
(TT. 49 e 56).
A seguito dell’analisi stratigrafica orizzontale del
nucleo A, si evidenzia da un lato la volontà di distinguere le tombe maschili da quelle femminili, separandole con una significativa fascia di rispetto 15;
dall’altro l’associazione di queste ultime, in particolare della T. 49, con inumazioni infantili (TT. 52
e 53).
Grande interesse suscita la singolare disposizione
a semicerchio delle sepolture rispetto a un’area risparmiata, probabilmente adibita a rituali post-mor-
tem. Si tratta di una fossa con le pareti foderate da
ciottoli. Dallo scavo del suo riempimento, ricco di inclusi carboniosi, è emersa una grande quantità di
frammenti di ceramica da fuoco – soprattutto olle di
grandi dimensioni realizzate in impasto – con le superfici esterne parzialmente annerite, probabilmente a
seguito del contatto con una fonte di calore. Questo
rinvenimento potrebbe forse rimandare allo svolgimento di determinate pratiche funerarie con consumo
collettivo di pasti e bevande da parte della comunità
o di alcuni gruppi 16; una prassi adombrata in particolare dal corredo vascolare della T. 56 e che, in generale, sappiamo essere piuttosto consueta nel mondo
antico 17. In ambito lucano, sono stati riscontrati casi
affini a Noepoli e Chiaromonte, nell’ambito del comprensorio segnato dal medio corso del Sinni. Nel
primo caso, una chiazza circolare scura di terreno
concotto e bruciato, rinvenuta immediatamente a margine di una delle sepolture (T. 9), è stata interpretata
come traccia di pratiche legate alla ritualità funeraria 18; nel secondo, nello spazio risultante tra due inumazioni (TT. 62, 100), sono stati scavati i resti di un
focolare, forse legato anch’esso a particolari riti svolti
presso le sepolture 19.
Tornando alla cultura materiale, è possibile cogliere una differenziazione di genere nei corredi:
alla ricchezza dei manufatti deposti nelle sepolture
femminili (set di vasellame a decorazione subgeometrica, fibule in ambra, osso e avorio, pendenti in
ambra e altri oggetti d’ornamento bronzei), si contrappone una certa sobrietà dei corredi maschili, caratterizzati dalla cuspide di lancia e da pochi vasi
di accompagnamento, acromi o ad ingobbio rossobruno 20.
All’interno delle sepolture femminili, un elemento
di forte distinzione è costituito dal corredo della T. 49
(fig. 4), databile agli inizi del VI sec. a.C. Una certa
– strutture o nuclei funerari – da connettere a questo contesto,
hanno invece dimostrato l’isolamento di questa sepoltura rispetto
ad altre. Per cui la presenza del tumulo appare significativa della
volontà di distinguere questo contesto funerario con una cospicua
fascia di rispetto.
13
A Torre di Satriano, nell’area del santuario lucano, è stata
scavata una tomba arcaica che presentava a una quota decisamente più alta rispetto al corredo un’olla ad impasto, interpretabile come sema (Rituali per una dea, p. 21, fig. 9).
14
Cfr. M. Scalici, infra.
15
Cfr. R.A.E. Kok, infra.
16
Questi ultimi al momento risultano difficili da definire ulteriormente se non sulla base del genere delle singole inumazioni:
si potrebbero pertanto isolare due coppie (TT. 49-50, 54-55), più
una terza (TT. 51-56) ammesso che la T. 51, completamente spo-
liata del suo corredo e dei resti scheletrici già in antico, fosse stata
originariamente maschile.
17
A riguardo ved. La mort, les morts; W. Burkert, La religione
greca di epoca arcaica e classica, tr. it. Milano 2003, pp. 365370.
18
Ved. Bianco 1999, p. 385; M. Mancusi, L’esplorazione archeologica a Noepoli dagli anni ’60 al 1989, in Carta archeologica della valle del Sinni, Fascicolo 3: dalle colline di Noepoli ai
monti di Colobraro, Roma 2001, p. 273.
19
Russo Tagliente 1992-1993, p. 241.
20
Questo dato sembra riflettere una tendenza generalizzata nei
contesti funerari di età arcaica tesa a sottolineare il tradizionale
ruolo guerriero dei componenti maschi del gruppo, opposto al
ruolo delle donne rappresentato attraverso l’accumulo di beni preziosi, ved. Bottini 1986, pp. 174-175.
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Antonio Bruscella
Fig. 4. - Loc. Toppo S. Antonio. Corredo della T. 49.
ricercatezza si nota nella scelta dell’apparato decorativo di alcune forme ceramiche, prodotti delle migliori
botteghe presenti nel comprensorio nord-lucano. Inoltre compaiono reperti inconsueti per il sito di Baragiano: un’anforetta ad impasto di tradizione protostorica proveniente, molto probabilmente, dall’area
alto-ofantina, vicina a manufatti presenti a Cairano 21;
una fibula ad occhiali in avorio con i dischi decorati
da cerchi concentrici incisi con fascia mediana decorata a meandro. Deriva per la forma e per alcuni dettagli decorativi da modelli greco-peloponnesiaci 22 e
insulari 23; non sembra trovare alcun confronto puntuale per le dimensioni e la raffinatezza dell’ornato, in
ambito magnogreco 24, dove può essere accostata a un
Bailo Modesti 1980, p. 58, fig. 8, n. 58 (con discussione sul
tipo e sulle attestazioni anche in altri siti).
22
Cfr. R.M. Dawkins (a cura di), The Sanctuary of Artemis
Orthia at Sparta, London 1929, pp. 225-226, tavv. CXXXIICXXXIII.
23
Ch. Blinkenberg, Lindos. Fouilles de l’Acropole (1902-
1914). Les petits objets, Berlin 1931, pp. 90-91, tav. 9, nn. 133134.
24
Cfr. P.G. Guzzo et alii (a cura di), Antiche Genti d’Italia
(Catalogo della Mostra, Rimini), Roma 1994, p. 187, n. 41; M.L.
Nava, La donna indigena nell’età arcaica, in Ornamenti e lusso.
La donna nella Basilicata antica (Catalogo della Mostra, Roma),
Roma 2000, p. 16, fig. 9.
21
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La necropoli arcaica di loc. Toppo
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a Baragiano: un nuovo caso di studio
27
manufatto in avorio, proveniente dal sito di Francavilla Marittima 25.
Un “elemento di rottura” all’interno del nucleo A
sembra costituito anche dal servizio di vasi deposto
intorno alla defunta della T. 56 (figg. 5-6). È composto da un’olla acroma, contenente una brocchetta-attingitoio e disposta ai piedi, mentre ai due lati dello
scheletro si dispongono su due file parallele i vasi a
decorazione subgeometrica: cinque ollette cantaroidi, due ollette biconiche biansate, una brocca e
due askoi. Unica eccezione è costituita dalla coppa di
tradizione ionica di tipo B2, di produzione greco-coloniale, sistemata presso il torace. Si può sottolineare
come questa disposizione regolare del corredo vascolare possa indiziare la presenza di un’originaria
cassa lignea, testimoniata dal rinvenimento di alcuni
chiodi nello strato di riempimento e dal piano di deposizione perfettamente orizzontale della fossa. Sembra evidente il ricorrere di associazioni molto precise
fra i gruppi funzionali degli oggetti ceramici del corredo dove un ruolo fondamentale è svolto dalle ollette cantaroidi in associazione alla brocca, nel caso
specifico una brocchetta con ansa composita intrecciata, collocata in corrispondenza del capo della defunta.
Ad una trentina di metri ca. a nord-est del nucleo sepolcrale A, si trova un secondo nucleo (B),
con le sepolture femminili 61 e 63, anche queste
d’età arcaica (fig. 1). La prima (fig. 7) presenta, in
corrispondenza del capo della defunta, un’olletta
cantaroide associata a una brocchetta. Se il corredo
vascolare e lo scheletro risultano incompleti, assai
migliore si è rivelato lo stato di conservazione
degli oggetti d’ornamento, documentati da fibule
di ferro e bronzo, due delle quali di dimensioni ridotte.
La T. 63 ha restituito un ricco corredo vascolare
(fig. 8), databile negli anni a cavallo fra la fine del VI
e l’inizio del V sec. a.C. composto da forme per contenere (olle), versare (brocche, brocchette) e bere
(ollette cantaroidi e scodella). Le condizioni del terreno non hanno preservato alcun resto dello scheletro, la cui originaria posizione è stata ipotizzata sulla
base della distribuzione spaziale degli elementi del
corredo: in particolare l’olla con l’attingitoio deposti
in corrispondenza dei piedi e gli ornamenti, alcuni
grani e un pendente di ambra, rinvenuti all’altezza del
torace della defunta. Significativa la presenza di uno
spiedo di ferro, con terminazione a ricciolo, collocato
lungo il margine del taglio del lato breve sud della sepoltura 26.
L’esigenza di fornire un panorama completo e più
organico sulle dinamiche di occupazione nel sito di
Baragiano ha spinto ad indagare sistematicamente,
nella primavera del 2009, un ampio settore lungo il
pendio ovest e sud della collina.
Sono state individuate due capanne, a breve distanza l’una dall’altra (fig. 1), databili nel corso del VI
sec. a.C., coeve alla capanna 1 descritta in prece-
25
Ved. M.W. Stoop, Acropoli sulla Motta, «AttiMemMagnaGr» XV-XVII 1977, pp. 148-149, n. 17.
26
Sul significato di strumenti come gli spiedi e alari in contesti funerari femminili cfr. C. Kohler, Appunti sulla funzione di alari
e spiedi nelle società arcaiche dell’Italia centro-meridionale, in
Papers of the Fourth Conference of Italian Archaeology II. The
archaeology of power, 2 (London 1990), London 1991, p. 46, nn.
19-20. Manufatti legati all’hestia domestica che ricorrono anche in
tombe “emergenti” maschili potrebbero connotare il defunto come
soggetto preposto a garantire la continuità del lignaggio (B. d’Agostino, I principi dell’Italia centro-tirrenica in epoca orientalizzante,
in Princes de la Protohistoire, pp. 81-82).
Fig. 5. - Loc. Toppo S. Antonio. T. 56 in corso di scavo.
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Fig. 6. - Loc. Toppo S. Antonio. Corredo della T. 56.
Fig. 7. - Loc. Toppo S. Antonio. T. 61.
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a Baragiano: un nuovo caso di studio
29
Fig. 8. - Loc. Toppo S. Antonio. T. 63. Corredo vascolare.
denza. Si tratta nel primo caso (capanna 2) di una
struttura scavata direttamente nel banco di argilla con
una superficie di poco superiore a mq 10; la seconda
(capanna 3), di poco posteriore, ha una superficie valutabile intorno ai mq 15 ca. e presenta, su un lato,
uno zoccolo di pietra 27. Entrambe presentano un abside, secondo un modello che trova confronti in tutta
l’area della Lucania settentrionale, come pure nella
stessa Baragiano loc. Spinituro, dove è stato scavato
un edificio monumentale, caratterizzato da un muro
sul lato breve dal profilo curvilineo 28. L’analisi stratigrafica e lo studio preliminare dei materiali ceramici suggeriscono di inquadrare l’abbandono
definitivo di queste strutture (capanne 2 e 3) nei primi
decenni del V sec. a.C., come avviene anche per la
capanna 1.
Sono state portate alla luce quattro sepolture (TT.
64-67, figg. 9-10), due delle quali isolate, mentre le
restanti ubicate nei pressi della T. 37 (fig. 1), maschile
già edita, attribuibile a un guerriero di altissimo
rango, scavata negli anni ‘90 e databile alla prima
metà del VI sec. a.C. 29.
La scelta del sito non sembra casuale: l’area si
trova in uno dei punti con maggiore visibilità di
Toppo S. Antonio.
La prima sepoltura (T. 64), ubicata a nord-ovest
della 37, è databile nel corso della seconda metà del
V sec. a.C. Ha restituito un corredo piuttosto povero
costituito da cinque vasi a vernice nera, deposti in
corrispondenza del capo, e una coppa monoansata
frammentaria decorata a fasce in corrispondenza dei
piedi. Più ricco risulta il corredo della T. 65, posta immediatamente a nord-est e databile alla fine del VI
sec. a.C. Si tratta di una sepoltura di difficile interpretazione per ciò che riguarda il sesso dell’inumato,
non avendo effettuato analisi antropologiche sui resti
scheletrici. Se la deposizione sul fianco destro, le dimensioni dello scheletro e la grande olla quadriansata
monocroma lasciano ipotizzare una sepoltura maschile, il rinvenimento di una coppia di fermatrecce di
Un confronto per la tecnica costruttiva proviene dal sito di
Torre di Satriano, in particolare dall’area immediatamente a sud
rispetto a quella occupata dal santuario lucano: cfr. M. Osanna,
L’insediamento di Torre di Satriano tra età del bronzo e V sec.
a.C., in Rituali per una dea, p. 20, fig. 8.
28
Russo 2001, p. 15; 2008a, p. 35, fig. 10.
29
Russo 2001, p. 15; 2008b, pp. 34, 517-523.
27
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Fig. 9. - Loc. Toppo S. Antonio. TT. 64, 65, 66, 67 in corso di scavo.
argento, di pendenti in ambra rinvenuti in posizione
funzionale, in corrispondenza del collo, e di fibule di
ferro, non escludono del tutto la possibilità che si
tratti di una donna 30. Definiscono il rituale funerario
una brocchetta, associata a un’unica olletta cantaroide
sulla quale era stata impilata una coppa di tradizione
ionica B2, deposta in corrispondenza del capo del de-
funto, accanto a un’oinochoe trilobata a vernice
bruna.
Interessante risulta, infine, la tomba di neonato
(66) rinvenuta lungo il pendio meridionale, fra le ca30
M.L. Tardugno, infra; R. Colucci, infra, T. 1, c.da S. Francesco, fig. 12.
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La necropoli arcaica di loc. Toppo
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a Baragiano: un nuovo caso di studio
31
Fig. 10. - Loc. Toppo S. Antonio. TT. 65, 64, 66. Corredo vascolare.
panne 2 e 3. Si tratta di una sepoltura ad enchytrismos
della prima metà del VI sec. a.C. che utilizza un
grande vaso ad impasto per la deposizione, con l’imboccatura chiusa dal fondo di un grande pithos in argilla figulina. Come corredo di accompagno si
segnala un’unica brocchetta a decorazione subgeo-
metrica, secondo una consuetudine già attestata a Baragiano in loc. Le Destre (T. 30, prima metà del VI
sec. a.C.), dove tale contenitore è associato a una ciotola ad impasto 31, e in un contesto della fine del VI
31
Russo 2008b, p. 33, fig. 7.
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32
Antonio Bruscella
sec. a.C. a Oppido Lucano, dove la brocchetta si accompagna a una coppetta monoansata, mentre la
bocca del pithos era chiusa da un piatto 32.
Nella ricostruzione delle dinamiche di popolamento dell’abitato antico di Baragiano va sottolineato
il condizionamento esercitato dalla morfologia del
sito: a controllo delle principali vie di comunicazione
fin dalla Prima età del Ferro 33. Per la prima fase è
possibile ricostruire un insediamento costituito da
piccoli gruppi che occupano alcuni settori strategicamente rilevanti. La frequentazione in questo periodo
è attestata da alcuni frammenti ceramici rinvenuti in
giacitura secondaria nel riempimento del pozzo,
presso la capanna 1; in particolare, un’olletta biconica (fig. 2) con decorazione geometrica monocroma,
databile nella seconda metà dell’VIII sec. a.C. 34.
A queste tracce estremamente labili, alle quali
possiamo ora aggiungere alcuni manufatti provenienti da uno scavo inedito degli anni ’90 di un nucleo di capanne nell’attigua loc. Belvedere, non
siamo tuttavia ancora in grado di associare dati provenienti da contesti funerari riferibili a questo periodo 35. Non è possibile, dunque, ricostruire con sicurezza le dinamiche insediative precedenti al VI sec.
a.C. se non attraverso il confronto con realtà meglio
note come ad esempio quella di Torre di Satriano,
dove le attività di ricognizione e, da ultimo, la stratigrafia della grande residenza ad abside, hanno permesso di ipotizzare per l’VIII e il VII sec. a.C. una
disposizione dei nuclei abitativi sull’acropoli naturale e sui due plateaux alle sue pendici, in aree dominanti lungo le più importanti direttrici di transito
del comprensorio e meglio servite per ciò che concerne la gestione delle risorse idriche 36. Questo sembra essere stato il sistema insediativo nelle aree
indigene della Basilicata interna – si guardi per
esempio anche al caso di Vaglio con il pianoro sommitale dell’altura della Serra e il terrazzo della Ciscarella 37 –, ma anche di vaste aree della Puglia e
della Calabria.
Un quadro del tutto diverso è invece possibile ricostruire per l’età arcaica, quando si moltiplica la
base documentaria, disponendo di dati provenienti sia
dall’abitato che dai contesti funerari. In questo periodo assistiamo, parallelamente a quanto è stato appurato per altre località del sito antico di Baragiano,
a un’occupazione capillare di tutta la collina del
Toppo, sintomo di un progressivo incremento demografico e di una crescita economica verosimilmente
legata allo sfruttamento agricolo e pastorale, più intensivo rispetto al passato, e alla posizione centrale
di questo sito rispetto ai traffici terrestri 38.
L’abitato si struttura soprattutto lungo il versante
meridionale, in un settore al riparo dai venti di tramontana. La documentazione archeologica restituisce
l’immagine di un insediamento organizzato ora secondo una morfologia di tipo policentrico, per nuclei
sparsi di capanne alternate a gruppi di sepolture, non
sempre riconducibili direttamente a specifici gruppi di
riferimento per via dell’apparente isolamento con
estese fasce di rispetto utilizzate forse per l’allevamento, la coltura e altre attività produttive 39.
Si tratta di un modello insediativo che solitamente
destina gli spazi in piano alle strutture abitative, riservando quelli in pendio alle necropoli, secondo modalità di sfruttamento che rispondono essenzialmente
a logiche di ordine pratico.
32
Lissi Caronna 1972, pp. 514-516, figg. 30-33, T. 8 (fine VIinizi V sec. a.C.).
33
Russo 2008b, p. 34.
34
Per i prototipi e sul motivo decorativo presente sulla parte
inferiore della pancia ved. Yntema 1990, p. 154 sgg., in part. p.
156, fig. 138, n. 1, fig. 139, nn. 28-29; Herring 1998, pp. 73-75,
fig. 70, n. 1, figg. 72, 74.
35
Bruscella 2008b, p. 23, fig. 4. Tale intervento si deve al
Dott. Salvatore Pagliuca che qui si ringrazia per aver fornito informazioni su questi reperti confluiti nell’allestimento da lui
stesso curato nel 2008 dal titolo “Frammenti di storia” presso il
Museo Archeologico Nazionale di Muro Lucano.
36
M. Osanna, Torre di Satriano. Morfologia e struttura di un insediamento della Lucania nord-occidentale dall’età del ferro alla
conquista romana, in Felicitas temporum, pp. 153-154, fig. 4.
37
G. Greco, G. Soppelsa, Serra di Vaglio: il villaggio dell’Età
del Ferro, in Prima delle colonie, pp. 423-424.
38
Su questo argomento, che rappresenta un fenomeno generalizzato nel mondo indigeno italico, ved. in generale Bottini
1986. Tale dato ha trovato conferma nelle attività di ricognizione
di Torre di Satriano: Di Lieto et alii 2005, pp. 133-137; Osanna,
Serio 2009, pp. 92-94.
39
A. Bottini, Scavi e scoperte. Ripacandida, «SE» LII 1986,
pp. 480-481; Gli italici della mesogaia lucana ed il loro sistema
insediativo, in Il mondo enotrio, pp. 111-113; Tagliente 1999, pp.
398-400. Questo modello risulta particolarmente diffuso nel comprensorio territoriale nord-lucano come dimostra il caso di Torre
di Satriano (M. Osanna, Continuità e cesure nell’insediamento di
Torre di Satriano, in Torre di Satriano I, p. 56). Modalità insediative analoghe anche a Palinuro, dove gruppi sparsi di case si
distribuiscono lungo le pendici della collina della Tempa della
Guardia occupata nella parte sommitale da un nucleo più importante (E. Greco, Problemi topografici nel Vallo di Diano tra VI e
IV sec. a.C., in Vallo di Diano I, p. 134).
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Cruccas
a Baragiano: un nuovo caso di studio
33
Il dato di assoluto rilievo che emerge dalle ultime
indagini è la possibilità di stabilire, sulla collina di
Toppo S. Antonio, una sorta di quadro gerarchico
delle strutture capannicole. È evidente, infatti, come
la capanna 1, per dimensioni (mq 60 ca.), articolazione complessa degli spazi interni e, soprattutto, per
la posizione topografica vantaggiosa, al margine
della terrazza nel punto più elevato, emerga rispetto
le altre strutture. Non sembra impossibile ipotizzare
che questa differenziazione testimoni l’appartenenza
della capanna 1 a un personaggio o a un nucleo familiare al vertice della comunità insediata sul Toppo.
Se le dimensioni e la posizione di controllo di questa struttura fanno pensare alla presenza di un nucleo
familiare con “funzioni di comando”, o dotato semplicemente di maggiore prestigio rispetto agli altri,
non altrettanto si evince dall’analisi dei manufatti
rinvenuti all’interno di queste strutture, in particolar
modo la ceramica fine subgeometrica, il cui repertorio morfologico e decorativo risulta omogeneo per
i tre contesti 40.
Riguardo la documentazione funeraria non è
possibile al momento proporre ricostruzioni definitive per il carattere parziale dell’indagine. Non è
quindi da escludere che le superfici indagate siano
solo una parte di un’area più vasta. Ciò nonostante,
sulla base delle attestazioni disponibili, è ben visibile la posizione preminente di alcuni settori dove si
concentrano più sepolture, a confronto di altri dove
le attestazione sono più rare o del tutto assenti 41.
Abbiamo già avuto modo di porre l’attenzione sul
nucleo A, gruppo ben definito di sepolture 42, e su
quello C composto da almeno tre tombe di inumati
(37, 64, 65), che si dispongono su un arco cronologico di quasi due secoli, dagli inizi del VI alla fine
del V sec. a.C.
Se la creazione del nucleo A sottintende una volontà precisa di “autorappresentazione” di un gruppo
parentelare che si esaurisce nel volgere di un secolo,
per il gruppo C, data la forte diacronia, non è lecito
supporre che le tombe che lo compongono apparten-
gano ad individui legati da lignaggi. La loro vicinanza
potrebbe avere semplici ragioni di ordine pratico:
l’area, infatti, per caratteristiche geomorfologiche si
presta molto bene a ospitare sepolture.
L’impossibilità di disporre, al momento, di un dato
quantitativo definitivo non consente di tracciare un
quadro complessivo puntuale sulla composizione del
gruppo sociale insediato sulla terrazza sommitale e
lungo i pendii della collina di Toppo Sant’Antonio 43.
Tuttavia la lettura comparata delle evidenze dell’abitato, che come abbiamo visto presuppongono quasi
una strutturazione gerarchica, e la composizione dei
corredi funerari messi in luce, unitamente a quelli
provenienti da aree finitime, consentono di delineare
il quadro di una società segmentata in uno o più
gruppi gentilizi emergenti, dove un ruolo predominante è affidato alla figura maschile del guerriero,
protettore e allo stesso tempo garante della continuità
della comunità 44. La T. 37, ubicata proprio a margine
della collina del Toppo, con il corredo metallico costituito da armi di difesa e offesa, diventa quasi paradigmatica in questo senso, testimoniando, già per
l’inizio del VI sec. a.C., quando la comunità avvia un
processo di maturazione sul piano della strutturazione
interna, il contatto con realtà più evolute. Questo fattore accelera, anche in quest’area della mesogaia italica, processi di mutamento strutturali portando
all’emergere di élites, riconoscibili attraverso il particolare costume funerario adottato.
Non è possibile chiarire ulteriormente la natura sociale e l’effettivo peso della diseguaglianza evidenziata dai corredi di alcune tombe, in particolare se
quest’ultima sia o meno il riflesso dell’articolazione
orizzontale dei gruppi insediati a Baragiano.
Ciò che si evince con certezza dall’analisi di alcuni materiali dei corredi, è la partecipazione attiva
di questa comunità ai traffici commerciali che si istaurano fra i Greci e gli Etruschi della fascia tirrenica,
come pure con le popolazioni indigene del Vallo di
Diano, della Basilicata e con le colonie della costa ionica 45. Risulta verosimile ritenere, per tutto il periodo
40
Diversamente da quanto constatato a Torre di Satriano, ved.
Osanna 2009, pp. 94-96.
41
Una situazione analoga è stata evidenziata a Ruvo del
Monte, ved. Bottini 1979, p. 80, fig. 47.
42
Questo dato è stato confermato anche dalle ultime indagini
che hanno escluso la presenza di altre tombe a sud, oltre la palizzata lignea di recinzione dell’Archeoparco.
43
Interrogativi senza risposta restano anche quelli relativi alla
distribuzione e alla dimensione dell’abitato presente sulla collina
del Toppo, come pure il suo rapporto rispetto agli altri nuclei di
abitato presenti a Baragiano in termini di dimensioni, densità delle
strutture, pressione demografica.
44
Un tentativo di ricostruzione dell’articolazione sociale di
queste comunità arcaiche stanziate in area nord-lucana è in
Osanna, Serio 2009, pp. 97-98.
45
In generale sui processi di permeabilità verso l’esterno e sui
traffici a corto, medio e lungo raggio che interessano i maggiori
centri dell’area nord-lucana ved. Di Lieto 2008, pp. 94-96.
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34
Antonio Bruscella
arcaico, che il sito di Baragiano rivesta un ruolo preminente di interconnessione commerciale e di redistribuzione di beni nell’ambito dei percorsi strategici
più agevoli di collegamento tra le aree costiere dello
Ionio e del Tirreno meridionale, come pure il basso
Adriatico. Con i materiali viaggiano anche una serie
di aspetti culturali, tra cui l’adesione a modelli di
comportamento mediati direttamente dal contatto con
il mondo greco ed etrusco. Nella ritualità funeraria fa
il suo ingresso un nuovo elemento: il vino che diviene
elemento ricorrente all’interno dei contesti funerari 46.
L’approccio a tale sostanza liquida si traduce nella
volontà di esibire, da parte dei gruppi dominanti, accanto al consumo delle carni arrostite. Tale volontà
si traduce nella costante presenza di vasi potori, all’interno del corredo di accompagnamento, disposti
secondo una precisa logica di associazioni funzionali
che trova nel binomio brocchetta-olletta cantaroide
l’attestazione più ricorrente.
Alla fine del VI sec. a.C., una serie di trasformazioni che al momento non possiamo meglio definire,
forse dovute al ridimensionamento degli scambi rispetto al passato, concorrono ad un processo di “involuzione” del corpo sociale insediato a Baragiano.
Profondi cambiamenti sono percepibili attraverso la
rarefazione dei dati e l’impoverimento della cultura
materiale. Non si tratta però di una realtà generalizzata, come è attestato dalla T. 35 con il suo eccezionale corredo vascolare e metallico, che occupa, in loc.
SS. Concezione, un settore eminente dal punto di
vista altimetrico e topografico e che si data proprio
in questo periodo 47.
Sulla collina del Toppo, area eccentrica rispetto ad
altri settori dell’insediamento, come le loc. Belvedere,
Spinituro e SS. Concezione, si assiste alla contrazione
dei nuclei funerari cui fa riscontro l’assenza di attestazioni in alcune aree, privilegiate durante il precedente periodo 48. Gli stessi corredi risultano adesso
improntati a una certa sobrietà e semplificazione, con
poche forme vascolari, scarsamente articolate nella
composizione e spesso iterate 49.
L’esito dell’arrivo della compagine lucana, o meglio
il processo che prelude all’affermarsi di questo ethnos
in Basilicata sullo scorcio del V sec. a.C., ancora poco
evidente sul piano della documentazione archeologica,
provoca ulteriori trasformazioni che influiranno secondo modalità differenti rispetto al periodo precedente 50. Non è chiaro il rapporto con il precedente
mondo arcaico: se vi sia stato un periodo di cesura, o
se la nuova compagine si sia innestata sull’ultima “propaggine insediativa” arcaica, in continuità con una realtà ormai in declino, poco percepibile a livello archeologico, in un periodo compreso fra il secondo
quarto e lo scorcio del V sec. a.C. Sulla collina di
Toppo S. Antonio l’esito di queste trasformazioni, che
vanno valutate nella lunga durata e non come rapido
momento di svolta, si traduce verso la fine del V sec.
a.C. nell’impianto di alcuni edifici in muratura ubicati
lungo i pendii meridionale e settentrionale della collina,
in sostituzione del più antico “villaggio” di capanne 51.
Al momento non sono attestate sovrapposizioni né rimozioni dei resti delle precedenti capanne per far posto alle nuove costruzioni. Queste, a parte l’edificio che
si impianta sul nucleo A di sepolture arcaiche 52, vanno
Bottini 1986, p. 203.
Su questo contesto funerario ved. M. Tagliente, Il mondo
indigeno della Basilicata in età arcaica. Realtà a confronto e
prospettive di ricerca, in M. Barra Bagnasco et alii (a cura di),
Magna Grecia e Sicilia. Stato degli studi e prospettive di ricerca
(Atti dell’Incontro di Studi di Messina, 2-4 dicembre 1996), Catanzaro 1999, p. 17; Russo 2001, p. 15; 2002; 2008b, pp. 35-37;
2009.
48
Il calo delle attestazioni, se non è da imputare alla frammentarietà della ricerca o alla distribuzione dei contesti, potrebbe
essere spiegato con un decremento demografico dovuto a processi di involuzione interna oppure, in maniera però meno convincente per il sito indigeno di Baragiano, ad un cambiamento
nelle pratiche funerarie, nel corso della fine del VI e dei primi
tre quarti del V sec. a.C. In Grecia, in particolare per l’Attica e
Atene, sono stati condotti importanti studi volti ad analizzare i
dati desunti attraverso l’indagine stratigrafica con la ricostruzione
della reale composizione della popolazione. In alcuni casi la flessione nel numero delle sepolture è stata spiegata con l’esclusione
dalla pratica della “sepoltura formale” di una parte della comunità. Su questi argomenti ved. in generale Morris 1987.
Su questo fenomeno, generalizzato in tutti i siti della Basilicata centro-settentrionale, ved. Bottini 1986, pp. 235-236.
50
La ricerca archeologica non consente ancora di cogliere con
chiarezza la portata e gli esiti di questa trasformazione; risulta
difficile stabilire se a Baragiano ci si trovi di fronte a una brusca
rottura o a una progressiva integrazione basata sulla pacifica convivenza; traspare comunque la crisi irreversibile di un mondo
contrassegnato da una forte impronta conservatrice nei confronti
dell’emergere di un nuovo assetto determinatosi con l’arrivo di
una popolazione di stirpe osco-sabellica (su questi temi ved. Bottini 1979, pp. 83-84; A. Greco Pontrandolfo, I Lucani. Etnografia e archeologia di una regione antica, Milano 1982; Etnogenesi
ed emergenza di una comunità italica. I Lucani, in Storia della
Calabria antica. Età italica e romana, Roma 1994, pp. 141-190,
in part. pp. 142-143). In riferimento al cantone territoriale enotrio
ved. ora M. Lombardo, Greci, Enotri e Lucani nella Basilicata
meridionale tra l’VIII e il III sec. a.C.: aspetti e momenti dei processi storici, in Greci, Enotri e Lucani, pp. 22-23; Enotri e Lucani: continuità e discontinuità, in Il mondo enotrio, pp. 329-343.
51
Bruscella 2008a, pp. 92-94, figg. 7-8; pp. 101-102, figg. 16-17.
52
Bruscella 2008a, figg. 2-3.
46
47
49
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La necropoli arcaica di loc. Toppo
Emiliano
S. Antonio
Cruccas
a Baragiano: un nuovo caso di studio
35
in genere a interessare settori della collina assolutamente estranei alle precedenti frequentazioni 53. Quello
che si riesce a percepire è, dunque, un insediamento costituito da più unità abitative realizzate con tecniche costruttive completamente nuove e distribuite secondo
una maglia più regolare, a distanze che non superano
quasi mai i cento metri e che non predilige un versante
solo della collina, come nel periodo arcaico. Sorti quasi
contemporaneamente sullo scorcio del V sec. a.C.,
questi edifici presentano un periodo di utilizzo che, con
leggere variazioni, si spinge fino agli anni a cavallo tra
la fine del IV e i primi decenni del III sec. a.C. 54.
Sul piano della documentazione funeraria, l’attestazione del ricco corredo femminile della T. 57, alla
quale va ora aggiunta la T. 64, entrambe della fine del
V sec. a.C., costituisce la traccia concreta dell’esaurirsi dei nuclei sepolcrali precedenti e il sintomo di
una nuova ridefinizione degli spazi sepolcrali. Questa tomba monumentale, il cui carattere eccezionale
è dimostrato dalla presenza del lebete bronzeo tripode
in associazione con gli spiedi e dell’hydria figurata
con tutto il set di lekythoi, sembrerebbe costituire la
testimonianza di un’osmosi culturale con il costume
funerario di tipo greco di parte della comunità che
commemora la sua nobile antenata con un sacrificio
animale, un grosso mammifero attestato dal rinvenimento di alcune ossa e numerosi denti 55. Siamo di
fronte, in questa fase, a un’organizzazione sociale più
aperta, meno “cantonale” di quella precedente, che si
va lentamente trasformando e rinnovando in relazione
alla nuova compagine etnica dominante, ma della
quale non conosciamo ancora l’articolazione dei
gruppi elitari, per mancanza di evidenze.
La sepoltura 57, quindi, in attesa di ulteriori dati
sul costume funerario dell’area negli anni a cavallo
fra il V e il IV sec. a.C., potrebbe collocarsi in un momento di passaggio, in cui il potere viene lentamente
acquisito e legittimato dall’ethnos lucano sulle popolazioni locali 56, ma che conserva ancora, almeno sul
piano delle consuetudini funerarie, degli elementi di
continuità con la fase precedente, se è lecito leggere
nella posizione rannicchiata della defunta una “concessione” alla vecchia tradizione delle popolazioni
nord-lucane 57.
53
Lo stesso non accade, nel comprensorio territoriale nordlucano, a Serra di Vaglio, dove sull’area occupata dalle capanne
di VIII sec. a.C. si impianteranno le strutture in muratura dell’abitato lucano (Greco 1991, pp. 15-17, figg. 41, 43; p. 57, fig.
123). Un fenomeno analogo riguarda anche il sito di Oppido Lucano dove una capanna arcaica viene tagliata da un muro in ciottoli pertinente a una abitazione databile al IV-III sec. a.C. (E.
Lissi Caronna, Oppido Lucano (Potenza). Rapporto preliminare
sulla quarta campagna di scavo (1970). Materiale archeologico
rinvenuto nel territorio del Comune, «NSc» I-II, 1990-1991, pp.
298-299, figg. 124-125).
54
Conferma archeologica sarebbe l’abbandono sulla collina
del Toppo dell’edificio ubicato lungo il versante settentrionale del pendio (Bruscella 2008b, p. 35). La stessa situazione
è stata registrata anche in altri settori dell’abitato, in particolare
nello scavo del 2007 nell’area dell’attuale Cimitero, occupata
da un nucleo di necropoli di VI e V sec. a.C. e interessata da una
stratigrafia costituita da una serie di livelli di colluvio, con all’interno materiale ceramico di IV sec. a.C., riferibili molto pro-
babilmente alla distruzione di una struttura monumentale ubicata più a monte, nell’area recintata del vecchio cimitero. Nel
primo quarto del III sec. a.C. un evento traumatico, bellico o naturale, che ha segnato una netta cesura nell’occupazione di
questo sito.
55
Cfr. Bruscella 2008a, p. 98.
56
A. Russo, analizzando l’apparato figurativo presente sul
vaso principale del corredo, un’hydria a figure rosse di produzione coloniale ascrivibile alla cerchia della bottega del pittore di
Pisticci-Amykos, ha sottolineato come le scene, alludendo a
scambi di doni nunziali, siano un velato riferimento al processo
di incontro e integrazione fra l’elemento autoctono e allogeno,
potendo alludere in particolare «al matrimonio come forma di cooptazione di individui allogeni all’interno delle comunità autoctone» (Russo 2008c, pp. 112-113).
57
Nel comprensorio territoriale del Marmo-Platano, ancora
nel IV sec. a.C., persiste il costume funerario con la deposizione
del defunto in posizione rannicchiata su di un fianco, ved. Russo
2001, pp. 15-16.
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Siris 10,2009, 37-51
Ruvo del Monte. La necropoli in loc. S. Antonio.
Nuovi dati e prospettive di ricerca*
di Michele Scalici
Il sito di Ruvo del Monte si trova a circa 20 km,
in linea d’aria, a sud-ovest del moderno centro di
Melfi 1. La posizione rivela immediatamente il valore strategico dell’insediamento: un rilievo, di entità
relativamente modesta (m 720 s.l.m.), dominante un
sistema di due valli, attraversate da torrenti a carattere stagionale (“Liento” a nord-ovest e “Bradano” ad
est), che creano una cerniera tra l’alto corso dell’Ofanto e la fiumara di Atella, accesso principale all’area potentina ed alle alte valli del Bradano e del
Basento, naturali vie di collegamento verso la costa
ionica. Il fiume Ofanto ha sempre costituito un percorso altrettanto importante tra Adriatico meridionale e basso Tirreno e, ancora oggi, la sua valle si caratterizza come linea di demarcazione tra il territorio
irpino e quello lucano. In corrispondenza dell’insediamento cui fa capo la necropoli di S. Antonio doveva esistere, in antico, un punto di transito controllato a sud dalla stessa Ruvo e, sul lato opposto, dall’insediamento di Calitri 2.
Il sito, segnalato nel 1976 dal “Gruppo Archeologico Lucano”, è stato oggetto, dall’anno successivo,
di indagini da parte della Soprintendenza Archeologica della Basilicata. Il settore di necropoli individuato sul pianoro orientale e sulle prime pendici della
collina che sovrasta il paese moderno, prende il nome
dalla chiesa e dal rudere del convento che occupano
la parte più elevata della stessa altura. Rinvenimenti
occasionali effettuati in vari punti del piano indicherebbero la presenza di insediamenti sparsi sulla stessa collina e su quelle circostanti. Lo scavo ha consentito di portare alla luce circa 160 sepolture attribuibili ad un periodo compreso tra la fine del VII e
l’inizio del IV sec. a.C. 3. L’area sottoposta ad indagine è stata suddivisa, per praticità, in tre diversi settori: il primo, indagato tra il 1977 ed il 1980, riguarda
il 46% dei contesti totali; ai rimanenti appartengono
rispettivamente il 24% ed il 30% del totale delle
tombe, scavati nel 1983 e nel 1989 (fig. 1).
Nella seriazione cronologica delle sepolture di
Ruvo, A. Bottini aveva distinto tre gruppi fondamentali (A, B, C) caratterizzati, rispettivamente, dalla
presenza di coppe di tradizione corinzia o ionica, assimilabili al tipo B1 della classificazione Vallet-Vil-
* Mi preme ringraziare il prof. M. Osanna per l’interesse e la
partecipazione con cui, fin dall’inizio, ha seguito la mia ricerca;
il prof. A. Bottini per avermi concesso la possibilità di studiare i
contesti di Ruvo del Monte mettendo a mia disposizione la documentazione degli scavi, suoi e del dott. I. Rainini; la dott.ssa R.
Ciriello e tutto lo staff del Museo Nazionale del Melfese per la
cordialità con la quale hanno reso più leggero il mio lavoro; N.
Figliuolo e tutto il personale del laboratorio fotografico di Potenza per l’impegno e la professionalità; i colleghi R.A.E. Kok,
A. Mancini, M. Di Lieto e A. Lepone perché il confronto con loro
ha arricchito me e la mia ricerca. Infine vorrei ringraziare tutti
coloro che, a vario titolo, hanno contribuito alla realizzazione di
questo lavoro. Le figg. 8-10 vengono pubblicate per gentile concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Direzione Regionale per i Beni Culturali della Basilicata –
Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata.
1
A. Bottini, Scavi e scoperte. Ruvo del Monte, «StEtr» XLVI
1978, pp. 551-552; Scavi e ricerche nel Melfese, in Atti Taranto
XIX 1979, pp. 418-422; Bottini 1979; 1981; R. Ciriello, DANIMS, 6. Necropoli di Ruvo del Monte, in J. de La Genière, G.
Nenci, Documentazione analitica delle necropoli dell’Italia meridionale e della Sicilia, «AnnPisa» XVI 1986, pp. 1067-1074; A.
Bottini, s.v. Ruvo del Monte, BTICG XVII (2001), pp. 155-157.
2
Bottini 1980a; 1980b; Il Melfese fra VII e V sec. a.C.,
«DialA» VI 1982, pp. 152-160; Bottini 1989; I popoli apulo-lucani, in Crise et transformation des sociétés archaïques de l’Italie antique au Ve siècle av. J.C. (Actes de la table ronde, Rome
19-21 novembre 1987), Roma 1990, pp. 155-163; Identità e confini etnico-culturali. L’Italia meridionale, Atti Taranto XXXVII
1997, pp. 307-326; Gli indigeni nel V secolo, in Storia della Basilicata, pp. 419-453; Di Lieto 2008.
3
I risultati presentati si basano, oltre che su 27 corredi editi
(Bottini 1981), anche su 83 contesti funerari oggetto di una tesi di
Specializzazione, dal titolo “Ruvo Del Monte. La necropoli in località S. Antonio. Campagne di scavo 1978-1983”, discussa da
chi scrive, nel maggio del 2008, presso la Scuola di Specializzazione in Archeologia di Matera, Università degli Studi della Basilicata, relatore prof. M. Osanna, correlatori dott.ssa R. Ciriello
e prof. M. Bettelli. Alcuni dei contesti presi in esame saranno editi
in un volume sull’area Melfese di prossima pubblicazione. I corredi delle tombe 36 e 70 sono stati presentati alla mostra “Principi ed Eroi della Basilicata Antica. Immagini e segni del potere
tra VII e VI secolo a.C.” (Potenza, Museo Archeologico Nazionale “Dinu Adamesteanu”). Una breve sintesi si trova in M. Scalici, Antichi Signori di Ruvo del Monte, «inArte» VI, 2 2010, pp.
8-9.
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Fig. 1. - In alto: pianta del sito con indicazione delle aree di scavo; in basso: area di scavo del 1983 (elaborazione M. Scalici).
lard; di tradizione ionica tipo B2; di tradizione attica
tipo C della classificazione Blösch 4. Mantenendo
pressoché inalterata la cronologia dei primi due,
viene qui offerta una ulteriore articolazione all’interno dell’ultimo gruppo, basata sui risultati degli scavi
più recenti e sulla maggiore disponibilità di strumenti diagnostici quali la sintassi decorativa presente
nella locale produzione matt-painted (fig. 2) 5. Le
tombe arcaiche sembrano occupare in massima parte
il settore di scavo degli anni 1977-80: il 55% è assegnabile ai gruppi A e B mentre tra la prima e la seconda metà del V sec. a.C. vi sono attestazioni, ri-
spettivamente, del 20 e 14%. La situazione è totalmente ribaltata nel settore indagato nel 1983 dove le
sepolture arcaiche rappresentano solo il 32% a fronte del 66% di quelle di V sec. La cronologia del terzo
settore è ancora in corso di definizione. Pertanto sembra si possa ipotizzare una stratigrafia orizzontale
con le tombe più antiche che occupano la parte orien-
Bottini 1981, pp. 285-288, tabella a p. 283.
Gli asterischi indicano i contesti intermedi tra due gruppi o
la cui attribuzione non è completamente certa.
4
5
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Ruvo del Monte. La necropoli in Emiliano
loc. S. Antonio.
Cruccas
Nuovi dati e prospettive di ricerca
39
Fig. 2. - Articolazione della sequenza cronologica (elaborazione M. Scalici).
tale del pianoro e un progressivo ampliamento verso
ovest nel corso del V sec.
Le tombe di Ruvo sono quasi esclusivamente
monosome, a fossa rettangolare, scavate nel banco
naturale. Gli individui inumati sembrano essere
identificabili come persone adulte o in età giovanile; nessuna deposizione è riconducibile con sicurezza a neonati. All’interno della fossa il defunto
era disposto in posizione rannicchiata su un fianco,
destro o sinistro 6. L’orientamento della fossa sembra non aver avuto un significato rituale specifico
ma appare piuttosto dettato da preesistenze. Il più
antico nucleo di tombe conosciuto si dispone attorno ad una coppia di sepolture, maschile e femmini-
le, in posizione preminente 7 (fig. 3). A questo gruppo, presumibilmente parentelare, fa riscontro un secondo, all’interno del quale non sembrano esservi
sepolture emergenti 8. Una tomba isolata si colloca a
metà di un probabile asse viario posto tra i due nuclei sepolcrali 9. Altre due deposizioni sono disposte
lungo un ulteriore percorso che conduce, verso
nord, ad un terzo nucleo 10.
Le tombe del gruppo A sono databili, grossomodo, tra la fine del VII sec. ed il 580/560 a.C. per la
presenza, in alcuni corredi, di coppe di tradizione
ionica o corinzia ma di probabile produzione coloniale 11 (fig. 4). Dati più incerti sono desumibili
dalla cronologia di altri reperti quali una coppia di
Il termine “rannicchiato” non è sempre corretto: a fronte
di alcuni casi in cui il defunto era deposto su un fianco in posizione fetale, nella maggioranza dei contesti la colonna vertebrale risultava diritta e le scapole perfettamente appoggiate
in piano; la testa leggermente inclinata di tre quarti; le gambe
iperflesse verso il bacino; le braccia distese lungo il corpo con
le mani appoggiate sopra il ventre, spesso trattenenti un oggetto, cfr. M.L. Tardugno infra. Infine la differente inclinazione di testa e gambe, come è stato dimostrato per il sito di
Baragiano, potrebbe segnalare il sesso dell’individuo, cfr. Bruscella 2008b.
7
Si tratta delle tombe 62, maschile, e 52, femminile, in prossimità delle quali si aggiungono le sepolture 54 e 56, femminili,
55, maschile, e 34, per la quale non è determinabile il sesso; poco
più distante la T. 21, Bottini 1981, pp. 245-246, figg. 45-47.
8
Si tratta delle TT. 2, 4 e 6, Bottini 1981, pp. 219-220, 223,
figg. 9-12, 15-16.
9
T. 18, Bottini 1981, pp. 240-241, figg. 38-41.
10
Si tratta delle TT. 23, 41, 44, 45, 51 e 73, Bottini 1981, p.
247, fig. 50. La T. 51 sembrerebbe avere uno status “emergente”.
11
T. 55, inv. 112730; T. 56, inv. 112738; T. 62, inv. 112809;
Bottini 1981, p. 223, figg. 15-16, T. 6/36; p. 241, figg. 38, 40, T.
18/142; p. 246, fig. 46, T. 21/166; Greco 1991 pp. 21, 23, figg. 54,
56, 61, T. 31/118; Di Zanni 1997, pp. 247-253, tav. LXIV.
6
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Michele Scalici
Fig. 3. - Area di scavo 1977-80: distribuzione delle sepolture nelle varie fasi cronologiche (elaborazione M. Scalici).
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Ruvo del Monte. La necropoli in Emiliano
loc. S. Antonio.
Cruccas
Nuovi dati e prospettive di ricerca
41
orecchini decorati “a tacche” 12 ed una anforetta “ad
anse complesse” della cultura di Oliveto Citra - Cairano 13. Caratteristici di questa fase sono gli attingitoi, di piccole dimensioni, di produzione locale o coloniale 14. Elementi ricorrenti sono le olle, di grandi
dimensioni, acrome o monocrome in rosso-bruno 15,
mentre, contrariamente alle fasi successive, il cantaroide è attestato in esemplari singoli, di piccolo modulo, all’interno di sepolture maschili 16 . Queste
sono contraddistinte dalla presenza di armi: notevole il corredo metallico della T. 62 comprendente una
spada, una punta di lancia, un coltello in ferro e
parte di un secondo, completata da uno schiniere destro in bronzo 17. Elemento distintivo era certamente
il bacile ad orlo perlinato della T. 51, così come i
frammenti di spiedo attestati nelle sole deposizioni
maschili 18 . Oggetti di ornamento personale sono
presenti indipendentemente dal sesso ma, in numero
maggiore, nelle sepolture femminili: una vera e propria parure proviene dalla T. 52 con fibule in ferro o
rivestite in ambra, collana in vetro e ambra, due
orecchini, due bracciali, saltaleone e un vago in
bronzo 19.
Nella fase successiva, databile tra il 580/560 e la
fine del VI sec., quattro grandi fosse 20 occupano
un’area centrale tra i due nuclei sepolcrali più antichi mentre gruppi di fosse più piccole si dispongono a nord ed a sud di questa 21 (figg. 3, 8). Un secondo gruppo di tombe si estende invece lungo l’altro ipotetico percorso alto arcaico. Tra queste, una
12
Orecchini anulari a capi aperti con sezione subcircolare e
decorazione esterna continua a tacche o ovuli, dalla T. 52, invv.
112685-6, un tipo non particolarmente caratterizzato che, per la
forma e le dimensioni, potrebbe aver avuto funzione di anello o
di orecchino. Piuttosto simili, anche se la verga è più sottile, due
anelli dalla T. 85 di Lavello da una sepoltura femminile del
primo quarto del VI a.C., Forentum I, p. 261, tav. 49.13, tipo 3.
Precisi confronti vengono dalla tomba 207 di S. Stefano di Buccino dell’ultimo terzo del VI (Johannowsky 1985, pp. 116-123,
fig. 32, nn. 10 e 16) e dalla necropoli di Conza, loc. Fonnone
(M. Barbera, Compsa e l’alta valle dell’Ofanto. Contributi per
una carta archeologica dell’Irpinia, Roma 2004, pp. 29, 33, fig.
23, T. 1/6, orecchini anulari tipo Conza VIII, datati 625-590
a.C.). Infine un esemplare singolo proviene da una sepoltura di
Oratino in Molise, G. Tarasco, Una tomba preromana dal centro storico di Oratino, «Conoscenze» 2005, pp. 98-99, fig. 4,
inv. 57984.
13
Anforetta ad anse complesse a profilo articolato in un colletto leggermente svasato, ventre sferico-schiacciato con la massima espansione a metà dell’altezza, fondo piano. Anse a doppio
bastoncello con attacco superiore sotto l’orlo, sormontato da
una linguetta rettangolare a contorno superiore insellato, dalla T.
52, inv. 112684. Rientra nel tipo B2 di Oliveto Citra, D’Agostino 1964, pp. 42-43, fig. 3; corrispondente alla forma 57 di
Cairano, Bailo Modesti 1980, pp. 55-56, tav. 8. Elemento guida
della cultura di Oliveto Citra-Cairano, questa forma è attestata
dalla fine dell’VIII a tutto il VI sec. a.C. Fuori dei centri Irpini
è abbastanza diffusa in Campania (soprattutto a Pontecagnano
e altri siti della Piana del Sele ma anche nella Valle del Sarno,
cfr. Bailo Modesti 1980, p. 56, note 321-324), nel melfese (dalla
necropoli in loc. Pisciolo, TT. 31 e 69; da Lavello, Bottini 1982,
p. 66, n. 30, fig. 12, tav. IX, T. 279;), in Daunia (Tinè Bertocchi 1985, Ascoli Satriano, p. 40, figg. 35-36, T. 5/5; p. 44, figg.
47-48, T. 58/4,) ed in area bradanica (F.G. Lo Porto, La Preistoria del Materano alla luce delle ultime ricerche, Atti della
XX Riunione Scientifica Internazionale I.P.P., Firenze 1978, p.
290, fig. 14.4).
14
Breve orlo estroflesso, corpo tondeggiante o ovoide, fondo
piano, ansa verticale sormontante a bastoncello o a nastro. Interamente dipinto con vernice rossa o nera degradante in rosso; labbro interno verniciato, fondo risparmiato, T. 52, inv. 112724; T.
54, inv. 112727; T. 62, inv. 112807; inoltre Bottini 1981, p. 241,
figg. 38, 40, T. 18/143; p. 246, figg. 46-47, T. 21/167. Esemplari
simili sono stati rinvenuti in numerosi siti dell’Italia meridionale.
Secondo J. de La Geniére, che ne presuppone l’origine da un prototipo metallico, tali prodotti vanno inseriti in un ambito di provenienza coloniale (La Genière 1968, p. 190); Bottini propone
come più probabile l’origine sirite (Bottini 1981, p. 198, nota 79);
per Osanna la diffusione si concentra, nel melfese, nei primi tre
quarti del VI sec. a.C. (Forentum I, p. 155, tipo 1); infine per la
Di Zanni l’area di produzione andrebbe ricercata nel metapontino poiché la zona maggiormente interessata sembrerebbe essere
stata quella del basso Bradano-Murge, con i centri di Matera, Miglionico, Montescaglioso, Pisticci e Timmari, dai quali, attraverso
le valli del Bradano e del Basento, si poteva raggiungere l’area
nord-lucana, considerata punto di smistamento di queste ceramiche verso la Daunia, da una parte, e il Vallo di Diano dall’altra (Di
Zanni 1997, pp. 250-251).
15
Dalla T. 52 un unico individuo con orlo diagonale e anse
orizzontali, inv. 112683; due individui dalle T. 51 (invv. 1101689) e 62 (invv. 112806, 112813); inoltre, Bottini 1981, p. 219, fig.
10, T. 2/22; p. 220, fig. 12, T. 4/26; p. 223, figg. 15-16, T. 6/3738; p. 241, fig. 41, T. 18/144; p. 246, fig. 47, T. 21/169. Alcuni
esemplari monocromi sono affini alla forma 72 della classificazione Bailo Modesti e, pertanto, potrebbero provenire dall’area
culturale Oliveto Citra-Cairano, Bailo Modesti 1980, pp. 64-66,
tav. 9.
16
T. 51, inv. 110170; T. 55, inv. 112729; T. 62, 112810; inoltre, Bottini 1981, p. 219, figg. 10-11, T. 2/21; p. 220, fig. 12, T.
4/26; p. 223, figg. 15-16, T. 6/31-34; p. 241, figg. 38-39, T.
18/141; p. 246, fig. 47, T. 21/165.
17
T. 62, spada, invv. 112817, 112814; cuspide di lancia, inv.
112819; schiniere, invv. 112820-112822; coltelli, invv. 112815112816.
18
Bacino ad orlo perlinato (inv. 110174) tipo B1 della classificazione Bottini (Bottini, Tagliente 1993, p. 515; = tipo B di
D’Agostino 1977, pp. 25-26). Frammenti di spiedi: T. 51, inv.
110172; T. 62, inv. 112818; inoltre Bottini 1981, p. 241, fig. 25,
T. 18/150.
19
Collana, invv. 112692-112696; frr. di fibule in ferro e ambra,
inv. 112697; orecchini, inv. 112685-112686; bracciali, inv.
112690-112691; saltaleone, inv. 112689; vago in bronzo, inv.
112687.
20
Si tratta delle TT. 25, 26, 29 e 30, Bottini 1981, pp. 186-187,
259-266, 270-281.
21
TT. 58, 60 e forse 61 a nord-est; 1-3, 5, 7-9, 12-13, a sudovest; Bottini 1981, pp. 214-237.
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Michele Scalici
Fig. 4. - Evoluzione tipologica e decorativa delle principali forme ceramiche attestate (elaborazione M. Scalici).
sepoltura emergente, la T. 36, tra le più ricche del
sito, è orientata simmetricamente al gruppo delle
quattro grandi fosse. È probabile che, in questo momento, un terzo percorso vada ad incrociare i primi
due e che le sepolture più ricche siano state disposte ai suoi lati; esso potrebbe aver costituito l’ultimo segmento di un percorso naturale, situato lungo
il margine della sommità del pianoro, utilizzato
come elemento di raccordo tra i nuclei abitativi e sepolcrali presenti nell’area. Sul suo prolungamento,
infatti, si trova un ulteriore gruppo di tombe a grande fossa che hanno restituito un ricco corredo 22. La
fase B è caratterizzata dalla presenza di coppe ioniche tipo A2-B2 e B2 23 (fig. 4). Accanto agli elementi già presenti nel periodo precedente, si affermano le forme del cantaroide e della brocca a deco-
Si tratta delle TT. 146, 148.
Vallet, Villard 1955, pp. 20-23, 29; G. Villard, Céramique
ionienne et céramique phocéenne en Occident, «PP» XXV
1970, pp. 108-129; Boldrini 1994, pp. 137-146, 148-158, 162170, tavv. 5-7, 9-11, tipi II e IV; Th. Van Compernolle, Da
Otranto a Sibari: un primo studio pluridisciplinare delle produzioni magno greche di coppe ioniche, in F. Burragato et alii
(a cura di), First European Workshop on Archaeological Ceramics, Roma 1994, pp. 343-348; Th. Van Compernolle, Les
céramiques ioniennes en Méditerranée centrale, in Céramiques jònies d’època arcaica: centres de producció i comercialització al Mediterrani Occidental («Monografies
Emporitanes» XI), Barcelona 2000, pp. 89-100; Vullo 2009
con bibliografia.
22
23
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Cruccas
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43
razione subgeometrica 24. In questa fase le sepolture maschili sono ancora contraddistinte dalla presenza delle armi mentre quelle femminili dagli oggetti di ornamento; sono più consistenti le importazioni, specialmente di oggetti di lusso, attestati con
1 o 2 esemplari per tomba: si tratta di coppe 25, oinochoai trilobate 26 (il richiamo ad un servizio per il
consumo di vino greco è evidente), alcuni attingitoi 27 e, in un solo caso, di una lekythos 28. Riferibili
all’area di produzione etrusca sono i bacili ad orlo
perlinato e a treccia, e le oinochoai di tipo rodio,
presenti nelle tombe che hanno restituito i corredi
più ricchi (dai 33 oggetti della T. 70 ai 24 della 105)
e che possono pertanto attribuirsi a personaggi di
alto rango 29. Nell’ambito della cronologia proposta
per le tombe del gruppo B alcuni elementi consentono di precisare ulteriormente l’attribuzione di alcune di esse intorno alla metà o seconda metà del VI
sec. a.C.: discriminante sembra essere la forma dell’attingitoio e, soprattutto, quella del cantaroide che
vede, nella fase più recente, la nascita ed il progressivo affermarsi della nestorìs 30.
Nel corso del V sec. a.C. le nuove deposizioni
vanno ad occupare gli spazi della necropoli rimasti liberi. In modo particolare, le tombe principali del
gruppo C, 33 e 35, si concentrano attorno al nucleo
centrale del gruppo B, lungo il più recente dei percorsi viari precedentemente individuati, divenuto il
24
Per la ricorrenza dei grandi cantaroidi in questa fase vedi
infra. Per le brocche a decorazione subgeometrica il tipo maggiormente attestato è quello a breve labbro leggermente estroflesso, collo conico indistinto a pareti talora leggermente concave
o convesse, corpo globoso, fondo piano o concavo. Ansa verticale, poco o per niente sormontante l’orlo, a nastro liscio o con
tre costolature verticali, T. 36, invv. 107188-107189, 107216107220; T. 37, inv. 107250; T. 42, invv. 107296, 107303; T. 58,
invv. 112766, 112768, 112770, 112774; T. 70, invv. 112924,
112926; T. 71, invv. 112942-112945; T. 75, inv. 113012; T. 78,
inv. 344455; T. 107, inv. 344663; T. 110, invv. 344691, 344695,
344698-344699. cfr. Bottini 1981, p. 214, figg. 5, 8, T. 1-3/1; p.
219, figg. 9-10, T. 2/20; figg. 19-21, T. 8/52-56; p. 228, figg. 2324, T. 9/riempimento/70-71; p. 232, figg. 26-27, T. 9/79-81; p.
237, figg. 34-35, T. 13/110-3; p. 244, fig. 44, T. 20/160; p. 259,
figg. 63-65, T. 25/234-239; p. 270, figg. 76-77, T. 29/328-332; p.
277, figg. 87-88, 90-91, T. 30/368-371. Il tipo è largamente attestato in Basilicata e nelle aree limitrofe: Holloway 1970, T. 2/17,
tav. 86; T. 4/28, tav. 91; Setari 1998-1999, brocca tipo 1, p. 79,
fig. 4.16; Lissi Caronna 1980, p. 194, fig. 3.14, T. 2-Moles; Lissi
Caronna 1983, fig. 13.1, T. 54; M. Laimer, A. Larcher, Archäologische Ausgrabungen in der Giarnera Piccola in Ascoli Satriano (Provinz Foggia) 1999 und 2001-2005, «RHistM» XLVIII
2006, pp. 17-68, figg. 13-14, T. 5/2005.
25
Si tratta in massima parte di coppe di tradizione ionica, tipo
B2, di fabbricazione coloniale T. 36, inv. 107221; T. 37, inv.
107240; T. 58, inv. 112779; T. 69, inv. 112916; T. 70, invv.
112934-5; T. 75, inv. 113015; T. 78, inv. 344462; T. 85, senza inv.;
T. 92, senza inv.; T. 95, inv. 344774; T. 97, senza inv.; T. 103,
senza inv.; T. 107, inv. 344668; T. 110, invv. 344689-90, 344693;
cfr. Bottini 1981, p. 221, figg. 13-14, T. 5/29; p. 232, figg. 24, 27,
T. 9/86; p. 235, figg. 32-33, T. 12/104; p. 237, figg. 34-35, T.
13/118; p. 259, fig. 63, T. 25/243; p. 261, fig. 69, T. 26/277; p.
272, figg. 78-79, T. 29/345-347; p. 279, fig. 87-88, T. 30/383-386;
inoltre uno skyphos tipo Panionion ed un secondo incerto, Bottini
1981, p. 227, figg. 20-21, T. 8/62; p. 261, fig. 69, T. 26/278; cfr.
A. Serritella et alii, in A. Pontrandolfo, A. Santoriello (a cura di),
Fratte. Il complesso monumentale arcaico, Salerno 2009, pp. 104,
166, nota 9. Agli individui di tradizione ionica si affiancano i
pochi vasi potori di fabbricazione corinzia: una coppa dalla T.
158; una kotyle dalla T. 69, inv. 112914, oltre a quella già nota
dalla T. 29, Bottini 1981, p. 272, figg. 77, 80-81, n. 344. Le importazioni dall’Attica, in questo periodo, sono rappresentate dalla
band-cup della T. 25, Bottini 1981, p. 259, figg. 64, 68, n. 244; cui
si deve aggiungere una coppa di tipo Kassel dalla T. 36, inv.
107190. Infine coppe di altro tipo di fabbricazione coloniale: T.
34, inv. 107086; T. 105, invv. 344634-5; già attestato a Rocca-
nova Serre, Bianco, Tagliente 1985, p. 75, fig. 40; cfr. Russo Tagliente 1992-1993, pp. 250-252, kylikes di tradizione corinzia tipo
2.1-2, fig. 8; Di Zanni 1997, pp. 247-253, tav. LXIV.3.
26
T. 36, inv. 107222; T. 75, inv. 113009; T. 78, inv. 344463; T.
95, inv. 344772; T. 110, inv. 344697; oltre agli esemplari già noti,
Bottini 1981, p. 215, figg. 5-6, TT. 1-3/3; p. 227, figg. 20-21, T.
8/63; p. 281, figg. 89-90, T. 30/391. Di forma abbastanza omogenea queste oinochoai presentano spalla poco pronunciata, più
raramente distinta, piede ad anello di tipo corinzio, ansa generalmente a doppio bastoncello; talvolta recano delle bande a risparmio; si tratta di prodotti d’importazione attestati in molte
necropoli indigene dell’Italia meridionale.
27
T. 70, inv. 112931; T. 75, inv. 113013; T. 92, senza inv. Eseguiti al tornio, sono dipinti con vernice di colore rosso-arancio.
Due rientrano nel tipo 1-Di Zanni, mentre del terzo non è valutabile il profilo, cfr. Di Zanni 1997, pp. 246-247.
28
T. 36, inv. 107192, forse una variante occidentale del tipo
samio, cfr. R. Naumann, B. Neutsch, Palinuro II. Ergebnisse der
Ausgrabungen, 2. Nekrople, Terrassenzone und Einzelfunde, Heidelberg 1960, tav. 13.1, n. 3, T. XVIII; Russo Tagliente 19921993, p. 265, figg. 17, 129, n. 506, tipo 2, T. 31; G. F. La Torre,
Un tempio arcaico nel territorio della antica Temesa, Roma 2002,
p. 106, fig. 8, D4.
29
Bacili in bronzo ad orlo perlinato, T. 78, inv. 344448; T. 105,
inv. 344638; a treccia, T. 70, inv. 112939; T. 78, invv. 344449-50;
oinochoai in bronzo di tipo rodio, T. 36, inv. 107203; T. 78, inv.
344454; un terzo esemplare proviene dalla T. 146; cfr. B.B. Shefton, Die “rhodischen” Bronzekannen (Marburger Studien zur
Vor- und Fruehgeschichte), Mainz 1979, p. 89, C7 bis; Johannowsky 1980, pp. 455-457, note 29-30, fig. 10; appendice, pp.
460-461 (la sepoltura di Ruvo citata al punto B.5 è la 36); Bottini
1981, p. 210; Bottini, Tagliente 1993, pp. 493-498, 515, 520, 523;
Bottini, Setari 2003, p. 92, fig. 12, tav. XVI.
30
Il grande cantaroide più antico sembra essere un individuo
dalla T. 75, inv. 113008, immediatamente seguito da un esemplare della T. 29 (Bottini 1981, p. 272, figg. 77, 80, n. 334, con
basso piede). Il grande cantaroide dalla T. 13 (Bottini 1981, p.
237, figg. 34-35, n.115) presenta, primo caso, il piede a tromba,
proprio delle nestorìdes, ma non le caratteristiche anse orizzontali sul ventre. Il terzo quarto del VI sec. a.C. appare, dunque, un
momento di sperimentazione nelle botteghe operanti a Ruvo che
conduce, alla fine dello stesso secolo, all’elaborazione della forma
della nestorìs: T. 36, invv. 107209-107213; T. 110, inv. 344694.
Cfr. Bottini 1981, p. 227, fig. 21, T. 8/61; p. 259, figg. 66-67, T.
25/241; frammentari altri due esemplari: p. 261, T. 26/275; p. 279,
T. 30/381.
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Michele Scalici
più importante (fig. 3). I corredi sono caratterizzati
dalla presenza di coppe a vernice nera, attiche o di
tradizione (figg. 4, 5, 9). Le kylikes di tipo C compa-
iono più frequentemente nella prima metà del secolo 31. In questo periodo la ceramica subgeometrica
presenta elementi di rinnovamento sia per quanto riguarda i profili dei vasi che nei sistemi decorativi. La
forma del cantaroidi, ad esempio, che per tutta l’età
arcaica aveva mantenuto un profilo c.d. “ad olletta”,
assume, nel corso del V sec., una forma sinuosa, con
collo più o meno distinto e basso piede a tromba, c.d.
“ad anforetta” 32. La differenza sostanziale è dovuta
all’altezza delle anse, sempre sormontanti, ma che
negli individui “ad olletta” si eleva in misura maggiore rispetto a quelli “ad anforetta”. Accanto al sistema decorativo Ruvo-Satriano, che contraddistingue le fasi arcaiche della necropoli 33, si va affermando lo schema a registri sovrapposti che in precedenza veniva utilizzato per decorare, principalmente,
olle di tipo biconico 34. A parte questi elementi i corredi del gruppo C appaiono piuttosto simili ai più
tardi del periodo B, per la presenza di nestorides e bacili in bronzo 35. Se all’inizio del V sec. i vasi a decorazione subgeometrica sono ancora numerosi, dal secondo quarto del secolo si diffondono le forme dipinte in nero, bruno o rosso, che, in seguito, diverranno predominanti 36. Alle forme di matrice locale
come i cantaroidi e un nuovo tipo di attingitoio, si affiancano oggetti strettamente legati all’area culturale
ellenica: i crateri, le cup-skyphoi, le coppe su piede e
le oinochoai, prodotte localmente o importate 37; si
31
T. 31, inv. 107034; T. 33, inv. 107078; T. 35, inv. 107132; T.
49, inv. 112672; T. 53, invv. 112706-8, 112710; T. 57, inv. 112745;
T. 59, inv. 112787; T. 83, inv. 344471; T. 93, senza inv.; T. 94, inv.
344558; T. 101, senza inv. Inoltre Bottini 1981, pp. 202-203; p.
239, fig. 37, T. 17/135; p. 244, figg. 42-43, T. 19/157; pp. 253, 256,
figg. 54, 57, T. 24/202-207; cfr. Blösch 1940, pp. 119-124, tavv.
34.4, 33.7; Agora XII, p. 91, tav. 19, n. 411, Type C, Concave lip;
per la distribuzione in Basilicata ved. C. Trombetti, Ceramica greca
e di tradizione greca, in Lo Spazio del Potere, pp. 196, 200, nota 24.
32
T. 53, inv. 112699; T. 57, inv. 112740; T. 83, invv. 344481,
344487; T. 94, invv. 344550-344551. Inoltre Bottini 1981, p. 249,
figg. 53, 57, T. 24/189. Cantaroidi simili provengono da necropoli irpine: due individui dalla T. 103 di Carife, loc. Piano la Sala,
G. Gangemi, L’Irpinia in età sannitica. Le testimonianze archeologiche, in G. Colucci Pescatori (a cura di), Storia illustrata di
Avellino e dell’Irpinia I. L’Irpinia antica, Pratola Serra-Salerno
1996, p. 72, fig. 9; da Castel Baronia, W. Johannowsky, Materiali
di età arcaica e classica da Rufrae, S. Agata dei Goti, Circello,
Casalbore, Carifae, Casel Baronia, Bisaccia, Morra De Santis,
in Safinim, pp. 294-299, TT. 58, 62. Qualche generica somiglianza
è riscontrabile in alcuni individui decorati a fasce dalla Peucezia:
in particolare da Rutigliano-Purgatorio, Museo Taranto, II.2, fig.
14a, T. 39/3; p. 18, T. 1/12, decorato nello stile misto.
33
Yntema 1990, pp. 187-196.
34
T. 33, inv. 107048. Inoltre Bottini 1981, p. 242, figg. 42-43,
T. 19/155; p. 247, figg. 48-49, T. 22/173; p. 249, figg. 53, 55-56,
58, T. 24/195-197.
Ad orlo perlinato T. 35, inv. 107124. Ad orlo a treccia T. 33,
inv. 107067; T. 35, inv. 107094.
36
Attingitoi T. 31, inv. 107029; T. 63, inv. 112825; T. 79, senza
inv.; T. 83, invv. 344482, 344488; T. 94, invv. 344556, 344561.
Inoltre Bottini 1981, p. 257, figg. 54, 57, T. 24/222. Cantaroidi T.
31, invv. 107028, 107032; T. 68, inv. 112904; T. 79, senza inv.; T.
83, invv. 344472, 344484. Inoltre Bottini 1981, p. 266, figg. 7172, T. 27/304.
37
I crateri iniziano ad essere diffusi della prima metà del V
sec. a.C.: T. 31, inv. 107030; T. 63, inv. 112823 (Fratte, pp. 2223, fig. 366, T. XVIII/1, datato al secondo quarto del V sec. a.C.);
T. 72, inv. 112977 (probabilmente fabbricato a Ripacandida); T.
77, senza inv.; tra essi spicca il noto cratere a volute di fabbrica
coloniale (Metaponto?), Bottini 1981, p. 253, fig. 59, T. 24/201.
Cup-skyphoi T. 53, invv. 112709, 112711; inoltre Bottini 1981,
p. 253, figg. 57, 60, T. 24/200 (attribuito al gruppo di Haimon).
Coppette su piede T. 33, inv. 107053; T. 38, inv. 107259; T. 39,
inv. 107274; T. 63, inv. 112830; T. 83, invv. 344473-344474; T.
93, senza inv.; T. 94, invv. 344554, 344565. Inoltre Bottini 1981,
p. 247, figg. 48-49, T. 22/175; p. 256, figg. 54, 57, T. 24/210. Oinochoai di matrice ellenica ma di produzione locale provengono
da contesti di inizio V, T. 35, inv. 107092; T. 39, invv. 107272107273; T. 101, senza inv.; cfr. Bottini 1981, p. 235, figg. 30-31,
T. 11/99 (descritto come olla è quasi certamente una brocca). Insieme a queste vi sono anche prodotti importati, T. 35, inv.
107098; inoltre Bottini 1981, pp. 201, 256, figg. 54,57, T. 24/212213.
Fig. 5. - In alto: T. 35, parte del corredo; in basso: T. 39, parte del
corredo (foto M. Scalici).
35
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Ruvo del Monte. La necropoli in Emiliano
loc. S. Antonio.
Cruccas
Nuovi dati e prospettive di ricerca
45
trovano, inoltre, le prime attestazioni di cinturoni in
lamina di bronzo, del tipo a gancio semplice 38. La T.
24 si pone come vero è proprio spartiacque tra i grup-
pi C e D. Riveste grande rilevanza nella necropoli per
le dimensioni della fossa e il ricco corredo che vi era
contenuto, tra cui spicca un cratere a volute 39. Anche
la T. 53, maschile, emerge rispetto alle altre per la
qualità del corredo ma non ai livelli della 24. Una
certa importanza sembra aver avuto anche il defunto
della 57, il cui corredo presenta una lekythos attica, di
grande modulo, a figure nere 40 (fig. 6).
Il successivo periodo E presenta qualche difficoltà di definizione cronologica per quanto concerne la
sua fase più tarda: sebbene la gran parte dei materiali si possa collocare entro la fine del V sec. alcuni
contesti presentano elementi databili ai primi decenni del secolo successivo. Con i dati acquisiti appare
prudente fissare una cronologia tra l’ultimo terzo del
V sec. ed il 380 a.C. 41 (fig. 10). A questo periodo appartengono cinque tra i contesti più ricchi della necropoli di Ruvo: una sepoltura bisoma o, più probabilmente, a doppia deposizione (43), una a doppia
fossa per la quale è stata ipotizzata un’unica copertura (64-65), ed una maschile monosoma (48). I nuclei
di sepolture elitarie occupano tre spazi significativi
nel panorama della necropoli: la T. 43 presso la 36; la
48 è posta in uno spazio adiacente al gruppo centrale
di sepolture arcaiche; la 64-65 sulla prosecuzione
orientale dell’asse dove già erano state collocate due
delle tombe principali del gruppo D (fig. 3). Nella
fase E le differenze sociali sembrano marcate non
tanto dal numero degli oggetti quanto dalla loro qualità. Il cantaroide è attestato in tutti i corredi in nu-
38
T. 53, invv. 112717-112718. Un esemplare più antico è segnalato dalla T. 147, per la quale è stata proposta una datazione
nel corso del VI sec. a.C., Armi, pp. 113-115.
39
Bottini 1981, pp. 247-258.
40
T. 57, inv. 112746. La frammentarietà del reperto non consente di stabilire la forma, ma le dimensioni dovevano essere considerevoli. Della decorazione rimane una figura sdraiata, sulla
destra, interpretabile con Herakles per la presenza della clava
mentre sulla sinistra incede una figura animale (bovino o equino).
La scena riproduce verosimilmente una delle fatiche dell’eroe tebano, tema già presente sulla cup-skyphos dalla T. 24, Bottini
1981, p. 253, figg. 57, 60, n. 200.
41
In particolare due bacili dalla T. 64, invv. 110012, 110013,
che risultano molto vicini ad un terzo esemplare da un contesto
più tardo, T. 46, inv. 110182. Rientrano nelle categoria delle c.d.
“teglie” con vasca poco profonda a pareti tese o appena arcuate
e fondo piatto, già considerate da Bottini del tipo più recente,
Bottini, Tagliente 1993, p. 519. I due esemplari della T. 64 hanno
un’ansa mobile ad omega inserita in due occhielli applicati ad
una placchetta rettangolare, con estremità conformate a freccia o
a cuore; al centro della placchetta è la decorazione a rilievo, a
conchiglia e protome silenica. Teglie con anse di questo tipo sono
diffuse in area sannitica ad esempio a Bojano, Larino (A. Di Niro
(a cura di), Il Museo Sannitico di Campobasso. Catalogo della
collezione provinciale, Ascoli Piceno 2007, p. 125, n. 225) e Pietrabbondante (Sannio. Pentri e Frentani dal VI al I secolo a.C.,
Roma 1980, p. 137, tav. 40) tutte datate metà IV-III sec. a.C.; in
Basilicata sono attestate soprattutto a Lavello (Forentum I, pp.
51, 244, tav. 35, tipo 1.2, T. 7; Bottini, Tagliente 1993, p. 519; A.
Bottini, E. Setari in D. Baldoni (a cura di), Due donne dell’Italia
Antica. Corredi da Spina e Forentum, Padova 1993, n. 72, ansa
mobile; n. 61, teglia; nn. 114-115, bacili). Per la Campania è noto
un esemplare da Eboli (Poseidonia e i Lucani, pp. 79-80, n. 36.33,
T. 37; cfr. anche F. Longo, Il vasellame metallico, in Enotri, Greci
e Lucani). Meno simile ma ancora piuttosto vicino è l’esemplare
con manico configurato a kouros, dalla T. 90 di Carife, della fine
del V sec., R. Bonifacio, Le tombe 89-90 della necropoli di Carife, in Safinim, pp. 237-259, figg. 49-53, T. 90; cfr. anche R.R.
Holloway, N. Nabers, The princely burial of Roscigno (Monte
Pruno), Salerno, «RAArtLouv» XV 1982, pp. 97-163, 4 esemplari senza manici dalla tomba “Marzullo”, nn. 11-14. Inoltre,
sembrano più recenti rispetto ai materiali della fine del V sec.
anche alcuni cantaroidi e attingitoi dal profilo spigoloso (T. 89,
invv. 344498, 344522, 344534-344535; T. 104, invv. 344612344613; T. 84, due individui senza inv.; T. 89, invv. 344497,
344499, 344507; T. 104, invv. 344615-344616, 344618-344620)
associati ad un cratere a colonnette decorato nel collo con motivi
fitomorfi (T. 104, inv. 344614), cfr. E. Laforgia (a cura di), Il
Fig. 6. - In alto: T. 57, parte del corredo; in basso: T. 83, parte del
corredo (foto M. Scalici).
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Michele Scalici
Fig. 7. - In alto: T. 89, parte del corredo; in basso: T. 108, parte
del corredo (foto M. Scalici).
Museo Archeologico di Calatia, Napoli 2003, p. 191, figg. 184185, T. 26/290.
42
Si tratta delle sepolture elitarie 43, 48, 64-65 e della T. 111.
Solo quest’ultima non ha restituito cantaroidi a grande modulo.
43
Tipo maggiormente diffuso: T. 43, invv. 112605, 112618; T.
48, invv. 110091, 110093, 110130-110133; T. 64, inv. 110062; T. 65,
invv. 112847, 112853; T. 89, inv. 344523; T. 104, inv. 344604. Dello
stesso tipo Bottini 1981, pp. 203, 266, figg. 74-75, T. 28/311. Piede
ad anello sagomato, bassa vasca a profilo convesso, labbro distinto
all’interno da una costolatura piuttosto marcata. Anse orizzontali a
bastoncello inclinate verso l’alto; il tipo deriva da una produzione
presente ad Atene a partire dal secondo quarto del V sec. a.C., Agorà
XII, p. 102, fig. 5. 483-4, 487; cfr. Morel 1981, serie 4221. È attestato nelle necropoli della Puglia e della Basilicata a partire dall’ultimo quarto del V, per raggiungere il floruit nel corso del IV con
una progressiva diminuzione del diametro, un ripiegamento verso
l’interno delle anse e un’inclinazione verso l’alto, Forentum I, p.
194, tav. 29. Gli esemplari di Ruvo, a giudicare il diametro largo e
le anse poco rilevate dovrebbero collocarsi alla fine del V sec. o al
massimo all’inizio del successivo. Dalla T. 48, inv. 110135, proviene un esemplare attico a fig. rosse, databile, su base stilistica,
agli anni attorno al 410 a.C.: nel tondo interno vi è una scena di
banchetto con due personaggi su kline (se ne distingue chiaramente
uno soltanto). Sotto i panneggi sono visibili le gambe dei mobili
mentre un altro elemento di arredo, forse un tavolino, si intravede
nella parte bassa del tondo. Meno leggibili le scene raffigurate sull’esterno del vaso: su una faccia si distingue un persona che reca in
mano un oggetto identificabile come una scure o il pomo di un bastone. Dal lato opposto due personaggi affrontanti, al centro una
colonna con capitello dorico. Uno dei due, nella zona più frammentaria del vaso, reca in mano un oggetto interpretabile come cuscino, lampada o betilo (potrebbe trattarsi di una scena ginnasiale).
Tipo meno diffuso: T. 43, inv. 112604; T. 89, invv. 344501, 344524,
344533. Piede ad anello sagomato, vasca molto bassa, labbro di-
mero variabile, fino ai 21 esemplari della T. 43, pari
al 50% dell’intero corredo. I cantaroidi a decorazione fitomorfa sono attestati in soli cinque contesti 42; in
tutti gli altri questa forma compare verniciata in nero,
in modo totale o parziale, spesso degradato in bruno
o rosso, oppure reca un registro floreale a figure nere
(fig. 4). Il tipo più diffuso di kylix è la c.d. stemless di
tradizione attica con il tondo interno decorato a fig.
rosse, nere o con semplici impressioni 43. Maggiormente attestato, rispetto ai periodi precedenti è il cratere, presente in almeno 9 contesti 44 (fig. 7). I vasi
importati costituiscono ancora dei beni di prestigio: a
fondo bianco o decorati a figure rosse, di produzione
attica e proto-lucana 45. Accanto a questi vi sono gli
oggetti in bronzo, tra cui spicca il candelabro etrusco
della T. 64 46. Dallo stesso contesto provengono un
thymiaterion ed un podanipter di probabile produzione magnogreca 47. Tra i beni di lusso si segnala la
probabile presenza di un cofanetto ligneo di cui rimangono i soli intarsi in osso 48. Decisamente inferiori rispetto ai periodi precedenti gli ornamenti personali e le armi, appannaggio delle sepolture più ric-
stinto all’interno da una costolatura molto marcata e caratterizzato
all’esterno dal profilo concavo. Anse orizzontali a bastoncello inclinate verso l’alto; è il secondo tipo più attestato, deriva da una produzione presente ad Atene nel 470-450 a.C. (c.d. “inset lip”, Agorà
XII, p. 268, fig. 5.471), corrispondente a Morel 1981, 4271a 1.
Meno attestati anche altri due tipi dalla T. 64 (invv. 110064-110065),
mentre è da assegnare ad una officina locale una coppa con tondo
interno decorato a figure nere con immagine di equino o cervide, T.
48, inv. 110092.
44
T. 48, inv. 110141; T. 65, inv. 112867; TT. 80-82, senza inv.;
T. 89, inv. 344506; T. 104, inv. 344614; T. 108, inv. 34468. Inoltre
Bottini 1981, p. 266, figg. 74-75, T. 28/315.
45
A. Bottini, Due crateri protoitalioti dal Melfese, «BdA» LXX
1985, pp. 55-60, nr. 30. Inoltre alcune lekythoi: T. 43, inv. 112595,
rientra nella c.d. ceramica a “decorazione nera” o a “corpo nero”, di
origine attica, largamente attestata nei territori adiacenti alle chorai
di Taranto e Metaponto (D.C. Kurtz, Athenian white lekythoi, Oxford 1975, pp. 115-130; F. D’Andria, I materiali del V sec. a.C. nel
Ceramico di Metaponto e alcuni risultati delle analisi sulle argille,
in Attività in Basilicata, p. 121, n. 6, tavv. VII, X; A. San Pietro, La
ceramica a figure nere di San Biagio (Metaponto), Galatina 1991,
pp. 92-94; P. Palmentola in Museo Taranto II.2, pp. 403-405 con bibliografia); T. 43, invv. 112586, 112594, a fondo bianco e decorazione fitomorfa, cfr. A. De Siena in AttiTaranto 2006, p. 439, tav. XI,
Pisticci, necropoli in proprietà Bonaventura, T. 295, datata fine VI
– inizi V sec. a.C.; da Montescaglioso, Lo Porto 1973, p. 189, tav.
XXXVI.4, T. 8. Un terzo individuo, invece, presenta figure di satiri,
T. 48, inv. 110106. Infine la lekythos a figure rosse dalla T. 65, inv.
112848, è da assegnare alla produzione proto-lucana.
46
Bottini 1990.
47
T. 64, invv. 110015, 110069. cfr. Tarditi 1996, pp. 184-185,
figg. 19-50 per i thymiateria in bronzo del tipo “a piattino”; pp. 126128 per i podanipteres.
48
Dalla T. 48. Non rari in Italia, rinvenimenti di questo tipo sono
concentrati principalmente nei ricchi corredi delle necropoli etru-
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Cruccas
Nuovi dati e prospettive di ricerca
47
Fig. 8. - A sinistra: T. 105, in corso di scavo; a destra: T. 146, in corso di scavo (Archivio Soprintendenza Basilicata).
che: due fibule in argento, un elmo in bronzo del tipo
apulo-corinzio, il cinturone ed una punta di lancia in
ferro 49; si segnala infine la presenza di un grande
arco dalla T. 65 50.
Due sole sepolture (46, 47) appaiono isolate sia
cronologicamente che culturalmente: si tratta di individui inumati in posizione supina, i cui corredi si datano a partire dalla metà del IV sec. a.C. (fig. 3, grup-
sche ed in aree santuariali, cfr. M. Martelli, Gli avori tardo arcaici: botteghe e aree di diffusione, in Il commercio etrusco arcaico (Atti dell’Incontro di Studio, Roma 1983), Roma 1985, pp.
207-248; Scrigni etruschi tardo-arcaici dall’Acropoli di Atene e
dall’Illiria, «Prospettiva» LIII-LVI 1989, pp. 17-24; F. Colivicchi, Materiali del Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia
XVI. Materiali in alabastro, vetro, avorio, osso, uova di struzzo,
Roma 2007, pp. 148-164 con bibliografia riportata alla nota 310.
Gli elementi di forma rettangolare (inv. 110153), piatta e allungata, presentano delle scanalature longitudinali su tutta la superficie; alcune più marcate anche in senso trasversale sembrano
comporre dei disegni geometrici che richiamano il meandro.
Sembrerebbero interpretabili come placchette di rivestimento. Invece, l’unico elemento con forma a bastoncello (inv. 110152), a
sezione tondeggiante da un lato e retta dall’altro, è tipico dell’angolo e presenta la superficie decorata da sette piccole cuppelle poco profonde.
49
Fibule in argento di piccolo modulo, ad arco semplice con
ardiglione desinente a bottone o elemento biconico all’estremità:
T. 43, inv. 112643 (decorazione a linea spezzata incisa nella parte
inferiore); T. 90, senza inv. Elmo tipo apulo-corinzio (T. 43, inv.
112663) con calotta allungata, con paranuca, paragnatidi non valutabili, accenno del paranaso. Sopracciglia rese in rilievo ed indicazione della nuca, non decorato; viene considerato non valutabile
nella classificazione di Bottini (1983, tabella 4, n. A.1.4.1; Gli elmi
apulo-corinzi. Proposta di classificazione, «AnnAStorAnt» XII
1990, pp. 23-37, n. 1) poiché si basa sulla posizione delle paragnatidi che, in questo esemplare, non sono conservate. Tuttavia,
dalla porzione rimasta si distingue bene un occhio forato ed un accenno di paranaso. Pertanto potrebbe rientrare nei tipi A, B o, più
probabilmente C (cioè con paragnatidi congiunte). Il cinturone di
maggior pregio rinvenuto nel sito proviene della T. 89, inv. 344537.
Rientra nel gruppo Bottini IV C (1983, pp. 40-41): L’elemento maschio, costituito da una placca rettangolare, presenta due ganci, fusi,
applicati mediante una piastrina ritagliata ed incisa a palmetta, con
due volute alla base, con tre chiodini. L’arco del gancio è decorato
da una placca rettangolare con motivo inciso a semicerchi penduli,
con punto centrale. L’elemento femmina presenta una piastrina ritagliata ed incisa con tre palmette simili quelle dei ganci ed un motivo simile ad un sole. Vi sono almeno tre fori di aggancio disposti
su due file. L’individuo trova un preciso confronto ad Ascoli Satriano, E. Interdonato in M. Fabbri, M. Osanna (a cura di), Ausculum I. L’abitato daunio sulla collina del Serpente di Ascoli
Satriano, Foggia 2003, pp. 339-340, tav. 90, n. 26, dalla T. 3, datata alla seconda metà del IV, ma il cinturone è considerato più antico di circa un secolo. Infine un elemento in bronzo in foggia di
palmetta, interpretabile come gancio di cinturone proviene dalla T.
65, inv. 112888. Una cuspide di lancia con costolatura mediana proviene dalla T. 43, inv. 112647 (vicino al tipo 3.3 di Chiaromonte,
Russo Tagliente 1992-1993, p. 318, fig. 50, T. 24/57; ed al tipo 6 di
Lavello, Forentum I, tav. 41, n. 3, p. 249); altri frammenti non valutabili da T. 48, inv. 110159; T. 89, inv. 344538; e dall’area della T.
64, inv. 110073.
50
Bottini 1980a, p. 344. Di questo oggetto tuttavia non è stato
rintracciato alcun elemento registrato nell’inventario del Museo
né in magazzino.
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Michele Scalici
to a cambiamenti intervenuti nella struttura sociale e
culturale della comunità.
I limiti della ricostruzione storico-archeologica
dei contesti della necropoli di Ruvo del Monte in
loc. S. Antonio sono inesorabilmente segnati dalle
condizioni non ottimali della conservazione del sito.
Molte sepolture, infatti, al momento del rinvenimento risultavano manomesse. La causa principale
è imputabile ai rimaneggiamenti dell’area avvenuti
già nel corso del IV sec. a.C. e poi in epoca tardomedievale 52. Ne consegue che non è sempre possibile verificare l’originaria collocazione degli oggetti all’interno delle tombe. A questo si aggiunga la
frequente assenza, totale o parziale, di resti scheletrici, imputabile alle caratteristiche del terreno. Si
può invece proporre un quadro d’insieme delle attestazioni maggiormente ricorrenti: il corredo era concentrato lungo uno dei lati lunghi, generalmente in
corrispondenza della parte verso la quale era girato
il volto del defunto, e sul lato breve in prossimità dei
piedi (fig. 11). I vasi appaiono disposti secondo un
preciso criterio: quelli di maggiori dimensioni,
come le olle, spesso in numero di due, occupavano
l’angolo della fossa più distante dalla testa del defunto53; gli attingitoi di piccolo modulo giacevano
all’interno di esse. I cantaroidi potevano assumere
varie posizioni ma, generalmente, il più importante
occupava la zona in prossimità della testa 54. Gli oggetti sul fianco erano disposti dal più grande, verso
i piedi, al più piccolo, verso la testa 55. Oltre ai cantaroidi di piccole dimensioni si trova qui tutta la
serie delle forme indigene dall’askos, alla brocca,
l’attingitoio di modulo maggiore e l’olla di tipo bi-
Fig. 9. - In alto: T. 71, in corso di scavo; in basso: T. 39, in corso
di scavo (Archivio Soprintendenza Basilicata).
po F). In entrambi è attestato il cinturone, lo skyphos
a vernice nera ed il bacile in bronzo 51. Allo stato attuale non è possibile verificare se la presenza di queste due sepolture costituisca un’ulteriore fase dello
sviluppo cronologico della necropoli, nell’ambito
della sequenza fin qui delineata (gruppi A-E), o se
piuttosto non testimoni un momento di cesura, dovu-
51
T. 46, invv. 110182- 110183 (skyphos, senza inv.; restituisce
tra altri frammenti un coltello con manico a “occhiello”, inv.
110181); T. 47, invv. 110184-110186.
52
Nell’area di scavo 1977-1980 sono stati individuati diversi
“pozzi” che hanno restituito ceramiche tardo-medievali. Saccheggi moderni, inoltre, sono testimoniati dal gruppo di vasi integri che padre G. Gugliotta, nella sua meritoria opera di
recupero, ha potuto acquisire, negli anni precedenti all’esplorazione sistematica del sito, e assicurare alla Soprintendenza. Infine, A. Bottini riteneva che le prime manomissioni fossero
imputabili all’obliterazione della necropoli avvenuta già nel corso
del IV sec. a.C. da parte di un insediamento successivo le cui
tracce, effettivamente, sono riscontrabili tra i materiali rinvenuti
in superficie, Bottini 1981, p. 186.
53
TT. 83, 89, 105, 146, figg. 8 e 10 del presente contributo;
Bottini 1981, fig. 3, T. 2; figg. 3, 22, T. 9; figg. 51-52, T. 24.
54
TT. 83 e 105, figg. 8 e 10 del presente contributo.
55
T. 89, fig. 10 del presente contributo; Bottini 1981, figg. 5152, T. 24.
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h
49
ventre presso le mani o vicino la testa 60; se attestate in
più esemplari, si trovano in genere insieme ai vasi importati 61. Le armi sembra fossero riposte e non indossate, ad eccezione del cinturone 62: l’elmo era distante
dal cranio, gli schinieri dalle gambe 63; le punte di lancia, in prossimità della testa, erano collocate a fianco
del deposto 64; non è chiaro se la spada pendesse dalla
cintura o se fosse piuttosto sistemata lungo il fianco 65.
Gli oggetti di ornamento personale, infine, erano probabilmente indossati dal defunto al momento della sepoltura 66.
Sembra dunque di poter distinguere all’interno della
tomba due diversi nuclei di organizzazione del materiale: la parte inferiore, ai piedi del defunto, appare riservata all’accumulo ed alla conservazione di beni,
siano essi derrate alimentari o oggetti di prestigio, mentre diversa funzione sembra aver rivestito la zona sul
lato lungo, dove si concentrano le forme indigene ed i
vasi sono disposti in base alla dimensione. Cantaroide,
brocca, askos, attingitoio e olla biconica, insieme alla
coppa di tipo greco ed al kothon potrebbero aver avuto
funzione specifica nell’ambito delle pratiche rituali
connesse alla composizione del cadavere 67.
In alcuni casi particolari, sono stati rinvenuti, al di
sotto dei resti degli individui, porzioni di graticcio ligneo 68. Questo, insieme ad altri indizi, ha fatto supTT. 71, 83, 89 e 105, figg. 8-10 del presente contributo.
TT. 35 e 39, figg. 5 e 9 del presente contributo; fa eccezione
l’oinochoe della T. 146 che sembrerebbe essere collocata presso
la testa, fig. 8 del presente contributo.
58
TT. 89 e 108, figg. 7 e 10 del presente contributo; Bottini
1981, figg. 51-52, T. 24.
59
Tre esemplari molto simili, a vernice nero-bruna parziale:
T. 89, inv. 344504; T. 104, inv. 344626; T. 108, inv. 344686; figg.
7 e 10 del presente contributo.
60
T. 83, fig. 10 del presente contributo.
61
T. 105, fig. 8 del presente contributo
62
T. 89, fig. 10 del presente contributo.
63
T. 105, fig. 8 del presente contributo.
64
TT. 71, 89 e 105, figg. 8-10 del presente contributo.
65
T. 105, fig. 8 del presente contributo.
66
TT. 39 e 71, fig. 9 del presente contributo.
67
Una analoga concezione della disposizione spaziale degli
oggetti di corredo all’interno della sepoltura sembra potersi cogliere anche in alcuni contesti funerari della necropoli di Chiaromonte, loc. Sotto la Croce, Russo Tagliente 1992-1993, fig. 55, T.
18; fig. 56, T. 24; fig. 57, TT. 22-23; fig. 59, TT. 21, 25; fig. 60,
T. 39; fig. 61, T. 26; fig. 62, T. 31. Cfr. Bianco 1999, pp. 377-381,
fig. 7, T. 96; fig. 5, T. 170; fig. 8, T. 205; Greci, Enotri e Lucani,
p. 280, T. 76; p. 282, T. 102. Inoltre a Chiaromonte-S. Pasquale
(Greci, Enotri e Lucani, p. 282, T. 227); e ad Alianello-Cazzaiola, Greci, Enotri e Lucani, p. 281, T. 500; Bianco, Tagliente
1985, fig. 39, T. 234.
68
Bottini 1981, p. 186.
56
57
Fig. 10. - In alto: tomba 83, in corso di scavo; in basso: tomba 89,
in corso di scavo (Archivio Soprintendenza Basilicata).
conico 56 . I vasi importati, specie quelli in bronzo,
erano stipati in fondo, spesso uno sull’altro, sotto le
gambe ripiegate del defunto. Era questa la modalità
con cui, solitamente, venivano disposte, all’interno
della fossa, le forme di tipo greco, anche quando fossero d’imitazione come le oinochoai di tipo rodio a decorazione matt-painted 57. Il cratere, quando presente,
era posto vicino alle olle, con i vasi più grandi 58. Il kothon è attestato nelle sole tombe più tarde del gruppo E
sempre in posizione significativa ai piedi del defunto 59.
Anche la coppa, quando è presente in un unico esemplare, ricopre una posizione significativa: ai piedi, al
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50
Michele Scalici
porre che i corpi dei defunti di elevato status sociale
venissero deposti entro casse lignee, che avrebbero,
in qualche modo, rivestito internamente la fossa.
Lungo le pareti di alcune sepolture, infatti, si nota la
presenza di una sorta di risega, ad una determinata
profondità, che sembra indiziare l’invito di una copertura non conservata. Alla stessa interpretazione
conduce l’osservazione e la modalità di rinvenimento di alcuni oggetti allineati ad una certa distanza
dalla parete della fossa. Infine, sono stati rinvenuti
numerosi chiodi e borchie, ancora fissate ai tenoni,
funzionali, forse, all’intelaiatura lignea. La costruzione dell’impianto sepolcrale doveva dunque confi-
gurarsi nel modo seguente: sul pavimento della fossa
veniva predisposto un graticcio in legno sul quale era
poi costruita la cassa con assi. Infine l’intercapedine
tra la parete della fossa e la cassa veniva colmata.
L’ipotesi, suggerita da Bottini, è confermata dal monumentale impianto delle TT. 64-65 69. Qui la posizione di rinvenimento degli oggetti, soprattutto delle
kylikes, fa supporre che esse fossero state originariamente appese alle pareti della cassa mediante chiodi
o funicelle. Il ritrovamento di alcuni grossi blocchi
lapidei in superficie, ha fatto supporre l’esistenza di
un tumulo che avrebbe coperto entrambe le sepolture che, in effetti, risultano molto vicine anche cronologicamente. La singolarità dell’impianto è evidente
ed è forte la suggestione che le pareti interne della
cassa potessero essere dipinte come le contemporanee sepolture di Poseidonia 70.
Il quadro che si ricava dall’analisi dei contesti
funerari di Ruvo è quello di una società caratterizzata da una forte connotazione identitaria, ma anche
piuttosto aperta ai contatti con l’esterno. Le sepolture della necropoli mantengono infatti le medesime
caratteristiche per un periodo piuttosto lungo (fig. 4,
gruppi A-E). È probabile che la società fosse organizzata in piccoli gruppi residenti in insediamenti
sparsi; alla guida della comunità doveva essere una
classe emergente le cui funzioni, all’interno della
società, non è possibile chiarire ulteriormente. Le
fonti di sussistenza erano assicurate certamente
dalla pastorizia e dalla caccia, probabilmente dalla
guerra, ma soprattutto dal controllo del territorio. Il
carattere guerriero, ben rappresentato dalle armi che
69
Bottini ha suggerito un possibile confronto con analoghi
casi in ambiente celtico e anatolico, cfr. Bottini 1990, p. 11,
nota 4. Cfr anche Bottini, Setari 2003, pp. 9-10, fig. 3. Una analoga sistemazione è immaginata anche per altri contesti funerari: T. 40 di Timmari, sul Piano di S. Salvatore, datata al
340-330 a.C. (mentre nelle TT. 33 e 4, con identica cronologia,
l’intelaiatura avrebbe poggiato su uno zoccolo in pietra), M.G.
Canosa, Una tomba principesca da Timmari, Roma 2007, pp.
27-29, 157-159, fig. 5; T. 15 di Roccagloriosa, M. Gualtieri, Rituale funerario di una aristocrazia lucana (fine V-inizio III sec.
a.C.), in Italici in Magna Grecia, pp. 167-168; casse di dimensioni minori sarebbero state utilizzate tra V e IV sec. anche ad
Eboli, M. Cipriani, Eboli preromana. I dati archeologici: analisi e proposte di lettura, in Italici in Magna Grecia, pp. 131133.
70
Vengono datate alla fine del V sec. a.C.: la T. 23 di Andriuolo (Pontrandolfo, Rouveret 1992, pp. 85-86, 305), T. 110 di
S. Venera (pp. 237, 368-369), T. 210 del Gaudo (scavi 1990, pp.
250, 377) e la T. 642 di Arcioni (scavi 1978, pp. 224, 360), T. 1
di Tempa del Prete (pp. 244, 371); ai primi anni del IV sec. le TT.
76 e 21 di Andriuolo (Pontrandolfo, Rouveret 1992, pp. 87-89,
305-309), T. 109 di S. Venera (pp. 238, 370); a queste vanno probabilmente aggiunte tre tombe depredate da Spina Gaudo (Pontrandolfo, Rouveret 1992, pp. 270-271, 392, T. 91/1986 e T.
83/1985) e Capaccio Scalo (scavi 1964, pp. 274-276, 392, T. 1),
e la tomba Weege 38 (pp. 233, 367); cfr. Pontrandolfo, Rouveret
1992, pp. 439, 449-451. Al primo quarto del IV sec. a.C. vengono datate: le TT. 11, 20, 88 e 102 di Andriuolo (Pontrandolfo,
Rouveret 1992, pp. 90-97, 309-314), T. 271 di Arcioni (scavo
1976, pp. 225-229, 360-362), T. 1-2 di Porta Aurea (pp. 230- 232,
365-366); cfr. Pontrandolfo, Rouveret 1992, pp. 440, 451-455.
Cfr. inoltre le tombe dipinte di Gravina-Botromagno, datate genericamente nel corso della seconda metà del V sec. a.C. perché
depredate, Ciancio 1997, pp. 69-79, figg. 89-103; in particolare
le TT. 2 e 3 (scavo 1994, pp. 74-79, figg. 96-103, sito 14). Per la
tomba c.d. “dell’uovo di Elena”, datata al 430-420 a.C., ved. A.
Bottini, Elena in Occidente: una tomba dalla chora di Metaponto, «BdA» LXXIII, 50-51 1988, p. 1, tav. I b. Sulle tombe dipinte in Italia meridionale in generale ved. G. Gadaleta, La
Tomba delle Danzatrici di Ruvo di Puglia, Napoli 2002, pp. 109133 con ampia bibliografia sull’argomento, in particolare a p.
112, nota 16.
Fig. 11. - Distribuzione degli oggetti all’interno delle sepolture
(elaborazione M. Scalici).
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Ruvo del Monte. La necropoli in Emiliano
loc. S. Antonio.
Cruccas
Nuovi dati e prospettive di ricerca
51
accompagnavano i corredi maschili, non sembra essere mai venuto meno. L’appartenenza di questa comunità all’ethnos nord-lucano è sottolineata oltre che
dal tipo di decorazione subgeometrica e dalla deposizione rannicchiata dei corpi, dalla ricorrenza della
nestoris come vaso rituale. Questa forma trova proprio a Ruvo una delle sue più significative attestazioni. La continuità d’uso e l’evidente insostituibilità di questo oggetto sembrano testimoniare una deci-
sa affermazione di autonomia politica rispetto alle
culture delle aree circostanti71. Non appare casuale
che all’interno delle tombe vi siano rarissimi elementi dauni, a differenze di quanto avviene nella vicina Ripacandida72. Al contrario la presenza sistematica di olle tipiche della cultura di Oliveto Citra - Cairano, almeno fino al terzo quarto del V sec. a.C., richiama l’attenzione su possibili rapporti politici e parentelari tra i centri di Ruvo e Calitri73.
71
Sul carattere “identitario” che certi oggetti possono rivestire e
sul concetto di emblemic style cfr. P. Wiessner, Style and Social Information in Klahari San Projectile Points, «American Antiquity»
XLIX 1983, pp. 253-276; Style and Changing Relations Between
the Individual and Society, in I. Hodder (a cura di) The Meaning of
Things: Material Culture and Symbolic Expression, London-New
York 1989, pp. 56-63. Cfr. anche J.M. Hall, The Creation and Expression of Identity. The Greek World, in E. Alcock, R. Osborne,
Classical Archaeology, Malden Mass. 2007, pp. 335-354.
72
Bottini 1981, pp. 187-188.
73
Oltre alla presenza di olle di tipo A (T. 74, inv. 112988; T.
110, inv. 344696; inoltre Bottini 1981, p. 223, figg. 15-16, T.
6/37; variante a due anse: p. 215, fig. 5, T. 1-3/5; p. 227, fig. 21,
T. 8/64; p. 233, fig. 27, T. 9/87; p. 272, fig. 79, T. 29/348; p. 281,
fig. 88, T. 30/395), B (T. 51, inv. 110169, T. 60, inv. 112795; inoltre Bottini 1981, p. 272, fig. 79, T. 29/349) e C (T. 69, inv. 112913;
TT. 98-99, senza inv.; T. 105, inv. 344630-344632) della classificazione Bailo Modesti (1980, pp. 64-65), vi sono dei tipi non attestati a Cairano (T. 35, inv. 107145; T. 36, inv. 107215; T. 75,
inv. 113014; T. 83, inv. 113014; T. 93, senza inv.; T. 96, senza
inv.; inoltre Bottini 1981, p. 233, figg. 26-27, T. 9/88; p. 259, figg.
63, 67, T. 25/246) che potrebbero, pertanto, venire prodotte in un
altro centro del medesimo orizzonte culturale, probabilmente Calitri, cfr. G. Tocco in Atti Taranto XLVI 2006, pp. 390-391.
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Siris 10,2009, 53-64
Atena Lucana: una necropoli indigena ai margini
del Vallo di Diano*
di Maria Luisa Tardugno
Il sito di Atena Lucana è posto su un’altura caratterizzata da pendii e dislivelli a circa m 600 s.l.m. La
sua particolare posizione ne determina le peculiarità
culturali: situato sulle pendici nord-orientali del Vallo
di Diano, domina il varco che permetteva l’accesso
alla Valle dell’Agri, alla Basilicata interna e alla fascia costiera metapontina 1, configurandosi come centro di confine di un’area culturalmente definita
“Nord-Lucana”, di cui gli studi più recenti stanno
gradualmente evidenziando le caratteristiche relative
alle forme e ai modi di occupazione e di popolamento 2.
In questo contesto, Atena Lucana costituisce un
osservatorio privilegiato per una definizione dei caratteri complessivi di questo comparto culturale che
si presenta piuttosto omogeneo.
Occorre sottolineare che in età arcaica il Vallo di
Diano 3 rivela una doppia inclinazione culturale, percepibile grazie alla presenza di popolazioni “Enotrie”, distribuite lungo il versante meridionale della
vallata, gravitanti nell’entroterra delle colonie ioniche e tirreniche, che adottano il seppellimento del cadavere in posizione supina e di quelle occupanti il
comparto settentrionale, che si distinguono invece
sulla base di due indicatori principali: il rituale funerario, con il cadavere in posizione rannicchiata e la
produzione ceramica, definita “North Lucanian” 4.
La collina, su cui sorge oggi la città moderna, presenta la parte superiore leggermente piana e dei pendii intorno molto scoscesi che giungono fino a valle,
mentre a nord vi è uno sperone roccioso utilizzato nel
tempo, con ogni probabilità, come elemento difensivo. Il territorio circostante e la morfologia del sito
consentono di ipotizzare che l’attività principale della
comunità insediata ad Atena Lucana fosse connessa
all’agricoltura e alla pastorizia. Il sito è menzionato in
diverse fonti che fanno riferimento non solo al toponimo ma anche al territorio limitrofo 5.
Le prime esplorazioni archeologiche incominciano tra la fine dell’ ‘800 e l’inizio del ‘900 6, ma
erano già note numerose epigrafi di età romana 7 rinvenute nel corso del tempo e le mura di età lucana,
accuratamente descritte alla fine dell’‘800 dal Lacava
e dal Patroni 8: costruite in opera pseudo-poligonale,
presentano un tratto ben conservato in loc. Serrone
lungo ca. m 3,00; un altro tratto si conserva nei pressi
* Ringrazio il Prof. M. Osanna per l’invito a partecipare ai
lavori di questa giornata e per l’attenzione dimostrata. Un caloroso ringraziamento è rivolto alla prof.ssa Giovanna Greco, Università “Federico II”, per i preziosi suggerimenti e per gli utili
consigli nell’ambito della mia ricerca, un vivo ringraziamento
va al prof. Luigi Cicala, Università “Federico II”, per il suo costante sostegno. Ringrazio il Soprintendente Archeologo delle
provincie di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta, Dott.ssa
Maria Luisa Nava, per avermi autorizzato alla presentazione di
questi primi risultati della ricerca in corso, il Prof. Pier Giovanni
Guzzo, già Soprintendente per i Beni Archeologici di Napoli e
Pompei che mi ha autorizzato a lavorare ai materiali conservati
presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, la Dott.ssa
Anna Di Santo della Soprintendenza Archeologica di Salerno,
per la disponibilità nell’agevolare in ogni modo la mia ricerca e
la Dott.ssa Adele Lagi. La mia gratitudine va inoltre all’Arch.
Ferdinando d’Agostino che ha pazientemente curato l’elaborazione delle immagini. Un ringraziamento ed un ricordo è rivolto
infine al prof. Werner Johannowsky, primo scopritore della necropoli di Atena Lucana, per aver messo a mia disposizione il
materiale documentario relativo ai suoi scavi e per le proficue
occasioni di confronto e dialogo. L’intervento intende presen-
tare i primi risultati relativi allo studio di un campione di 100
sepolture rinvenute durante lo scavo effettuato dalla Soprintendenza di Salerno, negli anni 1979-1983, frutto di uno studio più
ampio presentato al Dottorato di Ricerca in Archeologia e Storia delle Arti, presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico
II”, XXIII ciclo.
1
W. Johannowsky, Atena Lucana, in BTCGI, 1986, pp.
336-338; W. Johannowsky, Atena Lucana (Salerno), «SE» II,
serie III, 1989, p. 496; Johannowsky 1994, pp. 494-496; D’Alto
1985.
2
Ved. Di Lieto 2008, p. 91, nota 2.
3
Vallo di Diano I.
4
Yntema 1990, pp. 187-196.
5
Cicerone, Div. I 59; Valerio Massimo, I, VII 5; Plinio il
Vecchio, N. H. II 225 e III 98.
6
Lacava 1893; Patroni 1897, p. 112-120; Patroni 1901, p.
498-505.
7
V. Bracco, Inscriptiones Italiae, III, Reg. III, I, Roma 1974;
V. Bracco, I materiali epigrafici, in Vallo di Diano I, pp. 251286.
8
Lacava 1893, pp. 7-9; Patroni 1897, pp. 112-117.
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54
Maria Luisa Tardugno
A
B
Fig. 1. - A: Nestorìs, Inv. 124.578, primo quarto V sec. a.C., Deposito Museo Nazionale di Napoli; B: Olletta/kantharos, Inv.
124.579, prima metà V sec. a.C. (Deposito Museo Nazionale di
Napoli; foto M.L. Tardugno).
della Chiesa di S. Maria, inglobato in un muro moderno e sicuramente in situ 9. Sono stati rilevati anche
i resti di un’altra cinta, interna alla prima, formata da
blocchi calcarei più piccoli, che probabilmente circondava l’acropoli, ricoperta poi dalle strutture moderne. Un’ipotesi differente considera quest’ultima la
vera cinta muraria, mentre l’altra un avamposto militare per proteggere il territorio 10. Ancora insoluti sono
i problemi connessi alla datazione, dal momento che
la grande perdita di dati, avvenuta nel corso del
tempo, rende difficile stabilire una cronologia assoluta. Allo stato attuale la fortificazione viene attribuita
al IV sec. a.C. 11.
L’entusiasmo e il crescente interesse verso le “antichità” rinvenute nel Vallo di Diano indussero il Pa-
D’Henry 1981, pp. 181-185.
D’Henry 1981, p. 181.
11
R. De Gennaro, I circuiti murari della Lucania antica (IVIII sec. a.C.), Paestum 2005, p. 34.
12
Patroni 1901, pp. 498-505.
13
Patroni 1901, pp. 503-504.
14
Archivio Storico della Soprintendenza di Napoli, Fasc. II
C 2,4.
9
10
troni ad intraprendere una serie di indagini e ricognizioni nel comprensorio di Atena Lucana, che portarono
al rinvenimento di tombe ad incinerazione, presumibilmente romane e di materiale arcaico 12. L’archeologo ebbe inoltre la possibilità di acquistare da abitanti
del posto oggetti ritrovati nel territorio circostante. I
materiali, costituiti per lo più da ollette/kantharoi datate al VI-V sec. a.C., pubblicati in maniera incompleta
nel 1901 13, sono stati rintracciati da chi scrive, dopo
una ricerca presso l’Archivio Storico della Soprintendenza Speciale di Napoli e Pompei, nei depositi del
Museo Nazionale di Napoli, acquistati dal Museo
stesso nel 1898 per la “Collezione di Terrecotte” 14 (fig.
1, A-B). Le indicazioni riferiscono del loro ritrovamento nei pressi del centro abitato moderno, in corrispondenza delle aree di necropoli oggi note.
Nel corso del ‘900 altre ricerche portarono al rinvenimento di un mosaico appartenente ad una villa
rustica, realizzato in tessere bianche per lo sfondo e
con una decorazione a meandro in tessere in rosso,
celeste e nero 15 e a quello di un acquedotto, la cui scoperta viene descritta minuziosamente dall’Ispettore
Onorario del tempo in una lettera del 1916 16, conservata presso l’Archivio Storico della Soprintendenza
Speciale di Napoli e Pompei; la struttura, di cui pare
non resti traccia, sarebbe stata individuata, secondo
le indicazioni fornite dal documento, ad est del centro abitato.
Le prime indagini sistematiche, ad eccezione di
quelle intraprese dalla Direzione dei Musei Provinciali di Salerno negli anni Sessanta e ben presto abbandonate 17, furono quelle condotte dalla Soprintendenza Archeologica di Salerno, negli anni 1979-1986,
durante le quali vennero alla luce i maggiori nuclei
sepolcrali 18 lungo le pendici sud-ovest della collina;
l’espansione edilizia del centro moderno ha rivelato
la necessità di nuove indagini, protratte fino al 2007.
Attualmente il numero delle sepolture recuperate
è di ca. 280. L’antico abitato non è stato ancora individuato, probabilmente obliterato dall’attuale centro
storico; in analogia con quanto accade in altri siti
15
C 48.
16
1, 17.
Archivio Storico della Soprintendenza di Napoli, Fasc. IV
Archivio Storico della Soprintendenza di Napoli, Fasc. V A
V. Panebianco, Atena Lucana, «Apollo» III-IV 1963-1964,
p. 191; V. Panebianco, Atena Lucana, «Apollo» V 1965-1984, p.
166.
18
Johannowsky 1994, pp. 494-496.
17
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Atena Lucana: una necropoli
Emiliano
indigena
Cruccas
ai margini del Vallo di Diano
55
Fig. 2. - Atena Lucana, pianta di scavo del 1979, area “Ambulatorio comunale”, in loc. Croce.
della Basilicata interna 19, è ipotizzabile che gli spazi
abitativi fossero ubicati nelle immediate vicinanze
dei nuclei di necropoli 20.
Le prime tracce di frequentazione, emerse in seguito ad un’indagine in località Fossa Aimone, risalgono alla fine dell’Eneolitico 21, mentre il rinvenimento, durante un breve scavo su una collina a sud del centro moderno, in loc. Serramezzana, di materiali ceramici decorati ad incisione e ad intaglio e di numerose
buche di palo, riconduce alla fase finale del Bronzo
Medio (XIV sec. a.C.) 22. Si ha notizia di materiali sporadici in impasto databili al IX-VIII sec. a.C., la cui
provenienza resta incerta, così come incerte si rivelano le circostanze del loro rinvenimento.
Una fase di grande sviluppo investe l’insediamento a partire dalla seconda metà del VII sec. a.C.,
testimoniata dalle numerose sepolture e dai ricchi
corredi; in conformità con quanto accade nello stesso
periodo nel resto della Basilicata, tra il VII e il VI sec.
a.C., si avvia un processo di ristrutturazione e di ridefinizione della compagine sociale. Lo sviluppo economico, insieme ad una diversa strutturazione della
società, rende più forte nella comunità la consapevolezza della propria identità etnica 23, i cui segni diventano più consistenti e visibili.
Emblematici della crescita economica del gruppo
sono alcuni bronzi, recuperati negli anni Settanta, provenienti probabilmente dalla zona del centro attuale:
un’oinochoe con ansa con palmetta e volute e due
arieti, un’hydria con ansa a testa femminile e protomi
di serpente, rientrante del gruppo Telesstas e un bacino con orlo perlinato, datati intorno al 600 a.C. 24. La
presenza di questi oggetti è indicativa oltre che delle
risorse economiche della comunità indigena anche del
ruolo significativo nel controllo delle vie di percorrenza e di attraversamento del territorio.
Verso la fine del V e l’inizio del IV sec. a.C.,
nuove influenze culturali modificano l’assetto del-
Russo 2009, p. 33.
Cfr. Bruscella supra.
21
P.F. Talamo, Le aree interne della Campania centro-settentrionale durante le fasi evolute dell’Eneolitico: osservazioni sulle dinamiche culturali, «Origini» XXX 2008, pp.
218-219.
22
W. Johannowsky, Atti Taranto XIX 1979, pp. 346-347; W.
Johannowsky, Atti Taranto XXII 1982, p. 423.
23
M. Torelli, Le popolazioni dell’Italia antica: società e
forme del potere, in Storia di Roma. 1. Roma in Italia, Torino
1988, pp. 54-55.
24
Johannowsky 1980, pp. 445-457.
19
20
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Maria Luisa Tardugno
Fig. 3. - Atena Lucana, pianta di scavo del 1980, area “Scuola Media”, in loc. Croce.
l’insediamento e intorno al 280 a.C. avviene la definitiva conquista romana; Atina figura nei testi romani
come praefectura, la cui data di costituzione è incerta, ma potrebbe risalire al periodo successivo alla
seconda Guerra Punica o a quello della riforma dei
Gracchi 25. Non si hanno testimonianze archeologiche fino agli anni della guerra sociale (90-89 a.C.) 26,
quando la città acquisisce la cittadinanza romana e lo
statuto di municipium; l’unica eccezione è rappresentata da un’epigrafe in lingua osca e caratteri greci,
datata al II sec. a.C., oggi perduta, che riporta il riferimento ad un senato locale e alla costruzione di un
edificio pubblico 27.
Le evidenze archeologiche sono rappresentate per
lo più dalle necropoli; i nuclei più consistenti sono
stati indagati dal 1979 al 1984 in loc. Croce (figg. 23), a monte della collina; la forte pendenza in direzione sud-ovest e l’irregolarità del territorio hanno
condizionato non solo le modalità di organizzazione
del nucleo, ma anche la conservazione delle tombe
stesse, in più casi rinvenute vuote o sconvolte da fenomeni di ruscellamento, dovuti ad acque meteoriche o sorgive. Le sepolture appaiono distribuite per
nuclei, ubicati principalmente lungo il declivio che
dal centro abitato moderno conduce a valle, in dire-
zione sud-ovest (fig. 4). Non è sempre possibile definire la loro effettiva estensione dal momento che gli
scavi sono stati per lo più subordinati alle esigenze di
espansione edilizia del paese moderno.
Nelle aree di necropoli prese in esame, in più punti
si incontrano spazi risparmiati dall’occupazione funeraria, ma l’analisi dei rilievi permette di supporre
che questi non fossero funzionali ad una particolare
destinazione connessa al rituale, ma al contrario fossero dovuti all’irregolare conformazione del territorio, le cui frequenti differenze di quota hanno
condizionato certamente le modalità di utilizzo dell’intera zona.
La documentazione acquisita ha permesso di accertare che la maggior parte delle deposizioni è databile tra la seconda metà del VII e la metà del VI sec.
a.C., mentre minore risulta la percentuale di quelle databili oltre la metà del VI e al V sec. a.C. (fig. 6, B).
Nel IV sec. a.C. l’area viene defunzionalizzata,
il pendio viene sistemato con terrazzi e gradoni, intaccando le sepolture arcaiche e vengono realizzate
delle strutture in pietre a secco la cui definizione
resta incerta; una di queste, in blocchetti in pietra
rettangolari, delimitava un ambiente quadrato, probabilmente ipogeo 28 . Le strutture appartengono,
V. Panebianco, Il Lapis Pollae e le partizioni di ager publicus nel II sec. a.C. nel territorio dell’antica Lucania, «RassStorSalern» XXIV-XXV 1963-1964, pp. 20-22.
26
Johannowsky 1994, pp. 494-495.
27
G.O. Onorato, L’iscrizione osco-greca di Atena Lucana,
«RendNap» XXVIII 1953, pp. 335-345.
28
D’Alto 1985, p. 69, fig. 27.
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Fig. 4. - Atena Lucana, veduta dei principali nuclei necropolici.
presumibilmente, ad abitazioni che nel IV sec. a.C.
occuparono l’area precedentemente adibita ad uso
sepolcrale, distrutte quasi certamente intorno al
280 a.C. 29.
Le tombe sono tutte a fossa terragna di forma rettangolare, con angoli arrotondati, di dimensioni variabili da m 2,80 a 0,96 di lunghezza e da m 2,00 a
0,75 di larghezza e hanno una profondità che varia
da m 0,30 a 0,80, ricavate nel banco di argilla vergine; in due soli casi (TT. 13 e 51) la fossa è di forma
circolare; ad eccezione di un unico esempio di sepoltura ad enchytrismòs (T. 1), sono completamente
assenti tombe di neonati e bambini in tenera età.
L’orientamento prevalente del defunto è con il capo
ad ovest, con piccole variazioni verso sud o verso
nord; discreta è la presenza di sepolture orientate in
direzione nord-sud e nord-est/sud-ovest, poche sono
29
Johannowsky 1994, p. 494.
invece le deposizioni con capo a nord, a est ed a sudest/nord-ovest.
Non si hanno notizie di eventuali fodere interne lignee o litiche; solo in alcuni casi sono state individuate pietre di medie dimensioni, posizionate
orizzontalmente, lungo il lato corto della tomba,
presso il capo del defunto; la deposizione del cadavere avveniva direttamente sul fondo della fossa; è da
precisare però che in alcuni casi la regolarità della disposizione degli oggetti di corredo potrebbe suggerire verosimilmente la presenza di una cassa o di assi
di legno di cui non resta traccia 30; non sono da escludere possibili sistemazioni del piano di deposizione
con materiali deperibili come tessuti o stuoie.
Eccezionalmente la fossa è circondata da pietre; il
piano di deposizione è regolare così come testimoniato dalle quote di rinvenimento e dalla posizione
30
Cfr. M. Scalici, supra.
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del corredo. Dopo la sistemazione del defunto con il
suo abbigliamento e i suoi oggetti personali, venivano
disposti vasi e manufatti legati ai rituali funerari.
È probabile che non ci fossero segnacoli o che
questi fossero in materiale deperibile, quindi non visibili a lungo, dunque la tomba poteva non essere più
riconoscibile dopo la chiusura, causa probabile della
sovrapposizione di più sepolture. Questo elemento
potrebbe anche suggerire che la tomba non fosse oggetto di culti successivi.
Il rituale attestato è quello dell’inumazione ed in
tutti i casi, nel campione analizzato, si tratta di deposizioni primarie, monosome. Il corpo del defunto
nella fossa veniva deposto con il busto supino e le
gambe reclinate su di un fianco (fig. 5). Gli studi relativi ai processi tafonomici 31 e l’analisi delle deposizioni hanno evidenziato una certa regolarità nella
posizione degli arti inferiori, generalmente adagiati a
sinistra o a destra; le gambe sono contratte, poggiate
l’una sull’altra e appiattite per la pressione del deposito soprastante e della forza di gravità. Le ossa sono
quasi sempre in connessione anatomica; il busto è costantemente in posizione frontale. La colonna vertebrale ha una sistemazione pressoché lineare, dritta e
non curva, come nei cadaveri deposti in posizione
completamente rannicchiata; le clavicole sono in
posto; il cranio sembra avere una posizione frontale o
al massimo è spostato di lato, in connessione con il
resto della colonna 32; le braccia sono ripiegate sul bacino, anch’esso in posizione frontale. Il corredo è sistemato all’esterno del volume del corpo e ne segue
il profilo.
Questo tipo di deposizione si distacca dal caratteristico rito del rannicchiamento in posizione fetale 33
e dal reclinamento del cadavere su di un fianco 34.
Sembra invece essere comune alle comunità insediate
nei limitrofi territori di Buccino, Baragiano e Satriano, nel corso dell’età arcaica e classica 35. Nel campione presentato, solo due defunti sono deposti
reclinati su fianco (TT. 54 e 67) e rientrano nel nucleo di necropoli della seconda metà del VII sec. a.C.;
la posizione supina è documentata dalla T. 74, datata
all’inizio del IV sec. a.C.
L’analisi statistica della modalità di deposizione
denota una generale tendenza, a partire dalla seconda
metà del VII e fino alla fine del V sec. a.C., senza sostanziali variazioni, a sistemare i defunti nella fossa
con le gambe reclinate sulla destra, la maggior parte
F. Mallegni, M. Rubini (a cura di), Recupero dei materiali
scheletrici umani in archeologia, Roma 1994; Canci, Minozzi
2005.
32
Il problema della posizione del cranio è più delicato, in
quanto per definirla è necessario esaminare la connessione con
le prime vertebre cervicali. La posizione originaria è stabilita
sulla base della continuità tra il cranio e queste ultime. Quando
invece, vi è una totale disarticolazione, la giacitura non è pri-
maria ma dovuta ad agenti tafonomici: Canci, Minozzi 2005, p.
82.
33
Greco 1991, pp. 17-18, figg. 48-49; p. 19, figg. 50-53.
34
Lissi Caronna 1972, pp. 494-405, fig. 5 (TT. 1 e 5); Lissi
Caronna 1980, p. 124, fig. 7; Bottini 1981, pp. 183-288.
35
Holloway 1970, pp. 51-59, figg. 69-70; Torre di Satriano I,
p. 68; Russo 2009, p. 30, fig. 2; pp. 102-103; p. 518, fig. 8; p.
524, fig. 22; p. 535, fig. 37; p. 537, fig. 41; p. 542, fig. 53; p. 545,
fig. 62; p. 550, fig. 68.
Fig. 5. - Rilievo della T. 25, area “Scuola Media”, in loc. Croce.
31
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Atena Lucana: una necropoli
Emiliano
indigena
Cruccas
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di questi appartiene ad individui di sesso maschile.
Le tombe femminili, invece, presentano il defunto deposto prevalentemente con le gambe adagiate sulla
sinistra, tranne poche eccezioni 36 (fig. 6, A).
Lo studio dei corredi, sebbene ancora in fase preliminare, consente di proporre i primi dati quantitativi
relativi alla presenza di determinate classi di materiali nella necropoli; tale inquadramento risulta al
momento provvisorio, in attesa di analizzare un ben
più consistente numero di sepolture per consentire
valutazioni di ampio respiro (fig. 7).
La classe “Ruvo-Satriano” 37, produzione peculiare
della Basilicata indigena nordoccidentale tra il VII e
il V sec. a.C., risulta essere quella presente in maggior quantità. I manufatti sono lavorati a mano o con
la ruota lenta, ricoperti da un ingobbio molto sottile,
realizzato con le stesse componenti di argilla e da una
decorazione geometrica in vernice bruna, rossa e in
vernice rosso-violaceo 38 (fig. 11, A, B, D).
La brocca costituisce una delle forme più ricorrenti nei corredi funerari di Atena Lucana, utilizzata
per versare e contenere liquidi, del tipo a bocca
ampia, con collo stretto o biconico, con corpo globulare o piriforme, con ansa a nastro con bottoni 39. Connessa all’uso del bere e del contenere sostanze liquide
è l’olletta/kantharos (fig. 8), nei tipi con corpo globulare, biconico o con spalla tesa, anse a nastro sopraelevate con apice ad angolo acuto oppure con
bottoni circolari e rotelle 40. Reiterata più volte nella
tomba costituisce l’oggetto più rappresentativo dell’identità indigena 41.
Si possono inoltre distinguere le forme del repertorio tradizionale geometrico più antico, come l’olla,
l’olletta biansata, l’askós, l’attingitoio e quelle invece
mutuate dal repertorio formale greco, come le oinochoai.
Abbondante è anche la ricorrenza della ceramica a
bande, costituita principalmente da manufatti da
mensa, come scodelle, coppette, coppe e brocche; si
tratta di materiali di produzione indigena decorati con
bande di diverso spessore, lineari o ondulate, in vernice bruna o rossa, lavorati con il tornio veloce.
Il ruolo di cerniera ricoperto dall’insediamento
in età arcaica e classica è testimoniato dalla presenza di materiali appartenenti ad aree culturali differenti, come l’area Enotria, principalmente quella
relativa al Vallo di Diano e alla Val d’Agri, le cui
produzioni sono presenti in abbondanti quantità,
raggruppate nella classe ceramica West-Lucanian 42,
diffusa soprattutto nella zona Ovest della Basilicata.
I manufatti di Atena Lucana appartengono alla fase
finale della produzione (West-Lucanian Subgeome-
La distinzione tra le tombe maschili e quelle femminili è
stata effettuata sulla base della presenza di oggetti caratteristici,
indicatori del sesso: le armi per gli individui maschili, gli oggetti
di ornamento personale come ambre, fibule e utensili, per lo più
fusaiole, per gli individui di sesso femminile. Non si esclude la
presenza di monili preziosi anche nelle tombe maschili, come già
riscontrato in ambito enotrio; valga l’esempio della T. 26 di Chiaromonte, pertinente ad un individuo di sesso maschile, che pre-
senta una ricca collana di ambra, ved. Russo Tagliente 1992-1993,
p. 301, fig. 42; A. Bruscella, supra, T. 65.
37
Yntema 1990, pp. 187-196.
38
Holloway 1970, pp. 88-91.
39
Russo 2009, p. 77; pp. 80-81, figg. 87-88.
40
Russo 2009, p. 77.
41
Colivicchi 2004, p. 28.
42
Yntema 1990, pp. 112-143.
Fig. 6. - A: Grafico della disposizione degli arti inferiori in relazione al sesso; B: Grafico riassuntivo del numero di sepolture in
relazione alle diverse fasi cronologiche.
36
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Fig. 7. - Grafico delle quantità delle classi ceramiche.
tric) 43, datata tra tardo VII e gli inizi del V sec. a.C.
Le forme sono quelle dell’olla su piede, dell’olla
biansata, della brocca e dell’olletta/kantharos con
un’imboccatura larga, insieme a boccali, scodelle,
bottiglie (vedi infra fig. 11, C, E).
La ceramica di tipo ionico, costituita quasi per la
totalità da kylikes del tipo B1 e B2 44, è ben documentata e rappresenta il fossile guida per le datazioni
di molte sepolture; le differenze nella lavorazione
permettono di distinguere prodotti di fabbricazione
coloniale da quelli di produzione locale.
La ceramica di impasto ricopre un ruolo importante
nel sistema di corredo della necropoli, poiché è presente
in quasi tutte le sepolture e comprende forme ricorrenti
di antica tradizione funeraria. L’impasto è grossolano,
con molti inclusi, con superfici lisciate in maniera irregolare, con la stecca o con la ruota lenta. Le forme maggiormente attestate ad Atena Lucana sono le olle e gli
scodelloni, ma anche le tazze e i boccali.
Per quanto riguarda le importazioni, sono documentati in piccola percentuale aryballoi corinzi ed
etrusco-corinzi, kotylai, skyphoi di imitazione corinzia ed esemplari di provenienza bradanica, rappresentati da ollette/kantharoi di piccole dimensioni.
Ampiamente attestata è la ceramica a vernice nera
databile tra la fine del VI e l’inizio del V sec. a.C.,
composta principalmente da kylikes di tradizione attica 45, prodotte nelle colonie.
Tra la fine del VI e l’inizio del V sec. a.C., compaiono anche esemplari in ceramica con decorazione fitomorfa: si tratta di forme già pertinenti alla tradizione
indigena oppure mutuate dal repertorio greco, decorate
sulla metà superiore con motivi a palmetta e fiori di loto
stilizzati e su quella inferiore da bande in vernice nera 46
(fig. 9). Compaiono anche forme nuove come la lekythos, il kalathos 47, il kothon e la nestorìs.
La presenza e la quantità di determinate classi e
forme ceramiche nella necropoli sottolineano come
Ved. La Genière 1968; Yntema 1990, pp. 125-143.
Vallet, Villard 1955, pp. 7-34; Boldrini 1994, pp. 137-235.
45
Blösch 1940.
46
Forentum I, p. 169.
47
Presente esclusivamente in tombe maschili, nonostante sia
un tipico oggetto femminile (identificato come contenitore di lana
in Grecia), probabilmente da associare alla pratica del banchetto.
Ved. Russo Tagliente 1992-1993, pp. 248-250.
43
44
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Fig. 8. - Olletta/kantharos, fine VII sec. a.C. (da Johannowsky
1994, p. 494, fig. 564).
Fig. 9. - Brocca, metà V sec. a.C. (da Johannowsky 1994, p. 494,
fig. 566).
la loro circolazione fosse circoscritta ad un’area geografica che vede nei siti di Buccino, Baragiano, Satriano ed Atena Lucana gli interlocutori principali.
Sono percepibili gli scambi con le aree vicine, come
quella della Basilicata meridionale; scarso è invece il
contatto con i cantoni più lontani, in alcuni casi
molto rari, come appare per l’area daunia.
Nel corso della ricerca, è stata tentata una distinzione per funzione dei vari manufatti, analisi finalizzata alla lettura della distribuzione qualitativa e
quantitativa degli oggetti di corredo nell’ambito della
deposizione (fig. 10). È stato pertanto possibile verificare nella disposizione del corredo vascolare all’interno della fossa, durante l’età arcaica, che gli
oggetti sono disposti ai piedi dell’inumato, nella zona
occupata dagli arti inferiori, ai lati del corpo e ai lati
della testa 48. L’olla in impasto, vaso per contenere, è
usualmente deposta ai piedi del defunto, accompagnata generalmente da un boccale-attingitoio o da
un’olletta/kantharos miniaturistica deposti nel suo interno. Oltre all’olla, in questa porzione della fossa è
possibile rinvenire altri tipi di vasi-contenitore, come
l’olla biansata, l’olla su piede, lo scodellone oppure
oggetti con altra funzione, ollette/kantharoi e brocche, insieme a forme mutuate dal repertorio greco,
come le oinochoai, le kotylai e le kylikes. Presso i lati
del bacino e del torace sono deposti frequentemente
kylikes ioniche del tipo B1 e B2, askoi, brocche e ollette/kantharoi. La zona corrispondente alla testa è riservata esclusivamente alla deposizione di brocche e
oinochoai, generalmente sistemate sulla sinistra, associate costantemente all’olletta/kantharos oppure
alla kylix o in alcuni casi ad entrambe, deposte a destra e a sinistra. La parte della fossa al di sopra della
testa in genere non viene utilizzata per deporre alcun
elemento di corredo e viene lasciata vuota.
Durante il V sec. a.C., la disposizione degli oggetti
di corredo nella tomba resta per lo più inalterata:
l’olla con all’interno l’attingitoio è sempre ricorrente
ai piedi del defunto, a volte associata alla nestorìs; si
nota un aumento considerevole del numero di boccali, distribuiti lungo il corpo, soprattutto ai lati del
cranio insieme all’olletta/kantharos, in sostituzione
della brocca.
Il campione analizzato ha consentito di individuare la presenza di un corredo di base, costituito
principalmente dalla ricorrenza di quattro forme vascolari: l’olla contenitore in impasto, presente in tutte
le sepolture, in un unico esemplare, in casi molto rari
ne compaiono due, con attingitoio all’interno; la
brocca, presente in ogni tomba da uno a 11 esemplari
e l’olletta/kantharos, reiterata fino a quattro volte per
tomba, connesse chiaramente al consumo del vino, rispettivamente utilizzate per versare e per bere; al corredo di base si associano forme del repertorio locale
e forme mutuate dal repertorio greco.
Allo stato attuale della ricerca, sembra che tali associazioni di base siano indipendenti dal genere del
defunto, tuttavia in alcune tombe relative a bambini è
48
Per definire univocamente la posizione degli oggetti, la
fossa è stata suddivisa in 6 comparti, indicati con le lettere dalla
A alla F: A zona al di sopra della testa, B testa, C torace, D bacino, E gambe, F zona al di sotto dei piedi.
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Fig. 10. - Grafico di sintesi della distribuzione degli oggetti di corredo nella tomba, in relazione alla funzione.
stata notata la sostituzione della caratteristica olla in
impasto con un’olletta/kantharos.
Il vasellame metallico è rappresentato da contenitori in bronzo, in prevalenza bacini con orlo perlinato
oppure a treccia, beni tesaurizzati, frutto di scambi
con aree differenti, provenienti principalmente dall’area etrusco-campana 49. Probabilmente la loro presenza è da mettere in relazione con le offerte di cibo
al defunto, come dimostrano recenti analisi 50; essi
sono collocati ai piedi del defunto stesso.
Nelle sepolture maschili della necropoli di Atena
Lucana le armi, tutte in ferro, sono sempre presenti e
connotano il defunto come guerriero. In quasi tutti i
corredi è presente la lancia 51, arma da offesa, a volte
reiterata oppure accompagnata da una più piccola,
probabilmente con funzione complementare 52, deposta ai piedi o lungo il lato destro del cranio; spesso si
rinviene anche il giavellotto53, associato alla lancia.
La presenza della spada, deposta sul torace o al lato
del busto, è più rara, essa infatti contraddistingue lo
status sociale del defunto già a partire dal VII sec.
a.C.; in alcuni casi presenta tracce del fodero che doveva essere in legno con applicazioni in bronzo 54,
come si evince dalle incrostazioni superficiali; a questa si uniscono altri elementi dell’armatura, come gli
schinieri e l’elmo, tra il VII e il VI sec. a.C., mentre
nel corso del V sec. a.C. compaiono i cinturoni in
bronzo. Gli elmi più antichi sono quelli di tipo corinzio a calotta allungata, rientranti nella seconda serie
della produzione corinzia, databili tra la fine del VII
e l’inizio del VI sec. a.C. 55, in nessun caso indossati
dal defunto; in diversi esemplari sono presenti numerosi fori lungo i margini, elemento che permette di
supporre che fossero imbottiti probabilmente con il
cuoio 56; gli schinieri 57 sono invece anatomici, anch’essi non indossati, ma adagiati lungo i lati del
corpo, in corrispondenza degli arti inferiori. È stata
riscontrata anche la presenza di oggetti quali l’ascia,
che si trova sempre a destra o accanto al cranio o al
lato del torace, il sauroter, sistemato a destra dei piedi
R.M. Albanese, Considerazioni sulla distribuzione dei bacini bronzei in area tirrenica e in Sicilia, in Il commercio etruscoarcaico, Studi in onore di Mario Napoli, Salerno 1985, p. 191;
D’Agostino 1977, p. 25, tipo C.
50
Russo 2009, p. 46.
51
Tipo B, Bottini 1982.
52
Tipo A, Bottini 1982.
53
Tipo 1.1, Forentum I.
54
Spesso le pessime condizioni di rinvenimento non permettono di inserire l’oggetto in una precisa collocazione tipologica;
è possibile però affermare che gli esemplari di Atena Lucana appartengono al tipo 1.2, Forentum I.
55
H. Plug, Antike Helme. Sammlung Lipperhide und andere
Bestaende des Antikenmuseums Berlin, Mainz 1988, p. 386, n. 9;
p. 388, n. 11.
56
Armi, p. 15.
57
Bottini 1982, p. 94, nota 16; Armi, p. 64.
49
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Atena Lucana: una necropoli
Emiliano
indigena
Cruccas
ai margini del Vallo di Diano
63
Fig. 11. - A) brocca, “Ruvo-Satriano Class”, T. 45, fine VII sec. a.C.; B) olletta/kantharos, “Ruvo-Satriano Class”, T. 11, fine VII sec.
a.C.; C) olletta/kantharos, “West-Lucanian Class”, T. 1, seconda metà VI sec. a.C.; D) brocca, “Ruvo-Satriano Class”, T. 11, fine VII
sec. a.C.; E) brocca, “West-Lucanian Class”, T. 66, seconda metà VI sec. a.C. (documentazione grafica M.L. Tardugno).
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64
Maria Luisa Tardugno
o del cranio e il coltello, a volte attestato in più esemplari per tomba, considerato più uno strumento che
un’arma, in quanto connesso alle pratiche dei pasti
comunitari in cui si consumava tanto il vino quanto la
carne 58. Tali oggetti possono essere considerati beni
di prestigio ed elementi rappresentativi del ruolo elitario rivestito da determinati individui nell’ambito
della comunità, fattore che può pertanto essere considerato indicativo del nascente divario sociale 59.
Gli oggetti di ornamento personale sono sempre
indossati dal defunto e sono presenti sia nelle tombe
maschili sia in quelle femminili. L’ambra, diffusissima in ambito indigeno per il suo valore apotropaico
e terapeutico, soprattutto nelle tombe femminili, è
rappresentata, in quelle più antiche, da collane con
vaghi lenticolari, a goccia e circolari o in forma di
piccoli aryballoi 60; le tombe più ricche presentano
vere e proprie parures, talvolta arricchite da elementi
in avorio, osso o saltaleoni in bronzo, ma si possono
ritrovare anche semplici vaghi che impreziosiscono
l’abito funerario; oggetti di piccole dimensioni si rinvengono anche a sinistra o a destra del torace, probabilmente perché scivolati dopo la decomposizione
o perché pertinenti a monili che ornavano le braccia.
Le fibule sono presenti in quasi tutti i corredi femminili e maschili e in buona quantità sono costituite
da esemplari in ferro ad arco composito e staffa
lunga 61 (l’arco è rivestito da un elemento centrale di
ambra e due elementi laterali in osso), databili tra la
fine del VII e l’inizio del VI sec. a.C. Tra le fibule
più antiche si rinvengono quelle a navicella con arco
inciso in bronzo 62, quelle a losanga con apofisi laterali 63 e quelle ad arco serpeggiante 64, mentre nel V
sec. a.C. sono documentate le fibule a doppio arco in
argento e osso 65. Nella totalità dei casi esse sono presenti in coppia o in due coppie, sistemate all’altezza
delle spalle, a destra e a sinistra oppure sul petto del
Bianco 1999, p. 374.
Russo 2009, p. 54.
60
Ambre, pp. 224-243.
61
Sundwall 1943, G I β d.
defunto. Gli oggetti di ornamento sono costituiti
anche da pendagli in avorio o osso, da cerchi in
bronzo applicati alle vesti e rinvenuti quasi sempre
all’altezza del bacino, da orecchini a spirale in argento, talvolta impreziositi da vaghi di ambra, da saltaleoni in bronzo, anelli digitali in bronzo, vaghi in
pasta vitrea in aggiunta a quelli in ambra.
In diversi casi è possibile rinvenire oggetti pertinenti esclusivamente all’universo femminile, come le
fusaiole in impasto, collocate principalmente a sinistra del torace, in prossimità del braccio.
Alla luce di quanto analizzato, emerge in maniera
evidente il ruolo che l’insediamento indigeno di
Atena Lucana ha ricoperto nell’organizzazione insediativa dell’area, come sito di confine di una compagine culturale compatta e definita. La felice posizione
topografica che permetteva il controllo di uno sbocco
centrale per il sistema economico antico, ha favorito
la sua partecipazione alle dinamiche commerciali e
culturali ed alle complesse relazioni che hanno coinvolto i centri indigeni durante l’età arcaica.
La composizione del corredo rivela certamente
un’evoluzione nella diversificazione e nell’articolazione sociale, fattori che diventano sempre più marcati nel corso del tempo, fino a mutare alla fine del V
sec. a.C., quando la compagine socio-culturale viene
livellata dall’arrivo dei Lucani. Densi e frequenti restano nel corso del tempo i contatti con le comunità limitrofe e con quelle più distanti, percepibili grazie ai
ritrovamenti archeologici.
Sebbene sia proiettato topograficamente nel Vallo
di Diano, pur subendone in parte l’influenza culturale, l’insediamento di Atena si mantiene sempre ben
distinto dall’area enotria, ai “margini” di un comprensorio così vicino geograficamente eppure così distante per identità.
Sundwall 1943, G I β c.
Sundwall 1943, G III β c.
64
Sundwall 1943, H III α aa 8, H III α c i.
65
Sundwall 1943, G V a 6.
58
62
59
63
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AREE FINITIME
Siris 10,2009, 65-80
Un nucleo di tombe della necropoli di Melfi-Pisciolo.
Riflessioni sulla rappresentazione dell’identità
nello spazio funerario *
di Raphaëlle-Anne E. Kok
In questa sede saranno proposti i risultati dello studio di un nucleo di tombe appartenenti alla necropoli
di Melfi-Pisciolo. Dato che si tratta di un contesto
poco noto e per la maggior parte inedito, si inizierà
con una introduzione al sito. I risultati sono stati ottenuti tramite l’analisi della stratigrafia orizzontale e
della composizione dei corredi delle tombe durante le
diverse fasi d’ uso della necropoli. Oltre alla descrizione di queste sepolture, ci si concentrerà sull’interpretazione dei dati esposti, trattando quindi il tema
della tavola rotonda: “Lo Spazio della Memoria”. La
memoria collettiva è infatti fondamentale per una comunità, rinforza il senso di appartenenza e sottolinea
dunque l’identità collettiva. Tale legame si esplicita
soprattutto tramite i contesti funerari, in questo caso
quelli appartenenti alla necropoli del Pisciolo. Attraverso lo studio di questi dati si potranno quindi formulare ipotesi sulla struttura sociale e sulle diverse
identità collettive riflesse nel rituale funerario.
Il sito di Melfi-Pisciolo si trova nella parte settentrionale della Basilicata, il Melfese. Questa zona
comprende una superficie di kmq 1600 ca. che include gran parte del bacino meridionale dell’Ofanto
e dell’alta valle del fiume Bradano. L’area presa in
esame, per la sua ubicazione geografica, ha ricoperto
un ruolo strategico nell’antichità, in quanto zona di
frontiera e quindi di scambio tra la Daunia, la Campania orientale e il versante tirrenico, l’area nord-lucana, lo Ionio e il Materano 1.
La necropoli oggetto di questo studio è collocata
nella località conosciuta con il nome di Pisciolo o
“delle Frasche”, a km 7 ca. ad ovest della città di
Melfi. Ai lati di questa collina scorrono i due omonimi torrenti, chiamati appunto, Pisciolo e Le Frasche,
che sfociano nell’Ofanto (fig. 1). Il sito si trova su una
parte di una collina sul versante destro di tale fiume,
in un luogo ove fu individuato un guado 2, e aveva
dunque un’importante posizione strategica anche nei
percorsi di transumanza, come è documentato per gli
altri siti del Melfese, anche d’età più antica. Il controllo di questi tratturi della transumanza stagionale,
dalle pianure costiere alle aree più interne, era probabilmente l’esigenza fondamentale per l’ubicazione del
sito, e lo scambio di tipo commerciale può essere visto
come conseguenza della sua posizione favorevole 3.
L’area Melfese è stato oggetto di indagini archeologiche dalla seconda metà del XX secolo. Nel 1967
l’Ispettore Onorario Di Pietro segnalò, all’allora Soprintendente D. Adamesteanu, il casuale rinvenimento di materiale archeologico nella frazione di
Pisciolo, durante la costruzione della strada statale
Ofantina 4. Nel 1971 iniziarono lavori in questa zona,
nella quale doveva essere aperta una cava e un’installazione atta allo sfruttamento del silicio. Considerando la segnalazione precedente della presenza di
materiale archeologico fu presa la decisione di iniziare uno scavo archeologico di emergenza sotto la
direzione di G. Tocco 5.
* Vorrei ringraziare il Prof. M. Osanna per l’opportunità offertami di presentare la mia ricerca in questa sede. Ciò non sarebbe stato possibile senza il suo supporto e senza la gentilissima
disponibilità della Dott.ssa G. Tocco, la Dott.ssa Ciriello e il personale del Museo Nazionale di Melfi.
1
Infatti, la maggior parte dei fiumi che percorrono il territorio della moderna Basilicata, sfociano nel Mar Ionio; l’Ofanto, invece, che costituisce il limite settentrionale della Basilicata
odierna e del Melfese, sfocia nell’Adriatico seguendo una direttrice che corre prevalentemente sud-ovest/nord-est. La sorgente
dell’Ofanto, l’antico Aufidus di Orazio (Odi III 30), si trova nelle
vicinanze di quella del Sele, il quale permetteva la comunicazione con il versante tirrenico. L’accesso alla Campania orientale dall’area daunia era possibile tramite il passo di Candela. I
contatti con lo Ionio e la zona del Materano erano assicurati attraverso la valle del Bradano, che segue un andamento nordovest/sud-est (R.J. Buck, The Ancient Roads of Eastern Lucania,
«BSR» XLII 1974, pp. 46-67). Queste due vie di comunicazione
sono il prolungamento naturale di una via che parte dal Bradano,
passando per il Basentello presso Gravina, Altamura, Monte Sannace e Conversano per arrivare alla costa adriatica (Bottini
1980b, p. 314).
2
Bottini 1980b, pp. 313-344.
3
Bottini 1980b, p. 318.
4
Strada che taglia in due parti la necropoli.
5
Si ringrazia il Sig. B. Formicola per le sue informazioni e la
sua gentilissima disponibilità.
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66
Raphaëlle-Anne E. Kok
Fig. 1. - La collina di Pisciolo.
La prima campagna di scavo della necropoli di
Melfi-Pisciolo ebbe luogo nel 1971 e portò al rinvenimento delle tombe oggetto di studio di quest’articolo e di 102 sepolture complessive. L’area indagata
era quella più vicina al fiume Ofanto, nella fascia occidentale della collina su cui è ubicata la necropoli.
Questa zona è stata chiamata Pisciolo-Quadrone,
zona A 6 (fig. 1). In quell’anno vennero anche scoperte le due importanti tombe “principesche”, 43 e
48, che in seguito sono state parzialmente pubblicate
da D. Adamesteanu 7. L’inventario di queste tombe è
stato in seguito edito da A. Bottini 8. I risultati preliminari dello scavo sono stati pubblicati nello stesso
anno negli Atti del Convegno di Taranto 9. Nella primavera del 1972, durante la seconda campagna di
scavo sono state recuperate un grande numero di
tombe, ubicate più in alto e a maggior distanza dal
fiume Ofanto. Oltre alle sepolture sono stati messi in
luce i resti di due capanne. Si tratta degli unici rinvenimenti relativi all’antico abitato di Pisciolo; si è potuta ricostruire la planimetria di una sola abitazione,
Tocco 1971, p. 461.
Popoli anellenici, pp. 117-128.
8
Bottini 1989, p. 172.
9
Tocco 1971.
collocata vicino alle tombe.
La capanna in questione presenta una pianta circolare o
ellittica con un piccolo portico antistante. Ad est è stato
messo in luce un muretto costruito a secco. Sulla base dei
frammenti rinvenuti durante
lo scavo la struttura è stata
datata nella prima metà del V
sec. a.C. 10. Accanto al fondo
di capanna si trova un grande
sbancamento che ha impedito
di poter raccogliere maggiori
dati circa lo sviluppo dell’abitato 11. Anche i primi risultati di questa campagna di
scavo vennero presentati al
Convegno di Taranto 12.
Negli anni 1973 e 1974 la
zona di Pisciolo fu interessata da nuove esplorazioni archeologiche, senza che i risultati preliminari fossero pubblicati. Negli Atti del
Colloquio internazionale di preistoria e protostoria
della Daunia G. Tocco ha pubblicato “Scavi nel territorio di Melfi” che si concentra sui dati della parte
settentrionale della necropoli di Pisciolo, chiamata
anche Quadrone 13.
Le tombe di cui ci si occuperà in questa sede si
trovano nella loc. Pisciolo Quadrone, nella parte più
bassa della collina, tra la Strada Statale Ofantina e il
tratto della ferrovia (ex FF.SS.) Rocchetta S. Antonio
- Avellino. Il campione esaminato (che consta di 32
tombe) è stato scelto per la sua ubicazione topograficamente isolata dalle altre sepolture rinvenute e per il
carattere sostanzialmente omogeneo di corredi e tipologie tombali. Eccezioni, soprattutto dal punto di
vista della tipologia tombale si riscontrano, tra la fine
del V e l’inizio del IV sec. a.C., in un’unica tomba
(23) collocata a sud, nettamente fuori del nucleo precedente, che peraltro presenta anche un rituale funerario differente. L’interpretazione dei dati qui proposta è pertinente al suddetto campione, relativamente
Tocco 1972, p. 330.
Tocco 1975, p. 334.
12
Tocco 1972.
13
Tocco 1975, pp. 334-398.
6
10
7
11
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Un nucleo di tombe
Emiliano
della necropoli
Cruccas di Melfi-Pisciolo
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Fig. 2. - La tipologia delle tombe. Da sinistra a destra: T. 9 a fossa; T. 32 a cassa; T. 28 a doppia cassa; T. 17 a cappuccina (Archivio Soprintendenza Basilicata).
ridotto (l’intera necropoli presenta più di 170 sepolture), ed è quindi da considerarsi preliminare.
La necropoli del Pisciolo presenta una grande varietà di tipologie tombali 14 (fig. 2). Sono state rinvenute sepolture a fossa terragna, a cassa e a doppia
cassa. Quella più utilizzata in tutto l’arco cronologico
del nucleo è quella a fossa semplice, di forma rettangolare, coperta da grandi lastre in pietra 15.
La tomba più antica (T. 13, secondo quarto del VI
sec. a.C.), polisoma, presenta una copertura a lastre di
pietra calcarea, cedute al centro. Le pareti laterali
della tomba sono rivestite da lastre di calcare mentre
il lato breve consiste in blocchi litici di forma quadrata. Il fondo è ricoperto da piccole pietre o ciottoli
di varie dimensioni. La copertura è in lastre litiche.
Le altre tombe, databili tra il secondo e il terzo quarto
del VI sec., sono a fossa, di forma ovoidale o rettangolare con una copertura a lastre, in genere di forma
e dimensioni irregolari. La tomba a fossa 19 presenta
il fondo rivestito da ciottoli. Per quanto si può distinguere dalle foto, i defunti sono tutti in posizione
rannicchiata, poggiano sul fianco sinistro, in genere
con le gambe iperflesse.
Le sepolture inquadrabili tra l’ultimo quarto del
VI e il primo quarto del V sec. (fig. 3) sono deposte
in tombe a fossa (TT. 2, 12, 31), a doppia cassa (TT.
24, 28, 30 e forse 33) o a cassa semplice (T. 32).
Quelle a fossa hanno forma ovoidale (T. 2) o rettangolare (T. 31). La copertura di queste deposizioni rimane sconosciuta dato che la documentazione
fotografica non fornisce immagini eloquenti in merito. Le sepolture a doppia cassa sono di forma rettangolare e costituite da lastroni (di calcare) e
presentano una lastra trasversale al centro, che divide la tomba in due. In uno degli spazi è deposto il
defunto con una parte del corredo, nell’altro si trovano altri elementi di corredo. La copertura consiste
in lastre pressappoco rettangolari e pietre di dimensioni varie. La T. 33, probabilmente a doppia cassa
considerando che lo scheletro si trova a distanza del
corredo ma in linea con esso, costituisce un’eccezione. Da un lato la tomba presenta lastre, mentre
dall’altro la parete è formata da blocchi di pietre
squadrate. Le tombe a cassa sono anch’esse costruite
con lastroni laterali e coperte da una o più lastre di
dimensioni ridotte.
In questa fase il defunto, sempre in posizione rannicchiata, viene deposto sia sul fianco destro (TT. 2,
25, 28, 31), che su quello sinistro (TT. 24 e 30). Non
sembra esserci un collegamento tra la posizione dello
scheletro e la tipologia della tomba. L’unica considerazione possibile riguarda i defunti deposti sul fianco
sinistro che sono entrambi inumati in una tomba a
doppia cassa, ma il campione preso in esame in que-
14
Per quanto riguarda lo studio delle sepolture in sé, ci si è dovuti basare sulla documentazione fotografica, per cui si ringrazia
il personale del laboratorio fotografico della Soprintendenza a
Potenza per la gentile collaborazione, dato che non è stato possibile rintracciare la documentazione di scavo (rapporto di scavo
e rilievi) dell’inizio della campagna del 1971.
15
Ad Ascoli Satriano, la tomba a fossa con copertura a lastra
è ampiamente attestata ma presenta un unico lastrone inzeppato
con frammenti di crusta calcarea (Tinè Bertocchi 1985, p. 33,
tipo III). Una differenza con le tombe daunie è che a Pisciolo
non sono state rinvenute fosse a sezione trapezoidale (Tocco
1975, p. 334).
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Raphaëlle-Anne E. Kok
Fig. 3. - Le tombe del nucleo A: il sesso del defunto (elaborazione dott.ssa M. Haars, Maio’s Enterprise).
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Un nucleo di tombe
Emiliano
della necropoli
Cruccas di Melfi-Pisciolo
69
sta sede è troppo esiguo per poter formulare delle ipotesi.
Le tombe databili tra il secondo e terzo quarto del
V sec. sono prevalentemente a fossa, in un caso rivestita da blocchi di pietra (T. 4). La forma della fossa
è nella maggior parte dei casi rettangolare, a volte
con i lati brevi lievemente arrotondati. Le coperture
(quando documentate) sono formate da una o più lastre. È attestata una tomba a cassa (T. 29) ed una a
doppia cassa (T. 35), identiche a quelle delle fasi precedenti. I defunti sono tutti deposti in posizione rannicchiata, nella maggior parte dei casi (per quanto si
è potuto individuare) poggiati sul fianco sinistro
(l’eccezione è data dalla T. 7).
Alla fine del V sec. a.C. si aggiunge un’altra tipologia di sepolture rispetto a quelle già attestate. Le
TT. 17 e 20 sono a cappuccina, costituite in pietre
sbozzate e sottili o da tegole di grandi dimensioni 16.
In entrambi casi, il fondo della deposizione è costituito da una superficie piana, creata con tegole nel
caso della T. 20. Inoltre, quest’ultima potrebbe essere
attribuita ad un bambino, data la lunghezza ridotta
della tomba. Dalle foto di scavo non si è potuta ricavare la posizione del defunto.
È opportuno segnalare le deposizioni 5 e 6, che si
trovano in una tomba a doppia cassa; con una deposizione per cassa. Inoltre, presentano un’unica copertura a lastroni, con la parte centrale costituita da
lastre di dimensioni ridotte, il che potrebbe indicare
una riapertura successiva. È probabile che si tratti di
due defunti uniti da un legame di parentela. Non è
stato possibile, per queste tombe, stabilire la posizione dei defunti.
Nella maggior parte dei casi il corredo ricopre lo
scheletro.
L’unica deposizione databile nella seconda metà
del IV sec. (T. 23), che si trova ad una distanza notevole rispetto alle altre tombe del nucleo, è una tomba
a cappuccina. Lo scheletro è deposto in posizione supina.
Dal secondo quarto del VI sec. a.C., grazie alla
consultazione della documentazione fotografica, si è
potuto notare che gli scheletri sono tutti in posizione
rannicchiata (inizialmente poggiano soltanto sul
fianco sinistro e dalla metà del V sec. anche su quello
destro), in genere con le gambe iperflesse. L’unica
tomba che sicuramente presentava un defunto in posizione supina è quella più recente, databile nella seconda metà del IV sec. a.C. Tranne la sepoltura più
antica, polisoma, le tombe contengono sempre un
solo individuo.
La prima fase della necropoli si può collocare nel
secondo quarto del VI sec. a.C.: all’inizio della serie
si colloca la T. 13, ubicata significativamente all’estremità settentrionale del nucleo. Questa tomba,
l’unica che contiene due deposizioni, è orientata
lungo l’asse nord-sud, come la maggior parte delle
tombe successive. Si tratta di due deposizioni femminili 17, che probabilmente hanno avuto luogo in
tempi ravvicinati, dato che la fossa è stata riutilizzata
per la seconda deposizione rispettando la prima, con
lo stesso orientamento e la stessa posizione, senza
alcun sconvolgimento della tomba 18.
Nell’ampio arco cronologico di uso di questo nucleo tutte le sepolture rispettano quelle più antiche.
Fin dall’inizio sembra che la necropoli presenti spazi
riservati alle sepolture maschili, fisicamente distanti
da quelli occupati dalle tombe femminili (fig. 4). Le
tombe femminili, infatti, sono inizialmente concentrate nella parte nord della necropoli e dalla fine del
VI sec. a.C. sono presenti anche nella parte sud-est.
Quelle maschili invece si collocano sul lato ovest del
nucleo. Le sepolture sono orientate nord-sud, con alcune leggere variazioni, presentando in alcuni casi di
tombe maschili, un orientamento lievemente spostato
verso ovest.
Nella prima metà del V sec. a.C., per quanto concerne il campione esaminato, si registra soprattutto la
presenza di tombe femminili. Tali sepolture sono inizialmente disposte all’interno di un secondo nucleo
situato a sud-est (TT. 30, 32 e 33) sempre con orientamento nord-sud. Bisogna aspettare la metà del V
sec. per riscontrare delle sepolture con orientamento
est-ovest, collocate nei pressi delle tombe femminili
più antiche (T. 21).
Le tombe databili nella seconda metà del V sec.
a.C., per la maggior parte di sesso femminile, si distribuiscono a sud, a volte con una distanza di circa m
16
Oltre all’individuazione del tipo di queste tombe sulla foto,
si è potuto ricavare quest’informazione dalla scheda dei reperti
del corredo, presente nel deposito del museo di Melfi.
17
Per poter determinare il sesso del defunto, ci si è basati sul
corredo della tomba. Le tombe femminili presentano una fuseruola o una collana, mentre quelle maschili includono armi
(spada, punta di lancia o cinturone). Oggetti di ambra intagliati si
possono trovare sia in tombe femminili, che in quelle maschili,
come viene attestato nelle TT. 43 e 48 (Popoli anellenici, pp.
120-128).
18
Tocco 1975, pp. 336-337.
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Raphaëlle-Anne E. Kok
Fig. 4. - Le tombe del nucleo A: le fasi cronologiche (elaborazione dott.ssa M. Haars, Maio’s Enterprise).
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Un nucleo di tombe
Emiliano
della necropoli
Cruccas di Melfi-Pisciolo
71
50 dal nucleo precedente (T. 11), ma sempre con un
orientamento nord-sud, con l’eccezione della T. 15,
che ha lo stesso orientamento delle tombe più antiche maschili 9 e 28. Nell’ultimo quarto del secolo, le
sepolture si concentrano nei pressi delle sepolture
femminili più antiche a nord, con orientamento estovest nella maggior parte dei casi (TT. 5, 6, 18, 20)
oppure, come le TT. 16 e 17, in linea con la 13, in
senso nord-sud. La sepoltura 10 è l’unica che si trova
nelle vicinanze della 11, a sud delle altre.
Se si passa dall’ analisi dei rapporti di “genere” a
quella più approfondita della topografia all’interno
del nucleo di tombe studiate, si deve fare i conti con
le lacune nella documentazione a disposizione: trattandosi infatti di uno scavo di emergenza, effettuato
all’inizio degli anni ’70 del ‘900, si registra la mancanza di dati di scavo quali quote dei piani di calpestio 19, che sarebbero fondamentali per capire meglio
l’utilizzo della zona e soprattutto le cerimonie legate
al rito funerario.
Un dato di rilievo è la presenza sulla pianta generale di scavo di cumuli di pietre e tracce di bruciato.
Si tratta di elementi di difficile interpretazione che,
solo in via del tutto ipotetica, potrebbero essere connessi con antichi riti funerari o con cerimonie legate
al consumo di cibi, come lo potrebbero essere anche
alcune tracce di bruciato individuate nel settore centro-occidentale del nucleo. Riguardo ai cumuli di pietre, non è escluso che possano essere relativi a una
sorta di semata e quindi legati ad un eventuale cammino sacro all’interno dello spazio funerario. Ma in
considerazione dell’esiguità di dati al riguardo tali
eventuali manifestazioni sono destinate a rimanere
sostanzialmente ignote.
Sulla base dell’analisi dei corredi è stato possibile
suddividere la frequentazione della necropoli in cinque fasi cronologiche, che ricoprono un periodo di
circa 50 anni ognuna. Il primo periodo va dal secondo
quarto del VI sec. a.C. fino al terzo quarto del secolo,
la seconda dall’ultimo quarto del VI al primo quarto
del V sec. etc.
Nella prima fase della necropoli si riscontrano dei
corredi omogenei per composizione e in gran parte
per il tipo di materiale rinvenuto. Gli elementi centrali sono costituiti da una grande olla e da un vaso
più piccolo per attingere e/o bere (fig. 5), che formano
la coppia di vasi legati strettamente al rituale funerario, tipica nei corredi indigeni 20 e un elemento costante nei corredi di ambito daunio 21.
La classe ceramica maggiormente attestata nei
corredi delle tombe più antiche della necropoli di
Melfi-Pisciolo è quella subgeometrica. La produzione
ceramica più frequente proviene dalla Puglia settentrionale, del c.d. Subgeometrico Daunio22 o NorthDaunian Subgeometric (NDS) 23. Quest’ultimo è
suddiviso in I e II, come lo stile regionale della parte
meridionale della Daunia, la South-Daunian Subgeometric 24, che si distingue inoltre per la seconda fase
in IIA e IIB. Lo stile IIB è l’unico non attestato nei
corredi qui proposti.
Non si conoscono grandi quantità di vasellame
di NDS I e gli esemplari noti provengono principalmente da Ordona ed Ascoli Satriano25. Nei corredi
oggetto del presente studio, la forma più presente del
NDS I è la brocca (fig. 5). Il SDS I, anche chiamato
Foot-Krater Class è attestato nella valle del medio e
basso Ofanto, nel Tavoliere, nel Gargano, nel Vallo
di Diano, nella valle del Bradano, ma anche nella
zona di Bari, nel Salento, in Etruria, a Picenum e
nella Valle del Po 26. Tale stile nella necropoli di Pisciolo è molto raro, attestato da un’ unica olla-cratere (T. 9).
Le tombe di Melfi-Pisciolo presentano invece un
numero relativamente elevato di vasi pertinenti al
NDS II. Questo stile è meno raffinato rispetto al precedente, presenta decorazione monocroma ma soprattutto bicroma e viene prodotto dalla fine del VI
fino alla fine del V o l’inizio del IV sec. a.C. 27. Vasi
di questo tipo sono stati rinvenuti nella valle del
medio e basso Ofanto, ad Ordona, ad Ascoli Satriano,
a Siponto. A Melfi-Pisciolo si registrano sopratutto
brocche NDS II, attingitoi e scodelle.
La documentazione di scavo delle campagne successive al
1971 è conservata presso il Museo Nazionale di Melfi.
20
Ved. Lavello (Forentum I, pp. 267, 277), cfr. Colivicchi
2004, pp. 35, 52-53 con relativa bibliografia.
21
Questo fenomeno è per esempio attestato ad Ordona (De
Juliis 1973, p. 394) e ad Ascoli Satriano (Tinè Bertocchi 1985, p.
306). A Cairano, invece, nella seconda età del Ferro si riscontra
questa coppia nelle tombe maschili e nelle tombe femminili
un’olla biconica (Bailo Modesti 1980, pp. 190-191).
22
E.M. De Juliis, La ceramica geometrica della Daunia, Firenze 1977.
23
Yntema 1990, pp. 219-310.
24
Yntema 1990, pp. 287-308.
25
Yntema 1990, p. 288.
26
Yntema 1990, p. 242.
27
Yntema 1990, pp. 297, 303-305.
19
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Raphaëlle-Anne E. Kok
Fig. 5. - I corredi delle deposizioni 13I (a sinistra) e 13II (a destra; Archivio Soprintendenza Basilicata).
Nei corredi oggetto della presente indagine sono
stati rinvenuti vasi del SDS IIA, ma su scala minore
rispetto al NDS II. La forma più frequente a Melfi-Pisciolo è la brocca (ved. ad esempio la T. 24, fig. 6).
I corredi sia femminili che maschili della prima fase
sono caratterizzati dalla presenza di un olla-cratere del
subgeometrico daunio. La deposizione più antica del
nucleo, la T. 13-II (fig. 5), contiene un’olla che finora
non ha trovato confronti, ma che per la sua forma richiama lievemente un’esemplare rinvenuto a Castelluccio di Sauri 28. Potrebbe trattarsi dell’esemplare più
antico pertinente ad una produzione locale 29. Gli altri
corredi del secondo e terzo quarto del VI secolo presentano un’olla-cratere della Foot-Krater class 30, ad
imbuto semplice o ad imbuto con protomi, di produzione tipicamente Canosina. La T. 8 presenta, inoltre,
un’olla della produzione di Ordona. Questi oggetti,
apparentemente indispensabili all’interno dei corredi,
sono stati identificati come contenitore per derrate
(formando un legame simbolico fra tomba, oikos e
simbolo di ricchezza), come vasi riempiti d’acqua al
momento della deposizione 31 o come elemento centrale nel consumo del vino 32.
L’olla-cratere è sempre associata ad un’attingitoio,
che è di tradizione daunia (produzione di Ordona), in
impasto o in ceramica acroma. Nelle tombe con un
alto numero di vasi, si trova sia l’attingitoio di tradizione daunia, sia l’attingitoio in forma di brocchetta
(TT. 13-II, 27 e 30 dell’ultimo quarto del secolo, dipinto con vernice rossa, di produzione coloniale),
negli altri casi si trovano l’uno o l’altra. L’attingitoio
di tradizione daunia è inizialmente da attribuire alla
produzione di Ordona, mentre successivamente, e per
tutto il V sec. a.C., i vasi sembrano provenire prevalentemente da Ascoli Satriano.
La maggior parte delle tombe presenta una brocca
(ad eccezione delle TT. 9 e 19), che inizialmente è di
tradizione nord-daunia (North-Daunian Subgeometric I) 33 e dall’ultimo quarto del secolo anche di produzione canosina. L’oinochoe compare dall’ultimo
quarto del secolo in due tombe femminili (T. 24, fig.
6, e T. 30) e anche il vaso cantaroide appare in questo periodo (TT. 27 e 30).
Contatti di scambio sono attestati nei corredi a
partire dal terzo quarto del VI sec. a.C. da vasi di produzione coloniale nella forma delle coppe di tradizione ionica. Esse sono raramente in associazione
con l’attingitoio di tipo daunio e forse potrebbero
avere avuto lo stesso ruolo nel rito funerario, sostituendo proprio quest’ultimo. Un vaso di produzione
attica è la coppa Kassel, attestata nello stesso periodo
nella T. 25. Il ritrovamento della coppa in questa sepoltura indica forse la volontà di esprimere lo stato
sociale del defunto, rafforzato soprattutto dalla presenza di una spada, oltre che da una lama di coltello,
due bracciali, una fibula in bronzo e rivestimenti
d’ambra e d’osso.
Nell’ultimo quarto del secolo, dalla seconda fase,
vengono testimoniati rapporti con l’area nord-lucana,
come per esempio nella T. 24 (fig. 6) che presenta
oltre alla brocca di produzione canosina, una brocca
ed una coppa subgeometrica della Ruvo-Satriano
Yntema 1990, fig. 279.
Purtroppo, non essendo state eseguite analisi sulle argille, si
tratta solo di una ipotesi.
30
Yntema 1990, pp. 234-244; D.G. Yntema, Background to a
South-Daunian Krater, «BaBesch» LIV 1979, pp. 1-48.
31
De Juliis 1973, p. 394.
32
Colivicchi 2004.
33
Yntema 1990, pp. 288-296.
28
29
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Un nucleo di tombe
Emiliano
della necropoli
Cruccas di Melfi-Pisciolo
73
Fig. 6. - Il corredo ceramico della T. 24 (fase 2).
Class 34. In questo corredo, si annuncia inoltre un
cambiamento dall’olla-cratere subgeometrica di tradizione daunia all’olla acroma, che diventerà sempre
più importante nel V sec. a.C., sostituendo l’olla-cratere e mantenendo, molto probabilmente, la stessa
funzione. La comparsa dell’olla acroma come elemento fondamentale del corredo è attestata anche a
Lavello ed in generale nella Daunia settentrionale nel
corso dell’ultimo quarto del VI sec. a.C. 35.
Le sepolture femminili del VI sec. a.C. presentano
una collana in ambra (TT. 13-I e 13-II) o in pasta vitrea (T. 24), vaghi di collana negli stessi materiali (T.
30) o una fuseruola (T. 19), mentre le tombe maschili
contengono spada e coltello (T. 25) con una punta di
lancia (T. 9), o una lama (T. 8). Nelle tombe maschili
dove è stata rinvenuta la punta di lancia e il coltello
(ma senza spada), si trova anche vasellame in bronzo;
per la T. 27 due bacili ad orlo perlinato e per la T. 28
un bacile profondo con manico in ferro.
Il coltello, presente in tutte le sepolture maschili
del VI sec. a.C. sembra aver avuto un ruolo significativo nella cerimonia funeraria, indicando un collegamento con il consumo di carni arrostite 36.
Tra la fine del VI sec. a.C. e l’inizio del V il cambiamento maggiormente visibile rispetto al periodo
precedente è l’affiancamento delle prime kylikes a
vernice nera alle coppe di tradizione ionica (TT. 28 e
33). In questo periodo sono attestate le anforette ad
anse complesse ad ingubbiatura monocroma (ad
esempio T. 12, fig. 7), testimoni degli scambi con i
siti della cultura di Oliveto Citra - Cairano.
Nella prima metà del V sec. a.C. i corredi presentano un’olla, nella maggior parte dei casi di ceramica
acroma comune, ma a volte con ingubbiatura monocroma (T. 14) o di ceramica subgeometrica (T. 29).
Dall’inizio del secolo compare la coppetta monoansata
di produzione coloniale 37, in un caso accompagnata da
una coppa di tradizione ionica. Le brocchette a vernice
rossa o bruna, probabili imitazioni locali di un prodotto
coloniale, diventano più frequenti nei corredi della
prima metà del V sec. a.C. e potevano servire come
vaso per attingere 38. Anche il cantaroide a vernice
rossa o bruna è maggiormente attestato 39 rispetto al VI
sec. a.C. ed è a volte presente in due esemplari.
Dalla composizione dei corredi si può dedurre che
nel V sec. a.C., durante la terza fase, rimane in uso la
coppia di vasi già attestati nel VI sec. (in diverse produzioni ceramiche) consistente in un’olla, un vaso
per versare e/o attingere ed uno per bere. Queste
forme sembrano funzionare come un servizio, come
dimostra la T. 35, che presenta due olle, due kylikes,
due coppe ioniche, due cantaroidi e due brocche decorate a fasce, oltre ad una brocca ed un’attingitoio
di tradizione daunia 40 (fig. 8). Probabilmente l’attin-
TT. 3 e 32.
TT. 32, 29, 34, 7.
39
TT. 3, 32, 14, 34.
40
Ved. anche T. 14 con 3 kylikes, 3 brocche a fasce; T. 29 con
34
37
35
38
Yntema 1990, pp. 187-196.
Forentum I, p. 227; Tinè Bertocchi 1985, p. 306.
36
Forentum I, p. 279. In quattro casi il coltello è associato a
frammenti di spiedi, presenti anche nella T. femminile 13-II.
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Raphaëlle-Anne E. Kok
gitoio di tradizione daunia è stato anche utilizzato
per bere. Le dimensioni della vasca sono inoltre
spesso troppo grandi per poter attingere da un’olla o
un olla-cratere.
Il perdurare dei contatti con l’area di Oliveto Citra anche nel V sec. a.C. è attestato dalla presenza
di una brocca decorata con linee orizzontali e ondulate.
Le brocche in ceramica subgeometrica daunia
(North-Daunian Subgeometric II) sono attestate sempre in minor numero nel corso del secolo e vengono
sostituite da brocche decorate a fasce (ad eccezione
della T. 15), prodotte al tornio veloce. L’avvicendamento della ceramica subgeometrica con quella a
fasce è un fenomeno noto nell’ambito della Daunia
settentrionale ed è attestato ad Ascoli, Lavello e Ordona 41. Gli attingitoi monoansati di ceramica subgeometrica daunia scompaiono nella seconda metà
del secolo. Gli attingitoi biansati, che potrebbero aver
avuto lo stesso ruolo del cantaroide
in ambito peuceta e nord-lucano,
continuano invece ad essere attestati
in corredi fino all’ultimo quarto del
V sec. a.C.
La T. 22, databile nella seconda
metà del V sec. a.C. presenta oltre
alla coppia olla ed attingitoio tradizionale, un’antefissa a testa di gorgone di tipo orrido. Il volto è
circondato da piccoli serpenti, ed ha
i capelli chioccioliformi disposti su
due file parallele. La fronte è alta e
curvilinea, gli occhi a mandorla sono
delimitati superiormente da sopracciglia poco curve. Il naso è largo, soprattutto per la parte inferiore e con
la bocca digrignante e la lingua pendente. Quest’oggetto è un elemento
anomalo in un contesto sepolcrale ed
è possibile che essa si sia trovata
nelle vicinanze o comunque non facesse parte del corredo. Un’altra ipotesi è che l’antefissa sia stata utilizzata come segnacolo 42.
Nell’ultimo quarto del V sec. a.C., all’inizio della
fase 4, è attestato l’aumento della ceramica a vernice
nera, che diventerà la classe preponderante nei corredi datati tra la fine del V e l’inizio del IV sec.
a.C. 43. Le forme di questa classe, come documentato
in numerosi siti dell’ Italia meridionale, variano fortemente da altri luoghi circostanti. Questo fenomeno
viene illustrato bene dalla Pontrandolfo che ritiene
inoltre necessaria un’analisi delle caratteristiche morfologiche all’interno di un campione vasto di un zona
circoscritta, al fine di essere in grado di individuare
la seriazione e il suo sviluppo cronologico 44. Le officine dell’Italia meridionale, infatti, producono
spesso degli esemplari che variano dal prototipo.
Queste forme locali hanno una distribuzione limitata
in quantità, il che le rende spesso difficilmente collocabili 45.
Per l’individuazione dei luoghi di produzione sa-
due brocche e due attingitoi di tipo daunio, una kylix e una brocchetta a vernice rossa o bruna; T. 7 con una kylix e una brocchetta
a vernice rossa o bruna. Questi corredi includono anche l’olla.
41
R. Cassano (a cura di), Principi imperatori vescovi: duemila anni di storia a Canosa, Venezia 1992, p. 443; Forentum I,
p. 281.
42
Non è stato possibile consultare i dati di scavo che non sono
disponibili per queste tombe ma sulla foto di scavo l’antefissa si
trova fuori dalla deposizione.
43
Fenomeno attestato per esempio ad Ordona (De Juliis 1973,
p. 396) e a Lavello (Forentum I, p. 283).
44
A. Greco Pontrandolfo, La ceramica attica di IV secolo in
area tirrenica, B. Sabattini (a cura di), La céramique attique du
IV siècle en Méditerranée occidentale (Actes du colloque international organisé par le Centre Camille Julian. Arles 7-9 décembre 1995), Napoli 2000, pp. 121-130.
45
Si veda anche Torre di Satriano I, p. 261 con bibliografia.
Fig. 7. - Il corredo ceramico della T. 12 (fase 2).
Fig. 8. - Il corredo ceramico della T. 35 (fase 3).
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Un nucleo di tombe
Emiliano
della necropoli
Cruccas di Melfi-Pisciolo
75
rituale funerario, in
contrasto con quanto
succede in vari siti di
ambito daunio, quali
Lavello, Arpi ed Ordona 47 . Nella T. 6 è
stata sostituita da un
cratere a calice e nella
T. 17 da un cratere a
campana in stile
misto 48 (fig. 9), che
svolgevano presumiFig. 9. - Cratere a calice e stamnos della T. 6, cratere a campana della T. 17.
bilmente la stessa funzione
all’interno
del
rito
funerario.
La presenza di
rebbe opportuno compiere delle analisi archeometriquesto tipo di vasi, in generale di grandi dimensioni,
che sui materiali impiegati per la loro realizzazione.
è un fenomeno attestato in ambito daunio, come per
Nei corredi di Melfi-Pisciolo si tratta prevalenteesempio ad Ascoli Satriano dove le olle e i crateri a
mente di forme di piccole dimensioni (coppe/copcampana presentano una decorazione floreale 49 o ad
pette su alto piede, coppette, coppe biansate e
Ordona dove nel corso del IV secolo è attestato il cramonoansate, olpette), ma anche di oinochoai a bocca
tere a campana di stile misto 50.
rotonda e trilobata, kantharoi, e skyphoi. Un’altra
Una forma nuova alla fine del V sec. a.C. e caratforma attestata per la prima volta è la stemless kylix,
teristica per ogni corredo datato tra la fine del V e
presente in quattro esemplari nella T. 6 ed una nella
l’inizio del IV sec., è lo stamnos, sia a vernice nera,
T. 18, tutte decorate con motivi incisi al centro della
sia a fasce o in stile misto. Ogni esemplare presenta
vasca.
delle bugne all’altezza della spalla, elementi che si
In più appaiono le brocchette a fasce con collo ciritrovano anche sulla spalla di diverse olle acrome e
lindrico e diverse brocchette di piccole dimensioni di
possibilmente interpretabili con valore apotropaico a
vernice rossa o bruna di cui almeno un esemplare è
protezione del contenuto del vaso 51. Secondo Bottipresente in ogni corredo. In due corredi datati tra la
ni lo stamnos era il contenitore di vino puro, liquido
fine del V e l’inizio del IV sec. a.C. compare lo skyche aveva certamente un ruolo importante nella ceriphos decorato a figure rosse, con la caratteristica rapmonia funeraria e le bugne potrebbero dunque avere
presentazione della civetta. Non sembra un caso che
la funzione appena descritta 52. Lo stamnos è quasi
queste siano le tombe con le deposizioni più ricche,
sempre 53 in associazione con una brocca in ceramiconsiderando che anche a Lavello questa classe ceca acroma da fuoco, molto frequente in ambito dauramica è riservata ad un numero di persone limitato,
nio e peuceta, generalmente interpretato come “penindicando sia un livello sociale con delle possibilità
tolino rituale”, messo in relazione con il sacrificio
economiche relativamente elevate, che una possibile
funerario 54.
diversa adesione ad un modello ellenistico in atto già
In generale, i corredi della fine del V sec. a.C.
nella Puglia centrale 46.
presentano una quantità maggiore di reperti rispetto
Il vaso rituale tradizionale (l’olla) non si trova
ai periodi precedenti (fig. 10), fenomeno ampiasempre nei corredi dell’ultimo quarto del V sec. a.C.
mente attestato in ambito daunio 55. Sopratutto le TT.
6, 16 e 18 presentano un alto numero di oggetti cee sembra aver perso la sua importanza all’interno del
Forentum I, p. 225.
Forentum I, p. 285.
48
Questi crateri, come gli stamnoi di stile misto non trovano
confronti per il loro profilo. È probabile che si tratti di prodotti
fabbricati localmente.
49
Tinè Bertocchi 1985, p. 306.
50
De Juliis 1973, p. 396. Infatti, il cratere (a campana o a colonnette), l’olla e lo stamnos sono forme molto comuni della ceramica di stile misto daunio (E.M. De Juliis, Mille anni di
46
47
ceramica in Puglia, Bari 1997, p. 116).
51
Forentum I, p. 146.
52
Bottini 1989, p. 165; Tagliente 1999, p. 405.
53
Ad eccezione della T. 6.
54
S. Vania, Ceramiche apule della collezione Lillo-Rapisardi
nel Museo Diocesano di Trani, Bari 2003, p. 106, con relativa bibliografia.
55
Si veda per esempio ad Ascoli Satriano (Tinè Bertocchi
1985, p. 307).
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Fig. 10. - Il corredo ceramico della T. 16 (fase 4).
ramici cui si aggiungono, inoltre, due bacili in
bronzo e una lama in ferro (T. 6), armille in bronzo
e fibule in argento e ferro (T. 16) e una collana in
pasta vitrea, vaghi/pendagli in ambra, una testina in
ambra, tre fibule in argento e due in ferro, un’armilla
in bronzo e tre oggetti in osso lavorato nella forma
di piccoli animali, probabilmente una lepre (T. 18).
Una protome di sileno è inoltre attestata nella T. 17.
Le ambre intagliate in forme figurative sono da collegarsi a fenomeni di ostentazione di posizione o
stato sociale 56.
La zona A della necropoli non viene completamente abbandonata nel IV sec. a.C. A sud del nucleo,
si posiziona nella seconda metà del IV sec. una tomba
che presenta, all’interno del corredo, una lekythos a
reticolo ed una coppa a vernice nera. La presenza
della lekythos è chiaramente un segnale di un rituale
funerario ellenizzante 57.
Al fine di proporre delle ipotesi sull’organizzazione sociale e culturale della comunità di Pisciolo si
deve cercare di ricostruire le diverse identità collettive presenti all’interno di tale comunità. Questi legami possono esistere a diversi livelli della società
per motivi differenti (rapporti di parentela o attraverso distinzioni di sesso, gender, età, classe, etc.).
Sono queste collettività che si trovano alla base della
dinamicità culturale all’interno di una società. Fino a
poco tempo fa, il tema dell’identità veniva concepito
nella sua definizione “stretta”, e soprattutto ridotta all’identità etnica 58. Altre identità collettive, che potrebbero essere analizzate con i dati archeologici a
disposizione e che sono di importanza fondamentale
per esaminare lo sviluppo interno di una comunità,
sono ancora troppo poco studiate. Per il sito del Pisciolo si è vincolati ad usare soltanto i dati del rituale
funerario, perché non sono state rinvenute abitazioni
pertinenti al nucleo sepolcrale, almeno per quel che
riguarda le tombe più antiche.
La necropoli in sé è un contesto di studio privilegiato, per vari motivi: la tomba è in genere un contesto archeologico chiuso ed è uno dei pochi contesti
che riflette un’azione intenzionale. Ancora, la tomba
è il luogo per eccellenza di espressione (d’ideologia, di credenze religiose ma anche delle strategie
sociali), un contesto in cui l’auto-rappresentazione
dell’individuo, ma anche della collettività in senso
lato (sesso, età, famiglia, etc.) ha un ruolo importante. Premesso questo, il rituale funerario può soltanto dare un’immagine delle strutture sociali ideali,
poiché si tratta di una presentazione che non per
forza rispecchia una realtà (Morris ci dà chiaramente
la distinzione tra struttura sociale e organizzazione
A. Bottini, Le ambre intagliate a figura umana del Museo
archeologico di Melfi, «ArcheologiaWarsz» XLI 1990, pp. 5766.
57
Forentum I, p. 286 con relativa bibliografia.
58
Per il concetto di etnicità e la problematica intorno all’identità etnica in archeologia, ved. S. Brather, Ethnische Interpretationen in der frühgeschichtlichen Archäologie: Geschichte,
Grundlagen und Alternativen, Berlin 2004.
56
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Un nucleo di tombe
Emiliano
della necropoli
Cruccas di Melfi-Pisciolo
sociale 59). Difatti, la necropoli non è da considerare
una rappresentazione del mondo di una determinata
comunità (o dell’individuo), ma più che altro il rituale funerario ha una funzione sociale essendo uno
strumento attivo e produttivo nell’organizzazione sociale di una comunità. Il rituale funerario è un rite de
passage, termine che fu usato per la prima volta da
Arnold van Gennep 60, per descrivere due tipi di rito;
riti che accompagnano il passaggio di una persona da
uno stato sociale all’altro nel corso della sua vita, e
riti che segnano un passaggio nel tempo (l’anno
nuovo, la luna nuova, etc.). Le rite de passage costituisce una parte integrante dell’ideologia e della costruzione sociale, ma anche politica, religiosa,
culturale della comunità. È inoltre uno strumento per
rinforzare la stabilità di una comunità. Bourdieu, infatti, denomina questo tipo di rituale un rite d’institution (riti d’istituzione) 61.
L’auto-rappresentazione, come si può tentare di decifrare da un contesto funerario, è chiaramente
un’espressione di identità, da intendere come un’identità costruita. Morris teorizza che “l’espressione materiale” nel rito funerario è in realtà un riferimento
alla struttura sociale 62. Per poter decifrare anche parzialmente l’organizzazione di una comunità sulla
base del rito funerario è necessario analizzare prima
tutti gli aspetti del rito. Sulla base di uno studio approfondito è possibile stabilire il grado di variabilità
in tutte le manifestazioni del rito e dunque poter riconoscere la differenziazione nello spazio funerario.
Si tratta quindi di analizzare l’organizzazione topografica, la struttura della tomba, i dati antropologici,
la posizione e l’orientamento del defunto, il corredo
e così via. Il caso-studio qui proposto ha chiaramente
un numero limitato di dati, ma procedendo con cautela si può tentare di fare qualche ipotesi preliminare
sull’organizzazione della comunità di Pisciolo. Tali
ipotesi saranno ovviamente da verificare con lo studio della completa necropoli, che con più di 170
tombe sarebbe una banca dati ottima per fare questo
tipo di analisi.
Per l’interpretazione dei dati proposti, si prende
spunto dallo studio delle necropoli orientalizzanti di
Pontecagnano svolto dalla Cuozzo, che ha proposto
di individuare diverse «sfere d’azione ideologiche
Morris 1987.
Van Gennep 1909.
61
P. Bourdieu, Les Rites comme actes d’institution, «Actes de
la recherche en sciences sociales» XLIII 1982, pp. 58-63.
77
nella rappresentazione funeraria» 63; 1) la sfera di
azione della comunità che determina il “linguaggio”
generale delle scelte funerarie; 2) la sfera dei gruppi in
cui diverse ideologie vengono rilevate con l’accentuazione delle differenze (per esempio l’ostensione di
legami privilegiati con ambienti esterni); 3) la sfera
delle componenti connesse a segmenti sociali (ad
esempio le classi d’età); 4) la sfera delle componenti
individuali (ambito delle varianti, espressione di condizioni particolari). Non affronterò quest’ultima in
questa sede, considerando che dal punto di vista storico (e dalle scienze sociali) sono soprattutto le identità collettive che sono importanti.
La comunità in senso lato
Gran parte degli aspetti che ricadono in questa
sfera d’azione sono stati già accennati in precedenza.
La costante nel rituale funerario viene espressa chiaramente dai corredi e dall’assemblaggio dei materiali
all’interno delle singole sepolture. Gli elementi centrali del corredo sono la grande olla e il vaso più piccolo destinato ad attingere o bere, spesso messi in
associazione ad una brocca. Alla fine del V sec. a.C.
sembra che la funzione dell’olla venga ripresa dallo
stamnos, mentre il c.d. pentolino rituale diventa caratteristico all’interno delle tombe della fine del V e
l’inizio del IV sec. a.C. Questi cambiamenti sono però
graduali, con la continua presenza di materiale di tipo
daunio. È interessante notare che lo stamnos non presenta confronti diretti ed è probabilmente di produzione locale, come anche i crateri rinvenuti nelle TT.
6 e 17. Non priva di fondamento, da considerarsi in
forma ancora preliminare, potrebbe essere l’ipotesi
che vede questi materiali ricoprire una funzione centrale all’interno del rito funerario, indicando o accentuando l’importanza di una autorappresentazione o
identità collettiva locale.
La struttura della tomba e la posizione del defunto
al suo interno sono costanti fino alla fine del V sec.
a.C., quando compaiono le tombe a cappuccina. La
posizione del defunto in queste ultime è inizialmente
sconosciuta. Poi, nella seconda metà del IV sec.
un’unica tomba a cappuccina presenta un defunto in
59
60
62
I. Morris, Death-Ritual and Social Structure in Classical
Antiquity, Cambridge 1996, pp. 3-30.
63
Cuozzo 2003, p. 19.
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Raphaëlle-Anne E. Kok
posizione supina. È interessante notare che i corredi
delle prime tombe a cappuccina entrano nello stesso
quadro delle altre sepolture di quest’epoca. Infine, la
T. 23, della seconda metà del IV sec. a.C. presenta un
corredo che si potrebbe dire ellenizzato; con una lekythos a reticolo ed una coppa a vernice nera.
Nell’ampio arco cronologico coperto da questo
nucleo sembra indicativo notare come tutte le sepolture rispettino quelle più antiche. Non si attestano deposizioni che sconvolgono altre tombe dimostrando
la forte continuità del nucleo e del gruppo di persone
sepolte al suo interno. Questo rispecchia il tentativo
di creare o rendere evidenti dei legami sociali tra le
persone, forse anche legami di parentela. Nel caso
della T. 13, con due deposizioni una sopra l’altra, e
delle TT. 5 e 6 a doppia cassa, si tratta forse di legami
di parentela più stretti. Un altro aspetto importante
per la lettura di questo nucleo come sepolcreto di un
gruppo che vuole ostentare dei forti legami sociali,
forse di parentela, è la disposizione delle tombe nei
secoli.
Come si è accennato in precedenza, la necropoli
presenta spazi riservati alle sepolture maschili, fisicamente distanti da quelli occupati dalle tombe femminili. La tomba più antica, posta nella parte
settentrionale del nucleo, sembra avere un ruolo importante in questo contesto. È l’unica polisoma, con
la prima deposizione del secondo quarto del VI sec.
a.C. e la seconda intorno alla metà dello stesso secolo, e contiene le deposizioni di due donne. Tali deposizioni hanno probabilmente avuto luogo in tempi
ravvicinati, dato che la tomba è stata riutilizzata per
la seconda deposizione rispettando la prima, con lo
stesso orientamento e la stessa posizione, senza alcuno sconvolgimento della tomba. La struttura sepolcrale di tali deposizioni è diversa rispetto alle altre
dello stesso periodo. Questa particolarità potrebbe essere indice di una differenziazione verticale 64, che
porta ad ipotizzare una posizione sociale relativamente elevata per le due donne sepolte. Le due deposizioni più antiche presentano inoltre un corredo
ricco. La prima deposizione, reca, oltre all’olla-cratere, due brocche ed una forma doppia composta da
due scodelle legate e viene accompagnata da una col-
lana di ambra, un bacile di bronzo, spiedi ed anellini
in argento che potrebbero essere identificati come fermatrecce. La forma di due scodelle legate è un oggetto
unico nella necropoli, che non presenta diretti confronti e il suo valore simbolico/ideologico, sicuramente notevole, non è chiaro. La seconda deposizione,
se possibile più ricca della prima, contiene in associazione ai due crateri, un attingitoio ad ingubbiatura monocroma, quattro attingitoi in ceramica subgeometrica
daunia, una brocca (NDS I) ed una scodella. La ricchezza di questa donna sepolta è accentuata da una
collana di ambra ed in più da una fibula rivestita d’ambra ed osso, due pendagli o vaghi in ambra, un disco
ornamentale d’avorio ed una conchiglia.
Le tombe successive si concentrano inizialmente
sia nella parte sud-est dell’area, sia nella zona della T.
13 per le sepolture femminili e nella zona Ovest del
nucleo per le tombe maschili. Dalla metà del V sec.
a.C. le tombe femminili sono poste nei pressi della T.
13. Possibilmente le sepolture 16 e 17 (l’ultima a cappuccina) riflettono la scelta di porsi in relazione “ad
antenati”. La cronologia dei corredi mostra una differenza di circa un secolo e mezzo, ma l’allineamento
preciso con la tomba più antica fa supporre che quest’ultima fosse ancora visibile. Il fatto che le tombe per
tutta la durata della necropoli rispettino le sepolture più
antiche, sembra rinforzare quest’ipotesi.
Come recentemente presentato da M. Osanna, in
ambito daunio esisteva in epoca preromana «una
complessa maniera di “convivenza” con i propri
morti», che viene tra l’altro espressa con un legame
dei vari gruppi con i loro antenati 65. Il nucleo della
zona A potrebbe indicare uno di questi legami; alla
fine del V sec. a.C., forse a causa di situazioni di
stress sociale/politico, nasce il bisogno di affermare la
pertinenza ad un gruppo. Si cerca di riallacciarsi ad un
passato comune e quindi ad antenati storici tramite il
rito funerario.
L’identificazione del sesso dei sepolti all’interno
del nucleo di tombe è basata sull’analisi del corredo.
Con i dati a nostra disposizione è tuttavia soltanto
possibile determinare il gender del defunto, che molto
probabilmente può essere collegato al sesso biologico. Le deposizioni per le quali è stato possibile pro-
La complessità delle pratiche funerarie (insieme ad altri
fattori) può essere interpretata come indice della differenziazione sul piano sociale (C. Peebles, S. Kus, in M.P. Pearson,
The archaeology of death and burial, Phoenix Mill 2003, pp.
74-75).
M. Osanna, Monumenti, commemorazione e memoria in
Daunia: la collina del Serpente di Ascoli Satriano tra età arcaica
e conquista romana, in Storia e archeologia della Daunia. In ricordo di Marina Mazzei (Atti delle Giornate di studio, Foggia 1921 maggio 2005), Foggia 2008, pp. 150-170.
64
65
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Un nucleo di tombe
Emiliano
della necropoli
Cruccas di Melfi-Pisciolo
porre una identificazione del sesso, non presentano
elementi peculiari del gruppo (struttura tombale, posizione del defunto, etc.). Questo impedisce di attribuire un sesso alle deposizioni con un corredo che
non presenta elementi caratteristici.
Gruppi definiti dall’accentuazione di alcuni elementi
Per il nucleo di tombe a disposizione è difficoltoso
distinguere entità a scala più ridotta rispetto a quella
esposta qui sopra. I corredi, in quantità e qualità, non
permettono di operare una differenziazione più accurata. Le sepolture maschili contengono spada e coltello
(T. 25), con una punta di lancia (T. 9), o soltanto una
lama (T. 8). Due delle tombe maschili senza spada presentano un corredo con una punta di lancia, un coltello
e vasellame di bronzo. La presenza della spada (in due
delle cinque tombe maschili) può difficilmente essere
considerata, com’è il caso proposto per le tombe di Lavello, distintiva di sepolture privilegiate che indicherebbero “capi” di singole strutture familiari. Infatti,
sembra che la connotazione guerriera conosciuta in
questa zona, abbia, già in questo periodo, perso il suo
significato originario. Tali oggetti saranno sempre
meno presenti, fino ad arrivare alle tombe principesche della seconda metà del V sec. a.C. (TT. 43 e 48).
In queste deposizioni, infatti, la deposizione maschile
(T. 43) presenta soltanto una punta di lancia, mentre
la ricchezza del corredo viene espressa con la presenza
di elementi di una parure ricchissima, ambre figurate
e vasellame di bronzo (anche presente però nella
tomba femminile). Con questa trasformazione, che avviene anche in altre zone dell’odierna Basilicata, sono
evidenti segni di cambiamento nell’espressione del privilegio o dello stato sociale.
L’aspetto su cui vorrei porre l’accento è la presenza di oggetti d’importazione (in senso lato) dalla
fine del VI sec. a. C. In questa fase, oltre al materiale
di tradizione daunia (come visto in precedenza prevalentemente North Daunian Subgeometric), compare anche ceramica frequente in area nord-lucana:
la Ruvo-Satriano Class e ceramica tipica dei siti della
cosiddetta cultura Oliveto Citra - Cairano, (come le
anforette ad anse complesse ad ingubbiatura monocroma e il cantaroide a vernice bruna-rossa: T. 12,
fig. 7). Il perdurare dei contatti con l’area di Oliveto
Citra - Cairano anche nel V sec. a.C. è attestato dalla
presenza di una brocca decorata con linee orizzontali
e ondulate. Prendendo come esempio la T. 24 (fig. 6),
79
si nota come la ceramica nord-lucana si trovi in contesto con ceramica prodotta a Canosa (brocca, olla ad
imbuto e probabilmente lo sphagéion/olla-cratere),
ma anche con materiale che trova confronti stringenti
ad Ordona, con materiale tipico della c.d. cultura Oliveto-Cairano e con tre coppe di tipo ionico.
I corredi del Pisciolo sembrano riflettere un ampio
sistema di scambio con le aree circostanti. Non si possono distinguere tombe che riflettono un legame fortemente privilegiato con una realtà esterna, per cui non
sembra possibile stabilire sulla base dei dati a disposizione se vi fosse un’élite all’interno di questo nucleo
che si esprimeva mediante l’ostentazione di materiali
“allogeni”. Nel VI sec. a.C. i corredi mostrano prevalentemente ceramica di tradizione nord-daunia, ed essi,
insieme alla struttura della necropoli e al tipo di rituale
funerario, potrebbero indicare una provenienza della
gente sepolta dalla Daunia settentrionale, probabilmente seguendo il bacino del Carapelle e il passo di
Candela per insediarsi sulla collina del Pisciolo. Dalla
fine del VI sec. a.C. però, la cultura materiale, nonostante presenti sempre la coppia di vasi rituali dell’ollacratere e l’attingitoio, è molto più variata, con elementi
che provengono dalle aree limitrofe a sud, ovest ed est.
Spesso, il sito di Melfi-Pisciolo viene interpretato
come un sito daunio. Chiaramente si vedono molti
aspetti frequenti in ambito daunio e anche il fatto che
l’elemento centrale del corredo, la coppia rituale sia
di tradizione daunia è sicuramente indicativo. Nonostante ciò è da prendere in considerazione che i corredi riflettono una società con molti contatti (di
scambio), quasi “multiculturale”. Infatti, se si considera il corredo indice di auto-rappresentazione dell’individuo o della collettività, sembra significativa
la presenza di numerosi elementi ‘alloctoni’. È possibile prendere in considerazione l’ipotesi che questi
corredi possano riflettere una società con molti contatti di scambio, dove si muovevano oggetti appartenti a culture diverse e forse anche persone.
Sicuramente i corredi di Melfi-Pisciolo riflettono la
volontà di ostentare un “melting pot” culturale e per
ora (da quanto si è visto nel piccolo campione di
tombe analizzato) non esclusivo delle élites.
Identità collettiva determinata da segmenti sociali
(classe d’età, gender, sesso)
Per poter proporre delle ipotesi che riguardano la
sfera degli elementi connessi a segmenti sociali è fon-
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Raphaëlle-Anne E. Kok
damentale disporre dei dati fisico-antropologici. Gli
unici indizi che si possono ricavare da questo nucleo
con i dati a disposizione riguardo a questa categoria
sono di natura topografica. La scelta dell’ubicazione
della tomba sembra essere di una certa importanza. La
separazione fisica tra le sepolture femminili e quelle
maschili sembra essere un dato indicativo di non semplice interpretazione, ma che indica sicuramente
l’espressione di due sfere pubblicamente (e forse anche
privatamente) distinte. I corredi non permettono di stabilire una differenza in ricchezza e dunque, anche se è
un’ipotesi azzardata, questa separazione potrebbe indicare un’uguale divisione all’interno del gruppo sociale.
L’assenza di dati maggiori provenienti dallo studio
dei resti ossei, come per esempio l’età del defunto, impedisce di analizzare identità collettive in rapporto alle
classi d’età. La sepoltura 20 è l’unica attribuibile ad un
bambino, sulla base delle dimensioni ridotte della
tomba. La struttura della tomba è a cappuccina, che indica un certo grado di complessità (rispetto per esempio ad una tomba a fossa o una tomba ad enchytrismos).
Il corredo non è sostanzialmente diverso dagli altri dello
stesso periodo, ad eccezione del guttus a vernice nera,
ovviamente caratteristico per il corredo di un infante.
Questi aspetti potrebbero far ipotizzare un ruolo rilevante per il bambino all’interno della comunità.
Quest’articolo si proponeva di illustrare le possibilità offerte dal contesto della necropoli di Melfi-Pisciolo
per poter analizzare lo spazio funerario di questa comunità, permettendoci di ricavarne degli elementi utili
a comprendere la sua organizzazione sociale. Nonostante l’interpretazione proposta sia preliminare, perché basata su un numero relativamente ridotto di
sepolture, il valore intrinseco dei dati è ampio troppo
spesso trascurato.
Il nucleo di tombe presentato in questa sede è molto
probabilmente attribuibile ad un gruppo legato da vincoli parentelari. Inoltre, le donne e gli uomini sembrano
aver occupato spazi differenziati nella vita pubblica.
Considerando l’omogeneità nella ricchezza dei corredi
è possibile supporre che si tratti di una comunità egalitaria, con una scarsa accentuazione delle differenze sociali tramite ostentazione delle ricchezze nel rito
funerario 66. Sulla posizione nella comunità dei giovani
e bambini è difficile avanzare delle ipotesi, dato che si
è potuto riconoscere soltanto una sepoltura come appartenente ad un individuo non adulto. Questa, però,
presenta un corredo simile alle altre adulte, tranne per la
presenza del guttus. Non è possibile attribuire un’identità etnica precisa alla gente sepolta sulla collina di
Melfi-Pisciolo, dato che non vi sono fonti scritte e che
il materiale rinvenuto nelle tombe indica piuttosto una
società “mista”. La frequente attestazione della coppia
dei vasi rituali tipica della Daunia è un indizio delle forti
influenze che questa tradizione esercitava sulla comunità presa in esame. Forse l’olla-cratere della tomba più
antica (T. 13-II), che non presenta dei confronti soddisfacenti, potrebbe avere una maggiore importanza in
questo caso ed accentuare un’identità locale. I limiti dell’attuale ricerca sono dati dalla ancora scarsa quantità di
informazioni provenienti sia dalla necropoli (che deve
essere approfonditamente e sistematicamente studiata)
sia dall’ area presa in esame. In particolare lo studio
sommario di tutti i corredi e delle deposizioni documentati porterà ad avere dati più precisi riguardo all’individuazione delle diverse identità collettive.
L’obiettivo di future ricerche sarà quello di studiare integralmente la necropoli per poter avere una maggiore
quantità di dati e dunque poter proporre delle ipotesi
più accurate. Una ricognizione della valle del fiume
Ofanto tra la Campania e la Basilicata sarebbe invece
utile per una più ampia contestualizzazione dei dati, gettando luce sulle dinamiche insediative della zona.
66
Le sepolture 13-I e 13-II potrebbero essere considerate eccezioni.
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Siris 10,2009, 81-97
Le necropoli di un insediamento della Peucezia:
il caso di Monte Sannace
di Maria Pina Gargano
L’insediamento di Monte Sannace è ubicato nella
zona centro-meridionale della Peucezia, a ca. km 5 a
nord-est di Gioia del Colle (Bari), al centro delle
Murge pugliesi, in posizione strategica sulla sella che
separa le Murge di nord-ovest dalle Murge di sud-est,
naturale spartiacque fra Ionio e Adriatico 1.
L’antico abitato si sviluppa su una collina che si
eleva per un’altezza pari a m 382 s.l.m. e nella vasta
zona pianeggiante ad essa circostante 2 (fig. 1). Si
tratta di un’area estremamente favorevole all’insediamento umano. In particolare, la sommità della collina, formata da un pianoro ondulato di forma quasi
circolare, è delimitata su tutti i versanti (eccezion
fatta per quello meridionale) da fianchi scoscesi ed
impervi che ne garantiscono la pressoché totale difendibilità. La sua altezza sul livello del mare, inoltre, consente il controllo visivo di un ampio territorio
circostante che si estende fino alla costa adriatica a
nord, alla costa ionica a sud, ai rilievi lucani ad ovest.
L’approvvigionamento idrico del sito, oltre che da
una complessa rete idrografica di profondità, alimentata dalle acque piovane, è garantito, in antico,
dal fiume “Cana”, un corso d’acqua oggi estinto 3 che,
partendo dalle Murge di Cassano, attraverso il Canale di Frassineto ed il cosiddetto Canale di Pirro
(ubicati lungo il versante settentrionale della collina),
sfocia lungo la costa adriatica, tra Egnazia e Torre
Canne, nel brindisino.
La conformazione geologica dell’area garantisce
poi la fertilità del terreno e rende possibile la pratica
dell’agricoltura: coltivazioni di tipo intensivo ed
estensivo sono attestate, in antico, nelle zone a nord
e ad ovest del’insediamento. Le zone ad est e a sud
di questo, invece, risultano all’epoca interamente ri-
1
Per l’inquadramento geografico, geologico e geo-morfologico del territorio, ved. Scarfì 1962, pp. 3-7; Scarfì 1965; Donvito 1982, pp. 11-14; Monte Sannace 2001, pp. 3-18.
2
Scarfì 1965.
3
Le ultime notizie relative al fiume Cana sono contenute in
documenti risalenti agli anni Trenta del secolo scorso.
coperte di boschi e popolate da animali selvatici; le
attività qui praticate sono dunque la pastorizia, l’allevamento del bestiame, la caccia e, ovviamente,
tutte le attività ad esse correlate, quali la lavorazione
delle lane e delle pelli, la produzione di manufatti,
la lavorazione e la commercializzazione del legname.
Le ragioni dell’antropizzazione di Monte Sannace
sono ancor più chiare se ai dati appena esposti si aggiungono quelli relativi ai collegamenti del sito con
l’esterno, assicurati da tratturi (individuati grazie alla
fotografia aerea) 4, dal fiume Cana (navigabile, in antico) e da una efficiente rete stradale (fig. 2): una prima
strada è quella che, passando per il sito, collega Bari
(porto dell’abitato peuceta di Kailìa = Caeliae = Ceglie
del Campo) a Taranto 5; altre due collegano la costa
adriatica a Monte Sannace, e viceversa, la prima partendo dal porto adriatico di Neapolis (nei pressi della
attuale Polignano a Mare), sbocco marittimo di
Norba (l’attuale Conversano) 6, la seconda, attraverso le lame, partendo dal porto dell’antica Azetium, che si ritiene ubicato nei pressi della attuale
Mola di Bari 7; un’altra strada è quella che collega la
Puglia alla Lucania, partendo dal porto della messapica Egnazia, arrivando attraverso il Canale di Frassineto, a Monte Sannace, per poi procedere verso
l’interno fino a Gravina, a Serra di Vaglio e, da qui,
a Metaponto 8.
Quanto esposto sino a questo momento ci consente
di capire perché la storia dell’occupazione di Monte
Sannace sia lunga ed articolata: da una prima frequentazione nel Neolitico, alla occupazione stabile, di tipo
capannicolo, sul finire del IX sec. a.C., agli abitati di
epoca arcaica e di epoca classica, fino all’avvento del-
Adamesteanu 1962; Donvito 1982, pp. 156-157.
Donvito 1982, pp. 150-152.
6
Donvito 1982, p. 156.
7
Donvito 1982, pp. 155-156.
8
Adamesteanu 1962, pp. 47-48; Donvito 1982, pp. 153-155.
4
5
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Maria Pina Gargano
blici, al disotto dei
loro piani pavimentali, negli spazi aperti
fra le costruzioni, nei
cortili (immediatamente adiacenti alle
case).
Le sepolture, il cui
numero complessivo
è superiore alle 200
unità, sono prive di
orientamento costante
ed hanno profondità
variabile. Dal punto
di vista cronologico
talvolta sono nettaFig. 1. - Monte Sannace, veduta da satellite (rielaborazione da Google Earth).
mente più antiche
delle abitazioni, ma
l’età ellenistica, quando l’epopea del sito si conclude
più spesso sono coeve o di poco precedenti 11. Dal
punto di vista tipologico, esse si caratterizzano per una
(fra la seconda metà del III e l’inizio del II sec. a.C. in
notevole varietà: sono attestate infatti tombe del tipo
pianura e ai primi del I sec. a.C. sull’acropoli).
ad enchytrismòs (entro pithoi ad impasto o entro olle
Ci aiutano a ricostruire questa interessante storia
a decorazione geometrica), del tipo a fossa terragna
sia le testimonianze offerte dal mondo dei vivi (gli
semplice, del tipo a cassa (foderata con lastrine di pieedifici pubblici, gli edifici sacri, le abitazioni privatra o con laterizi infissi verticalmente nel terreno), del
te) che le testimonianze provenienti dal mondo dei
tipo a sarcofago (ricavato da grossi blocchi monolitici
morti, che nel sito assumono una fisionomia molto
di tufo provenienti dalle cave di Santo Mola 12) dotato
particolare. A Monte Sannace, infatti, non sono state
in molti casi di ripostiglio 13, del tipo a semicamera,
ancora identificate, per nessuna delle fasi di vita delcon pareti realizzate in muratura e, sulla faccia a vil’insediamento, delle necropoli intese come spazio
sta interna, intonacate e talvolta arricchite da decoraautonomo destinato esclusivamente ai morti e geozioni pittoriche policrome.
graficamente distinto dall’abitato. Secondo un costuDiverse le modalità di copertura: dalla forma più
me frequentemente attestato sin dal periodo arcaico
semplice
- propria degli enchytrismòi e delle tombe a
in molti siti della Peucezia, anche a Monte Sannace
9
fossa
e
a
cassa - rappresentata da lastrine di pietra o
si procede al seppellimento intra ed extra muros ,
da laterizi (in alcuni casi in spezzoni) posti di piatto,
senza preoccuparsi, neppure nel momento del riasalla forma più complessa – dei sarcofagi e delle sesetto urbano dell’insediamento nel IV sec. a.C.,
micamere – formata da spessi lastroni, accostati
«della individuazione di specifiche aree da destinare
(quando in numero superiore ad uno) e poggianti su
a necropoli all’interno o all’esterno dello spazio urtravi lignee incassate entro alloggiamenti ricavati
bano» 10. Si spiega così il rinvenimento, sull’acropolungo il bordo superiore della struttura.
li come in pianura, di numerose sepolture distribuite
All’interno delle sepolture, il rituale funerario
nell’area in forma sparsa, ubicate sia all’interno che
adottato è quello della inumazione; il defunto viene
all’esterno delle mura (e in pochi casi al di sotto di
deposto su un fianco, in posizione rannicchiata, con
esse, fra i due paramenti) e sia all’interno che algli arti inferiori contratti, secondo una modalità attel’esterno delle abitazioni private e degli edifici pub-
Ciancio 2008, con bibliografia precedente; Ciancio, Gargano
c.d.s.
10
Ciancio et alii 2009, p. 313.
11
Ciancio, Gargano c.d.s.
12
Monte Sannace 2001, p. 15.
9
13
Il ripostiglio è spesso costruito in corrispondenza di uno dei
lati brevi del sarcofago; lo si realizza scavando una fossa, di profondità variabile, nella terra o nel banco roccioso e foderandola,
in alcuni casi, con lastrine di pietra o con spezzoni di laterizi; la
copertura è assicurata o dagli stessi lastroni che coprono il sarcofago o da lastrine di pietra poste di piatto.
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Emiliano Cruccas 83
stata in Peucezia perlomeno sino agli inizi del III sec.
a.C. e che condiziona fortemente anche le dimensioni
delle tombe (non a caso a Monte Sannace poco sviluppate nel senso della lunghezza) 14.
Le sepolture sono in massima parte monosome; vi
sono però anche esempi di tombe bisome, come le
due casse databili al V sec. a.C. 15, ciascuna delle
quali contenente una doppia deposizione di infante,
rinvenute all’interno dell’insula I, nella zona immediatamente a sud della casa ellenistica 16. Attestata è,
però, la pratica del riutilizzo, che consiste nello spo-
stare dalla originaria
zona di giacitura la deposizione primaria depositandola, con il relativo corredo (quando esiste), nel ripostiglio, in un angolo
della tomba o all’esterno della stessa;
in pochi casi, per agevolare il riutilizzo
della sepoltura, è possibile apportare modifiche alla sua struttura, in modo da
adattarla alle nuo-ve
esigenze 17.
Fatte queste necessarie premesse di
carattere generale, è
ora opportuno elaborare alcune riflessioni
più approfon- dite in
merito alle necropoli
di Monte Sannace in
rapporto all’abitato,
data la stretta interconnessione ravvisabile, qui come altrove, fra mondo dei vivi e mondo
dei morti. Si procederà, quindi, di seguito, all’analisi, in forma sincronica, dell’evoluzione delle necropoli nel corso delle quattro principali fasi – VI,
V, IV, III sec. a.C. – individuate nella lunga vita dell’insediamento. Il campione sul quale questa analisi
verrà effettuata è composto da 122 sepolture, tutte
di provenienza e di cronologia certe e tutte collegabili topograficamente all’abitato 18.
Durante il VI sec. a.C., Monte Sannace è, come
molti altri centri della Peucezia, oggetto di una fre-
Un dato, questo, che rende difficile, o addirittura impossibile, ipotizzare, in assenza di reperti osteologici, solo sulla base
dell’osservazione del contenitore funerario, l’età dell’inumato.
15
TT. 2 e 5 dagli scavi 2001 della Scuola di Specializzazione
in Archeologia dell’Università degli Studi di Bari; Galeandro
2002, pp. 58-59.
16
L’indagine archeologica in questa zona è stata avviata dalla
Scuola di Specializzazione in Archeologia dell’Università degli
Studi di Bari nel 2001, e proseguita nel 2002, con l’intento di verificare l’esistenza di eventuali fasi di vita dell’area precedenti
l’impianto della casa ellenistica. Si vedano, a tal proposito, Galeandro 2002, pp. 53-59; 2003, pp. 86-90.
17
Ne è esempio la tomba a sarcofago 17 scavata dalla Scarfì
in pianura nel 1957. All’atto del rinvenimento, essa si presentava
priva della testata meridionale in tufo, distrutta per poter allungare
il sarcofago tramite lastrine di pietra infisse verticalmente nel terreno a prolungamento dei suoi lati lunghi (Scarfì 1961, col. 210).
18
Si tratta delle tombe provenienti: dagli scavi Scarfì degli
anni 1957-1961 (Scarfì 1961; 1962; Gargano 2002); dagli scavi
condotti, a partire dal 1994 sull’acropoli e, a partire dal 2001, in
pianura, dalla Scuola di Specializzazione in Archeologia dell’Università degli Studi di Bari (Galeandro 2002; 2003; 2005;
Palmentola 2000); dagli scavi De Juliis degli anni 1976 e 1977
della cui documentazione ho potuto prendere visione personalmente grazie alla cortesia del prof. De Juliis; dagli scavi della So-
Fig. 2. - Monte Sannace, viabilità antica.
14
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Maria Pina Gargano
Fig. 3. - Planimetria generale pianura, VI sec. a.C. (rielaborata da Galeandro 2009a).
quentazione antropica decisamente ampia, che sembra occupare una superficie superiore ai ha 50 19. Su
questa superficie sono distribuite, in pianura, abitazioni dalla planimetria molto semplice, solitamente
monovano (nove quelle individuate sino a questo momento, riprodotte in nero nella fig. 3) 20.
Le sepolture ad esse coeve – in numero complessivo di 18, tra cui undici enchytrismoi, due
casse, una fossa, quattro sarcofagi, di cui due con
ripostiglio – trovano posto nelle loro immediate vicinanze all’interno dei loro cortili o – nel caso degli
enchytrismoi – al di sotto dei loro piani di calpestio.
Esempio della peculiare modalità di deposizione
delle tombe ad enchytrismòs è l’ambiente α dell’in-
sula II (indicato nella fig. 3), ubicato all’interno dell’area che sarà in seguito occupata dalla casa ellenistica e parzialmente obliterato dall’ambiente a sud
di questa: alla sua fase di vita arcaica sono connessi
ben sei enchytrismòi rinvenuti – cinque all’interno
ed uno all’esterno – a ridosso dei muri di delimitazione settentrionale, meridionale ed occidentale dell’ambiente 21.
Ben diversa è la situazione dell’acropoli (fig. 4),
dove sono state rinvenute 6 sepolture: tre sarcofagi
(di cui 1 con ripostiglio), due casse, un enchytrismòs 22. In questa fase, quando è molto probabilmente
già cinta da mura, l’acropoli presenta una organizzazione planimetrica molto complessa: la popolano, in-
printendenza Archeologica della Puglia (Ciancio 2008; Ciancio et
alii 2009; Monte Sannace 1989; 2001). Non sono stati inclusi nel
campione di analisi né i contesti funerari provenienti da scavi clandestini o occasionali (che, perlomeno fino agli anni ’50 del secolo
scorso, hanno rappresentato l’unica forma di “indagine” per Monte
Sannace, sottoponendola ad un vero e proprio saccheggio indiscriminato), né i contesti di cui si possiedono solo vaghe notizie
poco circostanziate. Sebbene essi siano infatti (cfr. Monte Sannace
2001, pp. 113-133) in numero piuttosto elevato – ben 106 – non
possono esser presi in considerazione in quanto spesso mancano riferimenti precisi al numero delle tombe individuate, alla loro ubicazione, a volte alla tipologia e ai materiali rinvenuti.
19
Galeandro c.d.s.
20
La fig. 3 riproduce la planimetria generale dell’abitato in
pianura nel VI sec. a.C. pubblicata dal Galeandro (2009), ottenuta unendo la planimetria generale della pianura pubblicata da
B.M. Scarfì (1962) e comprendente le sole insulae I e II alla più
aggiornata documentazione grafica comprendente anche le insulae III, IV e V.
21
L’individuazione dell’ambiente α e delle sei deposizioni ad
enchytrismòs – quattro entro pithoi, due entro olle a decorazione
geometrica – si deve alle indagini avviate nel 2001, e proseguite
nel 2002, dalla Scuola di Specializzazione in Archeologia dell’Università degli Studi di Bari, nell’ambito di un progetto volto
ad esplorare le fasi pre-ellenistiche dell’area della casa ellenistica. Si vedano, in proposito, Galeandro 2002, p. 58; 2003, pp.
86-90.
22
La fig. 4 riproduce la planimetria generale dell’abitato sull’acropoli nel VI sec. a.C. Essa deriva dalla fusione fra la planimetria generale dell’acropoli pubblicata da B.M. Scarfì (1962) e
comprendente gli scavi A, B, C, D e la pianta di fase pubblicata
dal Galeandro (2009), comprendente anche lo scavo G.
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Le necropoli di un insediamento
Emiliano
della Cruccas
Peucezia: il caso di Monte Sannace
85
Fig. 4. - Planimetria generale dell’acropoli con ubicazione del cratere mesocorinzio, VI sec. a.C. (rielaborata da Scarfì 1962 e Galeandro 2009a).
fatti, abitazioni pertinenti ad individui di spicco all’interno della comunità ed imponenti edifici polifunzionali (dalla duplice valenza politica e
religioso-cultuale).
Tra queste strutture (indicate nella fig. 4), l’edificio tardo-arcaico, caratterizzato da una ricca decorazione architettonica policroma di tipo greco 23;
l’edificio 1 all’interno dello scavo G, dalla chiara
connotazione rituale 24; i due edifici (2 e 5) ubicati
nella zona settentrionale dello scavo D, all’interno
dell’area un tempo denominata “agorà Scarfì” ed
oggi, alla luce delle nuove indagini svolte, interpretata come un’area sacra delimitata a sud da un poderoso muro di cinta che descrive sul terreno una sorta
di temenos 25.
Un rapporto di stretta connessione – funzionale,
cronologica e ideologica – intercorre tra questi edifici
ed alcune delle tombe di età arcaica restituite dall’acropoli (fig. 4) 26.
All’interno dell’edificio 1 – settore 2 dello scavo
G 27, al di sotto del suo piano pavimentale, si è rinvenuta una tomba a sarcofago ad esso coeva, saccheggiata in antico ma databile sulla base di preziosi
frammenti ceramici recuperati, pertinenti a forme di
produzione indigena e di importazione. Anche l’edificio 2 dello scavo H 28 (all’interno dello scavo D
Scarfì), al di sotto del suo piano pavimentale ha restituito tre tombe – un sarcofago e due casse – ad esso
coeve, depredate in antico; fra il prezioso materiale
di corredo, purtroppo in frammenti, si annoverano
armi, uno splendido bacino ad orlo perlinato in
bronzo e un cratere a colonnette figurato mesocorinzio attribuibile al Pittore di Memnon, che «segnala la
particolarità e la rilevanza delle strutture tombali che
si trovavano all’interno dell’edificio, da attribuire a
personaggi di vertice della comunità locale» 29.
Quanto alla funzione dell’edificio che accoglie le sepolture, la Ciancio sostiene che «l’ipotesi interpreta-
23
Monte Sannace 1989, pp. 132-154; Monte Sannace 2001,
pp. 35-36; Ciancio et alii 2009, p. 317.
24
Monte Sannace 1989, pp. 107-131; Ciancio et alii 2009, pp.
316-317.
25
Ciancio et alii 2009, pp. 314-316.
26
Complessivamente, si tratta di 6 sepolture, fra cui tre sarcofagi
(uno dei quali, la T. 95 Scarfì, con ripostiglio), due casse ed un enchytrismòs. Due dei sarcofagi e le due casse (citati più avanti nel
testo) sono ubicati all’interno dello scavo D; la T. 95 (Gargano 2002,
pp. 388-393) e l’enchytrismòs (T. 90A Scarfì; Gargano 2002, p.
394) trovano posto invece all’interno dello scavo A. La T. 95, in
particolare, è stata posizionata nell’area che in età ellenistica verrà
occupata dalla casa a pastàs di cui si è detto a proposito dello sviluppo urbanistico dell’acropoli durante il III sec. a.C. (si vedano le
pagine relative nel presente contributo).
27
Scavi Soprintendenza 1978-1983. Monte Sannace 1989, pp.
38-43, 107 sgg.; Ciancio 1995, pp. 26-27, tavv. 24, 1-3; 25, 1-3;
26, 1-2; 2008, pp. 901-903.
28
Scavi Soprintendenza 1999-2003. Ciancio et alii 2009, pp.
315-316; Ciancio 2008, p. 901; Ciancio c.d.s.
29
Ciancio et alii 2009, p. 316.
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Maria Pina Gargano
tiva più verosimile è che si tratti di luoghi di culto destinati a sepolture di personaggi appartenenti ad un
gruppo sociale (e forse familiare) specifico, che detiene il diritto a tale collocazione post mortem e alla
partecipazione alle relative cerimonie funerarie, ed
estrinseca così la propria supremazia e la propria posizione di vertice» 30.
D’altro canto, la collocazione degli edifici con valenza complessa, della fase tra VI e IV sec. a.C., in
cima alla collina, ovvero nella zona più rilevante dell’abitato, da dove si controlla l’intero insediamento e
il territorio intorno, riflettendo con ogni probabilità
una scelta di ordine politico-religioso, risponde alla
volontà di individuare un’area privilegiata, di riferimento per la collettività 31 e sottolinea ulteriormente
l’importante e rappresentativo ruolo svolto dall’acropoli in questa fase.
Proprio in virtù di questo ruolo, i corredi funerari
restituiti dalle sepolture ubicate sull’acropoli sono,
in questa fase, ricchi di ceramica sia di produzione
locale che, come già si è avuto modo di sottolineare,
di importazione dall’area greca. Queste sono le caratteristiche dei corredi emergenti, del ceto dominante; i restanti contesti, riferibili al ceto subalterno
– in una società poco articolata e rigidamente divisa
fra ricchi e poveri – sono più modesti.
Essi associano ceramica ad impasto (ciotole ed attingitoi presenti soprattutto nei corredi più antichi) a
materiale geometrico monocromo e bicromo, prodotti acromi, produzioni corinzie (tipiche sono le kotylai con decorazione “ad uccelli”), coppe di tipo
ionico, produzioni a vernice rossa di origine siritemetapontina 32; a partire dalla metà del secolo, fa la
propria comparsa la ceramica a vernice rossa e bruna
che si svilupperà ulteriormente nel secolo successivo.
Sono presenti, sebbene in pochissimi casi, anche
armi (spade, cuspidi di lancia e di giavellotto), oggetti di ornamento, in bronzo e ferro, e strumenti metallici legati al banchetto (in particolare spiedi). Le
armi qualificano il defunto come un guerriero, peraltro di rango elevato, visto che è spesso munito di
spada 33 «dotata di un significativo potere di evocazione del prestigio conseguito mediante il combattimento individuale» 34. Lo spiedo riconduce, invece,
alla cottura per arrostimento delle carni 35 frutto del
sacrificio rituale, consumate in forma conviviale durante il banchetto. La sua presenza nelle tombe di
Monte Sannace simboleggia la conoscenza, da parte
del defunto e del gruppo di cui egli fa parte, di questa pratica “eroica” di ascendenza greca e la sua adesione ad essa. Interessante è il frequente riproporsi,
all’interno di questi corredi funerari (alla fig. 5, il
corredo della T. 65A36), di uno schema molto diffuso
in ambiente non solo peucezio, ma apulo-lucano in
generale, che vuole caratteristica dei contesti arcaici
la coppia rituale composta da “vaso rituale + attingitoio”, deposto al suo interno. Nella maggior parte dei
casi, il vaso rituale è un grande contenitore o comunque un vaso atto a contenere, e, solitamente,
un’olla; quanto all’attingitoio, esso può anche essere
sostituito da una brocchetta, spesso acroma, che assolve alla medesima funzione di attingere e versare o,
molto più raramente, da una coppetta monoansata 37.
Ciancio 2008, p. 904; c.d.s.
Ciancio et alii 2009, p. 317.
32
Di Zanni 1997.
33
Durante il VI sec. a.C. la appartenenza del defunto al gruppo
dei guerrieri, magari con funzione di capo, viene sottolineata
dalla inserzione, all’interno del corredo, di cuspidi di lancia
(spesso in due esemplari), di cuspidi di giavellotto e, in poche
sepolture, della spada.
Bottini 1982, p. 86.
Per riflessioni in merito, si rimanda alla sezione del presente
contributo dedicata all’analisi dei corredi di IV sec. a.C.
36
Donvito 1982, p. 47; Monte Sannace 1989, p. 82, tav. 109,
1; Gargano 2002, pp. 11-12.
37
Per la coppia rituale “olla + attingitoio” ved. Forentum I, p.
277; Russo Tagliente 1992-1993, p. 337.
Fig. 5. - Corredo funerario T. 65A: VI sec. a.C. Coppia rituale
olla e attingitoio (da Gargano 2001-2002).
30
31
34
35
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Le necropoli di un insediamento
Emiliano
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Peucezia: il caso di Monte Sannace
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Fig. 6. - T. 28, fine VII - inizi VI sec. a.C. (da Donvito 1982).
Fig. 7. - Ripostiglio T. 33, metà VI sec. a.C. (da Gargano 20012002).
Fig. 8. - T. 68, metà del VI sec. a.C. (da Gargano 2001-2002).
Fig. 9. - T. 33, metà del VI sec. a.C. (da Gargano 2001-2002).
Diffuso è anche, nei corredi arcaici da Monte Sannace, il fenomeno della iterazione, che si può intendere come un modo per sottolineare la ricchezza ed il
potere di acquisto del defunto o, come propone la
Russo per spiegare alcuni casi analoghi che interessano le necropoli di Lavello, «anche come una testimonianza della partecipazione al rito funebre della
cerchia di individui appartenenti allo stesso gruppo
familiare del defunto» 38.
Nella lunga storia di Monte Sannace, il V sec. a.C.
è stato interpretato, in passato, come un secolo oscuro,
di stasi e di contrazione dovute al grosso impegno militare, economico e demografico profuso dal centro in
difesa della propria autonomia nella difficile guerra
contro Taranto. Questa visione è stata però confutata
dalle più recenti acquisizioni che mostrano, per Monte
Sannace come per molti altri centri della Peucezia,
una sostanziale continuità di occupazione del sito nel
V sec. a.C. in aree, in forme e con modalità pressoché
immutate rispetto al secolo precedente 39. Continuano
dunque ad essere utilizzati gli edifici polifunzionali
sull’acropoli e le semplici abitazioni monovano in pia-
nura (in nero nella fig. 10); mancano, anche in questo
secolo, le strutture di tipo intermedio, segno evidente
di una società ancora poco articolata e rigidamente
suddivisa fra ceti dominanti e ceti subalterni. Anche
le tombe riflettono la continuità con il passato.
Le 25 sepolture connesse a questa fase di vita dell’insediamento – 9, fra cui tre a sarcofago (due con
ripostiglio all’interno dello scavo A 40) e sei monumentali, ubicate sull’acropoli e 16, di cui undici sarcofagi (due con ripostiglio), quattro casse, un
enchytrismos, ubicate in pianura – sono collocate infatti, come in precedenza, sia negli spazi aperti fra le
abitazioni che nelle loro immediate vicinanze, al loro
interno o entro i loro cortili, a sottolineare, in alcuni
casi, un legame parentelare fra i vivi e i morti.
In pianura, interessanti sono la T. 34 e la T. 4 (indicate nella fig. 10), collocate nella zona nord dell’abitato, quando questa è (e lo sarà per tutto il V sec.
a.C. e per parte del successivo) uno spazio aperto; qui,
però, un secolo più tardi, sarà realizzato il secondo
circuito murario che si imposterà al di sopra delle sepolture, obliterandole senza distruggerle 41.
Forentum I, pp. 281-282.
«… tutte o quasi le strutture edificate nel VI sec. a.C. continuano la loro vita nel V sec., in alcuni casi con cambiamenti di
destinazioni d’uso, prima che la fase di IV sec. arrivi a ridisegnare l’organizzazione degli spazi» (Galeandro c.d.s.).
40
Si tratta delle TT. 91 e 94 provenienti dagli scavi del 1959
(Gargano 2002, pp. 406-415); la terza tomba, la 99 (Gargano
2002, pp. 416-421), anch’essa frutto degli scavi del 1959, non è
più visibile sul terreno e non è stato possibile ubicarla, data la completa assenza, nei giornali di scavo e negli archivi del Museo Archeologico Nazionale di Gioia del Colle (Ba), dove tutti i materiali sono conservati, di elementi che potessero aiutare in questa
operazione.
41
Ciancio et alii 2009, pp. 312-313.
38
39
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Fig. 10. - Planimetria generale pianura, V sec. a.C. (rielaborata da Galeandro 2009a).
Degna di nota anche la tomba a sarcofago 10 (indicata nella fig. 10) rinvenuta nel 2004 all’interno
dell’ambiente I della casa 2 dell’insula III42: utilizzata per la prima volta entro la fine del V sec. a.C., la
si riutilizza più volte nel corso del secolo successivo,
fino alla seconda metà.
Sull’acropoli, unico è il gruppo funerario, ubicato
nella zona meridionale dello scavo D Scarfì, rappresentato dalle cosiddette “Grandi Tombe” 43 (tre sarcofagi e tre semicamere, fig. 11) alloggiate entro un
enorme e profondo “recinto” ricavato nel banco roccioso e depredate (nel III sec. a.C., al momento della
costruzione dell’edificio che si imposta al di sopra).
Queste sepolture monumentali (sia per la tipologia
strutturale che per le dimensioni) collocate sull’acropoli in posizione preminente all’interno di quella
stessa area che ospitava, nel secolo precedente, altre
tombe emergenti, qualificandosi come area destinata
ad uso sacrale e di riferimento collettivo 44, possono
essere, senza dubbio interpretate come tombe appartenenti a personaggi di rango sociale elevato, proba-
bili figure con funzioni di “capi” all’interno della comunità, detentori del controllo politico ed economico
del territorio 45.
Dal punto di vista della composizione (nella fig.
12, il corredo emergente dal ripostiglio della T. 4
Scarfì 46), i corredi funerari restituiti dalle sepolture
di epoca classica, più articolati e quantitativamente
più ricchi rispetto a quelli di VI sec. a.C., riflettono,
come quelli, la rigida suddivisione propria della società del tempo: sono presenti, dunque, sia in pianura
che sull’acropoli, contesti emergenti e modesti.
Sono documentate produzioni locali, quali la ceramica acroma, la ceramica geometrica (sebbene in
forte contrazione), la ceramica rossa e bruna (presente
già dalla metà del VI sec. a.C.), la ceramica da fuoco,
la ceramica a fasce (già comparsa sul finire del secolo
precedente), la ceramica di stile misto (che aveva
fatto la propria apparizione fra fine VI ed inizi del V
sec. a.C.) e, sebbene in pochi casi, la ceramica “di tipo
misto”, a figure e decorazione nere; le ceramiche di
tipo greco, con un notevole incremento quantitativo
Scavi 2004 della Scuola di Specializzazione in Archeologia
dell’Università degli Studi di Bari; Palmentola 2005.
43
Scavi Scarfì 1960, TT. 104-109; Scarfì 1962, pp. 121-130;
Ciancio 2008, pp. 905-906; 2009; Monte Sannace 2001, p. 34.
Ciancio c.d.s.
Monte Sannace 2001, p. 34.
46
Scarfì 1961, coll. 230- 246, figg. 71-83; Gargano 2002, pp.
110-121.
42
44
45
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Peucezia: il caso di Monte Sannace
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Fig. 11. - Planimetria generale dell’acropoli e le “Grandi Tombe”, V sec. a.C. (rielaborata da Scarfì 1962 e Galeandro 2009a).
rispetto al secolo precedente specialmente per la ceramica a vernice nera (di produzione coloniale e di
imitazione locale), mentre poco frequenti sono le
coppe di tipo ionico; è attestata anche la presenza di
ceramica attica di importazione, a figure nere, e protoitaliota a figure rosse, prodotta a partire dall’ultimo
quarantennio del secolo; più alta, rispetto all’epoca
precedente, la percentuale di coroplastica, nonché
degli oggetti di ornamento.
Diversamente da quanto accade in altre realtà
della Peucezia, nei corredi funerari di Monte Sannace
in età classica poco numerose sono le armi, che sottolineano la funzione di capo-guerriero del defunto, il
suo rango elevato e la sua adesione al modello ellenico 47.
Guardando alla associazione delle classi e del materiale ceramico, si evince che in questa fase comincia a manifestarsi la volontà di ostentare l’adesione al
mondo greco e al modello del banchetto di ascendenza greca: si giustifica così la frequente presenza,
nei corredi, di forme atte a contenere (il cratere), ad
attingere e a versare (la oinochoe e la brocca, di dimensioni normali o miniaturistiche), a bere (kylikes,
cup-skyphoi, skyphoi), che tentano di riprodurre il
servizio greco da banchetto.
Ciancio c.d.s.
Ciancio 1995, pp. 28-31, tavv. 29, 1-4; 30, 1-7; 31, 1-2; 32,
1-4; 33, 1-2; Gargano 2002, pp. 441-458.
Interessante è il cratere, rivestito di un ruolo di assoluta centralità (soprattutto nei corredi di seconda
metà del V sec. a.C.), di tipo greco o di fabbrica locale
(a fasce o di stile misto), evidentemente sulla base
della disponibilità economica del defunto e del suo
gruppo di appartenenza.
Altro elemento da sottolineare è la presenza, in alcuni contesti emergenti dell’acropoli, di ceramica attica a figure nere e a figure rosse (molti i frammenti
di crateri, di lekanides e di pelikai provenienti dalle
Grandi Tombe 48) e di ceramica protoitaliota, sia di
fabbrica protolucana 49 che di fabbrica protoapula 50 a
figure rosse.
Il IV sec. a.C. è, per Monte Sannace, come per
molti altri centri della Peucezia, un secolo di profonde
e radicali trasformazioni. Il notevole miglioramento
delle condizioni economiche e l’esplosione demografica che ne consegue, sono alla base della crescita
dell’insediamento, che raggiunge in questa fase (fig.
13) la sua massima espansione ed un assetto che si
può definire “proto-urbano”, ben riconoscibile nella
organizzazione dello spazio in pianura. Qui, a partire
dalla metà del IV sec. a.C., numerose abitazioni – monovano, a due vani, a pastàs, ad atrio – vengono costruite ex novo occupando in maniera fitta e densa, sia
47
48
49
50
Ciancio 1995, pp. 31-32, tavv. 34, 1-2; 35, 1-4; 36, 1-7.
Ciancio 1995, pp. 32-33, tavv. 37, 1; 38, 1-3.
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Maria Pina Gargano
Fig. 12. - Corredo funerario ripostiglio T. 4, V sec. a.C. (da Scarfì 1961).
pur non sempre razionale, un’area molto più estesa
che in passato 51 ed articolandosi intorno ad assi stradali preesistenti e di nuova realizzazione.
Come prime case nascono, intorno alla già esistente Strada Prima (non rettilinea e non perfettamente
orientata) della quale assecondano l’andamento lievemente curvilineo, le insulae I e II, i cui lotti non
sembrano però rispondere ad una pianificazione urbanistica vera e propria. Questo insieme di abitazioni
innestandosi su un nucleo abitativo arcaico al margine
della Strada Prima non risulta razionalmente distribuito, orientato né rispondente ad una organizzazione
che possa definirsi di tipo strettamente “urbano” 52.
Diversa la situazione nella zona orientale dell’abitato, dove la costruzione della strada presso la
casa ellenistica (coeva alla fase di fervore edilizio di
seconda metà del IV sec. a.C.), rettilinea e perfettamente orientata in senso nord-sud, sembra sottintendere un progetto urbanistico di più ampio respiro, che
si manifesta anche nella contemporanea realizzazione
della regolarissima insula III. I cinque lotti edilizi che
la compongono, sebbene di dimensioni differenti,
mostrano, nell’orientamento e nella perfetta perpendicolarità rispetto alla strada, nonchè negli ambitus di
larghezza costante che li separano, una precisa e ragionata scansione ed organizzazione dello spazio 53.
L’esplosione insediativa che si riscontra in pianura
trova un confronto sull’acropoli 54, dove si registra,
soprattutto a partire dalla fine del IV sec. a.C., la costruzione di molte abitazioni private; non si realizzano, invece, in questo periodo, diversamente da
quanto era accaduto in epoca arcaico-classica e da
quanto accadrà durante il secolo successivo, edifici
pubblici, o perlomeno questo è ciò che è possibile affermare allo stato attuale della ricerca.
Come si articola questo abitato dalla facies urbanistica rinnovata rispetto alle sepolture? Dal punto di
vista quantitativo, queste ultime sono in numero molto
elevato (dato che si giustifica evidentemente in rapporto al numero più elevato di cittadini): ben 59, 55
delle quali – ventiquattro sarcofagi (di cui sette con ri-
51
La estensione è compresa fra gli ha 50 e 100, secondo un
modello che accomuna molti centri della Peucezia (ved. Galeandro c.d.s.).
52
Palmentola c.d.s. Durante la seconda metà del IV sec. a.C.,
viene costruito il secondo circuito murario che attraversa le insule
I e II modificando la planimetria di alcune abitazioni nella zona
nord dell’area, e passa nella zona occupata da sepolture preesistenti (si vedano le osservazioni fatte nella sezione del presente
contributo dedicata al V sec. a.C.): alcune di esse vengono obliterate dai paramenti murari, altre restano all’esterno dell’abitato,
altre ancora vengono inglobate entro la cinta muraria.
53
La conferma della pianificazione urbanistica dell’area
orientale dell’abitato viene anche dalle recenti scoperte frutto
degli scavi della Scuola di Specializzazione in Archeologia dell’Università degli Studi di Bari: un nuovo asse stradale, la cosiddetta “strada nuova”, parallelo alla strada della casa
ellenistica, sul quale si affaccia una nuova insula V che sembra
riprodurre il modulo abitativo regolare caratteristico dell’insula
III (l’indagine archeologica all’interno dell’insula V è però solo
all’inizio, per cui è opportuno attendere il suo prosieguo per
avanzare ulteriori ipotesi).
54
Galeandro c.d.s.
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Fig. 13. - Planimetria generale pianura, IV sec. a.C. (rielaborata da Galeandro 2009a).
postiglio), diciassette casse, due fosse, due enchytrismoi, una semicamera – sono ubicate in pianura (in
neretto nella fig. 13); le restanti 4 – tutte a sarcofago,
di cui una con ripostiglio – sono ubicate sull’acropoli.
Dal punto di vista della distribuzione topografica,
in pianura esse continuano come in passato ad essere
sparse senza alcuna coerenza distributiva: sono infatti all’interno, all’esterno delle mura o al disotto (indicate con il n. 1 nella fig. 13), così come all’interno
(indicate con il n. 2 nella fig. 13) e all’esterno delle
abitazioni (indicate con il n. 3 nella fig. 13), negli
ampi spazi aperti fra queste o nei cortili (indicate con
il n. 4 nella fig. 13); spesso, esse sono articolate per
piccoli gruppi di due o tre, presumibilmente riferibili
a nuclei parentelari.
Nell’analisi della documentazione funeraria della
pianura nel IV sec. a.C., unico appare l’ambiente P
della casa 3 dell’insula III 55 (fig. 13), dove lo scavo
ha riportato alla luce otto tombe – tre sarcofagi, tre
casse, una fossa, un enchytrismòs – quasi tutte depredate in antico. Tre di esse meritano particolare attenzione: una cassa (T. 7/2004), rinvenuta intatta, che
accoglie i resti ossei di una bambina deposta con un
ricco corredo funerario composto da ben undici pezzi
55
Scavi 2004 della Scuola di Specializzazione in Archeologia
dell’Università degli Studi di Bari; Galeandro 2005.
fra i quali una grattugia miniaturistica in bronzo; un
sarcofago (T. 13/2004), anch’esso intatto all’atto del
rinvenimento, che accoglie lo scheletro di un infante
accompagnato da sette oggetti di corredo, ma che è
soprattutto attestazione della pratica del riutilizzo
delle sepolture: a ridosso del sarcofago si sono infatti
rinvenuti resti ossei sicuramente pertinenti a più individui, oltre ad una gran quantità di materiale ceramico e metallico, fra cui un cinturone, un coltello,
cuspidi di giavellotto e di lancia; il ripostiglio della
T. 2/2004 (fortunosamente sfuggito all’intervento di
scavi clandestini), nel quale trovano posto, oltre a pregiato materiale ceramico, anche un cinturone in
bronzo, un coltello, uno strigile, cuspidi di lancia e di
giavellotto, un tripode, una cuspide votiva in
piombo).
Il fatto che il nucleo funerario dell’ambiente P sia
in fase con i materiali dell’intera insula, e la totale assenza, all’interno del vano, di elementi riferibili ad attività domestiche, fanno propendere per una sua
interpretazione come recinto sacro, cioè uno spazio
intenzionalmente riservato alle sepolture di vari individui, di differente età e sesso, appartenenti ad un
gruppo familiare aristocratico dominante56. L’ele-
56
Galeandro 2005.
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92
Maria Pina Gargano
mento interessante che emerge da questa considerazione è che, durante il IV sec. a.C., i ceti dominanti
non occupano solo l’acropoli, ma sono evidentemente
stanziati anche in pianura, dove adottano peculiari
modalità di seppellimento utili a sottolineare il proprio ruolo di rilievo ed il proprio prestigio all’interno
del gruppo sociale (che è, in questo momento, molto
più articolato che in passato, con la presenza di un
ceto dominante, di un ceto subalterno e di un ceto intermedio).
I corredi funerari di questa fase riflettono esattamente questo mondo così variegato, con differenze,
dipendenti dalla classe di appartenenza e dal potere di
acquisto del defunto, nella tipologia e nella quantità
degli oggetti che li compongono. In essi si notano,
inoltre, una graduale riduzione delle classi ceramiche
di produzione tipicamente indigena a vantaggio di
quelle di tipo greco e la presenza di elementi connotanti, in maniera molto più puntuale di quanto non avvenisse in passato, il defunto ed il suo gruppo di
appartenenza.
Tra il materiale ceramico, oltre alle canoniche
produzioni acroma, da fuoco, a fasce, a vernice nera,
sono attestate la ceramica sovraddipinta apula, che
già aveva fatto la prima comparsa in alcuni contesti
di fine V-inizi IV sec. a.C., la ceramica di Gnathia, le
lekythoi a reticolo e la ceramica apula a figure rosse
(diretta discendente della produzione proto-italiota).
Notevoli dal punto di vista quantitativo, rispetto al
passato, le attestazioni della coroplastica (consistente
in terrecotte figurate a soggetto animale ed umano,
in rilievi e gruppi figurati), degli strumenti in metallo
legati alla pratica del banchetto, delle armi, del vasellame metallico, degli oggetti di ornamento; del
tutto nuova l’introduzione di strumenti legati alla palestra.
I corredi emergenti (nella fig. 14, i ripostigli della
T. 3 e della T. 7 Scarfì) 57 sono composti essenzialmente da vasellame di tipo greco (a figure rosse, a
vernice nera, di Gnathia, sovraddipinto), in molti casi
Scarfì 1961, coll. 188-210, figg. 37-53; coll. 275-298, figg.
108-127; Gargano 2002, pp. 187-205, 272-288.
58
Fra i prodotti acromi, una cospicua percentuale è rappresentata dai mortai; per quanto riguarda il materiale da fuoco, esso
è attestato in particolare da pentole e lopades, oltre alla consueta
brocca/pentolino rituale da fuoco.
59
Nelle sepolture a sarcofago con ripostiglio, il cratere è sempre in questa posizione.
60
Lissarrague 1989, p. 30.
57
di dimensioni monumentali, cui si affiancano, in percentuale molto ridotta, i prodotti dell’artigianato locale (acromi e da fuoco in particolare) 58. Essi si
caratterizzano per la costante presenza del cratere59
che è il fulcro intorno al quale ruota l’organizzazione
dell’intero corredo, nello stesso modo in cui esso è,
nel symposion greco, il centro focale del gruppo,
posto al centro dello spazio conviviale 60.
Al cratere si associano poi, secondo uno schema di
base ricorrente (ma variabile nel numero degli elementi che lo compongono), vasi per attingere, per
versare e per bere (fra cui, nel ripostiglio della T. 7
Scarfì, un non comunissimo rhython 61), molto spesso
– è soprattutto il caso degli skyphoi, delle coppette e
dei piatti – reiterati, evidentemente a sottolineare,
come già si è detto in precedenza, sia lo status del defunto, e quindi il suo potere economico, sia la partecipazione al rituale di più componenti del suo gruppo
di appartenenza.
Siamo, dunque, di fronte al servizio completo da
banchetto di ascendenza greca, che viene riproposto
dai ricchi abitanti di Monte Sannace con il chiaro intento di alludere alla ideologia che il consumo conviviale del vino nel mondo greco sottende. Stesso
desiderio di elevazione sociale e di emulazione del
modello greco celano gli strumenti – graffioni e spiedi
in ferro, lebeti in bronzo – che rimandano alla pratica
del consumo conviviale delle carni nelle diverse modalità di cottura, che si caricano, nel mondo antico,
di significati “politici” ed ideologici molto complessi
ed articolati.
La prima modalità (cui sono legati gli obelòi) prevede la cottura delle carni per arrostimento ed è tipica
del mondo omerico 62; la seconda modalità (cui sono
legati i lebeti) prevede la cottura delle carni per bollitura ed è tipica del mondo esiodeo 63. Nella Grecia
classica sono riconosciute ed adottate entrambe le
modalità di cottura, e così pure accade nel mondo magnogreco (in tal modo si spiega la presenza, nei corredi funerari, sia di spiedi che di lebeti).
61
Scarfì 1961, coll. 280-283, figg. 114-115; Gargano 2002,
pp. 192-193.
62
Valenza Mele 1982; Omero, Il. I 460-466; II 423-429. Omero,
Od. XVII 240-242; III 456-463; XII 360-365; XVII 270, in cui
Odisseo avverte, mentre i Proci stanno banchettando nel suo palazzo, il “profumo d’arrosto” che sale a spire.
63
Esiodo, Teog. 535-617. Comunque, «… negli ambienti ionici che fanno capo ad Omero […] si conserva la pratica del bollito ma esso è tenuto ai margini, estraneo al banchetto-sacrificio
[…]» (Valenza Mele 1982, p. 126).
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Le necropoli di un insediamento
Emiliano
della Cruccas
Peucezia: il caso di Monte Sannace
93
Fig. 14. - Corredi funerari ripostiglio delle TT. 3 e 7, IV sec. a.C. (da Scarfì 1961).
Le carni consumate nel corso del banchetto eroico
sono il frutto di un sacrificio, ovvero di una messa a
morte rituale, alla luce della quale possiamo leggere
la presenza (T. 7) della machaira. Questo coltello sacrificale, più volte menzionato nei poemi e negli inni
omerici 64 e frequentemente attestato in contesti funerari apuli e lucani 65, è infatti utilizzato, nel mondo
greco classico 66, sia per sgozzare che per squartare
ritualmente – cioè in tempi e con “gesti del taglio” 67
predefiniti – l’animale sacrificato, steso sulla trapeza,
prima di consumarne le carni, sia che questo avvenga
in una dimensione pubblica sia che avvenga in un
contesto domestico.
Presente – sebbene in pochi corredi funerari – è
la grattugia che compare, sin dall’età arcaica, pressoché esclusivamente in contesti di prestigio, strettamente connessa alla pratica del banchetto funerario,
nell’ambito del quale, secondo quanto ci suggerisce
Omero nell’XI libro dell’Iliade 68, era utilizzata per
spargere formaggio sulle vivande.
Cinque tombe di IV sec. a.C. hanno restituito uno
strigile, strumento legato alla palestra, ma anche, nel
mondo greco antico, a quell’ideale di armonia fisica
e, al contempo, interiore che la pratica sportiva con-
sente di raggiungere e che non è appannaggio di tutti,
ma solo degli áristoi. Lo strigile presente nei corredi
funerari magnogreci è simbolo della adesione a quell’ideale piuttosto che attestazione di una effettiva pratica sportiva svolta in vita dal defunto.
Interessante è la presenza, sia pur in un unico contesto (il ripostiglio della T. 3 Scarfì) del bacile e della
brocca in bronzo 69. I due oggetti sono spesso associati, nel mondo antico, a formare una coppia funzionale alla quale, sin dall’epoca omerica 70, si riconosce,
come funzione primaria, la purificazione, connessa a
vari momenti della vita del singolo e del gruppo cui
egli appartiene: le abluzioni che precedono il banchetto funerario, l’abbeveramento e la purificazione
delle bestie condotte al sacrificio, la composizione del
corpo del defunto. Anche in questo caso, la presenza
di tali oggetti è da intendersi come simbolo della adesione al modello cui essi rimandano.
Frequenti sono, nei contesti funerari di IV sec.
a.C., le armi, che, conferendo al defunto dignità di
guerriero, ne sottolineano lo status di rilievo all’interno della comunità. Fra queste, la cuspide di giavellotto che, utilizzata nel mondo antico anche per la
caccia, attività prediletta della aristocrazia, diventa
64
Omero, Il. III 271-292 (la menzione della màchaira è al
verso 271); Il. XIX 252-266 (la menzione della màchaira è al
verso 252); Omero, h. Ap. 510-535.
65
Alcuni esemplari, interpretati però come armi, provengono
dalle TT. 29 e 26 di Chiaromonte, databili alla prima metà del VI
sec. a.C. (Russo Tagliente 1992-1993, pp. 315-316, fig. 49, 285
e 439).
66
Una trattazione completa in merito alle tematiche del sacrificio e del banchetto nella Grecia classica, alle loro implicazioni
ideologiche, politiche e sociologiche, nonché al ruolo in essi
svolto dalla machaira e dal magheiros, è contenuta in Detienne
1979.
67
Tali “gesti del taglio” (la definizione è in Detienne 1979, p.
13), fondandosi sul modello che vede in netta antitesi l’interno e
l’esterno del corpo, comportano innanzitutto la suddivisione fra
questi due “mondi”, cioè fra le viscere da una parte e la carne (è
questo l’esterno dell’animale che, prima di essere macellato, viene
scuoiato) dall’altra la ulteriore selezione e suddivisione, all’interno
delle viscere, fra le cosiddette viscere nobili (cuore, milza, reni,
polmoni, fegato) e stomaco ed intestino, considerate scarto.
68
Omero, Il. XI 639-641.
69
Scarfì 1961, coll. 188-210, figg. 37-53; Gargano 2002, pp.
284-285.
70
Omero, Od. IV 52; VII 172; X 368; XV 135; XVII 91.
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Fig. 15. - Planimetria generale pianura, III sec. a.C. (rielaborazione da Galeandro 2009a).
una ulteriore espressione del rango 71. Spesso compare anche la cuspide di lancia, solitamente ritenuta
appannaggio di individui rientranti nei ranghi militari più elevati 72, associata al cinturone, elemento di
armatura ma anche bene di prestigio e simbolo, per
chi lo possiede, di status sociale elevato.
I beni di prestigio elencati non compaiono nei corredi più modesti quantitativamente più esigui. In essi
colpisce innanzitutto la pressoché totale assenza di
ceramica a figure rosse e di vasi di grandi dimensioni;
presenti sono la ceramiche di produzione locale
(pochi gli elementi a vernice nera, rare la produzione
di Gnathia e quella sovraddipinta).
Il III sec. a.C. è, allo stato attuale della documentazione, un momento di grandi trasformazioni che investono però in forme diverse la pianura e l’acropoli.
L’abitato in pianura (fig. 15) 73 sembra subire, in questa fase, una contrazione: le poche 74 tracce riferibili
al III sec. a.C. sono concentrate quasi esclusivamente
nella zona sud-orientale, ad est della strada della casa
ellenistica, all’interno delle insulae III e V. Qui fra la
fine del IV e i primi del III sec. a.C. cinque nuovi ambienti (denominati M, Q, R, N, S) 75, di dimensioni,
forma, ed orientamento differenti, a destinazione
d’uso artigianale, vengono costruiti nell’area occupata dalle regolari case di IV sec. a.C. (ormai definitivamente abbandonate), riutilizzando in parte le
precedenti strutture, modificandone profondamente
la planimetria e, più in generale, compromettendo
«del tutto l’assetto urbanistico precedente» 76, non rispettando cioè né la regolare scansione in lotti divisi
da ambitus, né la ortogonalità rispetto agli assi viari.
Infatti, il muro di delimitazione meridionale dell’ambiente Q chiude l’ambitus fra le case III,3 e III,4; gli
ambienti Q ed R (indicati nella fig. 15) invadono la
parte più settentrionale della strada nuova che, par-
Forentum I, p. 279.
A proposito degli esemplari di cuspide di lancia, associati a
cinturoni, rinvenuti nelle necropoli di Lavello, A. Russo, vista la
presenza in corredi «degli appartenenti al genos regale», ritiene
siano stati utilizzati «per connotare la condizione guerriera e di
cavaliere», mentre le cuspidi di giavellotto sarebbero l’arma pertinente ad «una fanteria formata da individui di rango inferiore rispetto alla minoranza di cavalieri […]» (Forentum I, p. 286).
Probabilmente, attribuire a Monte Sannace questo stesso modello
interpretativo di una società militare così rigidamente gerarchizzata, sarebbe una forzatura, perlomeno allo stato attuale delle conoscenze e alla luce del ridotto campione di sepolture con
cinturone e cuspidi di lancia di cui disponiamo. Registriamo però
la presenza di alcuni contesti (le TT. 17 e 103 Scarfì) in cui cinturone e cuspide di lancia sono associati.
73
La fig. 15 riproduce la planimetria generale dell’abitato in pia-
nura nel III sec. a.C. pubblicata da F. Galeandro (2009), ottenuta
unendo la planimetria generale della pianura pubblicata dalla Scarfì
(1962) e comprendente le sole insulae I e II alla più aggiornata documentazione grafica comprendente anche le insulae III, IV e V.
74
Il dato relativo alla esiguità delle tracce di occupazione di III
sec. a.C. è da intendersi come assolutamente parziale: dipende
esclusivamente dalla estensione dell’area sino a questo momento
sottoposta ad indagine da parte della Scuola di Specializzazione
in Archeologia dell’Università degli Studi di Bari nella zona ad
est della strada della casa ellenistica e della strada nuova. Il prosieguo di tale indagine consentirà sicuramente di aggiungere
nuovi dati a quelli già noti.
75
Scavi 2004 e 2005 della Scuola di Specializzazione in Archeologia dell’Università degli Studi di Bari; Palmentola 2006;
2009.
76
Palmentola c.d.s.
71
72
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Le necropoli di un insediamento
Emiliano
della Cruccas
Peucezia: il caso di Monte Sannace
95
zialmente obliterata, diviene uno spazio aperto funzionale al loro uso. Nella parte dell’abitato ubicata
ad ovest della strada della casa ellenistica, sono stati
individuati pochi interventi di III secolo: all’interno
della casa 2 dell’insula II, viene chiuso l’ambitus che
la separava dalla casa 1 e viene costruito un muro che
delimita a sud l’ambiente c.
Le sepolture connesse a questa fase di vita dell’abitato in pianura sono complessivamente 9.
Alcune delle tombe (indicate nella fig. 15) vengono collocate all’interno di ambienti di case dell’insula III ormai in disuso: è il caso della tomba a
semicamera posta al centro dell’ambiente C della
casa 3 77 e della tomba a semicamera ubicata nella
zona centro-orientale dell’ambiente J della casa 2 78,
entrambe depredate in antico. Altre tre sepolture – rispettivamente due sarcofagi ed una cassa (indicati
nella fig. 15) 79 – sono distribuite fra l’insula I e l’insula II, sia all’interno di ambienti di fase precedente
che negli spazi aperti fra le abitazioni.
Di particolare interesse è poi la situazione individuata all’interno dell’ambiente quadrato E della casa
3 dell’insula III (indicato nella fig. 15): al di sotto del
piano di calpestio, ed in fase con questo, sono state
individuate quattro tombe del tipo ad enchytrismòs
entro pithoi (contenenti resti di feti) posizionate, ca-
povolte, in corrispondenza dei quattro angoli del
vano 80. La peculiare modalità di deposizione induce
ad attribuire a queste tombe un significato rituale.
L’analisi dei corredi funerari delle tombe di III sec.
a.C. rinvenute in pianura 81, consente di affermare che
essi sono quantitativamente poco numerosi (composti da un numero di oggetti compreso tra due e otto)
e qualitativamente piuttosto sobri. Si caratterizzano
per la persistenza di classi ceramiche attestate già nei
secoli precedenti, quali la ceramica a vernice nera
(con piatti, boccali, coppette monoansate e concavoconvesse), la ceramica a fasce, da fuoco, a vernice
bruna.
Caratteristica del periodo è la presenza di materiale afferente alla produzione acroma tornita (fig. 16,
corredo della T. 53 Scarfì 82), che imita le forme vascolari delle coeve classi ceramiche più ricche ed esuberanti (a figure rosse e tipo Gnathia in particolare),
proponendo forme come il cratere e il kantharos.
Un importante ruolo sembra essere rivestito, in
questa fase, dalla coroplastica, con terrecotte a soggetto sia antropomorfo che animale. Non sono assenti
gli oggetti di ornamento, gli strumenti metallici, i reperti numismatici. Nel complesso, questi corredi sembrano attestare un orizzonte economico e sociale
piuttosto modesto e ridimensionato rispetto al passato.
Molto diversa è la situazione riflessa dall’acropoli 83 durante il III sec. a.C. che per la parte alta dell’insediamento, corrisponde ad una fase di grande
crescita e di notevole fervore edilizio (nella fig. 17,
le principali strutture) 84: fra fine IV ed inizi del III
sec. si impianta la casa a pastàs all’estremità nordoccidentale dello scavo A; allo stesso periodo risale la
costruzione degli edifici e delle unità abitative riportati alla luce negli scavi B e C; della seconda metà del
III sec. è la casa ubicata nella zona sud dello scavo D.
Fra la fine del IV e i primi del III sec. (in un’area dello
scavo G occupata in età arcaica da un edificio pubblico), si realizza una residenza privata – la cosiddetta
“casa ellenistica” 85 – che, per il rimando al modulo
77
Galeandro 2003, pp. 104-109; Ciancio et alii 2009, p. 322;
Palmentola c.d.s.
78
T. 9/2004, Ciancio et alii 2009, p. 321; Palmentola 2005;
2009.
79
Si tratta delle TT. 43 Scarfì (scavi 1959; Gargano 2002, pp.
337-340), 53 (scavi 1959; Gargano 2002, pp. 341-342), 73 (scavi
1960; Gargano 2002, pp. 289-290).
80
Palmentola 2006; Ciancio et alii 2009, p. 319.
81
In merito all’argomento, si vedano anche Ciancio, Gargano
c.d.s. e Gargano c.d.s.
Gargano 2002, pp. 341-342.
La fig. 17 riproduce la planimetria generale dell’abitato
sull’acropoli nel III sec. a.C. Essa deriva dalla fusione fra
la planimetria generale dell’acropoli pubblicata dalla Scarfì
(1962) e comprendente gli scavi A, B, C, D e la pianta di
fase pubblicata dal Galeandro (2009), comprendente anche lo
scavo G.
84
Palmentola c.d.s.
85
Monte Sannace 1989, pp. 17-28; Monte Sannace 2001, pp.
34-35.
Fig. 16. - Corredo funerario della T. 53, III sec. a.C. (da Gargano
2001-2002).
82
83
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Maria Pina Gargano
Fig. 17. - Planimetria generale acropoli, III sec. a.C. (rielaborata da Scarfì 1962 e Galeandro 2009a).
abitativo di tipo greco, per l’estensione, per la complessità planimetrica, per la ricercatezza ed il lusso
degli arredi è senza dubbio da considerare di proprietà
di una ricca famiglia appartenente al ceto dominante.
Nel III sec. si avvia la costruzione del complesso di
ambienti ubicati lungo il versante orientale dello scavo
D che, identificati dalla Scarfì come stoà 86, si sono rivelati essere, a seguito delle più recenti indagini, vani
a destinazione abitativa ed artigianale 87.
La documentazione funeraria ascribivile al III sec.
a.C. è composta da 5 sepolture (fig. 17): una cassa 88
posizionata all’interno di uno degli ambienti della
casa a pastàs dello scavo A ed in fase con questa, e
quattro poderose semicamere (TT. 6, 7, 8, 10) 89 collocate entro alcuni ambienti di un edificio di epoca
arcaica ubicato nello scavo G, all’interno di un “recinto” ricavato nel banco roccioso. Tutte sono costruite con blocchi di tufo ed intonacate sulle pareti
interne; due di esse – TT. 7 e 8 – presentano sull’intonaco una decorazione pittorica policroma ispirata
allo stile pittorico greco denominato “a zone” o
“strutturale”. Strutture funerarie monumentali come
queste sono chiaro indizio della presenza, nella società del tempo, di una committenza emergente do-
tata di notevole potere di acquisto e di gusti molto raffinati. Siamo dunque ben lontani perlomeno sull’acropoli, da un momento di stasi, di crisi e di
ripiegamento.
È evidente la netta differenza che emerge fra le testimonianze che vengono dalla parte alta dell’insediamento e le testimonianze provenienti dalla zona
alle sue pendici; essa potrebbe spiegarsi con l’esistenza, anche in età ellenistica, di una società articolata, in cui i ceti emergenti, evidentemente ben
attestati sulla sommità del colle, convivono con i ceti
meno abbienti, più numerosi in pianura.
Un’ultima riflessione merita il dato relativo alla
esiguità numerica delle tombe di III sec. a.C. (14 in
totale): esso non deve necessariamente essere associato ad un decremento demografico del sito, ma può
anche sottintendere un mutamento nella organizzazione e destinazione degli spazi, e con esso una rinnovata modalità nel vivere il rituale della sepoltura e
dell’apprestamento funerario 90. Solo il prosieguo dell’indagine archeologica potrà chiarire questo aspetto.
Elemento interessante è che, mentre in pianura le
sepolture di III sec. a.C. rappresentano le più tarde testimonianze della frequentazione di Monte Sannace,
per l’acropoli la situazione è differente: il rinveni-
Scarfì 1962, pp. 110-121.
Ciancio et alii 2009, pp. 314-315.
88
T. 96 Scarfì (Gargano 2002, pp. 438-440; Ciancio, Gargano
c.d.s.).
Scavi Soprintendenza 1978-1983. Ciancio 1986; 1989;
2008, pp. 907-909; Monte Sannace 1989, pp. 31, 46-61; Monte
Sannace 2001, pp. 36-37.
90
Ciancio, Gargano c.d.s.
86
87
89
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Le necropoli di un insediamento
Emiliano
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Peucezia: il caso di Monte Sannace
mento, nel 1999, all’interno dell’area D, di una tomba
a fossa terragna contenente la deposizione di un infante, databile fra fine II ed inizi I sec. a.C. 91, consente di confermare l’utilizzo più lungo nel tempo di
quest’area, sia pure in tono minore, oltre che per l’uso
abitativo, anche per il seppellimento degli infanti
presso gli ambienti domestici 92.
Tutti i dati presentati in queste pagine sono ovviamente molto parziali date la notevole estensione
97
dell’abitato (come è stata ricostruita) e la esigua entità
delle aree sottoposte ad indagine archeologica. Si auspica che la ricerca archeologica nell’area proceda aggiungendo ulteriori elementi alle conoscenze già in
nostro possesso.
91
92
Palmentola 2000, p. 64, tav. XXV.
Ciancio, Gargano c.d.s.
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Siris 10,2009, 99-112
L’area bradanica: contesti funerari da Matera
di Rosanna Colucci
Affrontare lo studio di una necropoli presuppone
in primo luogo che ci si interroghi sulla organizzazione spaziale delle sepolture all’interno di un territorio, laddove peraltro, come tenderanno a dimostrare queste pagine, il limite fisico tra sepolture e abitati, tra aree private ed aree pubbliche, non è sempre
così chiaramente distinguibile. Ma affrontarne lo studio significa anche conseguire una produzione di
ideologia funeraria 1 funzionale alla costruzione di
identità sociali, attraverso l’analisi dell’articolazione
dei corredi funerari, della tipologia, del rapporto interno/esterno suggerito dagli stessi oggetti deposti all’esterno della sepoltura, tutti indicatori del cerimoniale connesso al rito funebre.
L’insediamento antico di Matera e del suo comprensorio, fortemente condizionato dal profondo ed
aspro canyon della Gravina, che origina condizioni
favorevoli alla cristallizzazione antropica sin dai
primi insediamenti in grotta dell’età preistorica (fig.
1), costituisce un importante caso di studio per la
comprensione diacronica delle dinamiche insediative 2 e culturali dell’area che comprende l’altopiano
murgiano, la media e bassa valle del Bradano e le
vallate fluviali del Torrente Gravina e dello Jesce,
nonché per l’analisi dei rapporti che si instaurarono
tra le locali popolazioni con le limitrofe realtà coloniali costiere (fig. 2).
A questo punto, prima di ripercorrere gli usi e i
costumi funerari delle popolazioni di questa porzione di territorio, caratterizzati da una sostanziale
omogeneità sia nel rituale che nella composizione
dei corredi, si impone una riflessione di carattere
metodologico. Lo studio che si è intrapreso è il risultato spesso di disiecta membra, naturale conseguenza di rinvenimenti sporadici di superficie, privi
di alcuna indicazione stratigrafica, di campagne di
scavo non sistematiche condotte da Domenico Ridola, nei decenni a cavallo tra Ottocento e Novecento nella città e nelle campagne ad essa attigue 3 e
della sfavorevole circostanza, in alcuni casi, della
dispersione dei dati. Se tutto questo può assumere
carattere di frammentarietà lo si deve imputare alle
spiacevoli condizioni per le quali, non di rado, ci si
è trovati di fronte a rinvenimenti decontestualizzati
e soltanto la composizione dei materiali, oltre a
qualche generica nota riportata, ha consentito l’applicazione della destinazione funeraria degli stessi e
l’attribuzione a gruppi tipologicamente e cronologicamente omogenei 4.
In una più ampia visione prospettica, funzionale
alla comprensione dei sistemi insediativi, le uniche
voci “silenti e parlanti” al tempo stesso provengono
proprio dalle testimonianze funerarie. A suggellare
l’importanza e la peculiarità dei “segni funerari”, già
B. d’Agostino e A. Schnapp sottolineavano, ribadendone la significativa capacità espressiva nell’introduzione metodologica al loro contributo, come «le
tombe non sono da considerarsi indizi inerti ma componenti di sistemi di espressione che necessitano di
essere rintracciati e capiti nella loro diversità e poli-
Il tema sulla ideologia funeraria ha originato un proficuo dibattito sui casi studio riguardanti l’orizzonte culturale nord-lucano e le aree finitime e presentati in occasione di una Tavola
Rotonda “Lo Spazio della Memoria. Necropoli e rituali funerari
nella Magna Grecia indigena”, tenutasi l’11 dicembre 2009 e organizzata presso la Scuola di Specializzazione in Archeologia di
Matera dal prof. M. Osanna che qui desidero ringraziare.
2
Per il progetto di indagine su Matera tra Antichità e Medioevo, finalizzato alla redazione della Carta Archeologica, fortemente sostenuto e coordinato dal prof. M. Osanna (Scuola di
Specializzazione in Archeologia di Matera), dalla prof.ssa F. Sogliani (IBAM-CNR, Scuola di Specializzazione in Archeologia di
Matera) e dalla dott.ssa A. Patrone (Museo Archeologico Nazionale “D. Ridola”- Matera), si rimanda a R. Colucci et alii, Un
progetto di archeologia urbana a Matera. Ricerche preliminari
per la redazione della Carta Archeologica di Matera (CAM) tra
Antichità e Medioevo, «Siris» IX 2008, pp. 101-129.
3
D. Ridola, Le origini di Matera, Roma 1906; Il Museo Nazionale Ridola di Matera, Matera 1976.
4
Lo studio dei materiali, custoditi presso il Museo Archeologico Nazionale “D. Ridola” e la ricontestualizzazione dei vecchi
rinvenimenti è funzionale alla comprensione e alla ricostruzione
dei modelli insediativi della città e del territorio circonvicino su
una superficie stimata di 17 kmq.
1
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Rosanna Colucci
Fig. 1. - Murgia Timone (foto N. Colucci).
semia» 5. Del resto non si può non riconoscere che il
contesto funerario, associato inequivocabilmente al
suo rituale, costituisce una fonte preziosa di informazioni ed offre un campo di indagine privilegiato
nella comprensione delle scelte di autorappresentazione della collettività in relazione alla costruzione di
un sistema sociale 6.
Nella porzione compresa tra la Gravina di Matera
ad est e la Gravina di Picciano ad ovest (fig. 3) si dispongono le località di Contrada San Francesco, la
cui sepoltura, la più antica in età arcaica, orienta
verso l’ultimo quarto del VII sec. a.C., San Martino,
Fontana dei Marroni di cui si sottolinea la significa-
tiva presenza dello sphagéion daunio 7 (fig. 4), fondamentale per gettare luce sui contatti con tutto il
comprensorio bradanico fino all’area nord-apula;
Contrada Le Reni e Serra la Stella ormai sul limite
territoriale della città, in direzione Gravina di Puglia.
A est di Matera la località Trasano; più a nord, su una
collina che si estende come un terrazzo naturale si
colloca la Contrada Ciccolocane con corredi che si
datano al 550 a.C., mentre sulle terrazze fluviali prospicienti la Gravina di Picciano, il sito omonimo e
Porticella di Picciano offrono due esempi di corredi
sepolcrali riferibili al primo quarto del V sec. a.C. Attestazioni si segnalano, inoltre, nella Masseria Sor-
5
B. d’Agostino, A. Schnapp, Les morts entre l’object et
l’image, in La mort, les morts, pp. 23-24.
6
Sulla valenza dell’ideologia funeraria come strumento utile
per cogliere le articolazioni sociali di una collettività, ved.
Cuozzo 2003; T. Oestigaard, J. Goldhahn, From the Dead to the
Living: Death as Transactions and Re-negotiations, «Norwegian
Archaeological Review» XXXIX, 1 2006, pp. 27-48.
7
Il nostro esemplare con labbro ad imbuto, corpo globulare
schiacciato ed anse orizzontali impostate sul punto di massima
espansione del vaso, può essere ascrivibile al “South Daunian
Subgeometric IIA” della classificazione di Yntema (1990, pp.
250-251, fig. 231.8) e si riallaccia alla tradizione dei corredi funerari di Salapia nei quali è frequentemente associato all’askós o
deposti insieme fra gli altri vasi che compongono il corredo: ved.
M. Osanna, Ceramica subgeometrica, in E. Lippolis, T. Giammatteo (a cura di), Salpia Vetus. Archeologia di una città lagunare. Le campagne di scavo del 1967-1968 e del 1978-1979,
Venosa 2008, pp. 369-377.
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Fig. 2. - Stralcio IGM 1:50000.
L’area bradanica:
Emiliano
contesti
Cruccas
funerari da Matera
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Rosanna Colucci
Fig. 3. - Ubicazione delle attestazioni funerarie nel territorio (da Google Earh).
Fig. 4. - Fontana dei Marroni, sphagéion (foto M. Calia).
rentino, in località Rifeccia a circa 5 km da Timmari
e nelle vicinanze di Ponte San Giuliano. Qui, nel
punto in cui il Bradano risulta guadabile, dove fino al
secolo scorso passava una via della transumanza, che
immetteva sulla costa ionica e che presumibilmente
doveva ricalcare un tracciato molto antico, si rinven-
ne una sepoltura databile alla seconda metà del VI
sec. a.C.
Nell’illustrare i sistemi insediativi del territorio
non possiamo tralasciare l’altopiano di Timmari (fig.
5), nella media valle del fiume Bradano, che si configura come nodo centrale di una rete di scambi a largo
raggio. La favorevole posizione elevata, connessa alla
produttività del suolo e alla presenza di sorgenti, nonché la vicinanza alla più antica e agevole rete viaria
che collegava le città coloniali della costa ionica con
gli insediamenti indigeni dell’entroterra – quali Montescaglioso, Irsina, Gravina, Altamura e Matera – ne
avrebbero consacrato l’apertura a significativi apporti commerciali e culturali dal mondo coloniale greco 8.
Passando ad analizzare l’area dell’attuale centro
storico di Matera (fig. 6), in età arcaica si registra un
sensibile incremento degli spazi destinati alle necro-
8
E. Lattanzi, L’insediamento indigeno sul pianoro di S. Salvatore - Timmari (Matera), in Attività in Basilicata, pp. 239-241;
Togninelli 2004, pp. 151-153.
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L’area bradanica:
Emiliano
contesti
Cruccas
funerari da Matera
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Fig. 5. - Veduta del pianoro di Timmari (foto M. Calia).
Fig. 6. - Ubicazione delle attestazioni funerarie nell’area urbana (da Google Earth).
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Rosanna Colucci
Fig. 7. - Matera, la Civita (foto N. Colucci).
poli che si dispongono a piccoli nuclei sparsi sullo
sperone della Civita e lungo il vallone naturale del
Sasso Caveoso a sud. La Civita 9 (fig. 7), nonché
acropoli naturale e nucleo più antico della città già a
cominciare dall’età del Bronzo 10, rappresenta, probabilmente, la naturale sede del progressivo trasferimento dai villaggi sparsi sui cigli degli altipiani e nei
luoghi elevati, essendo, lungo i lati settentrionale ed
orientale, impraticabile per un ripido pendio che la
rendeva inaccessibile e solidamente protetta ad occidente da mura intercalate da altissime torri, giusta la
descrizione che ne avrebbe fatto nel Cinquecento il
cronista Eustachio Verricelli 11.
Negli anni compresi tra il 1933 e il 1935 la programmazione di alcuni lavori edilizi in loc. Ospedale Vecchio, vicino al convento di Santa Lucia alla Civita, tesi all’allargamento della strada che doveva
congiungere i due Sassi, creò la propizia occasione
del rinvenimento di due sepolture 12 indagate da Eleonora Bracco sulle quali si intende richiamare l’attenzione, anche per le riflessioni che si proporranno più
avanti e riferibili la prima, agli anni compresi fra 600575 a.C., la seconda al 550-540 a.C. Proseguendo in
direzione sud, fiancheggiando il lato occidentale del
costone roccioso del torrente Gravina si raggiunge la
Piazzetta Caveosa sede di un altro nucleo sepolcrale
In accordo con la tradizione occidentale secondo la quale il
termine civitas attiene alle città episcopali, C.D. Fonseca nell’indagare le ragioni storiche del toponimo sottolinea come lo
stesso, in un momento non meglio precisato, potrebbe essere
stato assegnato al luogo naturalmente più elevato della città in
quanto posto sotto la giurisdizione del vescovo ivi residente: ved.
C.D. Fonseca et alii, Matera («Le città nella storia d’Italia»), Bari
1998, p. 11 e da ultimo R. Demetrio, Matera. Forma et imago
urbis («Zetema»), Matera 2009, p. 34.
10
Matera, pp, 66-70.
11
Nel suo manoscritto Cronica de la Città di Matera nel regno
di Napoli (1595-1596), [carta 3 recto] […], p. 37 si legge: «la città
è tutta admurata con alcune altissime torri, quali all’antico, quale a
tempi che si combatteva con balestre hera espugnabile così come
oggi sarebbe a guerra senza artelleria», ved. E. Verrielli, Cronica de
la città di Matera nel Regno di Napoli (1595 e 1596), Ms Matera
1595 (trascrizione a cura di M. Moliterni et alii), Matera 1987. Curioso l’accostamento temporale «quali all’antico e quale a tempi
che si combatteva con balestre» che implica un cambiamento nel
modo di combattere, dalle frecce ed armi bianche, all’introduzione
dell’artiglieria, e si traduce in una rinnovata azione di adeguamento
delle opere di difesa, non più torri quadrate, più vulnerabili, ma rotonde per la necessità di ridurre l’azione dell’offesa.
12
Bracco 1935, pp. 107-114; Lo Porto 1973, pp. 206-207; Matera, pp. 98-99.
9
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L’area bradanica:
Emiliano
contesti
Cruccas
funerari da Matera
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che restituisce almeno quattro contesti chiusi 13 dei
quali, i primi due inquadrabili nel primo quarto del
VI sec. a.C., i restanti, rispettivamente riferibili al
terzo quarto del VI e alla prima metà del V sec. a.C.
Completano il quadro delle evidenze funerarie due
sepolture, entrambe con doppia deposizione, indagate tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni
Ottanta, sul pianoro di Santa Lucia alle Malve, e nell’area della Piazza San Francesco, comprese tra la seconda metà del VI e la metà del V sec. a.C. 14, significativamente note alla letteratura archeologica
anche per la presenza di una estesa necropoli altomedievale 15.
La delineazione di un quadro relativo al rituale
funerario, che non può prescindere dalle esigue informazioni provenienti dai dati di rinvenimento, ma
in assoluto accordo con quanto si registra nell’ampia
fascia che dalla costa ionica prosegue verso il Materano, tangendo le vallate del Cavone, Bradano e Basento, ci consente di affermare che la modalità del
seppellimento prevedeva l’inumazione in posizione
rannicchiata, secondo un costume che accomuna le
genti japigie e che segna marcatamente le diversità
del popolamento, rispetto a quelle stanziate lungo le
vallate dell’Agri e del Sinni, che utilizzavano il seppellimento in posizione supina. Le tombe sono costituite da una semplice fossa terragna a pianta rettangolare con copertura realizzata in blocchi di tufo
orizzontalmente disposti, e a doppia fossa, di cui la
più piccola, che conteneva il defunto, era sigillata da
un lastrone.
Per comprendere meglio il sistema di autorappresentazione di tali comunità indigene, un elemento
chiarificatore ci viene suggerito dalla composizione
dei corredi, che attraverso lo spettro delle forme
chiarisce contenuto e funzione delle stesse, sottolineandone altresì modelli di nuova acquisizione dal
mondo coloniale greco. I dati concordano, per il campione di sepolture prese in esame, nell’associazione
ricorrente della coppia rituale, olla-kantharos 16 che,
se in ambito peuceta 17 e nord-lucano sembra confermata, in altri contesti dell’Italia meridionale, come il
Melfese, la Daunia, alcuni siti nord-lucani, e in Campania, con la cultura di Cairano - Oliveto Citra, è segnata dall’olla e dalla tazza-attingitoio 18 che in alcuni casi può essere sostituita 19 o affiancata al kantharos 20. Il legame tra le due forme che ne qualifica la
funzione, verosimilmente connessa al consumo del
vino come forma di convivialità, sembra avvalorato
dai numerosi rinvenimenti sia nell’area peuceta che
in quella nord-lucana 21, qui attestato significativamente nella T. 1 di Ospedale Vecchio, dove il kantharos è deposto all’interno dell’olla.
Fortemente rappresentativo della tradizione indigena, caratterizzato da una decorazione dipinta subgeometrica articolata nelle due classi bicroma e monocroma, che connota l’area gravitante sul bacino
del Bradano e in particolare sulla sua sponda sinistra, in contesti che orientano tra la seconda metà
del VII e la metà del VI sec. a.C.22, esso rimane al
centro della produzione vascolare dipinta con l’utilizzo di una vernice piuttosto diluita, variabile dal
rosso-arancio al bruno, fino ad arrivare alla miniaturizzazione dello stesso che ne enfatizza il carattere rituale.
Accanto al servizio base della tradizione locale,
compaiono spesso le coppe di tipo ionico, probabilmente di produzione locale la cui realizzazione in
ambito occidentale è ormai acclarata, dalla presenza in diversi centri della Magna Grecia di fornaci e
Bracco 1935, p.107; Matera, p. 99; Lo Porto 1973, pp. 207-
funeraria e composizione dei corredi, in A. Ciancio (a cura di),
Archeologia e territorio. L’area peuceta (Atti del Seminario di
studi, Gioia del Colle 1987), Putignano 1989, pp. 69-89.
18
A. Bottini, 1979, pp. 84-94; Bailo Modesti 1980, p. 191;
Bottini 1982, p. 85; Forentum I, pp. 276-277; 281, 285.
19
Forentum I, p. 56 (T. 26); p. 78 (T. 74); p. 124 (T. 270 B).
20
Forentum I, p. 117 (T. 246); Sica 2004, p. 219 (Torre di Satriano, T. 3).
21
Per l’area peuceta: A. Ciancio, Tombe arcaico-classiche nei
territori di Noicattaro e di Valenzano. Bari. Scavi 1978-1981,
«Taras» V 1985, pp. 45-107, p. 49; Ciancio 1997, pp. 141-147;
Per l’area nord-lucana: Lissi Caronna 1980, pp. 119-297; Greco
1991, p. 24 (T. 30).
22
A. Dell’Aglio, E. Lippolis, Ginosa e Laterza. La documentazione archeologica dal VII al III secolo a.C. scavi 19001980, Catalogo del Museo Nazionale Archeologico di Taranto,
II, 1, Taranto 1992, p. 154; De Juliis 1995, p. 58 n. 7; pp. 62,
71.
13
209.
Matera, pp. 80-83, p. 100.
E. Bracco, Matera: necropoli dei bassi tempi, «NSc» IV
1950, pp. 140-167; Matera, p. 136; B. Bruno, Archeologia medievale nei Sassi di Matera, in S. Patitucci Uggeri (a cura di),
Scavi Medievali in Italia 1996-1999 (Atti della Seconda Conferenza Italiana di Archeologia Medievale, 16-18 dicembre
1999), Roma 2001, pp. 137-148; Matera, pp. 113-122.
16
Sullo sviluppo e sulla funzione di queste forme ved. Colivicchi 2004, pp. 34-37; Kantharoi attici per il vino degli Apuli,
in Il greco, il barbaro e la ceramica attica. Immaginario del diverso, processi di scambio e autorappresentazione degli indigeni
(Atti del Convegno Internazionale di Studi, Catania-Caltanissetta-Gela-Camarina-Vittoria-Siracusa, 14-19 maggio 2001),
Roma 2006, pp. 117-130.
17
Per le evidenze funerarie in area peuceta si rimanda ad A.
Riccardi, Le necropoli peucezie del VI e V sec. a.C. Tipologia
14
15
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Rosanna Colucci
di scarti di lavorazione 23 . Tali coppe esibiscono
esemplari dei quali si riesce a cogliere lo sviluppo
morfologico che costituisce anche un preciso indicatore cronologico. Pur riconoscendo i limiti della
classificazione Villard e Vallet, superata dai successivi studi che ne hanno ampliato e integrato tipologia e cronologia, essa è rimasta base imprescindibile per chiunque si sia avvicinato allo studio di questa classe 24.
La forma più antica è attestata dall’unico esemplare riconducibile al tipo B1 con il breve labbro, distinto ed estroflesso, vasca profonda a profilo arrotondato e basso piede ad anello, alla quale seguono le
due coppe che potremmo definire di tipo “transizionale” in cui, se l’orlo e la vasca riconducono al tipo
B1, la presenza del piede che tende a sollevarsi rimanda al più recente tipo B2. La coppa rinvenuta all’interno della T. 1 di Ospedale Vecchio si distingue
per la qualità della vernice che potrebbe qualificarla
come prodotto di importazione, aspetto che potrà essere precisato solo con l’avanzamento della ricerca e
in seguito alle analisi archeometriche che verranno
effettuate sui campioni.
Infine, la più recente B2 risulta la più ricorrente
all’interno dei corredi, riconoscibile nella risega tra
labbro e spalla, nella vasca relativamente profonda,
leggermente rastremata verso il basso, e nell’alto
piede a tromba.
Un breve cenno merita anche la ceramica mattpainted delle fasi finali del geometrico del Bradano
che mostra tutti i segni della perdita della consistenza stilistica che aveva contraddistinto l’VIII e buona
parte del VII sec. a.C: in particolare, si possono cogliere le linee evolutive della sintassi decorativa, affidata alle olle, in un processo che condurrà ad elaborazioni schematiche e ripetitive (fig. 8).
I primi due esemplari (fig. 8a, b) si articolano nella
successione di bande e fasce rese nella bicromia in una
fitta sequenza, scandita, in un caso, in brevi segmenti
a meandro continuo, che interessa la parte superiore
del vaso fino al punto di massima espansione: generalmente una banda sottende elementi decorativi che si
definiscono “sospesi”, come il motivo a triangoli a
campitura piena, mutuato dal repertorio del medio e
tardogeometrico 25 e i “baffi penduli” della fase subgeometrica 26, ampiamente diffusi nella necropoli di
San Salvatore a Timmari 27. Tale repertorio può arricchirsi anche del motivo a cerchi concentrici e a denti
di lupo pendenti da banda orizzontale, che ricorre preferibilmente nella parte inferiore del vaso, caratteristico del tardogeometrico e subgeometrico e tipico dello
stile attestato a Montescaglioso tra la fine del VII e il
VI sec. a.C. 28; mentre il meandro obliquo sinistrorso a
linea spezzata, sul registro principale, definisce l’area
di diffusione dei centri della Peucezia interna 29.
Modelli decorativi di evidente conservatorismo
(fig. 8c), in redazioni sintattiche ormai fortemente
stilizzate, sono invece ravvisabili nella figurina antropomorfa 30, a segmento verticale, il tronco, cui si
aggiungono motivi angolari che definiscono gli arti
superiori in posizione orante, e nella croce di Malta 31,
motivo di origine albanese, sottesa da due fasce continue che originano uncini divergenti. I pannelli con
linea ondulata o brevi tratti perpendicolari, inquadrati da fasce e bande da cui pendono gli uncini divergenti (fig. 8d), diventeranno i tratti fortemente connotanti le fasi finali di questa produzione subgeometrica del secondo e terzo quarto del VI sec. a.C. in cui
non trova più posto alcuna innovazione stilistica. Gli
aspetti sin qui delineati sulla matt-painted stimolano
ancor di più la ricerca che, con l’ausilio delle analisi
archeometriche, potrà meglio definire il bacino di ap-
23
J.P. Morel, Sondages sur l’Acropole de Velia. Contribution à l’étude des premiers temps de la cité, «PP» XXV, 1-4
1970, p. 133; D. Adamesteanu, H. Dilthey, Siris. Nuovi contributi archeologici, «MEFRA» XC 1978, pp. 515-565; P.G.
Guzzo, Excursus II: coppe cosiddette ioniche, in Les céramiques de le Grèce de l’est et leur diffusion en occident (Colloque du Centre J. Bérard, Napoli, 6-9 juillet 1976), Napoli 1978,
p. 123; F. D’Andria, I materiali del V secolo a.C. nel ceramico
di Metaponto e alcuni risultati delle analisi delle argille, in
Attività in Basilicata, p. 128; F. D’Andria, Metaponto. Scavi
nella zona del Kerameikos (1973), «NSc» XXIX 1980 Suppl.,
p. 372, n. 10.
24
Vallet, Villard 1955; Boldrini 1994, pp. 137-187; Vullo
2009.
25
Yntema 1990, p. 152, fig. 134; p. 157, fig. 139.27.
26
Yntema 1990, pp. 167-168, fig. 150.21.
27
Togninelli 2004, p. 115, tav. XII.1 (T. 28); p. 121, tav.
XVIII.1 (T. 59); p. 123, tav. XX.1 (T. 77).
28
Yntema 1990, pp. 178-179, fig. 160.
29
De Juliis 1995, p. 47, tav. XLIV, 3.
30
Per quanto riguarda l’analisi tipologica dei motivi decorativi
del copioso repertorio vascolare enotrio e in particolare l’attestazione dei motivi antropomorfi in redazioni sintattiche più complesse si rimanda a Nava et alii 2008, pp. 273-275.
31
Il motivo a croce di Malta con il rombo centrale a reticolo caratteristico della sintassi decorativa del Subgeometrico Enotrio ed
espressione vivace e fantasiosa degli artigiani operanti all’Incoronata qui torna in logiche stilistiche del tutto semplificate come variante di soluzioni più o meno complesse. Ved. S. Macchioro,
Ceramica indigena a decorazione geometrica. II, in I Greci sul
Basento (Catalogo della Mostra), Como 1986, pp. 83-89, tav. 31.46, 10; L. Cossalter, Ceramica matt-painted in area bradanica. Il
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L’area bradanica:
Emiliano
contesti
Cruccas
funerari da Matera
A
C
107
B
D
Fig. 8. - Sintassi decorativa. A: loc. Ospedale Vecchio, T. 1; B: Piazzetta Caveosa, T. 2; C: Picciano, II sepolcro; D: Piazzetta Caveosa
propr. Lapolla (foto M. Calia).
provvigionamento delle argille di questa ceramica di
tradizione indigena, così strettamente legata al vicino insediamento di Timmari ma anche sensibile alle
influenze culturali delle aree limitrofe, attraverso una
o più vie di penetrazione che da est dovevano immettere nel torrente Gravina.
Nonostante i dati siano lacunosi, è stato possibile
individuare, in un’area di circa 17 kmq, 14 gruppi, in
alcuni casi costituiti solamente da due sepolture o da
materiali sparsi che, data la natura e lo stato di conservazione, sono riconducibili a corredi funerari, indicatori, forse, della presenza di nuclei insediativi.
Se nella grande maggioranza dei gruppi individuati, come si è detto, si può indiziare la presenza di
un massimo di due-tre sepolture, è solamente nell’area del Sasso Caveoso che si arriva al numero di 5
sepolture, per le quali si può ricostruire una sorta di
gerarchia interna. Tra le deposizioni che coprono un
arco cronologico compreso, tra gli inizi del VI e la
prima metà del V sec. a.C. e che conservano la presenza della coppia rituale olla-kantharos, affiancata
dalle coppe di tipo ionico, se ne distingue una sia per
la maggiore quantità numerica di vasi sia per le forme
attestate, acrivibile al 550-525 a.C.
Nel corredo della T. 2 di Piazzetta Caveosa (fig.
9), infatti, all’olla a decorazione subgeometrica, di
chiara tradizione indigena, si affianca una forma che
oseremmo definire ibrida, olla-cratere, a segnare un
processo di graduale trasformazione verso il cratere a
colonnette 32, fortemente caratterizzato in ambiente
greco come contenitore preposto alla conservazione
del vino e per ciò stesso strettamente legato al simposio e, dunque, alle forme di convivialità collettiva,
in cui il consumo comunitario del vino diventa occasione propizia di comunicazione che può assumere anche connotati politici. A queste si aggiunge,
oltre alle coppe di tipo ionico, un kantharos miniaturistico, una brocchetta acroma ed una oinochoe tri-
sito rupestre di San Nicola dei Greci-Matera, in Prima delle colonie, pp. 339-359, figg. 11.22; 13.26.
32
Sulla sostituzione dell’olla con il cratere nel Materano, cfr.
Tagliente 1999, pp. 404-405.
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Rosanna Colucci
Fig. 9. - Piazzetta Caveosa, T. 2 (foto M. Calia).
lobata in bronzo. L’oinochoe (fig. 10) con orlo liscio
lievemente estroflesso, corpo ovoide, piede fuso a
parte e successivamente saldato, si caratterizza per
l’ansa a nastro con attacco superiore desinente a protome leonina centrale, bipartita sull’orlo con due
bracci a protomi di ariete, attacco inferiore a palmetta e volute a rilievo con due protomi di serpente 33. Per la tettonica del vaso e per gli elementi plastici decorativi l’oinochoe trova un confronto particolarmente stringente con un analogo esemplare
proveniente da Rutigliano 34 ed orienta al terzo quarto del VI sec. a.C. L’attribuzione ad una produzione
peloponnesiaca in cui Corinto 35 sembra svolgere un
ruolo centrale nella produzione toreutica di età arcaica, non può necessariamente escludere una provenienza magnogreca, verosimilmente tarantina, in
virtù degli stretti rapporti fra la colonia spartana e
l’immediata mesogaia indigena.
La composizione del corredo dunque definisce
questa sepoltura come “emergente”, con la presenza
del vaso in bronzo, che assicura al defunto un ruolo di
pregio e di distinzione sociale ed economica, mentre
l’associazione di manufatti tradizionali e manufatti ripresi dal costume greco, con evidente rinvio al consumo del vino, ne sostanzia l’identificazione dell’individuo attraverso l’accesso a tale bene di privilegio.
In Piazza San Francesco, sono state rinvenute le
uniche due deposizioni di cui possiamo definire con
certezza il genere36. In una doppia fossa a pianta rettangolare, era deposto lo scheletro della prima deposizione, relativa all’ultimo quarto del VI sec. a.C.
(fig. 11), pertinente ad un individuo maschile, spo-
33
Per l’attacco superiore dell’ansa a protome leonina e per
l’attacco inferiore a palmetta e volute, può rientrare nel tipo III
Politis: L. Politis, Χαλκη̃ υδρία εξ Еρετρίας, «Arch. Eph.»
1936, pp. 159-160 e nel tipo I Weber: T. Weber, Bronzekannen.
Studien zu ausgewählten archaischen und klassischen
Oinochoenformen aus Metall in Griechenland und Etrurien,
Frankfurt 1983, pp. 52-53.
34
Tarditi 1996, pp. 73-74, cat. n. 143. Secondo la studiosa,
l’oinochoe rientra nel tipo Beazley 1 e presenta elementi che legittimano la provenienza dall’ambito artistico di Corinto, tema di
indagine che sviluppa alle pp. 158-159 e 188-196.
35
Lo Porto 1973, pp. 208-209.
36
Si tratta della T. 45 indagata nel 1981 in occasione dei lavori
di ristrutturazione della Piazza in corrispondenza del marciapiede
antistante il palazzo Volpe demolito nel 1974, cfr. Matera, pp. 8083.
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L’area bradanica:
Emiliano
contesti
Cruccas
funerari da Matera
109
B
A
C
Fig. 10. - Piazzetta Caveosa, T. 2, oinochoe (foto M. Calia).
Fig. 11. - Piazza San Francesco, T. 45, I deposizione (foto M. Calia).
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Rosanna Colucci
Fig. 12. - Piazza San Francesco, T. 45, II deposizione (foto M. Calia).
stato in un secondo momento, con il suo corredo ceramico nell’angolo NO della fossa, mentre, le due
punte di lancia in ferro ad esso associate, si trovavano in prossimità della copertura a lastroni che sigillava la fossa più piccola. Si creava così lo spazio per
la seconda deposizione, riferibile al primo quarto del
V sec. a.C. (fig. 12), di un individuo femminile, il cui
corredo, essenziale, era costituito da un’olla ad impasto, uno skyphos di tipo attico ed una coppa monoansata, con decorazione a bande.
La presenza delle armi nella prima deposizione,
oltre a determinare il genere, connota il defunto
anche come “guerriero”, definendone così l’espressione del ruolo e dello status sociale, altrimenti riconoscibile anche nella T. 2 di Porticella di Picciano
(fig. 13). Le due punte di lancia in ferro, una delle
quali lacunosa e visibilmente ossidata, con immanicatura a cannone e lama foliata con costolatura mediana, sono associate all’olla-cratere, alla brocchetta
indigena, alla brocchetta a vernice rossa parzialmente risparmiata, ad una cup-skyphos a vernice nera,
alla coppetta monoansata con decorazione a bande e
al vasetto-poppatoio in vernice rosso-bruna. Se da un
lato la presenza delle due lance qualifica l’inumato
come individuo “abile alle armi”, il vasetto poppatoio potrebbe suggerire un elemento residuale deposto
in segno di pietas in riferimento alla sua giovane età.
Singolare per la composizione del corredo, e per
ciò stesso problematica, è la T. 1 di Contrada San
Francesco (fig. 14) segnata dalla presenza della
spada in ferro in associazione agli ornamenti, l’armilla in bronzo e i vaghi in ambra di una collana, altrimenti sconosciuta in altri contesti coevi delle aree
culturali japigie. L’olla a corpo globulare su alto
piede tronco-conico, che si ricollega ad esemplari
analoghi da Sala Consilina della fase III A 37, costituisce un preciso indicatore cronologico per la datazione della sepoltura, riferibile all’ultimo quarto del
VII sec. a.C. connotandola come la più antica del territorio circonvicino.
All’interno di una compagine insediativa, organizzata in nuclei sparsi e caratterizzata da una sostanziale omogeneità nella composizione dei corredi,
il dato significativo è che all’interno di alcuni gruppi
emergono figure di particolare rilievo.
Non si può non tenere altrettanto in debito conto
che tale organizzazione induce ad una riflessione
sulla possibilità che l’insediamento di Timmari e
quello gravitante sull’asse Civita-Sasso Caveoso si
configurino come due centri propulsori a cui fanno riferimento i piccoli nuclei disseminati nel territorio
circostante.
Il quadro cosi delineato si inserisce a pieno titolo
nell’articolazione insediativa delle comunità indigene dell’Italia meridionale in età arcaica.
37
de La Genière 1968, p. 322, tav. 39.1.
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L’area bradanica:
Emiliano
contesti
Cruccas
funerari da Matera
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Fig. 13. - Porticella di Picciano, T. 2 (foto M. Calia).
Fig. 14. - Contrada San Francesco, T. 1 (foto M. Calia).
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Siris 10,2009, 113-122
Le necropoli della Valle del Sauro: Aliano, Alianello
e Guardia Perticara.
Proposta per una metodologia di studio*
di Patrizia Macrì
Introduzione
Le necropoli della valle del Sauro
Il presente intervento si basa sullo studio, in fieri,
nell’ambito di un dottorato di ricerca 1, finalizzato all’analisi delle relazioni tra i popoli indigeni della Basilicata (comparto enotrio) e i colonizzatori Greci, in
un arco cronologico compreso tra l’VIII e il V sec.
a.C. 2.
Negli ultimi decenni gli sviluppi urbanistici legati alle trasformazioni del territorio della Basilicata
hanno portato alla luce estese e complesse necropoli
indigene dell’età del ferro e dell’età arcaica, che presentano corredi particolarmente ricchi.
Il territorio degli Enotri occupa una vasta area
della Basilicata, che va dalla valle del Sinni a quella
del Basento, e si estende fino alla Calabria e alla
Campania meridionale.
Essendo l’area geografica così ampia si è, in
primo luogo, limitato il campione alle necropoli situate nel comprensorio della valle del Sauro (fig. 1),
nel cui territorio ricadono Aliano (c.da Santa Maria
la Stella), Alianello (c.da Cazzaiola), Armento (c.da
Fiumarella 3) e Guardia Perticara (c.da San Vito). Tali
insediamenti si collocano in un punto nodale di antichi itinerari diretti verso la valle dell’Agri, l’area
campano-tirrenica e l’area ionica, e, tramite il passo
di Laurenzana, verso la valle del Basento 4.
Sin dagli anni ’80 del XX sec. le necropoli di
Aliano, Alianello e Guardia Perticara sono state oggetto di uno scavo sistematico, nel corso di diverse
campagne 5. Si tratta di sepolcreti ad inumazioni monosome con corredi composti di manufatti per lo più
integri, o comunque completamente ricostruibili.
Le necropoli sono posizionate su pendii più o
meno scoscesi che ne hanno probabilmente condizionato l’organizzazione topografica. Questa denota
prevalentemente una intenzionale espansione orizzontale ed un probabile sviluppo irregolare in senso
verticale 6. Ciò appare più frequente nella necropoli
di Guardia Perticara, dove il pendio della collina impedisce un’espansione eccessiva. Esempio di sovrapposizione è la sepoltura 259, che presenta un
corredo uniformemente databile alla seconda metà
del VI sec. a.C., nella cui terra di riempimento sono
stati rinvenuti i frammenti, non in connessione, di
una brocca con decorazione a tenda collocabile nell’VIII sec. a.C.
Data la posizione di rinvenimento nel contesto funerario7 e dato che i frammenti risultavano essere
sparsi e in giacitura secondaria, è stato escluso il fenomeno di tesaurizzazione. Erano, inoltre, evidenti
* Il mio grazie va a Maria Luisa Nava che per prima mi ha
“indirizzata” alla conoscenza della cultura Enotria della Basilicata, a Salvatore Bianco che continuamente mi sostiene; ad Antonio De Siena per i suoi consigli; a Martin Millett, Sara Owen e
John Robb per il fruttuoso confronto ed apertura su nuovi approcci e prospettive di studio; a Massimo Osanna per il suo valido dinamismo professionale; ad Alessandro Vanzetti generoso
amico e critico audace.
1
All’interno del progetto della University of Cambridge:
“Greek Colonization and the Archaeology of European Development”, diretto dal Prof. M. Millett, con titolo: “IndigenousHellenic Cultural Contact in Basilicata from VIII to V century
B.C.: An Archaeological Investigation of Native People in the
Sauro Valley (Basilicata - Italy)”.
2
Gli studiosi della produzione ceramica denominata mattpainted dell’Italia meridionale quali Yntema (1990) ed Herring
(1998) non utilizzano l’identificativo etnico “Enotri” ma “ter-
mini neutrali” quali “Nativi” o “Indigeni” in associazione ai nomi
geografici recenti. Nella mia ricerca ho comunque scelto di utilizzare il termine Enotri in quanto consuetudine ben radicata degli
studiosi italiani. A mio avviso la definizione del contesto non ne
altera essenza, significati e risultati.
3
La cui necropoli non è stata ancora indagata e per la quale si
dispone di un’unica tomba.
4
Bianco et alii, Nel cuore dell’Enotria: La necropoli italica
di Guardia Perticara, (Catalogo della Mostra, Viterbo), Roma
2000.
5
Fra queste Guardia Perticara, individuata in loc. San Vito
negli anni ’90, è l’unica ancora in corso di scavo.
6
Nella necropoli di Alianello in c.da Cazzaiola è ben definita
la viabilità interna.
7
Ad una quota notevolmente più alta rispetto al piano di deposizione.
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Patrizia Macrì
In primo luogo è da evidenziare che, per i motivi
connessi con le attività di restauro, le tombe selezionate sono disomogeneamente distribuite all’interno
dell’area funeraria.
In termini topografici il numero dei corredi fune-
rari utilizzabili è
un’esigua percentuale
rispetto al numero delle
sepolture recuperate.
Ciò comporta molteplici limiti per una puntuale riflessione sullo
sviluppo del complesso
cimiteriale nel suo insieme e conseguentemente per l’elaborazione dei dati ad esso
connessi, come ad
esempio calcoli statistici o modelli di aggregazione.
Per ridurre il rischio di cadere in erronee interpretazioni sul
possibile incremento
quantitativo del campione, già di per sé limitato, sono stati comparati i dati delle necropoli in oggetto con quelli del lavoro tipologico,
ancora in corso, sulla produzione vascolare enotria 10,
nell’ambito delle diverse necropoli distribuite tra
Sinni e Basento 11.
In effetti si riscontra che, nonostante la distribuzione casuale del campione di sepolture esaminato,
tutte le necropoli presentano la stessa linea di tendenza nel livello quantitativo dei materiali e nel numero di sepolture (fig. 3) che aumenta sensibilmente
durante il VII e soprattutto nel VI per poi ridursi nel
V sec. a.C.
Anche riguardo allo studio antropologico i dati disponibili sono ancora molto parziali. Al momento attuale sono fruibili, ma non pubblicati, i risultati di un
primo studio 12, che pone a confronto i reperti scheletrici enotri provenienti dalle necropoli di Guardia Perticara con quelli di Chiaromonte. Altro limite della ricerca è che si dispone solo di aspetti e documenti della
8
Nel riempimento sono stati rinvenuti anche frammenti di
ossa umane pertinenti ad altra sepoltura.
9
Il numero delle sepolture scavate nelle diverse necropoli supera le duemila unità. Il restauro dei materiali recuperati, necessario al fine di poter rendere fruibile la cultura materiale nel suo
complesso, è ben lontano dall’essere completato.
10
I dati parziali di questo studio per quanto riguarda la Prima
Età del Ferro sono stati pubblicati in: Nava et alii 2008.
11
I materiali analizzati e quelli di confronto provengono da 12
differenti necropoli. A supporto della ricerca è però disponibile un
campione di ulteriori 134 tombe provenienti dalla Necropoli di
Alianello, c.da Cazzaiola (già catalogate), ma non ancora restaurate.
12
Condotto da Domenico Mancinelli e Gaetano Miranda dell’Università degli Studi dell’Aquila e Rita Vargiu dell’Università
degli Studi di Roma “La Sapienza”.
Fig. 1. - La valle del Sauro.
tracce di distruzione di tombe più antiche, di cui si
erano perse memoria e sacralità 8.
Ciò premesso lo studio è stato indirizzato sull’analisi dei contesti funerari restaurati, che rappresentano
un campione casuale, e quindi limitante per la ricerca 9.
Per la necropoli di Guardia Perticara (loc. San
Vito) sono state considerate circa 25 sepolture (fig.
2), per Aliano (loc. Santa Maria La Stella) 14 ed infine 40 per Alianello (c.da Cazzaiola).
La ricerca e la metodologia
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Fig. 2. - Planimetria parziale della necropoli di Guardia Perticara in cui sono evidenziate le tombe in esame.
sfera funeraria, in quanto mancano le conoscenze relative agli spazi abitativi. In base ai limiti e alle possibilità di elaborazione dei dati il fine della ricerca è volto
all’esame, tramite lo studio della cultura materiale, dei
cambiamenti e delle innovazioni nei costumi funerari
come possibile conseguenza di rafforzate condizioni
economico-commerciali e di innovazioni nell’organizzazione sociale, entrambi determinati dalla stabile presenza delle colonie greche sulla costa ionica. Il tema
centrale e l’obiettivo della ricerca implicano un’indagine accurata della letteratura esistente ed una riflessione puntuale sui vari aspetti culturali, ideologici ed economici emergenti (fig. 4) dallo studio di
dette necropoli ancora poco note:
sto in cui vive. La stessa presenza dell’uomo trasforma il territorio.
In genere gli abitati indigeni si posizionano sulla
parte sommitale di colline mentre sulle pendici si dispongono le necropoli. Tuttavia, non si conoscono
ancora gli insediamenti, che si suppone siano stati
obliterati dagli abitati successivi sulle medesime alture naturali.
1) Il territorio e l’ambiente. Lo sviluppo di una
cultura è strettamente legato all’ambiente. Secondo
Barker lo studio dell’ambiente e del territorio
«means delineate the relationship between people to
land in the context of the environment they inhabited» 13, ovvero non si può scindere l’uomo dal conte-
2) La sfera sociologica tramite lo studio dei concetti di ethnos ed identità, di genere, di gerarchia, di
rango e dello status. La questione dell’appartenenza
etnica impone di riconoscere le nuove tendenze di ricerca in ambito socio-antropologico, che teorizzano
nuove prospettive di studio più generalizzate ma
meno fallibili. D’altro canto occorre riconoscere
quanto tramandato dalle fonti storiche che, pur tarde,
frammentarie, poco attendibili che siano 14, riferiscono di due realtà etniche differenziate, Chônes e Oinotroi 15.
Nonostante le differenze nel modello deposizio-
13
G. Barker, Landscape and archaeology in Italy, in C. Malone, S. Stoddart (a cura di), The Cambridge Conference BAR,
(International Series 243), Oxford 1985, pp. 1-19.
14
Perchè filtrate dal tempo e dalla diversa percezione degli autori greci.
15
Strabone, VI 1, 2.
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Patrizia Macrì
Fig. 3. - Rappresentazione grafica dell’andamento demografico.
Fig. 4. - Diagramma degli argomenti della ricerca.
nale16 tra l’area costiera e l’entroterra, a conferma di
quanto riferito da Strabone, i corredi presenti nelle
sepolture di tutto il comparto indigeno mostrano
omogeneità culturale sebbene ogni realtà presenti
delle peculiarità distintive. A tal proposito occorre
tener conto del concetto di identità, finalizzato all’analisi stilistica della produzione materiale17 che
consente di cogliere gli aspetti propriamente culturali delle diverse comunità 18.
L’archeologia di genere nel costume funerario,
affermatasi nell’ambito della Post-Processual Archaeology degli anni ’70 del secolo scorso, analizza le modalità di espressione del rapporto sociale
uomo-donna 19. Nel campione di sepolture enotrie
analizzato si osserva come il corredo sia composto
da manufatti riconducibili a pratiche rituali, che
sono invariati per i due sessi 20 e non manifestano
particolari disuguaglianze o oggetti identificativi
del genere 21. Il tema della Gender Archaeology si
connette alle questioni di struttura ed organizzazione sociali 22 concernenti gerarchia, rango e status,
generalmente valutati in base alla ricchezza del corredo 23.
3) La sfera rituale e l’ideologia connessa alla
morte. «… L’esame del sepolcreto, come contesto
strutturato, consente – sia pure attraverso complesse
mediazioni – lo studio di quegli aspetti delle società
antiche: economico, sociologico, intellettuale, che
difficilmente, e solo in modo incompleto, vengono illuminati dagli altri tipi di evidenza» 24.
Sugli studi delle necropoli esiste una vasta ed articolata letteratura – anche in virtù di testimonianze
archeologiche più abbondanti rispetto a quelle degli
16
In posizione rannicchiata nella fascia costiera e supina per
le necropoli interne.
17
M. Diaz-Andreu, Constructing identities through culture,
in P. Graves-Brown et alii (a cura di), Cultural identity and archaeology, London 1996, pp. 48-61.
18
Un esempio sono le ciste a modello architettonico che caratterizzano alcuni contesti femminili nella sola necropoli di
Guardia Perticara.
19
Nel contesto geografico specifico vedi: M.J. Markantonatos,
Women’s roles in Iron Age Basilicata, South Italy, Indigenous
women in indigenous and Greek context, in R. Whitehouse (a
cura di), Gender and Italian Archaeology, challenging the stereotypes, London 1998, pp. 181-195.
20
Ved. d’Agostino 1982, p. 204.
21
In questo primo approccio non sono incluse le poche tombe
infantili, che presentano un esiguo corredo composto per lo più
da manufatti miniaturistici e/o di piccole dimensioni come ad
esempio aryballoi.
22
Frisone 1994. La studiosa, riproponendo il pensiero di Leach
(E.R. Leach, Political systems of high Burma, London 1977) e
Giddens (Giddens, The constitution of society. Outline of the
theory of structuration, Oxford 1984) individua con struttura sociale un modello ideale della collocazione relativa degli individui
nel mondo, creata nel processo di socializzazione, e frequentemente attraverso i rituali mentre l’organizzazione sociale rispecchia l’empirica distribuzione di relazioni nell’esperienza
quotidiana.
23
Un’osservazione viene dalla Prof.ssa Frisone (1994, p. 16),
che propone cautela, per quanto riguarda il mondo greco, nella
determinazione dello status in base alla ricchezza: «... uno strumento grossolano e deviante se non accompagnato da un ordine
di considerazioni prettamente storiche sul valore della ricchezza
e del suo impiego nella qualificazione sociale fondate sull’analisi di fonti letterarie e documentarie». Cfr. anche R.A.E. Kok,
supra.
24
D’Agostino 1985, p. 47.
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Le necropoli della Valle del Sauro: Aliano, Alianello
Emiliano
e Guardia
Cruccas
Perticara. Proposta per una metodologia di studio
117
insediamenti – che, con diversi orientamenti, analizza i vari aspetti delle comunità dal punto di vista
ideologico, antropologico, sociale e strutturale.
Negli ultimi decenni lo studio delle necropoli e
dei diversi aspetti delle società antiche si è arricchito di una serie di approcci derivanti dalle molteplici
tendenze proposte dall’archeologia europea, soprattutto dalle scuole francesi e anglosassoni.
Nel complesso percorso degli studi occorre ricordare alcuni temi centrali elaborati intorno alla figura
del defunto, alla sua rappresentazione e a ciò che egli
e il suo corredo simboleggiano 25. Simili concetti evidenziano l’orientamento e la scelta metodologica
adottata per la presente ricerca.
Dalla metà degli anni ’40 del secolo scorso in poi
si formano nuovi orientamenti, che esulano dalle correnti, allora note, di stampo evoluzionistico e, con la
scuola anglosassone, si affermano nuove prospettive
di ricerca con V. Gordon Childe 26 che per primo ha
sostenuto che nei contesti funerari l’individuo esprime esistenza e status 27. Dopo un paio di decenni, in
ambiente americano, il movimento culturale archeologico, definito “processuale”, sposta la metodologia
d’impronta storicistica ed evoluzionistica verso
un’analisi scientifica basata su modelli ipotetico-deduttivi 28. Tra i “nuovi archeologi” è Binford ad enucleare il concetto di social persona: “nel morto si
identifica l’insieme delle varie identità sociali del defunto e delle proiezioni del gruppo sociale” 29. La
“Nuova Archeologia” è stata messa in discussione e
revisionata a partire dal 1980. L’emergente movimento “post-processuale” difatti ha avvertito l’esigenza di correggere ed integrare le inadeguatezze e
le carenze del precedente orientamento di studi. I.
Hodder è considerato il pioniere della teoria “postprocessuale”: nello specifico ambito funerario egli
afferma che «spesso nella morte l’individuo diventa
quello che non è stato in vita» 30.
In ambiente italiano i riflessi e le valutazioni di
queste correnti si ritrovano negli studi di B. d’Agostino per la necropoli di Pontecagnano 31, poi ripresi e
rielaborati da M. Cuozzo 32 o in quelli di A. Bietti Sestieri per la necropoli di Osteria dell’Osa 33.
Forse, piuttosto che aderire aprioristicamente ad
una tendenza, è opportuno individuare una metodologia basata sull’analisi del contesto cui far seguire il
processo teorico. In questa prospettiva si collocano le
recenti teorie di I. Morris: nei contesti funerari la cultura materiale può rispecchiare l’organizzazione sociale, ma può anche distorcerla per obbligate scelte di
auto-rappresentazione 34. Ovvero si esaltano intenzionalmente le relazioni e le posizioni sociali del defunto e soprattutto dei congiunti, che si preparano al
rientro nella comunità dopo il lutto, con un ruolo sociale inalterato.
Complesso risulta anche lo studio del rituale funerario, che Morris esamina con un approccio, definito paleopsicologico 35, considerando il funerale
come fenomeno di trasformazione biologico-sociale
del defunto e dei congiunti, recuperando la definizione di “riti di passaggio” 36, già postulata nel 1909 da
Van Gennep 37.
4) L’analisi del contesto storico attraverso le problematiche connesse con i fenomeni di colonialismo e
di colonizzazione. Le tendenze anglosassoni 38 sono
orientate verso una terminologia che privilegia il con-
25
Indubbiamente frammentari e riduttivi dell’opera e del pensiero degli autori citati.
26
In un primo momento Childe abbracciò le teorie evoluzionistiche proposte da G. Kossinna ma, in virtù della sua etica politica e del critico momento storico, contestò il pensiero di
“razza” a favore delle riflessioni su “cultura e popolo”.
27
V.G. Childe, Directional changes in funerary practices during 50,000 years, «Man» XLV 1945, pp. 13-19.
28
O altresì New Archaeology.
29
R.L. Binford, Archaeological Systematics and the Study of
Culture Process, «AmerAnt» XXXI 1965, pp. 203-210.
30
I. Hodder, The identification and interpretation of ranking
in prehistory: a contextual perspective, in C.A. Renfrew, S. Shennan (a cura di), Ranking, resource and exchange, Cambridge,
1982, pp. 154-164.
31
D’Agostino 1977; 1982; 1985.
32
Cuozzo 2003; Prospettive teoriche e metodologiche nell’interpretazione delle necropoli: la Post-Processual Archaeology, «AnnAStorAnt» III 1996, pp. 1-37.
33
A.M. Bietti Sestieri, The Iron Age Community of Osteria
dell’Osa. A study of socio-political development in central
Tyrrhenian Italy, Cambridge 1992.
34
Morris 1987.
35
Basato sugli studi psicoanalitici delle reazioni emotive di
fronte alla morte di R. Hertz, Death and the right hand, Aberdeen
1960; ed anche di S. Freud, Totem and taboo, London 1960; B.
Malinowski, Magic, science and religion, New York, 1954.
36
Con una struttura tripartita i cui tre stadi sono: rite of separation «i partecipanti escono dal loro ruolo sociale per entrare in
un alterato stato liminale»; rite of marge «che comporta il mutamento del ruolo dei congiunti, il deceduto passa dall’essere persona a corpo e l’anima si distacca dal corpo»; infine si entra in una
fase più stabile con rite of aggregation «i congiunti ritornano alla
vita sociale ma senza il defunto».
37
Van Gennep 1909. Cfr. anche. R.A.E. Kok, supra.
38
C.L. Lyons, J. K. Papadopoulos, The Archaeology of the
Colonialism, Los Angeles 2002; C. Gosden, Archaeology and
Colonialism. Cultural Contact from 5000 BC to the Present,
Cambridge 2004.
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Patrizia Macrì
Fig. 5. - Composizione del corredo di un campione di tombe tra
l’VIII e il V sec. a.C.
Fig. 6. - Schema delle fasi del rituale funebre.
cetto di “colonialismo” su quello più diffuso e generalizzante di fasi pre-coloniale e proto-coloniale, caratterizzato dall’espansione economico-commerciale, o comunque da contatti di scambio culturale, che
non implicano diritti “politici” o sociali, che sono invece racchiusi nel processo di espansione e di conquista proprio della colonizzazione 39. Le evidenze
archeologiche confermano la presenza micenea già
dall’inizio dal XVII-XVI sec. a.C. in siti costieri dell’area adriatica 40 mentre sulla costa ionica lucana la
presenza greca è attestata a partire dal XIII secolo 41.
Ciò introduce il successivo aspetto degli scambi culturali e commerciali.
5) L’analisi dei commerci e degli scambi tra Enotria ed aree esterne. I rapporti commerciali e gli spostamenti degli uomini creano una serie di contatti di
varia natura, che conseguentemente determinano un
accrescimento e/o una trasformazione nei vari aspetti di una cultura.
Già dall’iniziale analisi della cultura materiale (fig.
5) degli Enotri della valle del Sauro è possibile distinguere tre diverse categorie di produzione 42. Sono state
distinte in produzioni indigena, ibrida e d’importazione. Per “importazioni” si intendono tutti quei manufatti estranei alle produzioni locali che provengono dal
mondo greco e greco coloniale ma anche dalle limitrofe aree dei versanti tirrenico e adriatico. I nuovi modelli provenienti da tali aree fanno sì che si sviluppi una
produzione di tipo ibrido che sottintende sia le influenze, che si manifestano con delle rielaborazioni di tipi
locali 43, sia le imitazioni che riproducono nella forma
ma non nell’apparato decorativo i modelli estranei 44.
Il criterio metodologico fin qui individuato si
basa, più che su sistemi statistici ed insiemisticocombinatori, vantaggiosi per un campione più completo, su due differenti procedimenti 45: il primo è
volto allo studio dell’ambito del rituale funerario tramite la scomposizione delle “ipotizzabili” fasi dello
spazio di tempo che va dall’VIII al V sec. a.C. Ogni
39
R. Osborne, Early Greek Colonization? The nature of greek
settlement in the west, in N. Fisher, H. van Wees (a cura di), Archaic Greece (New approches and new evidences), London 1998,
pp. 251-269.
40
M. Bettelli, Italia Meridionale e Mondo Miceneo. Ricerche
su dinamiche di acculturazione e aspetti archeologici con particolare riferimento ai versanti adriatico e ionico della penisola
italiana, Firenze 2002.
41
Bianco 2009.
42
Ved. Nava et alii 2008.
Ad esempio le olle su alto piede. Ved. Bianco 2009.
Ad esempio le coppe ioniche B2 con decorazione bicroma a
bande.
45
Come ad esempio quelli suggeriti da R. Peroni, A. Vanzetti, La sociologia della ritualità funeraria tra l’Età del Bronzo
e del Ferro in Italia, in P. von Eles (a cura di), La ritualità funeraria tra Età del Ferro e Oriantalizzante in Italia (Atti del
Convegno Verrucchio, 26-27 giugno 2002), Pisa-Roma 2006,
pp. 25-39, il cui possibile impiego non viene però aprioristicamente escluso.
43
44
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Le necropoli della Valle del Sauro: Aliano, Alianello
Emiliano
e Guardia
Cruccas
Perticara. Proposta per una metodologia di studio
momento della pratica funeraria 46 può essere o non
essere accompagnato da particolari manufatti che si
possono o meno rinvenire nel corredo 47.
Tale ripartizione (fig. 6) si basa sul presupposto
che nella complessità del corso del rituale funebre si
fondono azioni invisibili, che si possono dedurre in
maniera astratta e teorica, ed elementi a noi visibili,
cioè il corredo che accompagna il defunto nell’atto
finale della sepoltura. Ne conseguono due diversi
procedimenti paralleli, il primo ipotetico supportato
da studi antropologici e dalla vasta letteratura di
comparazione, il secondo deduttivo frutto dello studio diretto della cultura materiale. In comune i due
procedimenti presuppongono delle ipotetiche fasi in
cui sono scandite le pratiche e le consuetudini funerarie. Per mettere in relazione il rituale con i manufatti del corredo funerario si è resa necessaria anche
una classificazione per gruppi dei manufatti del corredo, in base alla funzionalità e al loro possibile significato sociale e rituale 48.
Lo scopo dell’adozione di tale metodologia è l’individuazione e la distinzione delle tracce costanti e
ripetitive deducibili dalle evidenze archeologiche da
quelle variabili e innovative, per evidenziare così
consuetudini, innovazioni e cambiamenti del rituale
su un piano diacronico.
Il secondo procedimento riguarda la sfera sociale, al fine di poter individuare, tramite le differenze e
le associazioni dei manufatti riscontrabili in corredi
coevi ed equiparabili, le probabili disuguaglianze gerarchiche o comunque rivelatrici di ruolo e di status 49.
Per i manufatti di importazione o di imitazione, o
comunque estranei al contesto locale, non si può
escludere che gli stessi possano aver avuto, nel
mondo indigeno, un diverso uso rispetto ai contesti
46
Il rito funerario, insieme di azioni che di norma correliamo
al corredo che lo rendono a noi materialmente visibile, è solo una
parte dell’espressione della comunità riguardo la morte biologica/sociale di un individuo/social persona, ma questo nasconde
e sottintende ideologie e significati a noi invisibili.
47
Il corredo è da considerarsi comunque incompleto dal punto
di vista materiale, si considerino ad esempio tutti i materiali deperibili.
48
Si porta ad esempio la distinzione degli ornamenti personali, quali orecchini, collane, anelli digitali, separati dalla
classe degli accessori dell’abito, quali fibulae, spilloni, afferenti a momenti diversi del rituale ma con uguale valenza ideologica. In tal senso questo procedimento presenta ancora delle
ambiguità vincolate alla rigidità classificatoria, poichè più
classi possono esprimere lo stesso valore sociale oppure ad una
119
originari di provenienza 50. Infatti, in ambito greco è
quasi sempre noto e chiaro l’impiego di un vaso, grazie soprattutto al supporto delle fonti scritte, mentre
il suo utilizzo nel mondo indigeno può talora risultare di ambigua interpretazione, forse perché ricercato
anche come segno di distinzione del defunto/social
persona o come bene di prestigio. Ad esempio alcune forme ceramiche d’importazione, che in ambiente
greco possono essere prerogativa di genere maschile
o femminile, in ambito indigeno possono essere utilizzate indipendentemente dal genere. Inoltre si è notato che alcuni manufatti all’interno dei corredi funerari rispecchiano sia produzioni artigianali in uso
anche al di fuori della sfera funeraria 51 sia produzioni di uso prettamente rituale o connesse con lo stesso.
Conclusioni
Durante l’VIII sec. a.C. gli “oggetti personali” del
defunto, compresi gli accessori dell’abito, ed altri distintivi di genere e di rango risultano preminenti. Il
rango, o lo status, è riconosciuto dal clan parentelare,
che nel contesto della cerimonia funebre non sembra
avere un ruolo particolare.
La presenza ridotta di vasellame (figg. 7 e 8) in
tali fasi più antiche è da ricondurre alla probabile
semplicità del rituale e alla scarsa preminenza della
celebrazione funeraria come evento collettivo. In
questa fase le forme ricorrenti sono l’olla, l’attingitoio, la ciotola e/o la coppa, mentre le ceramiche di importazione si limitano a rare coppe in contesti dell’area costiera 52.
Nel corso del VII secolo si trasformano i vecchi
modelli della cultura materiale e si avvia una nuova
stessa classe possono essere attribuiti diversi significati. Essendo ancora uno studio in fase di ricerca metodologica si
pensa di superare tale difficoltà in un secondo momento in virtù
di una visione completa del contesto e dopo la concreta applicazione delle metodologie progettate. Cfr. anche M. Scalici,
supra, fig. 11.
49
Un rilevante ed innovativo studio basato su modelli di differenziazione degli manufatti del corredo è quello di S. Owen,
Mortuary display and cultural contact: a cemetery at Kastri on
Thasos, «OxfJA» XXV 2006, pp. 357-370.
50
Concetto già espresso in M. Gras, I beni di prestigio e le importazioni arcaiche in Basilicata, in Trésors, pp. 59-81.
51
Alcuni manufatti presentano tracce di usura precedenti alla
tumulazione.
52
Ad esempio: Santa Maria d’Anglona, Zona B, T. 6.
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120
Patrizia Macrì
Fig. 7. - Guardia Perticara, c.da San Vito, T. 61, VIII sec. a.C.
Fig. 8. - Guardia Perticara, c.da San Vito, T. 69, VIII sec a.C.
produzione ceramica, indizio di una intensificazione
delle influenze e degli stimoli esterni 53.
Ad esempio, per quanto riguarda le forme vascolari, l’olla ovoide sostituisce quella biconica,
mentre nell’apparato decorativo i motivi geometrici sostituiscono del tutto il motivo “a tenda” sul
corpo del vaso. All’interno del corredo persiste,
come elemento costante, la presenza del “vasellame
base”, ossia l’olla-attingitoio-ciotola/scodella, mentre una variabile è rappresentata dall’introduzione
del kantharos e talora di altre forme ceramiche, che
rivela un rinnovamento del rituale (figg. 9-10). La
celebrazione del morto viene affiancata, e non sostituita da quella della morte implicando una partecipazione attiva collettiva più ampia alla cerimonia
funebre.
Il VI sec., con un numero più rappresentativo di
sepolture, manifesta l’apice del benessere economico raggiunto dalle comunità enotrie, sia per un incremento demografico sia per un probabile maggior
numero di persone aventi diritto alla formal burial:
cioè il modello di “sepoltura selettiva”, che I. Morris 54 applica per lo studio dei costumi funerari della
Grecia in uso tra il l’XI e l’VIII secolo a.C., per dimostrare che talvolta l’incremento o il decremento
periodico delle sepolture può dipendere non unica-
mente da un’oscillazione demografica ma dall’inserimento o dall’esclusione alla tumulazione nel sepolcreto di determinati soggetti.
In questa fase la produzione vascolare si arricchisce di nuove forme ibride ed importate, ma soprattutto si manifesta una nuova vivacità artigianale con originali creazioni ceramiche (figg. 11-12).
Ad esempio le olle con le anse configurate, i modelli di arredo o i modelli fittili architettonici 55 sono
distintivi della sub-area di Guardia Perticara.
Il dato più significativo è reso dall’eccezionale
aumento delle forme per bere quali il kantharos, tra
le forme indigene, e le coppe, in particolare quelle
su piede, tra la produzione ibrida e d’importazione.
È proprio nel VI sec. a.C. che si nota una maggiore diversificazione nei corredi. Ad esempio nei
contesti femminili la presenza del modello di cista
implica l’assenza dei pesi da telaio e delle fuseruole. In un contesto alla cista è associato un modello
d’arredo che comunque non è rivelatore di genere
poiché un altro modello è presente in un contesto
maschile.
Con l’approssimarsi della fine del secolo si manifesta un nuovo cambiamento, verosimilmente a
seguito degli avvenimenti connessi con la fine di
Siris e la distruzione di Sibari, che si esprime con un
forte indebolimento del sistema economico. Difatti
53
Oltre all’affermazione di forme che diverranno peculiari del
mondo enotrio, ad esempio il kantharos, durante questo secolo è
più intensa la produzione delle forme ibride che non le importazioni vere e proprie.
Morris 1987.
S. Bianco, Guardia Perticara, I modelli fittili della necropoli
di contrada San Vito, in c.d.s.
54
55
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Le necropoli della Valle del Sauro: Aliano, Alianello
Emiliano
e Guardia
Cruccas
Perticara. Proposta per una metodologia di studio
Fig. 9. - Guardia Perticara, c.da San Vito, T. 108, VII sec. a.C.
Fig. 11. - Guardia Perticara, c.da San Vito, T. 259, VI sec. a.C.
nel V sec. si ridimensiona il numero delle sepolture
e i corredi si presentano ora con la maggioranza di
manufatti d’importazione (fig. 13), conservando
come unici indizi della sopravvivenza del rituale indigeno l’olla, l’attingitoio, la scodella e il kantharos.
In questo approccio iniziale, anche se non confermato da analisi specifiche, si nota che in alcuni
contesti la produzione vascolare è mutata sia nell’impiego di argille che nella tettonica del vaso. La
forma della grossa olla acroma diviene più simile
ad un pithos di dimensioni ridotte, la scodella a labbro rientrante si avvicina più ad una ciotola carenata e il kantharos aumenta notevolmente di dimensione. Si è constatato che la produzione vascolare
121
Fig. 10. - Alianello, c.da Cazzaiola, T. 15, VII sec a.C.
Fig. 12. - Alianello, c.da Cazzaiola, T. 582, VI sec a.C.
indigena subisce un importante calo, perlomeno
nella sua utilizzazione nei contesti funerari.
I due momenti più significativi si individuano
dunque tra la seconda metà del VII sec. e gli inizi
del VI sec. a.C. quando, per quanto riguarda le pratiche funerarie, si introduce la cerimonia del banchetto come manifestazione elitaria accompagnata
dal probabile consumo di vino; e tra la fine del VI e
gli inizi del V sec. a.C., quando, diminuendo sensibilmente la presenza di forme indigene e ibride, si
afferma l’elemento greco tramite il rituale del simposio.
La documentazione archeologica del V sec., rispetto ai secoli precedenti, denota dunque un indebolimento economico che viene usualmente messo
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122
Patrizia Macrì
in relazione con la fine di Sibari che si riflette
anche sulle necropoli esaminate le quali non presentano indizi del periodo successivo a questo secolo. Le testimonianze di continuità di popolamento di questo comprensorio si trovano però in aree limitrofe e rivelano il cambiamento del mondo indigeno dovuto alla nuova presenza dei Lucani e al
processo di riorganizzazione delle colonie greche
dell’arco ionico 56.
Fig. 13. - Guardia Perticara, c.da San Vito, T. 192, V sec. a.C.
56
Cfr. B. d’Agostino, Greci e indigeni in Basilicata dall’VIII
al III secolo a.C., in Trésors, pp. 25-57.
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Siris 10,2009, 123-124
Conclusioni
di Alfonsina Russo
L’incontro di studio, “Lo Spazio della Memoria.
Necropoli e rituali funerari nella Magna Grecia indigena”, organizzato da Massimo Osanna e da Michele
Scalici della Scuola di Specializzazione in Archeologia di Matera (Università degli Studi della Basilicata), che ha visto la partecipazione appassionata e
competente di numerosi giovani archeologi, ha fornito un importante contributo per ricomporre il complesso mosaico della storia del territorio più interno
e montuoso della Lucania antica, con i principali centri di cultura c.d. nord-lucana (Torre di Satriano, Baragiano, Ruvo del Monte e Atena Lucana). Il
confronto con i siti di aree limitrofe (Melfi-Pisciolo
in Daunia, Monte Sannace in Peucezia, Matera nell’area bradanica e, infine, Guardia Perticara in Enotria) ha offerto inoltre un’occasione di discussione
scientifica ricca di novità e suggestioni.
Nell’VIII sec. a.C. si delineano in nuce i contorni
di un ethnos, il cui sviluppo risulta fortemente condizionato dalla morfologia del territorio e destinato a
emergere solo nel corso del VI sec. a.C. Se nel corso
dell’VIII sec. a.C. si assiste alla presenza, solo in alcune aree dei futuri insediamenti, di livelli di frequentazione con ceramiche decorate a tenda
(Baragiano, Torre di Satriano, Vaglio di Basilicata), a
partire dalla fine del VII-inizi del VI sec. a.C., in concomitanza con l’apertura di itinerari di collegamento
tra queste zone interne e la costa ionica e tirrenica,
con l’importazione dei più antichi vasi di produzione
coloniale (coppe a filetti di tipo corinzio e coppe di
tipo ionico), si avvia la strutturazione dei centri.
Le ricerche archeologiche, per questo periodo,
consentono di ricostruire un modello insediativo per
nuclei sparsi che si protrarrà almeno fino alla fase
della “lucanizzazione”, rispecchiando quanto descritto da Dionigi di Alicarnasso (I, 9, 3) a proposito
delle popolazioni dell’Italia arcaica: «essi amavano
vivere sui monti (epí toís óresin oikeîn) senza cingersi di mura, in villaggi sparsi (komedón kaì sporádes)».
Il confronto tra i vari centri della Lucania interna,
oltre a porre in evidenza le caratteristiche comuni,
come il rituale funerario del rannicchiamento su un
fianco (generalmente il sinistro per le donne e il destro per gli uomini) ha anche fatto emergere numerose differenziazioni. In particolare, per quanto
riguarda le produzioni ceramiche locali, in una sostanziale omogeneità nella scelta delle forme rituali
(in primo luogo l’olletta-kantharos, la brocchetta,
l’askos), si notano tuttavia differenze significative
negli apparati decorativi, che, associate alle caratteristiche diverse delle argille, fanno presupporre l’attività di più botteghe ceramiche nel territorio
analizzato. Le serie ceramiche rinvenute a Torre di
Satriano, Baragiano, Atena Lucana e Buccino, centri
di un comparto territoriale culturalmente omogeneo,
almeno fino alla metà-terzo quarto del VI sec. a.C.
sembrano essere prodotte in una o al massimo due
botteghe probabilmente itineranti, almeno nelle fasi
iniziali della produzione. Diversa è la situazione sia
di Ruvo del Monte, in cui sembra essere attiva in loco
un’officina specializzata nella produzione di grandi
nestorides, sia di Ripacandida, dove è possibile identificare l’attività di una bottega ceramica locale. Infine, Melfi-Pisciolo si configura come un sito quasi a
se stante, di confine, in cui confluiscono apporti culturali diversi, sia dalla cultura dell’altra sponda dell’Ofanto (Oliveto Citra-Cairano) che dai centri c.d.
nord-lucani, mentre più sfumate appaiono le affinità
con i vicini centri dauni del Melfese.
Analizzando in particolare le sepolture, appare comune alle diverse necropoli dell’area c.d. nord-lucana
la presenza di casse o lettighe lignee. Particolarmente
interessante è l’analisi condotta sulla disposizione
delle forme ceramiche all’interno dello spazio funerario nel corso dei primi tre quarti del VI secolo a.C.:
gli oggetti vengono deposti, in prevalenza, lungo il
fianco del defunto e ai piedi, mentre in corrispondenza del capo è di solito collocato un servizio personale costituito di un vaso per versare e di un altro
per contenere-bere. In particolare a Ruvo del Monte,
la parte inferiore della tomba, ai piedi del defunto,
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124
Alfonsina Russo
appare riservata alla conservazione e alla tesaurizzazione di beni, mentre il lato lungo della fossa sembra
destinato alle forme indigene, quali kantharoi, ollette,
askoi. Spesso sul grembo o in corrispondenza delle
mani sono collocate le coppe di tradizione greca.
Sono inoltre attestati vasi provenienti da comparti territoriali limitrofi, come l’Enotria, la Daunia, l’area
materana e peuceta.
Il corredo ceramico è composto, per lo più, da
forme di produzione locale a decorazione c.d. subgeometrica, tra le quali l’olletta-kantharos costituisce il vaso rituale per eccellenza (molto probabilmente destinato a contenere vino), sostituito
gradualmente, a partire dalla metà del VI sec. a.C.,
dalla nestorìs, funzionalmente assimilabile all’ollacratere di area peuceta e al c.d. sphagéion daunio.
In conclusione, il quadro che si ricava è quello
di una società caratterizzata da una forte connotazione identitaria, ma aperta ai contatti con l’esterno.
Le comunità, organizzate in piccoli gruppi residenti
in nuclei sparsi, erano controllate, almeno a partire
dalla metà del VI sec. a.C., da gruppi familiari emergenti, insediati in luoghi privilegiati a controllo delle
vie di comunicazione e interlocutori esclusivi del referente greco-coloniale. Ne sono una testimonianza
le straordinarie scoperte effettuate da Massimo
Osanna a Torre di Satriano, che consentono finalmente di inserire, in un quadro organico e documentato in forme puntuali, quanto teorizzato dagli
studiosi, sulla scorta di una documentazione frammentaria, a proposito della regia e delle sepolture di
Braida di Vaglio.
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SIRIS 10,2009 - Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-618-0- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it
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Siris 10,2009, 131-141
Luoghi di culto lucani
a pianta centrale quadrata
di Olivier de Cazanove
È sempre meglio nota la grande stagione dell’architettura sacra nel Sannio e nei territori sabellici, con
la costruzione di numerosi templi su podio modanato
che rivestono forme monumentali a partire dall’inizio
del II sec. a.C. Nell’area oscofona meridionale invece, nella Lucania interna 1, si può citare un unico
tempio su podio di età repubblicana (sono invece di
età imperiale i quattro templi urbani di Grumentum 2,
mentre il tempio di Via S. Spirito a Volcei-Buccino è
datato tra la metà del I sec. a. C. e il I sec. d. C. 3).
Questo piccolo tempio etrusco-italico ad alae si
erge sulla terrazza superiore (l’“acropoli”) dell’abitato fortificato di Civita di Tricarico e risale alla seconda metà del II sec. a.C. (fig. 1). Del tempietto
rimane la fondazione del podio (9,6 m sui lati, con la
modanatura x 10,40 m sulla fronte), la modanatura
inferiore, le fondazioni della cella e i lati della scalinata frontale (i gradini stessi erano probabilmente di
legno, mentre le strutture conservate sono in blocchi
di calcare, messi di testa nel filare inferiore, di taglio
nel secondo filare e di taglio anche nei tre filari conservati del muro di fondo) 4. Diversi indizi potrebbero
far pensare che il tempio dell’acropoli sia stato preceduto da un luogo di culto anteriore 5.
Sempre a Civita di Tricarico, nel cuore della Lucania interna, uno scavo recente (2003) ha messo in
luce un altro tempio tripartito (fig. 1) (terminus post
quem: fine III-inizio II sec. a.C.) 6, sistemato in un
piccolo santuario preesistente documentato da numerose offerte (thymiateria, armi, statuette, busti, databili a partire dalla seconda metà del IV sec. a.C.) 7.
Il tempio, con cella centrale ed alae, ha parzialmente
rioccupato un edificio cultuale che è stato scavato a
sua volta nel 2005 8: quindi due fasi che consentono di
documentare l’evoluzione delle forme architettoniche
e in particolare le prime fasi di essa, prima della romanizzazione. È da notare il fatto che questo luogo di
culto – convenzionalmente chiamato «santuario P» –
è ubicato intra muros 9.
Del primo edificio cultuale («P’») conosciamo un
solo lato per intero (il muro ovest su tutta la sua lunghezza: 10,50 m) e l’inizio dei due muri nord e sud,
essendo obliterato per due terzi dal tempio di seconda
fase (fig. 2): i muri nord e sud di quest’ultimo, infatti,
si sovrappongono esattamente ai muri nord e sud dell’edifico primitivo (salvo a ovest, come abbiamo appena visto). Le fondazioni del tempio tripartito, a
larga risega, hanno distrutto o incluso le strutture an-
Escludendo dunque Paestum, dove il c.d. tempio della Pace
(dedicato a Bona Mens secondo M. Torelli) si data nei primi decenni del II sec. a.C.; per i templi minori del santuario meridionale dei due ultimi secoli dell’età repubblicana: M. Torelli,
Paestum romana, Paestum 1999, pp. 61-71.
2
I templi di Grumentum dovrebbero essere di età imperiale,
anche se soltanto per due di essi (templi B e C, contemporanei
alla sistemazione giulio-claudia del foro) si può proporre una datazione certa: L. Giardino, La città di Grumentum, in L. De Lachenal (a cura di), Da Leukania a Lucania. La Lucania
centro-orientale fra Pirro e i Giulio-Claudii (Catalogo della Mostra, Venosa) Roma 1993, pp. 93, 98 sgg. Più difficilmente inquadrabili il tempio C, col suo alto podio in opera incerta: P.
Bottini, Il museo archeologico nazionale dell’alta Val d’Agri, Lavello 1997, pp. 166-169 e soprattutto il tempio A, presso il teatro,
che i dati di scavo hanno fatto assegnare all’età Severiana: L.
Giardino, Grumentum: la ricerca archeologica in un centro antico, Galatina 1981, pp. 39-41 e tav. XXIII.
3
V. Bracco, Forma Italiae, III, 2, s.v. Volcei, Firenze 1978, pp.
39-41, n. 12, 11, figg. 38-41 (I sec. d.C.).
4
O. de Cazanove, Civita di Tricarico nell’età della romanizzazione, in E. Lo Cascio, A. Storchi Marino (a cura di), Modalità
insediative e strutture agrarie nell’Italia meridionale in età romana, Bari 2001, pp. 169-202 con particolare riferimento alle pp.
189-197.
5
Un muro di pietre legate con argilla si trova nel prolungamento della facciata del tempio (fig. 1). Le tegole Ûe.kar che ricoprivano il tempietto sono verosimilmente del III sec. a.C.
(ibid., pp. 195-196) e sono quindi di reimpiego. Nel corso dello
scavo (nel ’73) fu trovato materiale della seconda metà del IV
sec. a.C. nel riempimento del podio: D. Adamesteanu, L’attività
archeologica in Basilicata, Atti Taranto XIII 1973, pp. 441-456,
in particolare pp. 448-449.
6
Cazanove 2004, pp. 249-291; Le aree interne dal III al I sec.
a.C. : il quadro archeologico, Atti Taranto XLIV 2004, pp. 765799, in particolare pp. 795-797, fig. 10, tav. C.
7
Cazanove 2004, pp. 256-266.
8
O. de Cazanove, Civita di Tricarico (prov. de Matera),
«MEFRA» CXVIII, 1 2006, pp. 380-383.
9
Cazanove 2008b, pp. 165-180.
1
SIRIS 10,2009 - Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-618-0- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it
N
N
0
2,5
5m
Fig. 1. - I due templi intra muros di Civita di Tricarico alla stessa scala. Sopra: il tempietto dell’acropoli (rilievo J.-B. Rollin, École Française de Rome); sotto: il tempio P (rilievo G. Dutertre, A. Laurens, V. Lallet, N. Palacios, École Française de Rome) (tratti sottili: strutture di I fase).
teriori; il quarto lato, a est, sarà probabilmente stato
ricoperto dalla facciata del tempio che presenta, da
ambo i lati dello stilobate, la stessa larga risega di
fondazione. Si restituisce così, per l’edificio primitivo, una pianta quadrata (10,75 x 11 m), cioè un modulo che è quello costantemente impiegato per le
costruzioni della seconda metà del IV sec. a.C. a Civita di Tricarico, in particolare le case. Degno di nota
il fatto che la cella del tempio P occupi esattamente il
centro di questo quadrilatero originario, anche se essa
appartiene, come dimostra la tecnica muraria, alla seconda fase, quella del tempio, che non è più quadrata
ma rettangolare. Bisognerà allora supporre che sostituisce una cella anteriore, di dimensioni analoghe
(dim. interne: ca. 3,5 m di lato). Una indicazione in tal
senso potrebbe essere fornita dal fatto che i muri della
cella poggiano, così come i muri perimetrali, su di
una fondazione con ampia risega, con orientamento
leggermente sfalsato. Otteniamo così l’immagine di
due quadrati inclusi l’uno nell’altro, con accesso pro-
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Luoghi di culto Emiliano
lucani a pianta
Cruccas
centrale quadrata
133
N
0
2,5
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Fig. 2. - Due edifici cultuali a pianta centrale quadrata alla stessa scala. Sopra: a Civita di Tricarico, l’edificio primitivo P’ (tratti spessi)
ricoperto dal tempio P (tratti sottili); sotto: il santuario di S. Chirico (da M. Tagliente 2005).
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Olivier de Cazanove
babilmente già a sud-est. Davanti all’edificio si trova
un’area delimitata a nord da un muro di recinzione e
contenimento, che sarà riutilizzato nella seconda fase,
per diventare il lato settentrionale del cortile basolato
del tempio P. Tale restituzione è in parte ipotetica dal
momento che la costruzione del tempio di seconda
fase ha parzialmente distrutto o sigillato l’edificio anteriore. Poggia tuttavia su una serie di dati convergenti: innanzitutto, la tecnica edilizia, diversa da una
fase all’altra 10; poi certe irregolarità nella planimetria del tempio, imposte in qualche modo da quello
che rimaneva della costruzione preesistente 11; in
terzo luogo, la logica geometrica del progetto che si
può restituire per l’edificio primitivo (fig. 3); inoltre,
più in generale, quello che potremmo chiamare lo
schema regolatore della trama edilizia, in cui s’inserisce bene l’edificio cultuale primitivo, nella ricostruzione di esso qui proposta 12; infine i confronti
tipologici che è possibile fare con luoghi di culto contemporanei e vicini.
Il piccolo santuario di S. Chirico Nuovo, loc. Pila
(fig. 2), si trova a non più di 4 km in linea d’aria da
Civita di Tricarico 13. È stato scavato da M. Tagliente
negli anni ‘90 14, che distingue due fasi principali: la
seconda, databile intorno alla metà del IV secolo
a.C. 15, presenta un recinto originariamente quadrato
– ma vistosamente deformato dai movimenti di terreno – di ca 11,5/12 m di lato, al centro del quale si
trova un sacello di 5,8 x 6,4 m. Sacello e recinto si
aprono verso est, con varchi in asse, ma è stato suggerito che due muri paralleli, a sud del complesso
quadrato, fossero quelli di un ambiente porticato, che
avrebbe collegato l’area del sacello con la sorgente a
valle 16.
Prescindendo dalle deformazioni subite dalle
strutture, il progetto plamimetrico che si può ricostruire è molto simile a quello della prima fase del
santuario P a Civita di Tricarico (fig. 3). L’orientamento a sud-est è lo stesso, così come le dimensioni 17, l’unica differenza è l’ampiezza della cella
centrale, ridotta a Civita (ca. 4,75/4,90 m) 18, più
grande a S. Chirico (ca. 6 m).
Un altro luogo di culto lucano, più lontano, deve
essere preso in considerazione: il santuario di Torre
di Satriano è stato oggetto d’indagine da parte dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli negli anni
tra il 1987 e il 1988 19, scavo poi ripreso dall’Università di Basilicata nel 2000-2003 e tempestivamente
10
I muri di prima fase sono in conci grezzi legati con argilla,
mentre per i muri del tempio sono stati impiegati piccoli conci lavorati sulla faccia vista e legati con malta.
11
Sono già state menzionate le fondazioni a larga risega e
d’orientamento leggermente sfalsato rispetto agli elevati. Si può
ancora rilevare la vistosa dissimmetria nell’impianto planimetrico del tempio tripartito: l’ala nord è nettamente più larga dell’ala sud; ne consegue che lo stilobate è anch’esso dissimmetrico.
Le due colonne che poggiavano su di esso non erano esattamente
centrate, sicchè è stato necessario aggiungere a nord una piccola
lastra sporgente per recuperare l’effetto d’insieme (Cazanove
2004, pp. 278-279, fig. 14). È evidente lo iato tra il progetto, sapiente ed elaborato, e la realizzazione, piuttosto approssimativa.
Mentre la pianta tripartita, a cella centrale e alae, è allo stesso
tempo canonica e largamente diffusa, mentre la costruzione modulare si avvicina alle prescrizioni vitruviane (rapporto proporzionale di 3/4/3 per la larghezza delle alae e della cella), la messa
in opera del progetto presenta irregolarità vistose. Queste sono
dovute per l’appunto alla necessità di realizzare un progetto di
tempio «tuscanico» con un sistema di proporzioni fisse e tagliate
su un piede di 29 cm (utilizzato a Civita di Tricarico a partire dall’ultimo terzo del III sec. a.C., tra l’altro per la cinta e l’edificio
di banchetti comunitari ved. Cazanove 2008a, p. 283) in un edificio preesistente, di planimetria e moduli diversi.
12
L’edificio P’ è circondato su 3 lati da canalizzazioni. Ora, la
rete di canalizzazioni nord-sud e est-ovest per smaltire le acque
forma come una griglia nel quartiere, e quindi rappresenta verosimilmente un elemento strutturante del tessuto costruito; cfr.
nota 51.
13
Una pianta con l’ubicazione dei luoghi di culto tra Civita di
Tricarico e S. Chirico Nuovo si trova in Cazanove 2004, p. 250,
fig. 1.
14
A. Bottini, L’attività archeologica in Basilicata nel 1995,
Atti Taranto XXXV 1995, pp. 629-638, in particolare pp. 630631; Tagliente 1998, pp. 26-33; M.L. Nava, L’attività archeologica in Basilicata nel 1997, Atti Taranto XXXVII 1997, pp.
885-887; L’attività archeologica in Basilicata nel 1998, Atti Taranto XXXVIII 1998, pp. 713-714; M. Tagliente, Il santuario di
San Chirico Nuovo, in Le sacre acque. Sorgenti e luoghi di culto
nella Basilicata antica (Catalogo della Mostra, Potenza), Lavello
2003, pp. 49-62; Tagliente 2005, pp. 115-123.
15
Alla prima fase (inizi del IV sec. a.C.) è attribuito un piccolo
edificio quadrangolare (4 x 5,5 m), successivamente ritagliato da
strutture nord-sud. La seconda fase è datata intorno alla metà del
IV secolo a.C. (Tagliente 1998, p. 27) o sempre nel corso della
prima metà del IV secolo a.C. (Tagliente 2005, p. 116); mentre
verso la metà del secolo il sacello quadrato viene ricostruito nello
stesso posto (Tagliente 2005, p. 119).
16
Tagliente 1998, p. 27; 2005, p. 118. Tuttavia, l’apertura nel
muro del recinto si trova a est (ved. nota precedente), non a sud
in corrispondenza dei muri paralleli.
17
Queste dimensioni, almeno per l’edificio P’ di Tricarico, dipendono verosimilmente dal piede osco di 27,5 cm, per una misura
complessiva di 40 x 40 piedi. Questo modulo è quello delle case
di prima fase a Civita di Tricarico che presentano dimensioni e superficie del tutto analoghe a quelle del primo santuario P’, come
si vedrà di seguito. Il tempio P di seconda fase, invece, è tagliato
su un piede di 29 cm: ved. Cazanove 2004, pp. 279-280.
18
Sono le dimensioni della cella di seconda fase, quella del
tempio tripartito. Tuttavia, a giudicare dalle fondazioni, quelle
della cella di prima fase non dovevano essere molto differenti.
19
Greco 1988; In Lucania. Ruoli dei sessi e istituzioni politico-religiose. A proposito del santuario di Torre di Satriano,
«DialA» IX 1991, pp. 75-83. In questo articolo e in un contributo
apparso sugli studi in memoria di E. Lepore (Greco 1996, pp.
263-282), l’autore stabilisce un confronto tra l’ambiente centrale
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iedi
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18 p
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i
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2,5
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Fig. 3. - Restituzione del progetto dell’edificio P’ di Civita di Tricarico e del santuario di S. Chirico.
N
0
2,5
5m
Fig. 4. - Il santuario di Torre di Satriano, impianto originario (da M. Osanna).
quadrato di Torre di Satriano e l’edificio quadrato nell’Heraion
alla Foce del Sele, che sarebbero entrambi, sia pure con differenze, «riferibili ad un ‘uso’ femminile» (p. 273). Tuttavia, mentre l’ambiente centrale di Satriano è il fulcro di un piccolo luogo
di culto, come a S. Chirico e a Civita di Tricarico, l’edificio quadrato di Foce Sele, come si vedrà di seguito, ha la stessa forma
d’insieme al suolo, ma una organizzazione interna diversa, e occupa una posizione periferica nel santuario.
20
Torre di Satriano I. Una prima sintesi dei risultati della campagna di scavo degli anni 2000-2001 si trova in M.L. Nava, M.
Osanna (a cura di), Rituali per una dea lucana. Il santuario di
Torre di Satriano, Potenza 2001.
21
Torre di Satriano I, pp. 101-104, fig. 82.
pubblicato nel 2005 20. Sono state individuate quattro fasi: nella prima, databile nel
corso del IV sec. a.C., è stato edificato un recinto quadrato, di 13,2 m di lato; pressappoco al centro si trova l’ambiente A, definito
come oikos, anch’esso quadrato (4,40 m di
lato) 21 (fig. 4). Il confronto stringente con il
santuario di S. Chirico Nuovo è stato molto
giustamente messo in evidenza 22. Possiamo
adesso aggiungere a questi due casi quello
della prima fase del santuario “P” di Civita
di Tricarico. Inizia così a delinearsi una piccola serie di luoghi di culto lucani con analoga distribuzione dello spazio.
Non esistono confronti puntuali allo stato
attuale della documentazione, dall’area campano-sannita, ma soltanto analogie a livello
planimetrico, ad es. il doppio recinto cultuale di Fondo Iozzino presso Pompei 23, o
ancora il piccolo santuario di Atessa sul confine frentano 24. Ad Atessa, il tempietto distilo, con cella quadrata (dim. interne ca. 3 m
di lato) pavimentata ad opus signinum, «è
senza podio ed è libero da tutti e quattro i lati
all’interno del santuario: la sua parete retrostante è cioè a se stante e non addossata o in
comune con il muro di temenos...» 25. Questo
recinto, scavato solo parzialmente, ha come
dimensioni ricostruibili 12 x 11,5 m.
Torre di Satriano I, p. 433.
Di proporzioni molto più ampie, ma con planimetria analoga sono i due quadrilateri incastonati l’uno nell’altro del Fondo
Iozzino, santuario extra-urbano di Pompei (tuttavia, il recinto interno, in opus caementicium, sarebbe più recente del recinto
esterno, in opus quadratum, sicchè il confronto planimetrico può
forse trarre in inganno): S. De Caro, La città sannitica. Urbanistica ed architettura, in F. Zevi (a cura di), Pompei, vol. 1, Napoli
1992, pp. 23-46.
24
E. Fabbricotti, Il santuario di Atessa, «QuadChieti» III
1982-1983, pp. 85-119; I luoghi degli dei, p. 75.
25
I luoghi degli dei, p. 75.
22
23
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Olivier de Cazanove
un’altra categoria di monumenti religiosi, del tutto diversa, presenta una proiezione simile al suolo: l’ara
Pacis ed altri altari si configurano anch’essi come due
quadrati: il recinto e, al centro, l’altare vero e proprio.
Quest’ultimo confronto ha un certo grado di validità in quanto il recinto dei luoghi di culto lucani può
essere avvicinato a quello degli altari tipo Ara Pacis.
Spesso si ritiene che il recinto marmoreo di quest’ultimo sia la materializzazione di un templum 28. Non è
questa la sede per discutere questa difficile questione,
e ancor di meno la possibilità di applicare concetti romani ad edifici di culto italici. Basta aver mostrato
qui l’esistenza di un progetto standard per la realizzazione di luoghi di culto del IV sec. a.C. a pianta
centrale quadrata, per il momento attestati in tre siti
dell’hinterland lucano.
È chiaro tuttavia che il confronto puramente planimetrico non basta. A planimetrie che sembrano, a
prima vista, analoghe, possono corrispondere elevati
estremamente diversi. Basti pensare ai templi galloromani che si suole chiamare convenzionalmente
“fana” da L. de Vesly 26, e che possiedono anch’essi
una pianta centrale con due quadrati, l’uno incastonato nell’altro, che corrispondono ad una galleria periferica e a una cella sopraelevata 27. All’opposto,
Non ho ancora preso in considerazione – volontariamente – un ben noto edificio quadrato di un altro
santuario della Lucania: quello dell’Heraion del
Sele 29 (11,94 m di lato). Non ha infatti una destinazione prevalentemente cultuale 30, ma presenta alcuni
caratteri di abitazione. Non si apre a est, come il tempio e l’“ex-thesauros” dell’Heraion, o ancora come i
santuari lucani cha abbiamo finora esaminati, ma a
sud 31, orientamento che è, di regola, quello delle case
a pastàs, che sfruttavano l’esposizione solare. D’altronde, in un contributo apparso nel 1996, E. Greco ha
ribadito la pertinenza del materiale trovato nell’edificio quadrato alla Foce del Sele all’«universo costituito da tutto ciò che ha rapporti con il domestico» 32,
mentre, in una serie di studi recenti 33, G. Greco ha
proposto di considerare l’edificio quadrato come de-
L. de Vesly, Les fana ou petits temples gallo-romains de la
région normande, Rouen 1909.
27
I. Fauduet, Les temples de tradition celtique en Gaule romaine, Paris 1993; Atlas des sanctuaires romano-celtiques de
Gaule. Les fanums, Paris 1993; G. Coulon et alii (a cura di), Les
sanctuaires de tradition indigène en Gaule romaine. Actes du colloque d’Argentomagus (Argenton-sur-Creuse, Saint Marcel, Indre
8-10 octobre 1992), Paris 1994; P. Gros, L’architecture romaine. 1.
Les monuments publics, Parigi 1996, pp. 199-202; T. Derks, Gods,
Temples and Ritual Practices. The transformation of religious
ideas and values in Roman Gaul, Amsterdam 1998, p. 145 sgg.
28
M. Torelli, Typology and structure of Roman Historical Reliefs, Ann Arbor 1992, pp. 30-33 (che segue E. Simon, Ara Pacis
Augustae, Tübingen 1967).
29
Zancani Montuoro et alii 1965-1966, pp. 23-195.
30
Alla statua di Era seduta, trovata a destra dell’entrata (Zancani Montuoro et alii 1965-1966, p. 28 e tav. XII a-b; qui fig. 7),
di piccole dimensioni (alt. 55 cm con base e polos) ma di materiale pregiato (marmo), possiamo ben immaginare che erano indirizzati gesti devozionali: Zancani Montuoro et alii 1965-1966,
p. 66, parla della «consunzione del ginocchio e del grembo» sinistro e l’attribuisce ai «ripetuti contatti dei fedeli»: cfr. Zancani
Montuoro, Piccola statua di Hera, in Festschrift Eugen von Merklin, Waldassen 1964, pp. 174-178. Ma questo non basta a qualificare la piccola scultura come “statua di culto” vera e propria,
nel senso (moderno) che si suol dare al termine, e cioè di simulacro principale e centrale in un tempio. Da notare che P. Zancani
Montuoro preferisce ubicare la statuina (ma con esitazione) contro il muro tronco ovest. Sulla statua di Era in marmo, ved. inoltre M. Cipriani et alii, I Greci in Occidente. Poseidonia e i Lucani
(Catalogo della Mostra, Paestum), Napoli 1996, pp. 229-230.
31
L’edificio è orientato quasi perfettamente secondo i punti
cardinali.
32
Greco 1996, p. 269. Per l’autore questa «caratterizzazione
femminile» (p. 271) riguarda prevalentemente il deposito II, dunque il materiale pertinente all’edificio quadrato, che sarebbe costruito verso il 400 a.C. sul posto di un edificio anteriore.
33
G. Greco, KÒsmoj tῆj qeoà, in Mathesis e Philia. Studi in
onore di Marcello Gigante, Napoli 1995, pp. 87-110; Des étoffes
pour Héra, in J. de La Genière (a cura di), Héra. Images, espaces,
Fig. 5. - L’edificio quadrato dell’Heraion del Sele (da P. Zancani
Montuoro et alii 1965-1966).
26
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Luoghi di culto lucani a pianta centrale quadrata
Delfi
Perachora
Monte Sannace, II, 6
Serra di Vaglio
0
Thasos, Aliki
Sta Lenika
Civita di Tricarico, D Civita di Tricarico, E
5
10 m
Fig. 6. - Tavola di confronto. Delfi, Perachora, Thasos (da M.-C. Hellmann 2006); Sta Lenika (da J. Bousquet 1938); Monte Sannace,
Serra di Vaglio, Civita di Tricarico (da Civita di Tricarico I).
stinato ad attività di tessitura, basandosi sulla scoperta, di ca. 300 pesi di telaio.
Nella prima pubblicazione del complesso, P. Zancani Montuoro e H. Schläger avevano visto le difficoltà che poneva la restituzione dell’edificio 34.
Innanzitutto, la copertura: quella ipotizzata, a quattro versanti, è molto pesante e fuori norma, soprattutto se realizzata senza elemento portante centrale.
Poi, i muri tronchi che si dipartono dai muri perimetrali verso l’interno, per i quali era stata proposta una
funzione di contrafforti e di diminuzione della portata delle travi; infine, l’isolamento tipologico dell’edificio privo di confronti nel mondo greco.
Ora, è veramente un unicum l’edificio quadrato?
Nei santuari greci, si trovano piuttosto spesso edifici
tendenzialmente quadrati che vengono interpretati
ora come templi atipici (Sta Lenika a Creta: 12,50 x
11,50 m) 35, ora come“case di sacerdoti” (la “maison
des prêtres” del temenos della Marmaria a Delfi: 10,5
x 12,75 m) 36, ora come edifici per banchetti (hestiatorion doppio dell’Heraion di Perachora: 11,20 x
13,80 m; Thearion del santuario di Apollo a Egina:
13,80 m di lato 37; i due edifici di Aliki a Thasos, rispettivamente 14,5 x 15 m e 12,6 x 11,3 m) 38. E quest’ultima è oggi l’interpretazione più comunemente
accettata. Internamente, sono caratterizzati da una tripartizione, mediante due tramezzi: il primo attraversa
trasversalmente l’intera struttura e divide l’ambiente
anteriore – che è la pastàs propriamente detta, come
informa l’iscrizione di Sta Lenika – dai due ambienti
posteriori, separati l’uno dall’altro da un secondo tramezzo che corre sulla metà della lunghezza dell’edifico o poco più. Sono questi vani più interni,
comunicanti con la pastàs, che fungono da andrones
o eventualmente da spazi abitativi (fig. 6).
Questa tipologia è quella della casa a pastàs nella
sua realizzazione più elementare 39 e come tale largamente diffusa nell’edilizia privata – e non solo sacra –
cultes («Collection du Centre Jean Bérard» XV), Napoli 1997, pp.
185-199; Heraion alla foce del Sele: nuove letture. La lettura stratigrafica dei saggi intorno al cosiddetto thesauros, in O. de Cazanove, J. Scheid (a cura di), Sanctuaires et sources dans
l’antiquité. Les sources documentaires et leur limites dans la description des lieux de culte («Collection du Centre Jean Bérard»
XXII), Napoli 2003, pp. 103-122, in particolare pp. 116-122.
34
Zancani Montuoro et alii 1965-1966, p. 47 sgg.
35
J. Bousquet, Le temple d’Aphrodite et d’Arès à Sta Lenika,
«BCH» LXII 1938, pp. 368-408, tavv. 42-43.
36
G. Daux, Fouilles de Delphes. II. Topographie et architecture. Le sanctuaire d’Athéna Pronaia, Paris 1923.
37
M.-C. Hellmann, L’architecture grecque, 2. Architecture religieuse et funéraire, Paris 2006, pp. 218-231, con bibliografia
precedente.
38
J. Servais et alii, Aliki. 1. Les deux sanctuaires. Les carrières de marbre a l’époque paléochrétienne («Etudes thasiennes»
IX), Paris 1980.
39
C. Krause, Grundformen des griechischen Pastashauses,
«AA» 1977, pp. 164-179.
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N
0
2,5
5m
Fig. 7. - L’edificio quadrato di Foce Sele. Sulla planimetria (da P. Zancani Montuoro et alii 1965-1966) è stato inserito il particolare del
crollo di blocchi davanti allo sperone ovest (ibid., p. 42, fig. 4) e riposizionata approssimativamente la statua di Era seduta.
da Egina arcaica a Delo classica ed ellenistica 40. Si
diffonde in Sicilia, come nell’Italia meridionale indigena, ad esempio in Peucezia (Monte Sannace) e in
Lucania (Serra di Vaglio, Civita di Tricarico) 41.
A Civita di Tricarico, le abitazioni quadrate di
questo tipo sono standardizzate (11 m = 40 piedi
oschi di lato) e suddivise da tramezzi a forma di T. Il
punto di congiunzione tra i due divisori si trova pressappoco al centro della casa sicchè la pastàs anteriore
e gli ambienti posteriori hanno uguale profondità (fig.
6). L’elevato di questi tramezzi era talvolta interamente fatto di mattoni crudi 42: non rimane allora che
un sottile vespaio di fondazione in pietre minute.
A questo punto, viene il sospetto che gli strani
40
M. Trümper, Ein klassisches Haus in Delos? Zur Chronologie der Maison O in der Insula III des Quartier du théâtre,
«BCH» CXXVII 2003, pp. 139-157.
41
A. Russo Tagliente, Edilizia domestica in Apulia e Lucania.
Ellenizzazione e società nella tipologia abitativa indigena tra
VIII e III sec. a.C., Galatina 1992, pp. 54-55, fig. 18b; 63-67, fig.
24; fig. 53b; 119-120, fig. 64; 173-174, fig. 104; O. de Cazanove,
Au cœur de l’Apennin lucanien: recherches récentes à Civita di
Tricarico. Les premières phases de l’habitat jusqu’à la deuxième
guerre punique, «CRAI» 2002, pp. 93-120, in particolare p. 104,
fig. 6.
42
I muri perimetrali sono anch’essi in mattoni crudi, ma su di
uno zoccolo di pietre alto mediamente 0,7 m: Cazanove 2008a, p.
44 sgg.
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Luoghi di culto Emiliano
lucani a pianta
Cruccas
centrale quadrata
muri tronchi dell’edificio quadrato alla Foce del Sele
altro non siano che l’estremità di divisori interni. Soltanto l’ammorsatura dei tramezzi con i muri perimetrali sarebbe stata realizzata in blocchi, mentre il resto
dell’elevato degli stessi divisori, in materiale leggero
(mattoni crudi, pisè, legno... etc.), non avrebbe lasciato traccia. È anche eventualmente possibile che
il crollo di blocchi davanti allo sperone ovest (fig. 7)
sia pertinente a un tale divisorio, che sarebbe allora
stato in pietra, a meno che il crollo non sia da riferire
all’ammorsatura stessa 43. La scomparsa dei tramezzi,
quali che siano stati i materiali da costruzione, si può
anche spiegare con la stratigrafia: le ceneri del Vesuvio ricoprono i muri perimetrali dell’edificio, ma non
l’interno «manomesso in un momento successivo all’eruzione del 79» 44. Questa «rovinosa manomissione, ultimo episodio» 45 della storia dell’edificio,
datata al III sec. d.C., non solo comporta la sistemazione di tombe infantili, ma mescola anche gli strati
anteriori 46. Sarebbe ugualmente documentata, secondo P. Zancani Montuoro, «l’asportazione verso
Est di macerie e quant’altro si può immaginare» 47.
Prolungando gli speroni est e ovest, posti di fronte
l’uno all’altro, si può così restituire un divisorio trasversale; l’altro tramezzo, nel prolungamento dello
sperone nord, si sarebbe ricongiunto al divisorio trasversale al centro dell’edifico. Si otterrebbe così una
pianta con due vani posteriori pressoché uguali (rispettivamente 4,90 x 4,90 m e 5,25 m x 4,90 m) e un
grande vano trasversale anteriore (10,80 x 4,90 m: la
pastàs?) non suddiviso (fig. 7). È chiaro infatti che i
brevi setti murari che inquadrano la porta a sud hanno
una funzione diversa dagli speroni est, ovest e nord,
come basta ad indicare la loro duplicazione 48.
Tale ricostruzione rimane ovviamente ipotetica
Un altro edificio quadrangolare può essere messo
a confronto con la serie di costruzioni a pianta quadrata e tripartizione interna esaminata sopra (Delfi,
Perachora, Thasos, Sta Lenika) e dunque con l’edificio quadrato dell’ Heraion del Sele, se si accetta la
ricostruzione di esso da me proposta. Si tratta
dell’«edificio XXVIII» di Glanum, databile all’età
Il crollo di blocchi caduti presso lo sperone ovest poteva
appartenere all’elevato di quest’ammorsatura, se essi – che sono
comunque di reimpiego – «erano probabilmente messi in opera
[…] forse sul muro o piuttosto – l’uno sovrapposto all’altro – sul
contrafforte, alle cui dimensioni sembrano molto ben convenire»
(Zancani Montuoro et alii 1965-1966, p. 43, fig. 4, tav. VIII a-b).
44
Zancani Montuoro et alii 1965-1966, p. 28. L’autrice aggiunge: «lo strato di cenere, che sovrastava, come ho detto, all’assisa di arenaria del lato orientale, si estendeva soltanto per
una cinquantina di centimetri all’interno del muro sulla lunghezza
di circa 3 m dall”angolo sudest».
45
Zancani Montuoro et alii 1965-1966, pp. 34-36.
46
A parte il lembo di stratigrafia intatta sotto la statua di dea
seduta: Zancani Montuoro et alii, pp. 28-29; Greco 1996, p. 264.
47
Zancani Montuoro et alii, p. 32. Tuttavia, queste tracce, a
Sud dell’edificio quadrato, sarebbero anteriori all’eruzione del
79, se le carreggiate sono riempite dalle ceneri del Vesuvio.
48
La restituzione del settore della porta – molto stretta, a
quanto sembra – è difficile. Il muro sud non presenta una soglia vera e propria, ma un blocco allo stesso livello degli altri,
sicchè bisogna «presumere che un gradino così all’interno
come all’esterno servisse a superare la differenza di quota fra
il piano di calpestio e la soglia» (Zancani Montuoro et alii
1965-1966, p. 48).
49
Sulla diffusione a scala mediterranea di questo tipo di unità
abitativa, ad es. a Delo, S. Mauro (Sicilia) o ancora Lattes (Francia meridionale), ved. da ultimo Cazanove 2008a, fig. 41.
50
Questa osservazione vale, a Civita di Tricarico, per gli edifici stessi, edificio di culto e case. Ma le case sono anche precedute da uno spazio scoperto, che doveva appartenere allo stesso
lotto. Il tempio P, di seconda fase, è preceduto da un cortile basolato che probabilmente avrà ricoperto una terrazza anteriore. E
non si conosce l’estensione complessiva del santuario in senso
lato. Per una planimetria del quartiere, ved. Cazanove 2008b, p.
169, fig. 3.
43
ma consente di cogliere la sostanziale affinità tra
l’edificio quadrato della Foce del Sele, gli edifici per
banchetti dei santuari greci e le case contemporanee
in Lucania (anche se il primo, costruito in blocchi, è
più monumentale e fa parte, non di un abitato, bensì
di un santuario).
I luoghi di culto esaminati sopra, invece, a Civita
di Tricarico, S. Chirico Nuovo, Torre di Satriano,
sono ben diversi dal tipo delle case a pastàs. Nondimeno, hanno la stessa forma d’insieme e la stessa superficie delle case quadrate di Monte Sannace, Muro
Lucano, Serra di Vaglio, Civita di Tricarico (e di numerosi altri siti del Mediterraneo 49). A Piano di Civita, il santuario P di prima fase, anche se ubicato
(intra muros!) sul margine di un quartiere abitato, si
inserisce in qualche modo nella trama edilizia che si
sviluppa immediatamente a nord, perchè circondato
su tre lati dalla rete di canalizzazioni che sembrano
suddividere approssimativamente a scacchiera il settore. Il lotto attribuito all’edificio di culto non è dissimile in estensione da quello occupato dalla casa
degli uomini 50.
Addendum
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140
Olivier de Cazanove
Fig. 8. - Glanum: edificio XXVIII.
tardo-ellenistica. Il sito di Glanum, in Gallia meridionale, viene monumentalizzato nel II sec. a.C. Appartenente alla confederazione dei Salyi, rientra nelle sfera d’influenza di Marsiglia prima di ottenere
sotto Cesare il diritto latino. L’edificio XXVIII (fig.
H. Rolland, Fouilles de Glanum, 1947- 1956, («Gallia Suppléments» XI), Paris 1958, p. 62.
52
H. Rolland, Temple à double cella à Glanum, «RANarb» I
1968, pp. 93-99.
51
8), costruito in blocchi, è di forma trapezoidale e
raggiunge 9,8 m x 11,2 m (quest’ultima misura è approssimativa: il lato orientale è stato distrutto da una
fogna in età romana) – dimensioni come si vede
molto simili a quelle di tutti gli edifici finora presi in
considerazione. Ritroviamo inoltre la caratteristica
tripartizione con due ambienti (a-b) a nord e la pastàs (c) a sud (chiamata «vestibolo») 51.
L’edificio XXVIII è stato variamente interpretato
come un tempio a doppia cella 52, oppure un edificio
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Luoghi di culto Emiliano
lucani a pianta
Cruccas
centrale quadrata
amministrativo (archivio o tesoro) 53. Alla luce delle
interpretazioni oggi correntemente avanzate per gli
edifici sostanzialmente simili di Aliki (Thasos) e di
Perachora, si potrebbe anche proporre di interpretarlo
come un hestiatorion. Si tratta ad ogni modo di un
edificio pubblico come dimostra la tecnica costruttiva e soprattutto il contesto: occupa il lato nord dell’agorà ellenistica, davanti al c.d. prytaneion
porticato (LVII), accanto al bouleuterion a gradini
(XXIX), mentre il lato est della piazza è regolarizzato dalla sala ipostila (XXXII altra tipica realizzazione dell’edilizia pubblica sul versante mediterraneo
della Gallia prima della conquista). Di fronte all’edificio XXVIII sbocca la via di fondovalle dopo aver
lambito un’importante area cultuale 54.
L’edificio XXVIII di Glanum si inserisce dunque
pienamente nella categoria di edifici qui illustrata alla
fig. 6. Come essi deriva da un modello che è sostanzialmente quello di una casa elementare (case quadrate a tripartizione interna esistono anche a Lattes) 55
ma che viene talvolta monumentalizzato e adoperato
nell’edilizia pubblica e/o religiosa.
141
Cazanove 2004 = O. de Cazanove, Un nouveau temple à
Civita di Tricarico (Lucanie), «MEFRA» CXVI, 1
2004, pp. 249-291.
Cazanove 2008a = O. de Cazanove, Civita di Tricarico I.
Le quartier de la maison du monolithe et l’enceinte intermédiaire («Collection dell’École Française de
Rome» CDIX), Roma 2008.
Cazanove 2008b = O. de Cazanove, Civita di Tricarico e
gli abitati della Lucania interna: gli elementi di una
forma urbana?, in Verso la città, pp. 165-180.
Greco 1988 = E. Greco (a cura di), Satriano 1987-1988.
Un biennio di ricerche archeologiche, Napoli 1988.
Greco 1996 = E. Greco, Edifici quadrati, in L’incidenza
dell’antico. Studi in memoria di E. Lepore II, Napoli
1996, pp. 263-282.
I luoghi degli dei = A. Faustoferri, A. Campanelli, (a cura
di), I luoghi degli dei. Sacro e natura nell’Abruzzo italico (Catalogo della Mostra, Chieti), Pescara 1997.
Lo spazio del rito = M.L. Nava, M. Osanna (a cura di), Lo
spazio del rito. Santuari e culti in Italia meridionale tra
indigeni e Greci (Atti delle Giornate di Studio, Matera,
28-29 giugno 2002), Bari 2005.
Tagliente 1998 = M. Tagliente, Il santuario di San Chirico
Nuovo, in Il sacro e l’acqua. Culti indigeni in Basilicata (Catalogo della Mostra, Roma), Roma 1998.
Tagliente 2005 = M. Tagliente, Il santuario lucano di San
Chirico Nuovo (PZ), in Lo spazio del rito, pp. 115-123.
Torre di Satriano I = M. Osanna, M.M. Sica (a cura di),
Torre di Satriano I. Il santuario lucano, Venosa
2005.
Verso la città = M. Osanna (a cura di), Verso la città. Forme
insediative in Lucania e nel mondo italico fra IV e III
sec. a.C. (Atti delle Giornate di Studio, Venosa, 13-14
maggio 2006), Venosa 2009.
Zancani Montuoro et alii 1965-1966 = P. Zancani Montuoro, H. Schläger, M.W. Stoop, L’edificio quadrato
nello Heraion alla Foce del Sele. 1. Lo scavo. Materiali, condizioni delle scoperte, cronologia. 2. L’edificio. 3. Oggetti dai depositi, «AttiMemMagnaGr»
VI-VII 1965-1966, pp. 23-195.
A. Roth-Congès, Monuments publics d’époque tardo-hellénistique à Glanon (Bouches-du-Rhône), «DocAMerid» XV
1992, pp. 50-56.
54
F. Gateau, M. Gazenbeek (a cura di), Les Alpilles et la Mon-
tagnette. Carte archéologique de la Gaule 13/2, Paris 1999, pp.
319-327, fig. 262.
55
M. Py, Les maisons protohistoriques de Lattara (IVe-Ier s. av.
n. è.). Approche typologique et fonctionnelle, «Lattara» IX 1996,
pp. 141-258, in particolare p. 249, fig. 28; Cazanove 2008a, p. 57.
Abbreviazioni bibliografiche
53
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Siris 10,2009, 143-147
Un manico di patera arcaica
Gjødesen-IIA rinvenuto a Maiorca
di Raimon Graells i Fabregat
Introduzione 1
venienza dei materiali. Assai scarsi sono infatti i dati
a disposizione tali da consentire una qualsiasi indagine: malgrado ciò al giorno d’oggi si inizia a lavorare in tale direzione 3.
Il breve studio che segue è dedicato ad un manico
di patera con figura di kouros nudo, reperto che trova
dei confronti in Magna Grecia e ad Olimpia.
Il Mediterraneo occidentale arcaico continua ad
essere, come nell’antichità, un luogo lontano e sconosciuto, o parzialmente conosciuto grazie ad alcuni
sforzi puntuali 2.
La causa di questa conoscenza parziale è in parte
dovuta all’attenzione che da qualche anno la ricerca
presta all’importante incidenza dei contatti fra le popolazioni indigene e altre genti, oltre a quelle fenicie
dal sud della Penisola Iberica. Malgrado questa significativa relazione, tra indigeni e fenici, sia fondamentale per lo sviluppo di molte comunità costiere
peninsulari, bisogna tuttavia considerare anche l’apporto di altre culture. È questo il caso dei contatti con
gli etruschi e soprattutto con i commercianti greci che
nel 575 a.C. fondarono, come ben noto, la colonia
foceo-massaliota di Emporion.
La ricerca spagnola presta però una relativa attenzione ai materiali etruschi e greci, concentrandosi
in modo quasi esclusivo sullo studio di nuovi ritrovamenti e solo rare volte affronta il riesame di esemplari provenienti da collezioni, scoperte e scavi
antichi.
Uno studio di tal genere implica, innanzitutto, il
problema della mancanza di documentazione che, a
sua volta, rende difficile l’identificazione della pro-
I vasi con ansa figurata in forma di kouros nudo
sono stati oggetto di numerosi studi 4, a partire dai lavori pionieristici che consideravano le produzioni di
vasi greco-laconici o corinzi, fino alle produzioni
etrusche. In tutti questi studi però è stata sempre presa
in considerazione la possibilità di identificare i centri di produzione in contesti magnogreci, tradizionalmente ubicati a Taranto, malgrado la totale assenza
di dati archeologici non autorizzi alcuna conferma in
tal senso. Partendo dall’idea che le opere della Magna
Grecia sono vicine allo stile laconico, Jantzen ne ha
proposto un’origine tarantina. Recentemente, riprendendo ciò che aveva già supposto P. Wuilleumier 5, è
stato sottolineato come in realtà sia assai scarsa la conoscenza dei bronzi di Taranto e che probabilmente
l’importanza di tale produzione è stata esagerata a
1
Desidero ringraziare Rosanna Colucci e Alice Bifarella per
la traduzione del lavoro e i suggerimenti.
2
Un utile strumento è rappresentato dallo studio di M. Botto
e J. Vives-Ferràndiz, Importazioni etrusche tra le Baleari e la
Penisola Iberica (VIII-prima metà del V sec. a.C.), «AnnFaina»
XIII 2006, pp. 117-196) per la visione generale dei materiali etruschi nella Penisola Iberica e nelle isole Baleari; tuttavia sono purtroppo poche le pubblicazioni di tal genere che appaiono in riviste
non spagnole e pertanto il tema dei materiali arcaici rimane fuori
dal dibattito internazionale.
3
È il caso del riesame dei bronzi della Hispania Graeca di A.
García y Bellido (1948), già notato da R.M. Asensi, Los materiales etruscos del orientalizante reciente y período arcaico de la
Península Ibérica: las cerámicas etrusco-corintias de Ampurias,
in J. Remesal y O. Musso (a cura di), La presencia de material
etrusco en la Península Ibérica, Barcelona 1991, pp. 225-238;
le collezioni del MAN-Madrid (specialmente la collezione Salamanca, con una gran quantità di materiali di provenienza italiana); collezioni del MAC-Barcellona, molte con materiali del
circondario di Empúries e altri rinvenuti nelle Baleari. Ved. Graells i Fabregat 2007.
4
D. Kent-Hill, Praenestine cist covers of wood, «StEtr» XI
1937, pp. 121-126; Gjødesen 1944; Amandry 1953; D. Kent-Hill,
A Class of Bronze Handles of the Archaic and Classical Periods,
«AJA» LXII, 2 1958, pp. 193-201; G. Bordenache Battaglia, Le
ciste prenestine, Corpus I, 1-2, Roma 1979; Rolley 1982;
Th.Weber 1983; Tarditi 1996; B. Grassi, Il vasellame e l’instrumentum in bronzo, in E. Laforgia (a cura di), Il Museo Archeologico di Calatia, Napoli 2003, pp. 132-137; Graells i Fabregat
2008.
5
P. Wuilleumier, Tarente. Des origines a la conquête romaine
(«BEFAR» CXLVIII), Paris 1968, p. 329.
Origine delle patere con anse a kouroi
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144
Raimon Graells i Fabregat
– tipo I con placca traforata con palmetta e volute
fra la patera e il kouros, di produzione greca;
– tipo II, gruppo di arieti contrapposti, di produzione
magnogreca.
La cronologia generale va dal 550 al 450 a.C. 11.
Succesivamente Amandry e Jantzen 12 hanno accettato questa tipologia contribuendo all’aumento del
catalogo.
Il manico di Maiorca e i suoi confronti
partire dalle analisi stilistiche che considerano le produzioni “laconizzanti” in occidente come tarantine:
nulla però è stato ancora scoperto a Taranto per poter
affermare con certezza questa ipotesi 6.
Attualmente la comunità scientifica riconosce la
Laconia al di sopra della Magna Grecia e ciò influisce notevolmente sui temi degli interscambi 7.
Anche il caso delle patere con manico antropomorfo è stato ripetutamente esaminato, distinguendo
due grandi gruppi che allo stesso tempo hanno individuato due grandi famiglie o aree di produzione.
Neugebauer 8 ha identificato un primo gruppo caratterizzato da due arieti contrapposti fra la patera e il
kouros, riconoscendolo come produzione etrusca o
dell’Italia meridionale 9, risultato di una copia di originali greci.
È stato però Gjødesen 10 che ha classificato queste
produzioni inquadrando i due grandi gruppi che attualmente continuano ad utilizzarsi per il loro studio:
Come anticipato precedentemente, il presente
contributo non pretende di discutere queste proposte
tipologiche ma si limita a prendere in considerazione un antico ritrovamento di un manico di patera
e la sua produzione. Questo reperto (fig. 1) fu rinvenuto a Mallorca (Isole Baleari, Spagna) nel 1835
e fu il generale A. della Marmora a darne notizia nel
suo Voyage en Sardaigne (Paris 1840) accompagnando la descrizione con un disegno 13. Ad oggi
tale riproduzione costituisce l’unica immagine del
pezzo, essendo stato perduto l’originale. Il reperto
non suscitò alcun problema di identificazione e lo
studioso che ne fece oggetto di analisi, A. García y
Bellido 14, ne propose un’origine greca.
Ritengo necessario tornare ad esaminare tale oggetto per due ragioni principali: confermarne o meno
l’interpretazione e portare a conoscenza della sua esistenza la letteratura scientifica internazionale.
Il pezzo corrisponde ad un manico di patera di
tipo arcaico: nella parte inferiore si trova una testa di
ariete sopra la quale si colloca un giovane kouros
nudo; questo, con le braccia ad angolo retto, sostiene
una cornice a volute che inquadra una scena con due
arieti contrapposti rispetto ad una palmetta centrale.
La particolarità della cornice-piedistallo è data dalle
volute che, nel registro inferiore, sono orientate verso
l’esterno, in quello superiore sono invece rivolte
6
Cl. Rolley, Production et circulation des vases de bronze, de
la Grande Grèce à l’Europe hallstattienne, «Ocnus» III 1995,
pp. 163-178; Rolley 2002, p. 52; per la discussione ved. Tarditi
1996 con bibliografia.
7
Rolley 1982; 2002, p. 52.
8
K.A. Neugebauer, Reifarchaische Bronzevasen mit zungenmuster, «RM» XXXVIII-XXXIX 1923-1924, pp. 341-440, in
particolare pp. 410-411.
9
Tarditi 1996, p. 172.
Gjødesen 1944.
Gjødesen 1944, p. 131.
12
Amandry 1953; U. Jantzen, Griechische Griffphialen,
«BWPr» CXIV 1958, pp. 5-29.
13
Citato in García y Bellido 1945, p. 285: accanto all’immagine riprodotta nella fig. 2 nell’articolo di García y Bellido appare
anche un’altra riproduzione realizzata da G. Llompart (García y
Bellido 1945, p. 286, fig. 3).
14
García y Bellido 1945, pp. 284-285.
Fig. 1. - Manico da Son Corró (Maiorca): disegno dal Della Marmora del 1840 (García y Bellido 1945, fig. 2).
10
11
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Un manico di patera arcaica
Emiliano
Gjødesen-IIA
Cruccas rinvenuto a Maiorca
A
B
C
Fig. 2. - Confronti: Olimpia (Tarditi 1996) (A); Rutigliano T. 126-1977 Purgatorio (Tarditi 1996); Guardia Perticara T. 218 località San
Vito (Bianco 2002).
verso l’interno e si appoggiano alla nuca dei due capridi.
Questa patera corrisponde al tipo II A di Gjødesen, con paralleli nella T. 126-1977 della necropoli
del Purgatorio da Rutigliano 15, nella T. 218 della località San Vito a Guardia Perticara 16 e in un altro
esemplare di Olimpia 17 (fig. 2).
L’esemplare di Maiorca e i confronti sopra citati
costituiscono una variante per la quale già Ch. Tarditi
aveva proposto una produzione in un unico atelier 18.
Tale variante si caratterizza per la disposizione degli
elementi sul registro superiore e per le caratteristiche
stilistiche dei kouroi. Questi ultimi esibiscono tratti
più arcaici rispetto al gruppo II A di Gjødesen, specialmente nell’acconciatura e nella caratterizzazione
dei tratti anatomici (con attenzione al dettaglio delle
anche e dei muscoli addominali). Il confronto con il
Tarditi 1996, pp. 108-109, cat. 247.
16
S. Bianco, Corredo di bronzi da Guardia Perticara (Potenza), località San Vito, tomba 218 (scavi 6/10/1997), in A.
Giumlia-Mair, M. Rubinich (a cura di), Le arti di Efesto. Capolavori in metallo dalla Magna Grecia, Trieste 2002, p. 220.
15
kouros di Azio, permette di datare il gruppo nel secondo quarto del VI sec. a.C., momento leggermente
anteriore alla cronologia accettata per la maggior
parte degli esemplari del gruppo II A di Gjødesen 19.
L’eterogeneità di siffatto gruppo di Gjødesen lascerebbe ipotizzare una pluralità di centri di produzione,
che per lo studioso sarebbero esclusivamente di ambito magnogreco 20 e per la Tarditi compresi fra la
Magna Grecia e il Peloponneso 21 (fig. 3).
Alcune riflessioni finali
Una riflessione è ad ogni modo necessaria vista la
difficile interpretazione della distribuzione di questo
gruppo di oggetti. Se si considera, come sostiene Ch.
Tarditi, questa piccola produzione proveniente dal
Gjødesen 1944, n. 57; Tarditi 1996, p. 175.
Tarditi 1996, p. 175.
19
Tarditi 1996, p. 175.
20
Gjødesen 1944, p. 140.
21
Tarditi 1996, p. 175.
17
18
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Raimon Graells i Fabregat
Fig. 3. - Carta distribuzione delle patere tipo II-A: Son Corró; Guardia Perticara; Rutigliano; Olimpia (Interactive Ancient Mediterranean - https://iam.classics.unc.edu).
Peloponneso, il nostro esemplare viene a costituire
praticamente l’unico vaso metallico greco che arriva
nell’estremo occidente mediterraneo durante l’arcaismo. D’altra parte, guardando l’andamento della
maggior parte delle importazioni di vasi metallici
verso occidente e ricordando la presenza di due casi
nel territorio dell’Italia Meridionale, si può ammettere una produzione magnogreca.
In questo modo l’esemplare spagnolo si aggiungerebbe alla piccola lista di vasi metallici di questa
origine insieme ad un kyathos di produzione campana
della Cala Sant Vicenç (Maiorca) 22, alla discussa applique d’ansa della Covalta (Valencia) 23, all’applique
del cratere di Cales Coves (Minorca) 24 e, con una
cronologia posteriore, anche ai resti di un cratere in
bronzo dal relitto del Sec (Maiorca) 25.
Nelle Isole Baleari è noto un numero minimo di
tre crateri in bronzo provenienti da distinti contesti e
cronologie. Il frammento più vicino cronologicamente è un aplique a forma di toro che cammina
verso sinistra, custodito al Museo diocesano della
Ciutadella (Minorca) 26. Questo aplique andrebbe
posto sul collo di un cratere in bronzo di tipo laconio, come si deduce dallo stile della stessa figura e
dai vari confronti ravvisabili nella T. I 27 Trebenischte
e a Vix 28. Gli alri esemplari invece sono stati ritrovati
nel relitto del Sec (Maiorca) e corrispondono a distinti frammenti di crateri a volute. Questo tipo presenta un abbondante numero di paralleli: T. 3 di
Mose-Agrigento, Ercolano, Locri, T. A di Derveni, il
Louvre e una collezione privata (collezione Ortiz); a
questi bisogna aggiungere un paio di anse di prove-
Graells i Fabregat 2007.
A. García y Bellido, Nuevos hallazgos griegos de España,
«AEspA» XIV 1941, pp. 524-538, in particolare pp. 531-532,
fig. 23; Graells i Fabregat 2007, fig. 13; J. Vives-Ferrándiz, La
vida social de la vajilla de bronce etrusca en el este de la Península Ibérica. Notas para un debate, «RAP» XVI-XVII 20062007, pp. 318-324. Decorato con una palmetta, che trova dei
paralleli in una lekanis di bronzo da Votonosi (Metsovo, Grecia)
(J. Vokotopoulou, Le trésor des vases de bronze de Votonosi,
«BCH» XCIX, 2 1975, pp. 729-788, in particolare p. 733 sgg.),
nello psykter di bronzo del Metropolitan Museum di NY (D.
Von Bothmer, Newly Acquired Bronzes-Greek, Etruscan, and
Roman, «The Metropolitan Museum of Art Bulletin, New Series» XIX, 5 1961, pp. 133-151, in particolare p. 141 sgg., figg.
7-8) e in varie appliques di situle campane. L’esemplare valenciano, proposto come prodotto di una bottega tarantina (García
y Bellido 1948, p. 109, tav. XLIII, 25), vede confermata la sua
attribuzione in base ai confronti datati in modo omogeneo fra la
fine del VI e l’inizio del V sec. a.C. (C.M. Stibbe, Archaic
Bronze Palmette, «BaBesch» LXXII 1997, pp. 37-64; Rolley
1982), anche se non possiamo affermare a quale tipo di recipiente corrisponde.
24
Graells i Fabregat 2006-2007.
25
Arribas et alii, El Barco de El Sec (Costa de Calviá, Mallorca). Estudio de los materiales, Mallorca 1987; Graells i Fabregat 2007.
26
Kukahn 1969; M. Belén, M. Fernández-Miranda, El fondeadero de Cales Coves (Menorca, Islas Baleares), Madrid 1979,
p. 156.
27
B.D. Filow, Die Archaische Nekropole von Trebenischte am
Ochrida-See, Berlin-Leipzig 1927; Kukahn 1969; Rolley 1982,
p. 58.
28
Rolley 1982.
22
23
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Un manico di patera arcaica
Emiliano
Gjødesen-IIA
Cruccas rinvenuto a Maiorca
nienza sconosciuta, oggi al Metropolitan Museum di
New York, un’altra nel museo di Nimes, due frammenti da Dodona (protome di cigno e una palmetta)
e un’altra protome di cigno da Francavilla Marittima 29. E infine il kyathos dal relitto della Cala sant
Vicenç (Maiorca), con una cronologia tra 525 e 475
a.C., di produzione campana 30.
Questa distribuzione offre un’immagine particolare dell’uso del vasellame metallico arcaico di origine greca: in primo luogo l’assenza di pezzi in siti
indigeni locali ed in seguito la concentrazione di questi nelle Isole Baleari e nella Foce del Segura. Informazione questa che permette di proporre un uso del
vasellame metallico per i commercianti stranieri e
non, come prodotto di commercio o scambio.
Per concludere, il manico di patera preso in esame
in questa sede si rivela utile per continuare a presentare un ricco panorama d’importazioni arcaiche verso
il Mediterraneo occidentale. Produzioni, queste, di
origine magnogreca e italica ogni volta più numerose
e significative che è necessario comprendere e conoscere nell’ambito del Mediterraneo per poter dar loro
il giusto valore negli studi sulla tipologia, sul commercio e sulle relazioni durante l’arcaismo.
Malgrado siano ancora pochi gli elementi che
sono stati riconosciuti come produzioni metalliche
arcaiche di origine magnogreca nel Mediterraneo occidentale, la presenza di ceramica rimane significativa, specialmente per ciò che riguarda le coppe
ioniche e le anfore. La notizia qui presentata, pertanto, non fa altro che richiamare l’attenzione sulla
necessità di una revisione delle collezioni di materiali trovati nella Penisola Iberica e nelle isole Baleari, lavoro tutto da cominciare ma assolutamente
29
Per un dibattito ved. Arribas et alii 1987, pp. 539-541; Tarditi 1996, pp. 57-58, 144-146.
30
Graells i Fabregat 2007.
147
necessario per comprendere le relazioni dell’Occidente mediterraneo con la Magna Grecia e il Mediterraneo orientale.
Abbreviazioni bibliografiche
Amandry 1953 = P. Amandry, Manches de patère et de miroir grecs, «MonPiot» XLVII 1953, pp. 47-70.
García y Bellido 1945 = A. García y Bellido, De arqueologia Balear. Algunos bronces mallorquinos, «AEspA»
XVIII 1945, pp. 284-304.
Garcia y Bellido 1948 = A. García y Bellido, Hispania
Graeca, Barcelona 1948.
Gjodesen 1944 = J. Gjodesen, Bronze paterae with antropomorphus Handles, «ActaArch» XV 1944, pp. 101187.
Graells i Fabregat 2006-2007 = R. Graells i Fabregat, Los
prótomos de caldero de tipo oriental en la Península
Ibérica: aproximación al problema y valoración,
«RAPon» XVI-XVII 2006-2007, pp. 292-299.
Graells i Fabregat 2007 = R. Graells i Fabregat, El kyathos de la Cala Sant Vicenç y las producciones de vajilla metálica en Campania durante época arcaica: el
ejemplo de los kyathoi con mango horizontal, «Empúries» LV 2007, pp. 95-122.
Graells i Fabregat 2008 = R. Graells i Fabregat, Vasos de
bronce con asas “a kouroi” en el occidente arcaico: a
la luz de un nuevo ejemplar procedente de Cuenca,
«ArchEspA» LXXXI 2008, pp. 201-212.
Kukahn 1969 = E. Kukahn, Una aplicación de una krátera de bronce, griega (X Congreso Nacional de Arqueología, Mahón 1967), Zaragoza 1969, pp. 440-441.
Rolley 1982 = Cl. Rolley, Les vases de bronze de l’archaïsme récent en Grande-Grèce, Napoli 1982.
Rolley 2002 = Cl. Rolley, Produzione e circolazione dei
bronzi nella Magna Grecia, in A. Giumlia-Mair, M.
Rubinich (a cura di), Le arti di Efesto. Capolavori in
metallo dalla Magna Grecia, Trieste 2002, pp. 51-57.
Tarditi 1996 = C. Tarditi, Vasi di Bronzo in area apula.
Produzioni greche, ed italiche di età arcaica e classica,
Galatina 1996.
Weber 1983 = T. Weber, Bronzekannen. Studien zu ausgewählten archaischen und klassischen Oinochoenformen aus Metall I Griechenland und Etrurien, Frankfurt
1983.
SIRIS 10,2009 - Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-618-0- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it
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Siris 10,2009, 149-166
Ceramica da contesti medievali e post-medievali
di Piazza Castello a Taranto
di Anna Colangelo, Annarita Stigliano
A Taranto, tra il 1992 e il maggio del 1993, nell’ambito degli interventi di sistemazione del tempio
dorico tradizionalmente noto come Poseidon sotto la
direzione di A. Dell’Aglio, è stato compiuto uno
scavo in estensione nell’area in origine occupata dal
Convento settecentesco dei Celestini, dalla chiesa
della SS. Trinità e da Palazzo Mastronuzzi 1. Nel
corso dell’operazione sono emerse due strutture scavate nel banco tufaceo definite nella documentazione
di scavo “pozzi-silos”, a sezione ovoidale e con giro
di pietre attorno all’imboccatura, e cinque “butti”
(semplici buche nel terreno), tutti databili all’età medievale (figg. 1-2).
L’area era stata già indagata nel 1881 da L. Viola 2
e negli anni Sessanta da A. Stazio 3, al fine di ricostruirne le diverse fasi di occupazione, dall’edificazione in età arcaica del tempio dorico, probabilmente
dedicato ad una divinità femminile, alla consacrazione di un altare alla Vergine Madre dei Martiri ed,
infine, di una chiesa, che ne avrebbe conservato l’intitolazione 4.
Agli inizi del XV secolo tale luogo di culto, proprietà della nobile Messana di Taranto, venne donato
ai Padri Celestini che, attorno al 1450, vi realizzarono un monastero 5. Sotto lo stesso titolo di Santa
Maria dei Martiri è nota anche una confraternita laicale, alla quale fu donata qualche anno dopo dalla nobile Elisabetta da Ventura una chiesa attigua alla
prima, dedicata a S. Maria dell’Annunziata. Tale elargizione, tuttavia, ebbe breve durata, terminando con
lo scioglimento della confraternita subito dopo l’arrivo dei Celestini.
Agli inizi del XVI secolo un erede della famiglia
Ventura concesse la chiesa di S. Maria dell’Annunziata ai Padri Celestini, che la unificarono al complesso di Santa Maria dei Martiri. Sorse tuttavia una
controversia con la confraternita di Santa Maria dei
Martiri, che nel frattempo si era riorganizzata e aveva
rivendicato il patronato dell’Annunziata. Nel 1504
venne quindi stipulata una convenzione, secondo la
quale la nuova chiesa dell’Annunziata sarebbe stata
gestita in comune dalla confraternita e dal monastero.
Il complesso assunse la denominazione di SS. Trinità dei Pellegrini a partire dal XVII secolo 6. Distrutto nel 1729, venne ricostruito in forme
monumentali 7, vivendo la sua fase di massimo splendore.
Alla fine del XVIII secolo l’ordine dei Celestini
sembra attraversare una fase di decadenza, confermata da alcuni atti notarili in cui si parla di un riutilizzo dell’“ex convento dei Celestini” come “Reale
opificio” di Taranto 8.
Nel 1801 con l’arrivo in città dell’esercito francese il complesso divenne “Comando generale di
Piazza” 9.
Infine, agli inizi del ‘900, nell’area occupata dal
1
Il lavoro di revisione completa e il tentativo di contestualizzazione dei materiali provenienti da queste indagini sono stati
svolti nell’ambito di una tesi di laurea specialistica in Archeologia e storia dell’arte cristiana e protobizantina presso l’Università
degli Studi di Bologna (relatore: prof. I. Baldini). Si ringrazia per
l’autorizzazione allo studio dei reperti il Soprintendente della Puglia, dott. G. Andreassi. La ricerca è stata agevolata dalla disponibilità e dal costante aiuto della dott.ssa A. Dell’Aglio, Direttore
del Museo Archeologico Nazionale. Un sentito ringraziamento
va inoltre alla dott.ssa L. Masiello, responsabile dei Magazzini
Materiale Archeologico e alla dott.ssa A. Zingariello, responsabile dell’Archivio Grafico e Fotografico. Alla dott.ssa S. De Vitis
si deve la documentazione di scavo depositata presso la Soprintendenza della Puglia. A F. Giletti e a D. Carrafelli si deve l’elaborazione della pianta presentata alla fig. 1.
2
L. Viola, Taranto «NSc» 1881, pp. 379-383: un primo ten-
tativo di indagine venne successivamente proposto nel corso dei
lavori per la demolizione del Convento dei Celestini per far posto
al Palazzo delle Poste. Un altro intervento venne compiuto dal
Soprintendente C. Drago, ma lo scoppio del secondo conflitto
mondiale bloccò l’operazione. Negli anni Sessanta l’Amministrazione Comunale di Taranto mise a disposizione della Soprintendenza altre aree utili per l’esecuzione dei saggi che, dunque,
furono avviati nel settore prospiciente via Duomo.
3
Stazio 1966, p. 293.
4
Stazio 1966, pp. 294-295.
5
Tarantini 1996, p. 57.
6
Tarantini 1996, p. 58.
7
Stazio 1966, p. 295.
8
Tarantini 1996, p. 61.
9
Tarantini 1996, p. 62.
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150
Anna Colangelo, Annarita Stigliano
Fig. 1. - Taranto, Piazza Castello, planimetria generale con indicazione dell’area di scavo e ubicazione dei contesti analizzati.1: buca
(riempimento: US 205); 2: silos (riempimento: US 147); 3: buca (riempimento: US 185); 4: buca (riempimento: US244); 5: silos (riempimento: US 271); 6: buca (riempimento: US 192).
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151
Ceramica da contesti medievali
Emiliano
e post-medievali
Cruccas di Piazza Castello a Taranto
Silos
US 148
Fossa
US 185
3
2
Fossa
US192
3
Ceramica a vernice nera
Unguentari
Anfore Dressel 2-4
1
Anfore Late Roman 1
1
Terra sigillata italica
Terra sigillata africana
1
Comune acroma
1
59
9
Ceramica da fuoco
24
35
Ceramica incisa
1
1
3
Pietra ollare
2
Anfore medievali
1
Ceramica dipinta a bande
1
59
Invetriata d’ispirazione
bizantina
Invetriata monocroma
verde
Ceramica con vetrina
incolore
Invetriata monocroma
gialla
Invetriata da fuoco
1
Protomaiolica
Invetriata policroma
1
Lucerne
Fig. 2. - Tabella illustrativa del numero di frammenti per classi e per US.
vecchio Convento dei Celestini e dall’ex chiesa della
Trinità, si avviarono i lavori di demolizione per far
posto alla sede dell’ufficio postale; questi vennero interrotti dal rinvenimento di reperti archeologici collegabili ai resti di colonne già visibili nell’oratorio
della chiesa, pertinenti al tempio dorico della prima
metà del VI sec. a.C. 10.
I cinque butti e i due silos presi in esame, ubicati
verosimilmente in corrispondenza della chiesa della
SS. Trinità, conservavano riempimenti omogenei:
– US 148: riempimento del silos 149 (fig. 1.2);
– US 185: riempimento della fossa 184 (fig. 1.3);
– US 192: riempimento della fossa 191 (fig. 1.6);
– US 196: riempimento della fossa 195 11;
– US 205: riempimento della fossa 204 (fig. 1.1);
– US 244: riempimento della fossa 243 (fig. 1.4);
– US 271: riempimento del silos 270 (fig. 1.5).
Si tratta di contesti formatisi artificialmente e interpretabili come discariche: infatti, insieme al mateTarantini 1996, p. 66.
Di questo contesto non è stato possibile reperire alcuna documentazione grafica.
12
Sulle classi individuate ved. in generale, E. De Juliis, Mille
anni di ceramica in Puglia, Bari 1997.
10
11
Fossa
US 196
1
1
30
26
3
Fossa
US 205
5
1
Fossa
US 244
2
1
86
51
9
1
2
15
19
1
Fossa
US 271
2
1
1
1
65
29
2
2
8
3
12
2
9
1
1
4
7
23
46
3
riale ceramico, sono emersi resti di natura faunisticoorganica (ossa di bovini, mandibola di un roditore, lische di pesce, testa di un gabbiano e un uovo) e
inorganica (tegole, coppi, frammenti di carparo,
calce, scorie vetrose e ferrose, frammenti di tufo).
Per quanto riguarda l’insieme delle classi ceramiche analizzate (fig. 3), si riscontra una netta prevalenza dei prodotti d’uso comune, rappresentati
soprattutto dai contenitori acromi e da fuoco. La ceramica decorata e/o rivestita, seppure numericamente
inferiore, ricopre comunque un ruolo fondamentale
per la ricostruzione degli orientamenti culturali e dei
rapporti di scambio della città nel contesto del Mediterraneo.
(A.C.-A.S.)
1. Ceramica ellenistico-romana e tardoantica
All’interno dei contesti medievali trattati è stata
rinvenuta costantemente ceramica residuale 12. Lo
stato estremamente frammentario di questi materiali
non consente tuttavia di effettuare considerazioni dettagliate sulla morfologia dei manufatti.
La classe ceramica più antica è quella a vernice
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8
1%
Ceramica
ellenistico romana
12 23 07
24
1%
0% 4% 0%
4%
48
8%
17
3%
3
0%
258
44%
51
8%
10
2%
6
1%
141
23%
Comune Acroma
Ceramica da fuoco
Pietra ollare
Ceramica dipinta
Incisa
Invetriata
bizantina
Invetriata
monocroma
Invetriata da
fuoco
Invetriata policroma
Protomaiolica
Anfore
Lucerne
1%
44%
23%
1%
8%
2%
0%
4%
1%
8%
4%
3%
1%
Fig. 3. - Percentuali delle classi ceramiche analizzate nei diversi contesti.
nera di età ellenistica, rappresentata soprattutto da
frammenti di parete. In tale gruppo si possono individuare un frammento di parete ad uno skyphos; un
piede di lekythos e altri sette piedi, tra i quali due ad
anello, riferibili ad una coppa/tazza.
Sono presenti anche due frammenti di parete appartenenti alla produzione sovraddipinta locale (c.d.
Gnathia), nella decorazione a baccellature di fase
avanzata. È attestata inoltre la classe a pasta grigia,
rappresentata da un frammento di parete e da un’ansa
di lucerna.
Tra i frammenti pertinenti alle anfore di età romana si segnalano un puntale di probabile produzione greco-italica, un’ansa Dressel 2-4 e l’ansa di
un’anfora orientale Late Roman 1.
Sono emersi solo tre frammenti di Terra Sigillata,
due dei quali di fabbricazione africana e uno di produzione italica.
Alcuni frammenti sono riconducibili invece alla
ceramica da fuoco: si tratta di un’ansa e di alcuni
frammenti di coperchi.
Sono attestati anche cinque frammenti di unguentari, di cui si conservano soprattutto i fondi, in massima parte acromi.
Sono presenti infine fusaiole, pesi da telaio di
13
Per un inquadramento generale si rimanda a Lusuardi Siena
1994.
forma tronco-piramidale, alcuni vasetti miniaturistici,
una terracotta figurata e un oscillum.
2. Ceramica non rivestita
a) Ceramica comune acroma
La ceramica comune acroma 13 è presente in tutte
le US studiate e si divide in due gruppi principali
sulla base degli impasti:
– ceramica in argilla rossastra, di colore variante dal
rosa al camoscio, al rosso ruggine, dura, compatta
e per lo più depurata; nella maggior parte dei casi
la superficie si presenta ingobbiata;
– ceramica in argilla color camoscio-grigiastro; l’impasto è duro, a frattura netta, abbastanza depurato.
Il numero delle forme riconoscibili è limitato: si
tratta sia di forme chiuse che aperte, le prime quantitativamente superiori alle seconde 14. Quelle identificabili sono essenzialmente anforette, boccali, olle e
ciotole (fig. 4a). Le anforette e i boccali, nella frammentarietà dei reperti, documentati in tutti i contesti
di rinvenimento, presentano anse a nastro verticale, a
volte a sezione ovoidale, e fondi piani; la forma del
corpo non è pienamente valutabile, sebbene si possa
14
Lo stesso dato si riscontra nel sito di Carminiello ai Mannesi: Arthur 1994, p. 181.
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Ceramica da contesti medievali
Emiliano
e post-medievali
Cruccas di Piazza Castello a Taranto
153
notare solitamente un profilo globulare. Le olle, restituite solo da due unità stratigrafiche 15, sono a corpo
globulare con spalla ampia e collo breve appena svasato; l’orlo, conservato solo in pochi esemplari, di solito è semplice. Le ciotole, provenienti soprattutto
dalla US 271, sono caratterizzate da un orlo semplice
o estroflesso, appiattito verso l’esterno, e da una
vasca ampia e ribassata.
b) Ceramica da fuoco (fig. 5)
Tutti i contesti hanno restituito ceramica da fuoco,
in molti casi in stato estremamente frammentario, raramente forme complete 16. Il dato più evidente
emerso dal totale dei materiali è la presenza esclusiva di forme chiuse, che differiscono non soltanto
per il tipo di impasto, ma anche per lo spessore; non
sono emersi resti di coperchi.
La forma più diffusa è l’olla, sia intera che in
frammenti. Le caratteristiche generali della tipologia
sono: orlo estroflesso, corpo globulare, fondo piano
e una o due anse a nastro verticale applicate al di
sotto della bocca e sulle spalle. Se ne possono distinguere cinque tipi, individuabili in due forme principali con alcune varianti:
a) olla biansata:
– tipo 1, olla biansata 17 con orlo estroflesso arrotondato, corpo globulare, anse a nastro verticale
impostate sotto l’orlo fino all’inizio della pancia,
fondo piano (fig. 5, 1).
– tipo 2, olla biansata 18 con orlo leggermente estroflesso, alquanto appiattito, corpo più affusolato dei
tipi precedenti, anse a nastro verticale, fondo piano
(fig. 5, 2).
b) olla monoansata:
– tipo 1, olla monoansata 19 con orlo estroflesso, arrotondato e ispessito verso l’esterno, corpo marcatamente globulare, fondo piano, una sola ansa a
nastro impostata sotto l’orlo (fig. 5, 3).
US 205, 271.
Per i confronti sugli esemplari dei ceramica da fuoco si rimanda a V. Carsana, Ceramica da cucina tardo antica e alto medievale, in Arthur 1994, pp. 238-240; G. Volpe et alii, La
produzione di ceramica da fuoco di San Giusto (Lucera, Foggia)
dall’approvvigionamentodella materia prima alla commercializzazione del manufatto, in B. Fabbri et alii (a cura di), Tecnologie di lavorazione e impieghi dei manufatti (Atti della VII
Giornata di Archeometria della Ceramica. Lucera, 10-11 aprile
2003), Bari 2005, pp. 42-45.
17
US 205, 112.
18
US 205, 113.
19
US 205, 114.
15
16
Fig. 4. - A: ceramica comune acroma, ciotola (US 271, 76). B: anfora di produzione subregionale (US 205, 105). C: ceramica con
decorazione dipinta secondo il motivo “ad uccelli”, anfora (US
192, 114).
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154
Anna Colangelo, Annarita Stigliano
I materiali provenienti dalla
US 205 hanno pareti spesse, gli
esemplari pertinenti alla US 192,
tranne qualche eccezione, sono
più sottili.
La maggior parte dei frammenti provenienti dalla US 192 si
può ricondurre al tipo b, 3, quelli
dell’US 205 ai tipi a, 1-2 e b, 1-2.
Ceramica da fuoco con pareti
piuttosto sottili si riscontra anche
nella US 185: oltre a numerosi
frammenti di parete, è attestato
un fondo intero con parte di parete, relativo forse ad un’olla.
Molto più esigua, dal punto di
vista quantitativo, è la percentuale di frammenti relativi alle
US 196 e 244, nelle quali non si
riscontra nessun profilo ricostruibile. Da un unico contesto non è
emersa ceramica da fuoco 22.
c) Ceramica dipinta a bande (fig.
6)
La ceramica dipinta a bande è
ampiamente rappresentata. I manufatti sono realizzati in argilla di
colore rossastro o giallo pallido,
con sfumature grigiastre; la superficie esterna il più delle volte è
rivestita da un ingobbio bianco o
color crema, in alcuni casi tendente al rosso nocciola.
Nonostante il numero consiFig. 5. - Ceramica da fuoco: 1. US 205, 112. 2. US 205, 113. 3. US 205, 114. 4. US 205,
110-111. 5. US 271, 105.
stente dei frammenti rinvenuti 23,
i vasi ricostruibili per intero o
– tipo 2, olla monoansata 20 con orlo semplice arroparzialmente sono pochi. A prevalere sono nettatondato, corpo emisferico, una sola ansa a nastro
mente le forme chiuse rispetto a quelle aperte. Le
verticale impostata sotto l’orlo fino alla spalla,
prime sono attestate da anfore di ampie proporzioni,
fondo piano (fig. 5, 4).
il cui profilo è scarsamente valutabile sulla base dei
– tipo 3, olla monoansata 21 con orlo inclinato verso
frammenti conservatisi, costituiti più di tutto da pal’esterno e appiattito, corpo semi-globulare, fondo
reti, anse nastriformi, in alcune casi a sezione ovale,
piano, piccola ansa a nastro in stato frammentario,
lisce all’interno e all’esterno. Soltanto la US 192 ha
di cui resta solo l’attacco a livello della spalla (fig.
restituito il profilo intero di un’anfora a fondo piano
5, 5).
e corpo globulare con orlo estroflesso (114), (fig. 4c);
Si tratta del silos US 148.
Provenienti soprattutto dalle US 192, 74-114; US 205, 120140, US 271, 110-116.
22
US 205, 110-111.
21
US 271, 105.
20
23
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Ceramica da contesti medievali
Emiliano
e post-medievali
Cruccas di Piazza Castello a Taranto
155
inoltre, sono presenti due olle
complete (112-113), di cui una
monoansata (113), rinvenute
sempre nella stessa unità stratigrafica, a corpo globulare con
spalla ampia, collo breve appena
svasato verso la bocca ad orlo
estroflesso e appiattito verso
l’esterno (fig. 6, 3-4).
Sono interessanti anche due
brocchette (110-111), formate da
un corpo piriforme, un lungo
collo svasato verso la bocca e terminante in un orlo semplice o trilobato (fig. 6, 1-2) 24.
Le forme aperte sono rappresentate solo da un frammento di
orlo semplice, probabilmente appartenente ad una ciotola 25. La
decorazione consiste in bande
larghe, bande strette e motivi caratteristici della ceramica dipinta
a uccelli 26. Il motivo a bande larghe 27 è dipinto prevalentemente
in rosso, opaco, steso ad ampie
pennellate.
Gli elementi ornamentali sono
molto semplici: si tratta di fasce
verticali o che descrivono ampie
curve, raramente di linee annodate, che in un solo caso sono accompagnate da motivi incisi
ondulati.
Significativa a tal proposito è
una brocchetta 28 a corpo ovoidale Fig. 6. - Ceramica con decorazione dipinta a bande: 1. US 192, 110. 2. US 192, 111. 3. US
a ventre basso, base piana e collo 192, 113. 4. US 192, 112.
lievemente espanso con orlo tridipinti in colore variabile da rosso ruggine a nero-grilobato, piuttosto frammentario; la decorazione, esclugiastro opaco e sottile, steso a pennellate strette; l’orsivamente esterna, è formata da tre fasce verticali
nato è geometrico e si articola in molteplici giri
rosse, piuttosto larghe e a margini incerti.
spiraliformi.
La decorazione a bande strette 29 è testimoniata da
La ceramica dipinta ad uccelli 30, tipica dell’Italia
un’ansa a nastro (116) e da un frammento di fondo
Meridionale, comprende un numero considerevole di
(117) restituiti dalla US 271: i motivi decorativi sono
24
Per confronti ved. G. Pacilio, Rutigliano storia, scavo, restauro, Bari 1987.
25
US 192, 100.
26
Torre di Mare I, p. 187; Tagliente 2009, pp. 273-282: in questi testi viene adottata dal punto di vista terminologico la sola definizione di ceramica dipinta a bande, comprendendo in essa tutte
le varianti decorative caratteristiche di tale produzione.
27
Per ulteriori analogie si rimanda a Patitucci Uggeri 1976,
p. 278
28
US 192, 111.
29
Patitucci Uggeri 1977, pp. 272-273.
30
Per un inquadramento generale vedi S. Patitucci Uggeri, La
ceramica a uccelli. Un nuovo tipo di ceramica tardomedievale
pugliese, «Faenza» LXVI 1980, pp. 259-267.
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Anna Colangelo, Annarita Stigliano
d) Ceramica a decorazione incisa (fig. 7)
Frammenti caratterizzati da decorazione incisa 36
sono abbastanza diffusi, sebbene in quantità non rilevanti. Tutti i contesti ne hanno restituito qualche
frammento 37.
I motivi decorativi, molto semplici, sono applicati
su ceramica acroma depurata, dal colore variabile tra
il rosa e il giallo chiaro. Oltre al tipo inciso ottenuto
“a pettine”, individuabile su due pareti 38, il più ricorrente prevede una decorazione ad onda, che si riscontra su frammenti di parete, ma anche su orli
estroflessi appiattiti 39. Un’altra decorazione è quella
a fasci di linee curve 40, individuabile anche su una
brocchetta monoansata 41, l’unica forma intera attestata per questa classe (fig. 7, 2).
e) Anfore (fig. 7)
Le anfore, sia acrome che dipinte, sono realizzate
in argilla rossastra o giallo pallido, ben depurata e
spesso ricoperta da un ingobbio color crema 42.
Gli esempi, rinvenuti in quasi tutte le US, sono
rappresentati da numerosi frammenti riconducibili
alle bocche e alle anse o al corpo e ai fondi; esigui
invece sono i frammenti di spalla.
Le forme ricostruibili presentano un corpo sostanzialmente globulare, più o meno allungato; il
collo è corto e largo, il fondo, poco conservato, è
piano. Le anse, a nastro verticale leggermente schiacciato o a sezione ovale, sono lisce all’interno, mentre
all’esterno sono percorse da larghe solcature a margini arrotondati; la loro larghezza è considerevole e
normalmente sono attaccate sul collo e sulla spalla o
nel punto di massima espansione del corpo. La bocca
assume generalmente la forma di un orlo estroflesso
ed appiattito 43.
Nella US 205 si è conservato il profilo parziale di
un’anfora a corpo globulare (74) con ansa nastriforme a sezione ovale, attraversata esternamente da
tre ondulazioni verticali, caratterizzato da evidenti
segni di tornitura all’interno e da una superficie visibilmente incrostata (fig. 7, 1).
Sempre la stessa US ha restituito un’anfora a
corpo globulare (115-117), realizzata in argilla color
giallo pallido, ben depurata, la cui decorazione, formata da un semplice motivo ad “onda” ottenuto tramite l’asportazione di argilla in senso verticale, si
distribuisce dal collo fino alla pancia ed è solcata da
ampie pennellate verticali dipinte in rosso (fig. 4b).
L’anfora, databile ad un arco temporale compreso tra
il X e il XI sec. inoltrato, sembra appartenere allo
stesso orizzonte cronologico e produttivo delle brocche decorate tramite l’asportazione di argilla in senso
verticale con una sgorbia o strumento simile, ampiamente diffuse nel territorio salentino 44.
Dalle US 192 e US 205 proviene un gran numero
di pareti di anfora dipinte a uccelli, la cui forma non
Tagliente 2009, p. 275: la studiosa, nell’ambito della tipologia decorativa tradizionalmente definita ad uccelli, distingue il
motivo decorativo a spirali, considerandolo un indicatore cronologico dei secoli XIII-XIV.
32
Essi sono visibili su una parete proveniente dalla US 271,
114.
33
US 192, 96- 98.
34
US 192, 102-103 e US 205, 134-136.
35
US 192, 74-95 e US 205, 120-132.
36
La questione è stata ampiamente affrontata da N. Cuomo di
Caprio, Ceramica rustica tradizionale in Puglia, Galatina 1982.
Ad eccezione della US 205.
US 148, 2; US 192, 71.
39
US 196, 59-60; US 185, 91; US 271, 108-109.
40
US 192, 72.
41
US 192, 73.
42
Excavations at Otranto II, pp. 206-216.
43
M. Leo Imperiale, Struttura e tecnologia delle fornaci da
vasaio di età bizantina ad Otranto (Le), in Fiorillo, Peduto 2003,
pp. 674-677.
44
Sono grata a M. Leo Imperiale per questa indicazione.
frammenti di pareti, difficilmente valutabili dal punto
di vista formale, con decorazione dipinta in una tonalità variante dal rosso-arancio al nerastro. Il repertorio
decorativo mostra motivi vegetali e geometrici 31: il
soggetto geometrico più diffuso è una grossa spirale a
più giri, accompagnata da elementi vegetali assimilabili per lo più a ciuffi di foglie 32.
Esempi di decorazioni geometriche sono anche le
linee circolari che corrono su alcune bocche 33 e le
semplici pennellate verticali che percorrono le anse 34.
La decorazione vegetale, invece, consiste in fogliette sparse e soprattutto in ciuffi di fogliame a macchia, ricorrenti su numerosi frammenti di pareti 35. La
decorazione vegetale è presente anche nelle olle integre a corpo globulare della US 192 (112-113), dalla
quale proviene un’anfora (114) il cui ornato si articola in motivi curvilinei, non meglio leggibili, stesi a
pennellate larghe e in piccoli trattini trasversali, principalmente distribuiti sulla spalla.
Nella ceramica dipinta a uccelli dei contesti esaminati è del tutto assente il suo motivo peculiare, costituito da grandi uccelli ad ali spiegate sia isolati che
sovrapposti su più file, che campeggiano tra elementi
vegetali stilizzati.
31
37
38
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Ceramica da contesti medievali
Emiliano
e post-medievali
Cruccas di Piazza Castello a Taranto
157
Dalla US 192 proviene inoltre
un’anfora dipinta (114), il cui
profilo è stato ricostruito quasi
per intero: a corpo globulare, ha
la base piana, il collo leggermente svasato e la bocca con orlo
estroflesso. La decorazione dipinta in rosso opaco interessa il
collo, la spalla e la parte superiore del corpo su entrambi i lati.
Essa consiste in motivi curvilinei
stesi a pennellate larghe e da piccoli trattini trasversali, principalmente distribuiti sulla spalla (fig.
4c).
Si riscontra, infine, la parte
terminale di una forma chiusa,
con molta probabilità un’anfora
(115), decorata esternamente a
pennellate larghe verticali dipinte
in bruno.
3. La pietra ollare
Fig. 7. - Anfora, ceramica incisa: 1. US 205, 74. 2. US 192, 73.
è attribuibile. La decorazione è di colore opaco rosso
o bruno, più o meno diluito e striato; dominante risulta l’ornato geometrico, con nodi, linee rette ed ondulate, alle quali si mescolano elementi vegetali in
prevalenza costituiti da ciuffi di foglie a macchia.
Non meno rilevanti sono le anse a nastro verticale,
anch’esse abbondantemente presenti nelle due US,
percorse da pennellate orizzontali leggermente ondulate di colore rosso o bruno.
M. Sannazaro, La pietra ollare, in Lusuardi Siena 1994, pp.
157-188.
46
Tale classe proviene dalle US 185, US 205, US 271.
45
La pietra ollare 45 è poco rappresentata 46. Si tratta di quattro
orli: due esemplari sono affusolati, arrotondati o appiattiti superiormente 47, mentre un altro è
estroflesso ed appiattito 48; caratteristico è inoltre l’orlo estroflesso
ed arrotondato 49.
Gli orli provenienti dalla US
185 conservano ancora parti di pareti (91-92); nel primo caso le superfici interna ed esterna sono lisciate (91); nel secondo
invece, l’interno mostra evidenti segni di tornitura e
l’esterno è interessato da una decorazione millerighe
(92).
L’unico frammento riconducibile ad un fondo è
stato rinvenuto nel silos US 271 (117). Data l’esiguità
dei frammenti non è stato possibile valutare con precisione la forma di appartenenza.
(A.S.)
US 185, 91-92.
US 205, 118.
49
US 271, 109.
47
48
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4. Ceramica rivestita
a) Ceramica invetriata d’ispirazione bizantina
Le prime invetriate d’ispirazione bizantina 50 sono attestate
solo in una unità stratigrafica 51,
con tre frammenti riferibili ad un
orlo estroflesso (118), un’ansa
(119) e un fondo piatto (120).
Questi frammenti sono realizzati
in argilla rossa, compatta ed uniforme, con occasionali inclusi
bianchi.
Data la scarsità dei rinvenimenti, nessuna forma è completamente ricostruibile. La vetrina
ricopre per lo più l’interno dei
frammenti, sebbene l’orlo (118)
presenti il rivestimento vetroso
anche all’esterno; piuttosto spessa
e lucente, è di colore variabile dal
verde oliva al marrone chiaro. Non
sono presenti invece le tipiche decorazioni a petali applicati 52.
Fig. 8. - Ceramica invetriata monocroma; ceramica protomaiolica brindisina: 1. US 271,
128. 2. US 271, 130. 3. US 271, 134. 4. US 271, 144. 5. US 271, 212.
Paroli 1992, pp. 33-61: le prime testimonianze di ceramica
invetriata bizantina risalgono al VII sec. e sono rinvenute a Yassi
Ada e a Saraçhane. La Paroli sostiene che anche nel caso della ceramica a vetrina pesante altomedievale tutto lasci supporre che la
sua rinnovata fioritura, dopo l’età tardoantica, non solo a Roma
ma in tutta l’Italia centro-meridionale, sia dovuta essenzialmente
ai durevoli intensi contatti con il mondo bizantino, dove produzioni simili conoscono larga diffusione proprio nello stesso periodo raggiungendo anche l’Italia.
51
US 271, 118-120.
52
Paroli 1992, pp. 33-35: si tratta, com’è noto, di petali ap50
b) Ceramica invetriata monocroma (fig. 8)
L’unico contesto che ha restituito ceramica invetriata verde 53 è
uno dei due silos 54. La maggior
parte dei frammenti è costituita da
pareti 55 e orli 56, mentre più esigui
in numero sono i fondi 57.
Ad eccezione di un orlo semplice 58, relativo forse ad una ciotola e ricoperto da vetrina verdeoliva scuro, lucida e compatta
(figg. 8, 1-2), tutti gli altri orli sono
estroflessi e appiattiti. L’invetria-
plicati fittamente e realizzati con una certa ricercatezza, evocando
la ceramica cosiddetta “Petal Ware” di produzione bizantina.
53
P. Arthur, Le prime ceramiche invetriate monocrome in
Terra d’Otranto («Quaderni di Archeologia medievale» III), Firenze 2000, pp. 159-166.
54
US 271, 121-132.
55
US 271, 122-125.
56
US 271, 126-130.
57
US 271, 131-132.
58
US 271, 128.
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Ceramica da contesti medievali
Emiliano
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Cruccas di Piazza Castello a Taranto
159
tura, per questi ultimi, varia dal verde scuro al verde
chiaro e spesso si presenta in cattivo stato di conservazione, tendendo in alcuni casi al giallo, in altri all’azzurro.
Migliore, dal punto di vista dello stato di conservazione, è la vetrina delle pareti, rivestite talvolta solo
all’interno, in altri casi su entrambe le superfici. Le
coperture, compatte e lucide (solo un frammento reca
uno strato di vetrina sottilissimo e opaco), variano dal
verde chiaro al verde scuro. Nel totale dei frammenti
si individuano due piedi ad anello, rivestiti solo all’interno. In un caso 59 la vetrina piombifera è abbastanza rovinata, cangiante nel colore in alcuni punti,
similarmente a quanto già esposto per le pareti. L’altro piede 60, invece, è ricoperto da un’invetriatura di
colore verde scuro, più lucida e compatta, conservata
però solo a macchie. Un dato importante relativo a
questo pezzo è la presenza nel rivestimento di bolle
che potrebbero essere interpretate come difetti di cottura. Gli impasti ceramici sono depurati, mentre le
forme sono tutte aperte.
Sempre solo dallo stesso silos provengono gli
unici due frammenti di ceramica a vetrina incolore. Si
tratta di una piccola ansa 61 e di un profilo di forma
chiusa 62 (fig. 8, 3). Lo stato di conservazione della
vetrina è pessimo. Essa è presente sia sulla superficie
esterna che su quella interna; gli impasti dono depurati e, per la forma chiusa, anche sottili.
Solo due frammenti sono riconducibili all’invetriata marrone 63. Si tratta di un orlo estroflesso 64 ricoperto da vetrina marrone chiaro, lucida, attestata
su entrambe le superfici e di un attacco d’ansa con
parte di collo 65: la parte esterna è caratterizzata da un
rivestimento marrone scuro, lucido; invece la parte
interna dell’attacco del collo ha una vetrina giallina,
sottile e non molto lucente.
Gli impasti risultano molto depurati; lo stato frammentario dei due pezzi non permette di individuarne
la forma.
Un frammento di parete rivestita da vetrina
gialla 66 compatta è venuto alla luce dalla US 196 67;
tutte le altre attestazioni provengono invece dall’US
271 68. La classe è rappresentata da pareti, anse a nastro, piedi ad anello e due tazze carenate, in buona
parte conservate.
Le pareti recano una vetrina abbastanza lucida, e
ben conservata, più sottile e in parte asportata sulle
anse. I piedi ad anello conservano solo a macchie la
vetrina che è sottile e poco lucida. Le due tazze carenate 69 sono ricoperte da un rivestimento più compatto
e lucido all’interno, più sottile all’esterno. Gli impasti sono chiari e depurati (fig. 8, 4).
US 271, 131.
US 271, 132.
61
US 271, 133.
62
US 271, 134.
63
Anche in questo caso si tratta di tipologie ceramiche molto
diffuse nei contesti meridionali, sebbene in quantità spiccatamente inferiore rispetto all’invetriata verde. Confronti possono
essere individuati con il materiale proveniente da Mesagne: Patitucci Uggeri 1977, pp. 228-229.
64
US 271, 135.
65
US 271, 136.
A.M. Flambard, Gh. Noyè, La ceramica medievale dal castello di Scribla in Calabria, in Fontana, Vassallo 1984, pp. 468471: la panoramica offerta dal castello di Scribla è significativa
delle varianti riscontrabili in tutta l’Italia Meridionale.
67
US 196, 62.
68
US 271, 137-145.
69
US 271, 144-145.
70
P. Tagliente, La ceramica nell’età di transizione nella Puglia Meridionale: la fine delle “RMR” l’inizio delle produzioni
graffite, in Fiorillo, Peduto 2003, pp. 153-155.
71
US 271, 212.
59
60
c) Ceramica invetriata policroma (fig. 9)
La ceramica invetriata policroma rinvenuta comprende due tipi principali: la ceramica con decorazione in verde e bruno e quella decorata in verde,
bruno e rosso 70. La classe era impiegata come vasellame da mensa: i frammenti rinvenuti provengono
esclusivamente dalla US 271 e presentano impasti diversi, di colore variabile dal giallo pallido al camoscio-rosato, abbastanza depurati, duri e compatti.
Gran parte dei frammenti è sprovvista di ingobbio; sembrerebbe invece che la stessa superficie sia
stata sbiancata in cottura, con applicazione diretta
della vetrina solitamente trasparente o giallina; solo
in qualche caso si nota un sottile ingobbio bianco
crema.
Sono presenti sia forme aperte, numericamente
più rilevanti, che chiuse. La forma aperta meglio rappresentata è la ciotola 71 (fig. 9, 2). Questa forma per
la maggior parte è a curvatura uniforme o leggermente carenata, con piede ad anello. L’orlo appuntito
o arrotondato può essere: lievemente ingrossato ed
ispessito sia all’interno che all’esterno, appena piegato verso l’interno e leggermente ispessito verso
l’esterno, ispessito sia internamente che esternamente, largo piano e rientrante, largo a sommità concava, molto appiattita o a lieve curvatura convessa.
66
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Fig. 9. - Ceramica invetriata policroma; protomaiolica gelese; lucerna: 1. US 271, 213. 2. US
271, 196. 3. US 271, 192. 4. US 271, 222.
US 271, 196.
US 271, 188.
74
US 271, 189.
75
Salvatore 1984, pp. 436-437.
76
US 271, 197.
72
73
Un’altra forma aperta è la
salsiera con piede ad anello 72,
(fig. 9, 3), mentre le forme
chiuse sono esclusivamente documentate da un fondo 73 e da
una parete 74, difficilmente valutabili morfologicamente.
I colori usati nella decorazione sono per lo più il bruno,
il rosso ed il verde.
Sugli orli delle ciotole l’ornato si articola in maniera piuttosto varia, da una semplice
fascia circolare, all’onda continua, al tratteggio obliquo, ad
archetti, a semicerchi colorati
alternati a trattini, a tratteggi
verticali ed obliqui alternati, a
semplici semicerchi campiti di
colore.
Pareti e fondi sono decorati
con una molteplicità di motivi:
semplici fasce circolari rosse
comprese tra due cerchiature
brune, graticcio entro due cerchi concentrici, spirali e motivi
zoomorfi con un richiamo immediato a volatili 75. In particolare, si distingue il fondo di una
forma aperta invetriata in verde
e bruno 76, decorato con un uccello dipinto in bruno e campito internamente da tratti
obliqui. Non meno rilevanti
sono due fondi 77 decorati con
il cosiddetto “motivo di Taranto”, molto diffuso anche in
Basilicata e Calabria 78. Significativa è inoltre una parete 79
decorata con un pesce dipinto
in bruno, rivestita da vetrina
trasparente.
Sono numerosi, inoltre, i
motivi geometrici ed astratti:
US 271, 182-183.
Torre di Mare I, pp. 178-179; S. De Vitis, Cappella di San
Leonardo: i materiali dal silos medievale, in D’Angela, Ricci
2009, pp. 228-229.
79
US 271, 153.
77
78
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161
interessanti sono gli archetti intrecciati con macchie
colorate al centro decoranti due tese ed imitanti i tipi
della Gela Ware 80.
Infine, sono presenti motivi vegetali costituiti da
foglie brune attraversate da linee oblique o dipinte in
verde e una serie di figure umane stanti in saio marrone, sul fondo di una forma aperta, forse interpretabili nell’ambito della ceramica conventuale 81, (fig.
10a). Per questa categoria, tuttavia, non sembrano
esistere confronti significativi in Italia meridionale 82.
d) Ceramica invetriata da fuoco
Dai butti del Poseidon la percentuale di ceramica
invetriata da fuoco è piuttosto scarsa 83. Non è pervenuta nessuna forma intera, tuttavia l’esame dei frammenti dimostra la netta predominanza delle forme
chiuse rispetto a quelle aperte.
Dalla US 271 84, che ha restituito la maggior parte
di ceramica di questo tipo, provengono orli con parte
di parete riferibili a pentole/olle, con invetriatura di
colore marrone-bruno e marrone-chiaro, piuttosto lucida e compatta, stesa nella parte interna oppure, solo
sull’orlo.
Gli impasti, di colore variabile tra il rosso e il
bruno-grigio, risultano abbastanza sottili, non dissimili da quelli che caratterizzano l’acroma da fuoco
rinvenuta nello stesso contesto.
L’unico frammento forse riconducibile ad una
forma aperta è un’immanicatura proveniente dalla
US 148 85: si tratta di una tipica ansa tubolare, detta
anche “a cannone” propria di una padella documentata a partire dalla metà del XIII secolo 86.
Fig. 10. - A: ceramica invetriata policroma con motivo “conventuale”, forma aperta (US 271, 193). B: ceramica protomaiolica
con decorazione gelese, scodella (US 271, 213).
e) Protomaiolica (figg. 8-9)
La quantità di protomaiolica rinvenuta non è
molto consistente. Gli impasti sono di colore
molto chiaro, tra il bianco e il giallino, molto depurati; i rivestimenti stanniferi sono in molti casi
Patitucci Uggeri 1997, pp. 44-52.
US 271, 193.
82
Il fenomeno della ceramica conventuale è largamente studiato in Italia settentrionale, mentre per l’Italia meridionale gli
studi a riguardo sono esigui. Per un inquadramento generale
delle principali problematiche in relazione all’area EmilianoRomagnola, ved. M. Librenti, Senza immensa dote: le Clarisse a
Finale Emilia tra archeologia e storia (Catalogo della Mostra, Finale Emilia), Firenze 1998; S. Gelichi, M. Librenti (a cura di), Ricerche archeologiche su una grande abbazia dell’altomedioevo
italiano, Firenze 2005; S. Gelichi, M. Librenti (a cura di), Nonantola e l’abbazia di San Silvestro alla luce dell’archeologia: ricerche 2002-2006, Carpi 2006.
83
Per le attestazioni di ceramica invetriata da fuoco si rimanda
a C. Castronovi, La ceramica postmedievale, in P. Arthur (a
cura di), Da Apigliano a Martano: tre anni di archeologia medioevale (1997-1999), Galatina 1999, pp. 68-72; P. Güll et alii,
Lecce, ex Convento del Carmine. Un’associazione di reperti
ceramici, vitrei, faunistici e botanici in silo del XIV secolo,
«AMediev» XXXIV 2007, pp. 157-161: la ceramica invetriata da
fuoco comincia ad essere in uso in Italia a partire dal XIII secolo,
facendosi sempre più frequente nei secoli successivi, talvolta arricchita da una decorazione dipinta in bianco sotto la vetrina. Un
numero consistente di contenitori è stato rinvenuto in un frantoio
ipogeico di XVI secolo a Cutrofiano, noto centro produttore di
ceramica, soprattutto da fuoco, a partire dal periodo post-medievale. Pentole “tipo Cutrofiano”, assenti nei butti tarantini,
sono state rinvenute in molti altri siti del Salento: da Otranto
(proprietà Mitello), dal Monastero delle Benedettine a Manduria, da Supersano, da Apigliano, Muro Leccese e Mesagne. Rinvenimenti di questo tipo sono emersi anche in Calabria e Campania.
84
US 271, 146-152.
85
US 148, 3.
86
P. Caprino 2009, Ceramica da fuoco: dal basso medioevo
all’età moderna, in D’Angela, Ricci 2009, p. 377.
80
81
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Anna Colangelo, Annarita Stigliano
omogenei e compatti, in altri più sottili e in parte
asportati.
Anche la tonalità del rivestimento cambia: su alcuni frammenti, soprattutto quelli più compatti, assume una gradazione tendente al giallino, in altri
varia tra il bianco e il bianco-grigio. Tutti i materiali
si presentano in stato frammentario, tuttavia si può
registrare una predominanza delle forme aperte su
quelle chiuse.
Tranne un frammento di orlo semplice, forse relativo ad una piccola ciotola, decorato in blu, proveniente dalla US 244 87, tutte le altre attestazioni sono
emerse dal silos US 271 88.
Solamente tre sono i pezzi riconducibili a forme
chiuse: due pareti decorate in bruno e blu, con steli
lunghi sormontati da motivi ovoidali 89; questi stessi
elementi decorativi si riscontrano anche all’interno
di un piede ad anello 90. Altre due pareti 91 rivestite da
copertura più chiara, recano un motivo in blu costituito da una semplice linea orizzontale. Anche altri
frammenti di parete 92 e un orlo semplice arrotondato 93, questa volta attribuibili a forme aperte, sono
ornati con elementi in bruno e blu con ritocchi in
giallo, presentando motivi di carattere vegetale e geometrico. La tesa di una scodella 94, di cui si conserva
una parte di profilo, è ornata con tratti obliqui in blu,
richiamando un esemplare di produzione brindisina
rinvenuto a Cefalù (fig. 8, 5) 95. Questi esemplari sono
stati ricondotti alla produzione brindisina esclusivamente sulla base dei colori impiegati.
Abbastanza particolare risulta la decorazione di
una scodella (fig. 9, 1) che richiama alcuni aspetti
della protomaiolica di Gela (US 271, 213) 96. Sulla
tesa si dispiegano infatti archetti intrecciati in bruno,
campiti da grossi punti, il cui colore non è ben definibile ma oscilla tra il blu e il verde; sopra gli archetti
US 244, 16.
88
US 271, 199-213.
89
US 244, 199-200.
90
US 244, 210.
91
US 271, 201-202.
92
US 271, 203-204.
93
US 271, 208.
94
US 271, 212.
95
A. Tullio, Protomaioliche a Cefalù, in Patitucci Uggeri
1997, pp. 185-202.
96
F. D’Angelo, Protomaiolica di Sicilia e la ricerca delle sue
origini, «AMediev» XXII 1995, pp. 455-460.
97
Salvatore 1984, pp. 429-440.
98
US 271, 214-220.
99
US 271, 220.
87
sono descritte due linee brune. Questo tipo di decoro
si riscontra su un frammento di tesa rinvenuto a Policoro e attribuito alla facies gelese 97.
L’interno della scodella è decorata con quattro
fiori, due dei quali in bruno, campiti a reticolo e circondati da punti blu-verde, altri due campiti con quest’ultimo colore. Questi sono legati ad esili steli bruni
che si intrecciano fra loro (fig. 10b). La forma rientrerebbe nelle tipologie della produzione siciliana: si
tratta infatti di una scodella con larga tesa, più o meno
inclinata verso l’interno, corpo a curvatura continua
e piede ad anello.
Sempre dallo stesso contesto sono pervenuti
anche frammenti rivestiti da copertura stannifera tendente al giallino, lucida e compatta, priva di decorazione 98.
All’interno di questo gruppo si segnala infine un
profilo di fondo con parte di parete, proprio di una
forma aperta, rivestito da questa copertura internamente, esternamente recante colature di rivestimento 99.
5. Lucerne (fig. 9, 4)
Solamente due contesti hanno restituito resti di lucerne tardo medievali, tutti riconducibili alla tipologia definita “a becco lungo”, privi di qualsiasi tipo di
rivestimento 100.
Dalla US 196 101 sono emersi esclusivamente
frammenti di becchi e un’ansa, tutti realizzati con argilla depurata di colore giallo chiaro- camoscio. I
becchi 102 presentano la medesima morfologia: sono
infatti pronunciati e appuntiti con apertura ogivale,
marcatamente segnati da tracce di fuoco. L’unica
ansa rinvenuta 103 è a nastro verticale.
100
Sebbene per questa classe ceramica manchi ancora uno studio sistematico, molto frequente è il suo rinvenimento nei siti
medievali pugliesi: C. Delplace et alii, Rapport et études. Présentation de l’ensemble des lampes découvertes de 1962 à 1971.
Les monnaies trouvée durant les campagnes de 1964 à 1970, in
J. Mertens (a cura di), Ordona IV, Bruxelles-Roma 1974, pp. 7101; Cotter 1985, pp. 45-47; Patitucci Uggeri 1997, p. 37; P. Piliego, L’indagine archeologica nelle “sale mostra”: le ceramiche
del “butto”, in D’Angela, Ricci 2009, p. 329. Altri esemplari
sono stati registrati in Basilicata: Whitehouse 1969, p. 64; Cotton,
Cherry 1971, p. 146; Salvatore 1984, p. 432. Per la Sicilia si faccia riferimento a M. Bonanno, Tipi e varietà di lucerne arabonormanne rinvenute a Palermo, «AMediev» V 1979, pp.
355-358; Torre di Mare I, p. 198.
101
US 196, 62-65.
102
US 196, 62-64.
103
US 196, 65.
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Ceramica da contesti medievali
Emiliano
e post-medievali
Cruccas di Piazza Castello a Taranto
Dalla US 271 sono pervenuti due esemplari 104 in
gran parte ricostruibili e un frammento relativo al
corpo di una lucerna. Il profilo permette di ricostruire
una vasca circolare che forma uno spigolo nel punto
di larghezza massima, collo cilindrico, conservato
solo in un caso, fondo piano.
Gli impasti sono molto simili a quelli da fuoco
rinvenuti nello stesso silos: semidepurati, ruggine in
un caso, grigio nell’altro. L’annerimento su entrambi
i pezzi è molto evidente, concentrato soprattutto su
becco e fondo.
(A.C.)
Conclusioni
L’esame dei contesti ceramici di Piazza Castello
fornisce significative indicazioni cronologiche sulla
frequentazione dell’area tra il XIII e il XVI secolo.
Nel quadro della complessa storia tarantina, a questo
periodo sembra corrispondere una crescita della città:
nel 1250 Taranto diventa eponima del Principato
svevo per poi rientrare nei domini della corona aragonese prima di passare in quelli della famiglia Del
Balzo Orsini 105.
La maggior parte dei frammenti rinvenuti è riconducibile alla ceramica comune acroma e alla ceramica da fuoco; pertanto, ad offrire un apporto
maggiore ai fini della definizione cronologica sono
le ceramiche dipinte a bande, invetriate e smaltate,
seppure numericamente inferiori.
Dalle US 185, US 205 e US 192 non provengono
ceramiche rivestite; l’US 185 ha restituito soltanto
due frammenti decorati: uno presenta una decorazione incisa (93), l’altro è dipinto a bande in rosso
(94).
La presenza di materiali incisi e dipinti a bande è
quantitativamente superiore nelle US 205 e US 192.
L’US 205 ha infatti riportato alla luce una quantità
considerevole di ceramica dipinta a bande e alcuni
frammenti di un anforaceo di produzione subregionale 106.
Se quest’ultimo e la ceramica a bande larghe sugUS 271, 222-223.
F. Porsia, M. Scionti, Taranto, Bari 1989.
106
US 205, 115-117.
107
Patitucci Uggeri 1977, pp. 272-274.
108
Patitucci Uggeri 1997, p. 300.
109
Paroli 1992, p. 33.
163
geriscono una datazione dal VII all’XI sec. inoltrato,
i frammenti dipinti “a uccelli” potrebbero posticipare
la cronologia al XV-XVI sec.
Le stesse osservazioni possono essere riferite alla
US 192: oltre ad una brocchetta decorata a bande larghe in rosso (111), risultano abbondanti le attestazioni di ceramica dipinta “a uccelli” 107, compresa
un’anfora ricostruibile quasi per intero (114). In questo contesto inoltre sono presenti frammenti con incisione a pettine, attestati in molti contesti
tardo-medievali.
Sempre allo stesso ambito cronologico possono
ascriversi le altre US, dalle quali è emersa anche la
ceramica rivestita.
Il materiale più significativo numericamente si riscontra nel silos US 271 dal quale provengono tra
l’altro frammenti di invetriata e di protomaiolica 108.
Nelle ceramiche invetriate si distingue la ceramica
invetriata d’ispirazione bizantina 109 e l’invetriata
verde, che compare a partire dalla fine dell’XI- inizio
del XII sec., perdurando anche nei secoli seccessivi;
si registrano inoltre la presenza di ceramica a vetrina
incolore 110 e l’invetriata gialla 111, riferibili al periodo
bassomedievale. Rilevante è anche la quantità di invetriata bicroma e policroma 112, databili al XII/XIIIXIV sec.
Sicuramente inferiore, ma altrettanto importante
è la presenza di protomaiolica, certificabile nella facies iniziale di XII-XIII sec.
Accanto alla ceramiche invetriate persiste inoltre
la ceramica dipinta a bande: sono stati rilevati tre
frammenti decorati a linee sottili, mentre altri pezzi
sono ornati “a uccelli” 113. L’orizzonte cronologico del
silos US 271 è dunque compreso tra il XI e il XIV
sec.
Si tratta di una proposta che trova una valida conferma nel rinvenimento di due lucerne a becco
lungo 114, una tipologia ancora poco conosciuta, comparsa nel tardo XI sec., molto diffusa nei secoli XIIIXV e attestata, sebbene con variazioni, in età
post-medievale 115. Esemplari di questo tipo si ritrovano anche nella US 196 che, dunque, potrebbe appartenere al medesimo ambito cronologico.
Patitucci Uggeri 1977, pp. 224-225.
Patitucci Uggeri 1977, p. 228.
112
Patitucci Uggeri 1977, p. 254-255.
113
Patitucci Uggeri 1977, p. 273.
114
US 271, 222-223.
115
Cotter 1985, p. 39.
104
110
105
111
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164
Anna Colangelo, Annarita Stigliano
Sempre al periodo tardo medievale si possono attribuire anche le US 148 e US 244, contraddistinte da
esigui frammenti di ceramica invetriata e di protomaiolica.
Tutti i contesti analizzati possono essere considerati scarichi. A confermare tale ipotesi, come si è
visto, è la presenza in quasi tutte le US di materiale
organico: si sono rinvenuti resti faunistici, frammenti
carboniosi, un uovo ed elementi di malacofauna. In
particolare devono essere considerate significative le
US 185, US 192 e US 205, in cui predominano la ceramica de fuoco, con evidenti segni d’utilizzo, e
quella comune acroma.
L’ubicazione dei contesti in una zona che in età
aragonese viene rivitalizzata, soprattutto grazie alla
realizzazione di una grande fortificazione, pare confermare una frequentazione dell’area.
Invece, nel caso dei due silos, US 148 e US 271,
appare evidente l’assenza di elementi organici; inoltre, risulta importante il rinvenimento di tre manufatti caratterizzati da bolle sul rivestimento (un
frammento di invetriata verde e uno di invetriata policroma) 116 o da colature all’esterno dello stesso
(frammento a copertura stannifera) 117, interpretabili
come difetti di lavorazione o cottura. Queste caratteristiche potrebbero suggerire l’esistenza di una fornace nelle vicinanze dell’area, proposta che potrebbe
trovare eco nella sopravvivenza del toponimo di via
delle Fornaci, ubicata alle spalle di Piazza Castello.
La ceramica dipinta a bande e l’invetriata policroma consentono di evidenziare, infine, alcune significative analogie tra Taranto e altri siti limitrofi
dell’Italia meridionale. Analizzando le testimonianze
relative alla ceramica dipinta a uccelli si può riscontrare, ad esempio, un’identità sostanziale dei motivi
decorativi con i materiali provenienti dal Brindisino
e dal Basso Salento 118. Puntuali sono le corrispondenze con i motivi geometrici, come le spirali a nodi
e linee curve, difficilmente definibili tra i materiali
provenienti dal Poseidon, e quelli rinvenuti nei pozzi
di Mesagne e nelle stratigrafie di San Pietro degli
Schiavoni. Un esempio è rappresentato da un’anfora
della US 192 (114). I richiami alle ceramiche salentine sono evidenti ad esempio in un’anfora frammentaria caratterizzata da un motivo ad onda,
US 271, 132, 184.
US 271, 220.
118
Patitucci Uggeri 1976, p. 280; Patitucci Uggeri 1977, p.
272; Excavations at Otranto II, pp. 133-137.
119
Salvatore 1984, pp. 435-440.
ottenuto tramite una particolare tecnica d’asportazione dell’argilla e solcato da larghe bande verticali
in rosso (115), rinvenuta nella US 205.
Per quanto concerne invece le testimonianze di invetriata bicroma e policroma, confronti puntuali si ritrovano con i materiali provenienti da Policoro e sul
versante ionico 119. Identici sono infatti le forme, gli
impasti e i motivi decorativi, come i caratteristici archetti, linee ondulate e spirali che decorano solitamente gli orli delle ciotole, la forma maggiormente
documentata. Non dissimili sono i motivi zoomorfi,
soprattutto volatili, testimoniati a Taranto dal fondo
di una forma aperta 120. Un frammento problematico,
pertinente ad un recipiente di forma aperta 121, potrebbe essere messo in relazione con l’esistenza di ceramica conventuale, una classe poco nota in Italia
meridionale, nonostante la presenza di strutture monastiche significative. Sul manufatto sembra essere
rappresentata una serie di figure maschili stanti in
saio con elementi decorativi accessori simili a quelli
della ceramica invetriata policroma “tipo di Taranto”.
Si tratterebbe di una testimonianza sporadica di produzioni specialistiche dei complessi monastici dell’area.
I motivi decorativi della ceramica invetriata dipinta imitano gli ornati della coeva, ma più costosa,
protomaiolica. In particolare su due tese 122 si individua la decorazione ad archetti incrociati campiti con
grossi punti presente sulla “Gela Ware”, rinvenuta
nella stessa US 271.
Sempre un richiamo alla protomaiolica di produzione brindisina è offerto dalla riproduzione del gridiron, dominante il fondo di una forma aperta 123.
In conclusione si può dire che Taranto risente certamente in questo periodo del gusto ceramico e delle
tendenze decorative del resto della Puglia Meridionale. Anche in mancanza di documentazioni più
estese, trattandosi del porto più attivo della costa ionica è verosimile che la città possa aver svolto una
funzione di vettore per la propagazione di prodotti e
motivi decorativi.
La ceramica invetriata monocroma e la Protomaiolica testimoniano invece contatti maggiori con le
produzioni della Sicilia. L’isola, infatti, in seguito alla
conquista musulmana iniziata nel secondo quarto del
116
117
US 271, 194.
US 271, 193.
122
US 271, 208.
123
US 271, 212.
120
121
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Ceramica da contesti medievali
Emiliano
e post-medievali
Cruccas di Piazza Castello a Taranto
IX sec. venne a conoscenza di nuove tecniche di fabbricazione della ceramica destinata soprattutto al consumo alimentare, che solo in un secondo tempo si
diffusero nel resto dell’Italia Meridionale. Si tratta
della ceramica rivestita con vetrina piombifera, introdotta con molta probabilità nell’isola dagli artigiani musulmani che rimasero attivi fino ai primi
decenni del XIII sec., mantenendo vivo il proprio
background culturale e tradizionale.
Solo quando l’isola venne conquistata dai Normanni e unificata politicamente all’Italia Meridionale, le ceramiche invetriate da mensa si andarono
affermando in Puglia, Basilicata, Calabria e Campania. Infatti, nella seconda metà del XII sec. la ceramica invetriata verde era oramai ampiamente diffusa,
parallelamente alla produzione invetriata policroma.
Agli stessi rapporti sempre più frequenti tra le regioni meridionali e la Sicilia si può forse ricondurre
anche la diffusione delle lucerne “a becco lungo”, anch’esse di probabile origine islamica. A proposito di
queste ultime si sottolinea la necessità di uno studio
tipologico più approfondito, poiché, data la loro diffusione, potrebbero rivelarsi un prezioso indicatore
cronologico.
Dalla metà del XII sec., tuttavia, sono attestate
anche produzioni locali di ceramica rivestita nel sud
della penisola: la circolazione di artigiani, idee, merci
e tecniche facilitate in età federiciana, potrebbero fornire una logica spiegazione al fenomeno. È noto
l’episodio della cacciata di alcuni musulmani dall’isola ad opera di Federico II in seguito ad una ribellione: una parte di questi pare che fosse stata
trasferita in Puglia e forse ciò avrebbe potuto concorrere alla diffusione delle nuove tecnologie ceramiche 124.
A partire dalla prima metà del XIII sec. un altro
prodotto siciliano compare nei diversi contesti meridionali, la Protomaiolica di Gela. Taranto, che in età
sveva recupera la vitalità urbana e conosce un significativo sviluppo, rientra a pieno titolo in questo quadro. Anche dal punto di vista delle attestazioni
ceramiche, infatti, presenta tutte le caratteristiche tipiche dei contesti federiciani, restituendo ceramiche
124
P. Favia, Contatti transadriatici, rapporti con l’Oriente,
mediazioni tecnologiche e culturali nella produzione ceramica
bassomedievale della Puglia centrosettentrionale: gli influssi bizantini, la presenza saracena e le elaborazioni locali, «Albisola»
XLI 2009 (Atti del XLI Convegno Internazionale della Ceramica.
Albisola, 30-31 maggio 2008), pp. 77-94.
165
invetriate e smaltate 125. Lo stesso silos US 271 ne ha
restituito una buona testimonianza, cioè una scodella
in Protomaiolica gelese, simile ad un esemplare di
Policoro.
Ancora più diffusa tra i materiali del Poseidon risulta poi la Protomaiolica Brindisina, documentata
anche nel resto delle regioni meridionali.
Le somiglianze tra le ceramiche rinvenute nell’area del Poseidon e quelle attestate in molti altri siti
della costa ionica e dell’immediato entroterra (Policoro, Anglona 126, Monte d’Irsi 127), potrebbero far
supporre stretti legami tra Taranto e questi centri,
confermandone il ruolo fondamentale come centro di
acquisizione, ma anche di propagazione di tendenze,
forme e motivi decorativi.
La cronologia del materiale, databile al XV-XVI
sec., sembra coincidere in maniera significativa con
l’acquisizione dell’area e la costruzione da parte dei
Padri Celestini del complesso che, come si è già accennato, caratterizzerà questo settore urbano fino al
XVIII secolo. Si tratta di un’ipotesi preliminare, che
potrà essere verificata e ulteriormente argomentata
attraverso un ampliamento della documentazione, tenendo conto dell’insieme dei materiali emersi nella
stessa area e nella prospettiva della creazione di un
archivio integrato degli altri contesti medievali della
città. Importanti risultati sono emersi recentemente,
ad esempio, dalle ricerche archeologiche condotte nel
Castello Aragonese tra il 2004 ed il 2006 128 con significative analogie cronologiche e tipologiche con
la ceramica medievale proveniente da Piazza Castello.
(A.C.-A.S.)
Abbreviazioni bibliografiche
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Exavation at Monte d’Irsi, Basilicata, «BSR» XXXIX
1971, pp. 138-170.
F. Sogliani, Protomaiolica calabrese: I rinvenimenti di
Vibo Valentia, in Patitucci Uggeri 1997, pp. 141-155.
126
Whitehouse 1969, pp. 61-68.
127
Cotton, Cherry 1971, pp. 145-167.
128
D’Angela, Ricci 2009.
125
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166
Anna Colangelo, Annarita Stigliano
D’Angela, Ricci 2009 = C. D’Angela, F. Ricci (a cura di),
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tardoantica e altomedievale in Italia (Atti del Seminario di Siena, 23-24 febbraio 1990), Firenze 1992.
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medievale pugliese alla luce degli scavi di Mesagne,
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Luoghi della città di Taranto attraverso i documenti.
Fonti archivistiche per la storia dal XIV al XIX secolo,
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SCAVI E RICERCHE
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Siris 10,2009, 169-209
Nuovi dati su Cossyra ellenistica:
dalla ridefinizione urbanistica di III sec. a.C.
alla fortezza di Sesto Pompeo
di Vincenzo Capozzoli, Massimo Osanna
Premessa
A partire dall’estate 2000
nell’isola di Pantelleria è stato
avviato da parte delle Università
della Basilicata e di Greifswald
(cui si è sostituita dal 2003
l’Università di Tübingen) un
ambizioso progetto di archeologia globale, rivolto alla conoscenza dell’insediamento antico
di Cossyra nella diacronia, il
polo “urbano” di un’isola che ha
conosciuto un’intensa frequentazione nell’evo antico 1. Le attività sono state sin da allora
dirette da Thomas Schäfer e da
chi scrive, e condotte in stretta Fig. 1. - Acropoli di Pantelleria (Tp): vista aerea delle due colline di Santa Teresa e San Marco.
collaborazione con la Soprinpiedi si delinea appunto il sistema composto dalla
tendenza per i beni culturali e ambientali di Trapani.
coppia di alture e da una sella intermedia.
Alle ricerche hanno preso parte numerosi colleghi e
Tale areale costituisce, senza dubbio, il luogo
studenti tanto delle Università promotrici, quanto di
ideale per un insediamento antico, sito com’è, in poaltri Atenei, nonché della Soprintendenza stessa 2.
sizione rilevata e naturalmente difesa, a ridosso del
Il progetto si è indirizzato da subito all’esploraprincipale approdo dell’isola costituito, ieri come oggi,
zione del sistema collinare di Santa Teresa e San
dal porto di Pantelleria. Una posizione questa altaMarco (fig. 1) e del territorio immediatamente circomente strategica, da cui è possibile traguardare le rotte
stante: si tratta di un’area posta alla periferia suddall’Africa alla Sicilia, e allo stesso tempo controllare
orientale del moderno centro di Pantelleria, dove il
la viabilità che dall’approdo si inoltra all’interno delpaesaggio risulta marcatamente segnato dalla prel’isola, tutta ampiamente popolata nell’evo storico 3.
senza dell’imponente rilievo di Monte S. Elmo, ai cui
1
Per una presentazione più dettagliata delle prime ricerche
sull’isola: Schäfer et alii 2001; Osanna 2006; Mosca 2009; Almonte 2005.
2
In questa sede si coglie l’occasione per esprimere il più
sentito ringraziamento al Soprintendente Dott. Sebastiano
Tusa per il pieno ed entusiastico sostegno alla nostra ricerca
e per aver consentito l’edizione di questo contributo nell’ambito della convenzione stipulata dall’Università degli Studi
della Basilicata con la Soprintendenza per i beni culturali ed
ambientali di Trapani (autorizzazione prot. n. 2204 del 21
marzo 2011 rilasciata dal Servizio Soprintendenza
BB.CC.AA. di Trapani). La più profonda riconoscenza va
anche alla dott.ssa Rossella Giglio, come pure alla dott.ssa
Giuseppina Mammina, per la fattiva collaborazione e il costante supporto che garantiscono oramai da anni alle nostre
indagini sull’isola.
3
P. Orsi, Pantelleria, «MonAnt» IX 1899, pp. 449-540; A.
Verger, Pantelleria nell’antichità, «OrAnt» V 1966, pp. 255-275;
T. Schäfer, Pantelleria: Ausgrabungen und Forschungen,
«NbBll» XX 2003/4, pp. 87-89; M. Tosi, S. Tusa, Ricerca archeologica a Cossyra-Pantelleria nel tempo ed attraverso il
tempo, in Pantelleria punica, pp. 13-18; S. Tusa, Archeologia e
storia di un’isola del Mediterraneo, in S. Santoro Bianchi et alii
(a cura di), Pantellerian ware. Archeologia subacquea e ceramiche da fuoco a Pantelleria, Regione siciliana 2003, pp. 15-24;
Mosca 2009, pp. 19-38.
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tagine e Roma, per essere poi inglobata all’interno della Provincia di Sicilia, nonché il periodo
tardo-repubblicano,
quando
l’isola giocherà nuovamente un
ruolo di rilievo nell’ambito della
guerra civile.
Dunque, in questo contributo, si porterà l’attenzione in
particolare sul periodo compreso tra III e I sec. a.C., segnato
da profonde trasformazioni che
interessano non solo Pantelleria
Fig. 2. - Vista aerea dell’area di scavo 2007-2010 sul versante nord-occidentale della collina
ma l’intero mondo punico di Sidi Santa Teresa.
cilia e d’Africa settentrionale,
area quest’ultima con cui PanLa presenza di un “paesaggio” ancora in buona
telleria da sempre ha stretto forti legami e alla quale
parte intatto, fossilizzato nel tempo – grazie alla prelegherà a lungo le sue sorti 6. Ma ovviamente per far
coce definizione di terrazzamenti con muri a secco
questo si è ritenuto indispensabile accennare anche
destinati a colture poco invasive –, nel quale dopo
alla documentazione afferente alle fasi più antiche,
l’età antica sono documentate solo assai ridotte forme
riprendendo brevemente la discussione sulle prime
di occupazione fino ai nostri giorni, il sistema collifasi dell’impianto di Cossyra.
nare di Santa Teresa e San Marco e l’area circostante
Le recentissime campagne di scavo, e in partipossono considerarsi un contesto straordinario per incolare quelle condotte a partire dal 2007 hanno perdagare le dinamiche insediative di un crocevia di culmesso di recuperare una quantità così elevata di
ture, a più riprese al centro della “politica” internazionuovi dati soprattutto nei settori occidentale e nordnale grazie alla sua strategica posizione tra penisola
occidentale della collina di Santa Teresa (Saggi II e
4
italiana e Africa settentrionale .
IX: fig. 2), da integrare e in alcuni aspetti persino
Se allo stato attuale della documentazione non rida modificare radicalmente quanto ipoteticamente
sulta possibile definire puntualmente le forme di ocgià presentato in passato 7. L’elaborazione di questi
cupazione che hanno caratterizzato l’isola nella
nuovi dati è proceduta parallelamente al faticoso ladiacronia, a undici anni dall’inizio dell’ambizioso
voro di edizione di Cossyra I 8, volume dedicato alle
progetto si possono riconoscere per grandi linee gli
evidenze portate alla luce dalla componente tedesca
elementi costitutivi dell’esperienza insediativa e le
dell’équipe nel settore sommitale della collina di
principali trasformazioni intervenute nell’organizzaSanta Teresa, in buona parte interessata dalla pre5
zione dello spazio urbano . In particolare le nuove
senza di un’area sacra. La discussione di stratigrafie
acquisizioni, su cui si ritornerà in questa sede, rie strutture del santuario non poteva essere scissa
guardano la collina di Santa Teresa (inizialmente nota
dall’esame puntuale di tutti i dati contestuali rinvecome San Marco, per un errore generatosi già nella
nuti sull’intera collina: in questa sede si è pertanto
pianta ottocentesca del Cavallari), mentre l’arco croritenuto opportuno presentare, in continuità con
nologico è quello che vede Cossyra contesa tra Carquanto avvenuto già negli anni passati, e sia pure in
Mosca 2009.
Raccolta delle fonti antiche in RE XI 2 (1922), 1503, s.v. Kossura. Sulla strategia geopolitica di Cartagine: E. Acquaro, Carthage et ses provinces: administration et organisation sociale, in
A.A. Tavares (a cura di), Os Púnicos no estremo ocidente, Lisboa
2001, pp. 47-56. In particolare su Cossyra nell’eparchia cartaginese: L.I. Manfredi, Il granchio e le isole puniche, in Da Pyrgi a
Mozia. Studi sull’archeologia del Mediterraneo in memoria di
Antonia Ciasca, Roma 2002, pp. 323-336.
6
Sul mondo “fenicio-punico” di Occidente una sintesi ag4
5
giornata è ora in S.F. Bondì et alii, Fenici e Cartaginesi. Una civiltà mediterranea, Roma 2009, pp. 103-233. In particolare su
Pantelleria, all’interno di questo mondo: Schäfer et alii 2001;
Osanna 2006, pp. 35-37; Osanna 2009.
7
Schäfer et alii 2001; Osanna et alii 2003, pp. 63-98; Caesar
ist in der Stadt; S. Tusa (a cura di), I ritratti imperiali tra storia
e archeologia (Catalogo Mostra), Parigi 2004, pp. 71-87; Osanna
2006.
8
Si tratta del primo volume monografico, a cura di chi scrive,
oltre che di T. Schäfer e K. Schmidt.
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Nuovi dati su Cossyra ellenistica: dalla ridefinizione
Emiliano
urbanistica
Cruccas di III sec. a.C. alla fortezza di Sesto Pompeo
171
Fase 1: creazione (o rifacimento?) del sistema viario
Si procede alla creazione di un sistema viario articolato e in passato genericamente definito
“rampa” 11. Limitandosi al settore in esame, sono
stati indagati due tratti, uno N-S (US 60, 3041-3042,
3055) ed uno E-O (US 5=186, 110, 172), per una
lunghezza di oltre 26 m (rispettivamente 13,60 e
12,50 m), caratterizzati da una larghezza compresa
fra 1,80 e 2 m ca. Il primo tratto, in forte pendenza
da sud verso nord (da 117,60 a 120,75 m s.l.m.),
mette in connessione, lungo il fianco occidentale
dell’acropoli, la sommità della collina con le terrazze inferiori (saggio III). La sua realizzazione ha
previsto il taglio del banco roccioso (US 60), ampliato e regolarizzato mediante il ricorso ad una serie
di blocchi in trachite appositamente lavorati e di
forma variabile (US 3055), messi in opera al di
sopra di un livello di preparazione in scheggioni e
lastre di trachite allettati all’interno di un legante di
colore rossiccio (US 3040, 3041). Il deflusso delle
acque piovane è assicurato da un canale di scolo (US
3042, 110, 172, 5=186) a sezione quadrangolare
(largh. 0.25; prof. 0,25 m ca.), foderato con lastre
squadrate in trachite e impostato lungo uno soltanto
dei due bordi della strada 12.
Un preciso inquadramento cronologico dell’impianto è al momento precluso. Si può comunque stabilire (in base alle indagini del saggio III, qui non
presentate) che siamo in presenza di almeno due fasi
di costruzioni e/o riparazione 13, con la prima in
basso (Saggio III) che va probabilmente messa in
connessione con il primo sistema di fortificazione
della cittadella 14. D’altra parte, dato che il suo punto
di arrivo sulla terrazza sommitale dell’Acropoli è da
correlare senza dubbio alla costruzione, nel santuario, del primo podio e della cisterna Z 1 e datandosi
questi interventi nella seconda metà del III sec.
9
Il presente contributo è stato articolato in due parti distinte:
nella prima, a cura di V. Capozzoli, si è dato spazio ad una dettagliata descrizione delle stratigrafie e delle strutture rinvenute
nei saggi II e IX (quanto mai necessaria, dato che finora non
era stata ancora oggetto di una trattazione preliminare, nonostante i notevoli risultati recuperati dal 2006 in poi: Osanna
2006; Vecchio 2006); nella seconda, redatta da chi scrive, si
presentano invece alcune riflessioni scaturite da tale analisi stratigrafica, messe in relazione a quanto recuperato nell’area dei
saggi I, II e VIII, rispetto ai quali si è tralasciata un’analitica
trattazione dello scavo, dal momento che questa è confluita nel
volume Cossyra I, di imminente pubblicazione. La disamina
presentata è frutto di un lavoro di équipe: il mio ringraziamento
va dunque a quanti hanno lavorato con passione ed entusiasmo
sullo scavo e nella successiva intensa attività di analisi della
documentazione. Fra tutti mi sia consentito di ringraziare nominalmente almeno Karin Schmidt, infaticabile coordinatrice
delle attività di laboratorio, a cui si devono anche tutti gli spot
date che hanno portato a definire le cronologie qui presentate,
e ovviamente l’amico Thomas Schäfer, con cui sia sul campo
che a Tübingen e a Matera, la discussione è stata sempre vivace
e proficua.
10
L’elaborazione delle piante di fase e ricostruttive sono a
cura di A. Comini. Oltre che a lui, desidero esprimere un sentito ringraziamento agli amici A. Bruscella (responsabile del rilievo sul campo), A. Doronzio e S. De Vincenzo per la costante
collaborazione e disponibilità al dialogo. La mia riconoscenza
va ovviamente al prof. Th. Schäfer, per la possibilità di prendere
parte attiva alle ricerche condotte presso l’Institut für klassische Archäologie di Tübingen, da lui diretto. Molte delle con-
siderazioni qui avanzate non sarebbero state possibili senza le
numerose e impagabili discussioni sulla stratigrafia con l’amico
N. Arvanitis e, naturalmente, con il prof. M. Osanna, al quale
desidero rinnovare come sempre la mia più profonda e sincera
gratitudine.
Per agevolare la descrizione delle evidenze si è deciso di ruotare il nord-geografico in senso antiorario, prendendo come riferimento l’orientamento dell’USM 1820, lato lungo occidentale
del c.d. muro di temenos.
11
Tale definizione si è generata a seguito dei primi sondaggi
all’interno dei Saggi II e III (2000) che avevano fatto credere appunto all’esistenza di una serie di “rampe” di accesso alle varie
terrazze dell’Acropoli: cfr. Osanna et alii 2003, pp. 72-80;
Osanna 2006, p. 39.
12
Nel primo tratto, esso diverge ad un certo punto dall’andamento principale della strada, svoltando piuttosto verso nordovest (US 3042), mentre nel secondo tratto, quello est-ovest che
porta alla terrazza sommitale dell’Acropoli (da 120,80 a 123,17
m s.l.m.) e che, a differenza del primo, è ottenuto esclusivamente
dalla lavorazione del banco roccioso, tale canale (US 110, 172)
si allinea perfettamente all’andamento della strada stessa (US
5=186).
13
La cronologia potrà essere definita in modo più puntuale,
soltanto quando si procederà allo scavo dei tratti in cui il banco
roccioso è stato regolarizzato con l’aggiunta di blocchi lavorati
(si pensi in particolare al tratto individuato nel punto di incontro
dell’USM 14 con l’USM 909, ovvero all’angolo nord-occidentale
del c.d. bastione pertinente al periodo II.
14
Osanna 2006, p. 39.
forma preliminare, i principali risultati di tale riesame, nella consapevolezza dell’importanza di una
piena divulgazione scientifica delle scoperte, e questo anche nel rischio di dover riconsiderare interpretazioni e cronologie alla luce del prosieguo delle
ricerche 9.
(M.O.)
L’analisi stratigrafica: proposta di periodizzazione assoluta 10
Periodo I: seconda metà del III sec. a.C.-terzo quarto
del I sec. a.C. (tavv. I-II)
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Tav. I. - Periodo I: strutture murarie pertinenti alle fasi 1 e 2.
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Emiliano Cruccas
173
a.C. 15, è possibile ipotizzare
anche per la creazione del sistema
viario (almeno dei suoi tratti intercettati nel saggio II), una datazione in un’epoca di poco
successiva al primo scontro fra
Roma e Cartagine, probabilmente
nell’ambito della ripresa cartaginese dell’isola.
Fase 1 (?): costruzione di una o
più aree lastricate, di due plessi
architettonici affrontati sul versante nord-occidentale della terrazza superiore dell’Acropoli, e
del relativo sistema viario
Forse già nel corso di questa
stessa fase si procede ad una ridefinizione spaziale nell’angolo
nord-occidentale dell’Acropoli,
come sembra documentare il rinvenimento di svariati basoli e lastre squadrate, nonché di una serie
di vani all’interno del saggio IX,
sulla funzione dei quali è possibile esprimersi solo in modo
estremamente ipotetico.
Si segnalano anzitutto, nel settore centrale del saggio IX, i resti
di un lastricato (USM 9344: da
122,39 a 122,53 m ca. s.l.m.) 16,
orientato in senso nord-sud e fondato in parte sul banco roccioso,
in parte su un apposito livello di
preparazione (US 9778) 17. Solo
per via della coerenza topografica
possono essere ascritte alla stessa
Tav. II. - Periodo I: ipotesi ricostruttiva dei complessi architettonici pertinenti alla fase 1.
15
Cfr. le considerazioni avanzate nell’ultima parte di questo contributo.
16
Una costruzione piuttosto singolare,
se non altro per via della scarsa coerenza,
almeno nella parte centrale, fra i singoli
basoli. Essa (2,20 x 1,40 m ca.) è costituita da cinque lastre con angoli per lo più
arrotondati, di forma e dimensioni estremamente irregolari.
17
Alla medesima attività edilizia potrebbero ricondursi alcune isolate lastre
in trachite (US 9341, 9340, 9345 e 9350),
dal taglio regolare e poste di piatto, che
almeno in un caso (US 9345 e 9350) determinano una sorta di gradino.
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Vincenzo Capozzoli, Massimo Osanna
serie di vani aperti ad est, con le
rispettive soglie adeguate di
volta in volta ai vari salti di
quota. Procedendo da nord
verso sud si segnalano le USM
9130 e 9772, che definiscono il
limite orientale dell’ambiente
IX.10, all’interno del quale si
apre una porta (largh. 0,80 m.)
L’ambiente è delimitato a nord
dall’USM 9111 e a sud dall’USM 9164, la quale costituisce al contempo il muro di
chiusura nord e l’anta settentrionale della porta dell’ambiente
IX.12a 20. L’anta meridionale è
invece formata dall’USM 975,
che insieme all’USM 9251, proFig. 3. - Veduta da nord degli ambienti pertinenti al complesso della seconda metà del III
segue – senza soluzione di consec. a.C.
tinuità – fin a ridosso del
lastricato USM 9344, che si adattività costruttiva un’altra lastra in trachite (US
dossa direttamente al suo paramento orientale 21.
9762: 122,53 m s.l.m.) e una depressione (US 9765:
In merito all’ambiente IX.12a va precisato che, pur
122,06 m s.l.m.) del banco roccioso, forse quel che
non essendone noto lo sviluppo planimetrico 22, è siresta di una canalizzazione N-S, da connettere con il
curo che esso doveva permettere l’accesso ad un ultesuddetto lastricato 18.
riore ambiente ubicato più a sud (IX.12b), tramite la
Parallelamente alla viabilità si procede alla copresenza di una nuova soglia (USM 9775), visibile in
struzione di un imponente corpo di fabbrica (fig. 3),
sezione e delimitata dall’anta orientale (USM 9769).
di forma rettangolare e con orientamento N-S, che si
Entrambe le soglie, così come il livello pavimentale,
sviluppa sul pendio nord-occidentale di questa parte
costituito in parte dal banco roccioso livellato in parte
della collina 19. Limitandosi ai settori di scavo in
da uno strato ancora in situ, giacciono a 1,50 m di proesame, esso è definito sul lato orientale da un allifondità rispetto al successivo lithostratos (USM
neamento murario N-S (lungh. max. 11,60; largh.
9320) 23: un chiaro indizio della presenza, in questa
max. 0,80 m ca.), costituito da più setti a doppio pafase, di un ulteriore livello stradale, posto ad una quota
ramento di blocchi in trachite, che definiscono una
inferiore 24. L’ambiente IX.12b è chiuso a sud dal-
18
Con tale canale potrebbe aver funzionato anche una struttura, ricostruibile con una forma rettangolare definita da tre piccoli setti murari (USM 9346, 9347, 9348), lavorati in superficie
in modo da determinare un piccolo canale di afflusso (USM
9347) e uno di deflusso (USM 9346). Potrebbe trattarsi di un pozzetto per la raccolta delle acque (provenienti dagli scoli degli ambienti adiacenti?), e il loro convogliamento all’interno della
suddetta canaletta (US 9765).
19
Per la nomenclatura e definizione planimetrica degli ambienti di questo settore cfr. anche Vecchio 2006, p. 54, fig. 5. Si
tenga conto del fatto che con il termine “ambienti” si sono intesi
non solo i vani veri e propri, ma anche ulteriori spazi (è questo il
caso di II.9 e II.10) determinati dalle modifiche intervenute nel
corso di successive fasi costruttive.
20
L’apertura e dunque la relativa soglia USM 9774 non sono
visibili in pianta, risultando obliterate da due successive tamponature (USM 9768 e 9773).
21
Allo stato attuale delle ricerche non è tuttavia ancora possibile comprendere il preciso rapporto stratigrafico che intercorre
fra il lastricato USM 9344 e il setto murario USM 9251 immediatamente adiacente ad ovest, e dunque non è dato di sapere se
il lastricato venga ad appoggiarsi, rimaneggiandolo, al muro perimetrale esterno della struttura, oppure se i due siano stati concepiti contemporaneamente, così come proposto in questa sede.
22
Ciò è dovuto all’inserimento, nel corso del periodo successivo, della cisterna USM 969, con relativa ghiera (USM 9160) e
muro di contenimento orientale (USM 9161). È possibile – a giudicare dagli strati rinvenuti in appoggio all’USM 9160 – che questo intervento vada inquadrato nel corso della prima età
imperiale.
23
L’uso del termine “lithostratos” è stato proposto in questa
sede per distinguere questo impianto dalla c.d. rampa pertinente
alla fase 1: pur trattandosi in entrambi i casi di assi viari, l’USM
9320 si rivela interamente costruito al contrario di quanto verificato per l’altro asse, dove invece si ricorre – come visto – all’uso combinato di banco roccioso e lastre appositamente
intagliate.
24
Ved. infra.
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Nuovi dati su Cossyra ellenistica: dalla ridefinizione
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Cruccas di III sec. a.C. alla fortezza di Sesto Pompeo
175
l’USM 968=9165, un setto murario che si lega ortogonalmente all’USM 9179=9457, insieme alla quale
definisce un nuovo ambiente (IX.13a). Quest’ultimo
risulta ulteriormente articolato al suo interno per via di
un muro di tramezzo E-O (USM 9235): l’ambiente
IX.13a ingloba la cisterna Z 22 (USM 9171) – l’unica
documentata per l’intero complesso (pertinente ad una
fase precedente?) – la cui imboccatura doveva giacere
all’altezza del piano pavimentale 25.
Tale complesso doveva estendersi ulteriormente
verso sud, fino all’US 9412=9723 (ovvero all’altezza
del limite meridionale del saggio IX), dove la presenza di nuovi setti murari permette di ricostruire una
serie di vani piuttosto stretti probabilmente separati
da un asse viario 26.
In sintesi, tale settore può essere così ricostruito,
procedendo da nord verso sud: grazie al lastricato
USM 9344 si sarebbe entrati da est all’interno dell’ambiente II.12 e al suo pavimento (US 9463), attraverso la “soglia” USM 9259 27, superando forse il
salto di quota tramite dei gradini. La soglia stessa sarebbe stata inquadrata da due setti murari E-O (USM
9239 e 9723), forse da interpretare rispettivamente
come prosecuzione delle USM 9440/9466 e 9412,
setti murari rinvenuti con identico orientamento poco
più ad ovest, all’interno degli ambienti II.12 e 11. Di
particolare rilievo è l’USM 9412, che funge da tramezzo fra i due ambienti risultando connessa al pavimento in malta grigiastra (US 9463: da 121,29 a
121, 44 m s.l.m.) dell’ambiente II.12. Quest’ultimo
è delimitato a nord dalle già menzionate USM 9440
e 9466, parallele grosso modo all’USM 9412, con la
quale esse definiscono uno spazio rettangolare particolarmente stretto ed allungato.
Di qui sarebbe stato possibile accedere all’ambiente II.11 situato immediatamente a sud del primo.
I rispettivi pavimenti vengono a contatto immediatamente ad ovest dell’estremità occidentale dell’USM
9412, punto in cui il pavimento dell’ambiente II.11
(US 9460: da 121,26 a 121,36 m s.l.m.) sembra sovrapporsi leggermente all’US 9463 (senza che però
questo implichi necessariamente una successione
temporale), suggerendo nel contempo la presenza di
un passaggio privo di una vera e propria soglia 28.
Pur non essendone chiare le modalità è verosimile
che dall’ambiente II.11 si raggiungesse un ulteriore
ambiente situato ancora più ad ovest, ricostruibile a
livello estremamente ipotetico, e che presenta, come
muro di chiusura meridionale, l’USM 9437, orientata
E-O 29. È probabile inoltre che il suo muro di chiusura occidentale non andasse oltre il limite est dell’asse stradale nord-sud del saggio III, rispettato
anche nella fase 3 al momento della costruzione della
terrazza-ballatoio e probabilmente invaso soltanto al
momento della realizzazione del c.d. bastione. È sicuro invece che tale vano giacesse ad un livello assai
inferiore rispetto agli ambienti II.11 e II.12. Pertanto,
a meno di non ricostruire una scala o comunque dei
gradini che mettessero in connessione i tre ambienti
nel corso di questa fase, bisogna immaginare che
l’ambiente II.13 fosse accessibile, ad una quota molto
più bassa, esclusivamente da ovest, vale a dire dall’asse stradale US 60 (Saggio III), in perfetta analogia con quanto verificato per gli ambienti del saggio
IX ubicati immediatamente più a nord. In conseguenza di ciò si potrebbe ricostruire, sia pure con una
certa cautela 30, un piano inferiore che, oltre a questo
ambiente sottostante a II.13, comprendeva anche
Come visibile dalla tav. II è stato ipotizzato in questo caso
un ingresso particolarmente ampio (largh. 1,30 m), che potrebbe forse essere stato richiesto dalla presenza della cisterna
(Z 22).
26
A tale complesso potrebbe essere ascritta anche l’USM
9158, un setto murario orientato N-S visibile soltanto nel paramento occidentale. Interpretato in passato come pertinente al
complesso architettonico di prima età imperiale (Vecchio 2006,
p. 54), la recente analisi stratigrafica ha al contrario dimostrato
che esso deve aver costituito il muro di chiusura est dell’ambiente IX.11 durante la fase 1, quando esso, analogamente a
quelli adiacenti a sud, sarebbe stato costituito da un unico
piano.
27
Sulla faccia superiore di questo setto murario (122,52 m
s.l.m.), del quale risulta visibile il solo paramento occidentale, si
imposta, con medesimo orientamento ma arretrato di 0,30 m ca.
verso est, un piccolo allineamento murario, l’USM 9771 (lungh.
max. 0,50 m), costituito da due lastrine di trachite disposte in verticale: tale “ risega” potrebbe rimandare alla battuta di un gra-
dino, funzionale all’accesso al lastricato USM 9344 dall’area occidentale posta a quota inferiore.
28
I due piani pavimentali si impostano al di sopra di tre strati
sabbiosi molto compatti (US 9461, 9462 e 9465), che ricoprono
il banco roccioso (US 9467), interpretabili come preparazioni
(US 9462 per il pavimento US 9460 e US 9461 e 9465 per il
pavimento US 9463), con contemporanea funzione di livellamento.
29
La sua presenza in questo punto preciso costituisce una
prova decisiva per escludere l’appartenenza a questa fase delle
US 9467-USR 9468, probabilmente una sorta di scala: l’USM
9437 avrebbe finito in caso contrario per bloccare il passaggio e
dunque l’uso stesso di una parte di tale scala.
30
Non è infatti del tutto escluso che, immediatamente a nord
di II.13, la sporgenza del banco roccioso risalisse a quota molto
elevata, escludendo con ciò l’edificazione di qualsiasi struttura in
questo settore, se non ad un livello molto più alto, come sarebbe
avvenuto nel corso della fase 3, con la realizzazione dell’ambiente II.14.
25
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Vincenzo Capozzoli, Massimo Osanna
l’area che in seguito sarà occupata, almeno nella parte
alta, dagli ambienti II.7 e II.14, ovvero gli ambienti
rispettivamente a sud e nord di II.13. Già in questa
fase, dunque, potevano esservi una serie di vani (ad
unico piano?) 31 affacciati sull’asse stradale nord-sud
indagato nel saggio III, che andavano sviluppandosi
dall’estremità nord del saggio IX fino almeno all’altezza dell’ambiente II.7.
Le indagini di scavo condotte all’interno del settore di scavo II.9 hanno inoltre permesso di escludere
che l’ambiente II.11 si estendesse fino a questo
punto: è al contrario probabile che il suo muro di
chiusura meridionale vada ricercato al di sotto della
successiva USM 9374 (periodo II). La posizione del
muro di chiusura orientale è invece indicata dall’USM 9259, la quale, come visto, indica anche la
chiusura orientale dell’adiacente ambiente II.12. E
come quest’ultimo, abbastanza sicuro sembra che
anche l’ambiente II.11 si aprisse non già a sud, bensì
ad est. La particolare conformazione dell’USM 9723,
che si interrompe nettamente a sud, non lascia molti
dubbi sul fatto che essa costituisse contemporaneamente anche l’anta nord di una porta da ubicare immediatamente a sud.
Ancora più a sud è possibile ricostruire un ultimo
ambiente II.8, definito a nord e ovest dalle USM
9590 e 9589, mentre nulla può esser detto degli altri
due lati, distrutti a seguito della costruzione dell’USM 9587 e della cisterna Z 41 nel corso della
terza fase. I due setti murari conservati (USM 95899590) hanno un doppio paramento di blocchi accuratamente lavorati solo sulla faccia vista, e sono
legati fra loro in modo ortogonale. Al medesimo ambiente potrebbe essere ascritto un ulteriore setto murario (USM 9593), parzialmente conservatosi solo
nel paramento settentrionale, il quale corre parallelo
all’USM 9590, ad una distanza di 1,24 m. Non è
escluso che costituisca il muro di chiusura meridionale di questo nuovo vano, che, forse, doveva aprirsi
ad est, analogamente a quanto ricostruito per gli am-
bienti II.12 e II.11, caratterizzati dal medesimo
orientamento.
Fra l’ambiente II.11 e II.8 è infine presente una
lacuna di almeno 1,60 m ca. Qui le indagini hanno
rivelato l’esistenza di un esiguo piano di calpestio
(US 9836: da 121,40 a 121,54 m s.l.m.) messo in
opera su un’apposita preparazione (US 9843-9844),
impostata sul banco roccioso: forse quel che resta di
un asse stradale che provenendo da sud giungeva fino
all’ambiente II.11 per poi curvare verso est e dirigersi
dunque sulla sommità dell’acropoli.
Gli ambienti pertinenti al versante orientale del
complesso appena descritto dovevano aprirsi con le
loro soglie ad est, immettendo su un asse stradale NS non rinvenuto (perché interamente obliterato dal
successivo lithostratos USM 9320), ma della cui esistenza non v’è alcun motivo di dubitare 32. Esso può
essere ricostruito con una larghezza massima di 1,90
m ca. e va forse messo in connessione con la suddetta
canalizzazione (US 9765) praticata all’interno del
banco roccioso. Lungo il suo lato orientale vengono
a disporsi, probabilmente nel corso di questa stessa
fase, anche altre due strutture che si sviluppano rispettivamente a nord e sud (ovverosia verso la sommità dell’Acropoli) adeguandosi ai forti cambi di
livello presenti. Di esse al momento sono stati indagati quattro setti murari a doppio paramento, ortogonali fra loro e orientati in senso nord-sud (USM 9342
e 9300) ed est-ovest (USM 9343 e 9323), che riutilizzano in fondazione alcune lastre della fase precedente, definendo almeno due ambienti (IX.16-17)
posti a quota differente 33. L’indagine (non ancora
conclusa) condotta fra le USM 9343 e 9323, rispettivamente muri di chiusura sud e nord dei due vani, ha
rilevato l’esistenza di un’intercapedine (largh. 1,40
m ca.) che si sviluppa in senso est-ovest e che potrebbe essere interpretata come un diverticolo dell’asse stradale principale diretto verso il settore
orientale dell’Acropoli 34.
Per quanto riguarda la cronologia, tale intervento
deve essere considerato anteriore alla seconda metà
Cfr. supra quanto detto in merito all’USM 9158.
Le indagini del 2010 hanno portato alla luce ad est dell’USM 975 alcune lastre piane (USM 9757), le quali funzionerebbero con il blocco di abitazione di questa fase, per poi essere
obliterate nella fase successiva per la messa in opera del lithostratos (USM 9320).
33
Peraltro l’ambiente IX.17 non è più ricostruibile nella sua
estensione originaria, per via delle modifiche intervenute successivamente. Al riguardo si precisa che l’USM 9300 non si ap-
poggia all’USM 2412, ma presenta, ad una distanza di circa 0,25
cm da essa, una cesura nella sua tessitura: è stata infatti tagliata
per la costruzione del muro di recinzione, taglio poi opportunamente rinzeppato (USM 9766).
34
Al di sotto di una serie di livelli di obliterazione è stato intercettato un battuto molto compatto, forse un piano di calpestio,
probabilmente in fase con l’asse stradale N-S, a giudicare dalla
sua quota (121,75 m s.l.m.) inferiore di 0,60 m ca. rispetto al lithostratos.
31
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Emiliano
urbanistica
Cruccas di III sec. a.C. alla fortezza di Sesto Pompeo
177
Fase 2: anni centrali del II sec.
a.C. (tav. I)
Creazione del lithostratos nordsud e piccoli interventi di modifica al complesso della fase 1
In questa fase si assiste ad un
nuovo intervento sulla viabilità
dell’area, mediante la realizzazione di un asse stradale (USM
9320: fig. 4) in lastre in trachite
rettangolari e di dimensioni
varie, orientato nord-sud con
forte inclinazione da sud verso
nord (da 122,85 a 121,48 m
s.l.m.) e dalla larghezza variabile
(che progressivamente aumenta
da un minimo di 1,20 m a sud ad
un massimo di 1,92 m a nord) 36.
Fig. 4. - Veduta complessiva del c.d. lithostratos US 9320 (Saggio IX).
L’evacuazione delle acque meteoriche avveniva per il tramite
di una canaletta stretta (largh.
del II sec. a.C.: il principale indizio è costituito dalla
0,12
m
ca.)
e
poco
profonda, posizionata lungo il
tamponatura USM 9768 dell’ambiente IX.12a, ribordo
orientale
e
ricavata
accuratamente sulla faccia
chiesta dalla costruzione alla metà del II sec. a.C. del
superiore degli stessi blocchi del lithostratos. A quelithostratos USM 9320, la quale comporta l’innalzast’ultimo deve quasi certamente essere appartenuta
mento del piano di calpestio rispetto al precedente lil’US 9302, una lastra in trachite di forma rettangolare
vello stradale che (probabilmente mediante il ricorso
e di grandi dimensioni, ubicata a sud dell’USM 9320,
a gradini), doveva consentire l’accesso a questo
rinvenuta in giacitura secondaria per via di un evento
blocco di abitazioni. Un altro indizio è costituito incostruttivo pertinente alla fase successiva 37.
vece dagli unici due vani ad est che risultano probaL’innalzamento del piano di calpestio determibilmente precedenti all’impianto del lithostratos
nato
dalla costruzione di tale lithostratos richiede la
USM 9320, come suggerisce la peculiare conformatamponatura
(USM 9768) della soglia est dell’amzione del bordo orientale di quest’ultimo che si adebiente
IX.12a,
il quale ora non risulta più accessibile
gua perfettamente al profilo dei due setti murari USM
direttamente
dalla
strada. In attesa di conferme fu9300 e 9342, seguendone restringimenti e spanciature si può ipotizzare che in questa fase si proceda almenti. Alla luce di queste considerazioni diventa lel’apertura di un nuovo varco a nord, in particolare
gittimo vedere nella metà del II sec. a.C. un terminus
nell’angolo nord-ovest dell’ambiente IX.12a, metpost quem non per la realizzazione di questo comtendolo pertanto in comunicazione con l’ambiente
35
plesso . D’altra parte, non sembra affatto impossiIX.10 38.
bile ascriverlo proprio alla fase 1, ovvero nell’ambito
Grazie all’analisi preliminare dei materiali ceradella suddetta (ri)definizione del sistema stradale, rimici rinvenuti in associazione con alcuni dei suoi
spetto al quale in effetti il complesso stesso sembra ristrati di preparazione (US 9728, 9729, 9731) la crogorosamente organizzato.
35
Ciò risulta confermato in parte anche da quanto si registra
per l’USM 9437, la quale sarà rasata per la costruzione del pavimento US 9396 nell’ultimo quarto del II sec. a.C.: cfr. infra.
36
Tali lastre si impostano al di sopra di una serie di livelli di
preparazione, il primo dei quali soltanto (US 9728) è stato finora
scavato.
37
Pur mancando una prova definitiva in tal senso, è verosimile che all’impianto del lithostratos vada riferita anche l’USM
9767, una struttura a paramento unico (lungh. 1,50; largh. max.
0,43; h. 0,37 m ca.) impostata sul banco roccioso, costituita da 3-
4 filari irregolari di lastre non lavorate, in appoggio ai basoli dell’USM 9344, e funzionale a contenere e al tempo stesso sostruire
i livelli di preparazione dello stesso lithostratos.
38
In corrispondenza di quest’angolo si nota infatti una cesura
nella tessitura muraria dell’USM 9164 e l’inizio di un nuovo allineamento murario (USM 9259) con analogo orientamento, che
potrebbe aver tamponato – in una fase successiva – l’apertura qui
presente dalla fase 2. Dal momento che lo scavo è tuttora in
corso, si è ritenuto comunque opportuno evitare di presentare tale
aspetto nella relativa pianta ricostruttiva.
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Tav. III. - Periodo I: strutture murarie pertinenti alla fase 3.
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Emiliano Cruccas
179
nologia dell’impianto può essere
fissata alla metà del II sec. a.C.
Fase 3: ultimo quarto del II sec.
a.C. (tavv. III-IV)
–
Erezione del muro di recinzione/contenimento e costruzione
di un nuovo plesso architettonico;
–
modifica della viabilità sulla
parte alta dell’Acropoli e creazione di un ballatoio ad ovest del
lithostratos USM 9320;
–
creazione di un ambitus fra
muro di contenimento e nuovo
plesso architettonico.
Tav. IV. - Periodo I: ipotesi ricostruttiva del complesso della fase 3.
Tale fase è documentata dalla
costruzione delle USM 9271/
2412, un poderoso allineamento
di blocchi E-O che corre lungo
tutto il margine meridionale del
saggio IX (per proseguire, poi, sia
verso est che verso sud, all’interno dei saggi I e XVIII): si
stratta di un muro (largh. max.
0,93 m ca.) a doppio paramento e
nucleo interno, indagato in questo
settore per una lunghezza complessiva di 6,10 m, e che si conserva per un solo filare, ad eccezione dell’angolo sud-occidentale, dove nel punto di congiunzione con l’USM 1820, è presente
un singolo blocco d’angolo, pertinente al secondo filare. Il paramento settentrionale, esterno, è
realizzato in tecnica pseudo-isodoma, con blocchi in trachite ben
lavorati sulla facciavista e di formato piuttosto costante (con eccezione dell’enorme blocco d’angolo), quello meridionale, assai
più irregolare, è composto di
blocchetti appena sbozzati. Il legante è costituito da una malta a
matrice sabbiosa con inclusi di
mica, tufo e pozzolana. L’USM
2412 è messa in opera al di sopra
di una risega di fondazione (USM
9271) costituita da 1-2 filari di
blocchi in trachite, squadrati e in
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Vincenzo Capozzoli, Massimo Osanna
alcuni casi caratterizzati da un bugnato rustico 39,
messi in opera assieme a blocchetti appena sbozzati
e di dimensioni assai irregolari, e impostata su uno
strato di livellamento assai compatto, con scarsissimo materiale ceramico (US 9734) 40.
Oltre a sfruttare nel suo settore centrale il piano,
opportunamente livellato, dell’asse stradale US 186,
a nord l’USM 1820 (indagata per una lunghezza di
18,50 m) si imposta al di sopra di una fondazione
vera e propria costituita da lastre piatte e appena
sbozzate, le quali risultano alloggiate direttamente al
di sopra del banco roccioso appositamente lavorato
con la sola eccezione di un breve tratto, in corrispondenza degli ambienti II.8 e II.10. In questo settore infatti il banco roccioso si interrompe
bruscamente e la fondazione dell’USM 1820 si imposta piuttosto al di sopra dell’USM 9587, una sorta
di opera di sostruzione 41 – successivamente tagliata
a nord dalla costruzione dell’USM 9369 relativa al
c.d. bastione –, evidentemente funzionale proprio a
colmare la lacuna del banco 42.
Inoltre va sottolineato che il taglio di fondazione
(US -9770) ha comportato la distruzione di tutta una
serie di strutture che originariamente erano ubicate
in quest’area e, fatto particolarmente rilevante, una
ridefinizione sistematica della viabilità. Da est verso
ovest, si sarebbe proceduti alla rasatura:
c) del muro di contenimento (USM 9767) del lithostratos USM 9320;
d) del lastricato della fase 1 (USM 9344).
Da nord a sud, invece, si sarebbe proceduti alla
rasatura:
a) delle USM 9259 e 9723, rispettivamente i muri
di chiusura nord ed est degli ambienti II.11 e II.12
della fase 1. Sembra comunque che questi due, al
contrario dell’ambiente II.8, che sarà completamente
distrutto e riutilizzato ai fini della costruzione della
cisterna Z 41 – esattamente come quello definito dall’USM 9437 distrutto per la messa in opera dell’ambiente II.13 –, siano stati riadattati alla nuova
configurazione di questo settore dell’Acropoli.
a) dell’USM 9300 e dunque dell’ambiente che
essa doveva definire;
b) del lithostratos USM 9320, come risulta evidente non solo dall’interruzione improvvisa e altrimenti inspiegabile dell’USM 9302 (che, come visto,
doveva certamente far parte dell’USM 9320), ma
anche dal fatto che proprio quest’ultima si imposta al
di sopra di una serie di strati che nulla hanno a che
vedere con i livelli di preparazione dell’USM 9320,
dai quali risultano peraltro chiaramente separati dalla
realizzazione del taglio US -9709;
Oltre ad essere parzialmente tagliata, l’area lastricata USM 9344 viene ricoperta da uno spesso
strato di sabbia mista a inclusi vulcanici (US 9308:
122.538 m s.l.m.), caratterizzato da un’estrema compattezza e regolarità, le quali suggeriscono di interpretarlo come parte di un nuovo piano di calpestio
che viene a sostituire il precedente, parzialmente distrutto lastricato.
Il taglio (US -9770) dell’estremità meridionale del
lithostratos (USM 9320) comporta l’asportazione
temporanea di uno dei suoi basoli (US 9302), una
grossa lastra di forma quadrangolare (0,98 x 0,89 m),
la quale risulta isolata dalle altre lastre del lithostratos per via di un ulteriore taglio (US -9269), che oltre
a spoliare la strada in quel punto, ne ha intaccato
anche lo strato di preparazione (US 9728). La pendenza dell’US 9302 non sembra affatto casuale: al
contrario tale lastra risulta disposta in asse con
l’USM 9320, rispettandone il grado di inclinazione,
anche grazie all’impiego di uno strato di sabbia finissima di colore marrone chiaro (US 9701), di forma
e dimensioni simili a quelle della lastra. Questo dato
sembra indicare che l’asse stradale sia stato risiste-
39
Uno dei blocchi della fondazione, posizionato nel punto di
incontro delle USM 2412 e 1820, è caratterizzato da consistenti
resti di malta biancastra a grana fine (forse parte dell’intonaco
che rivestiva i blocchi del muro di recinzione/contenimento, piuttosto che semplice blocco di reimpiego?).
40
Per consolidare le fondamenta USM 9271, accanto a dei ridotti strati di riempimento (US 9306, 9724 e 9731), si è ricorso
a due inzeppature (USM 9766 e 9260=9719): si tratta di apprestamenti piuttosto compatti, costituiti da schegge e blocchi parzialmente lavorati disposti tanto di piatto quanto – soprattutto nel
caso dell’USM 9766 (già discussa in precedenza: ved. supra) –
di taglio all’interno di un legante a matrice sabbio-argillosa molto
compatto, e funzionali a colmare il vuoto compreso fra l’USM
9271 e rispettivamente le USM 9300 e 9344.
41
Si tratta di uno spesso corpo murario (lungh. 2,30; largh.
1,10 m ca.), con un unico paramento murario costruito controterra. La pertinenza a tale periodo è confermata anche dal fatto
che in appoggio ad essa è stata rinvenuta l’US 9853, databile
nel corso del II sec. a.C., strato di grande importanza, perché
oltre a dare lumi sull’USM 9587, permette di comprendere
meglio i cambiamenti notevoli che interverranno nell’ambiente II.8 in questa fase con la costruzione della cisterna
Z 41.
42
Nonostante alcuni dubbi – che potranno essere fugati solo
con una prosecuzione delle ricerche – questa struttura potrebbe
aver contemporaneamente funzionato anche da “sostruzione” per
il piccolo ambitus N-S che doveva transitare proprio in questo
punto: ved. infra.
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Cruccas di III sec. a.C. alla fortezza di Sesto Pompeo
mato ed abbia dunque continuato a vivere, sia pure
con funzioni ridotte, nel corso di questa fase. Peraltro l’indagine dei livelli di obliterazione rinvenuti al
di sopra dimostra che tale asse sarebbe stato abbandonato definitivamente solo nel corso della tarda età
imperiale.
Ritornando all’US 9701, tale strato copre i limiti
di una fossa (1,20 x 0,85 m ca.), ovvero l’US -9709,
ricavata nello spazio compreso fra la fondazione del
muro di recinzione/contenimento (USM 9271), e le
USM 9762 e 9767, pertinenti alla fase 1. A nord invece essa ha intaccato i vari livelli di preparazione
del lithostratos (US 9728, 9763, 9764). Il fondo, irregolare e con pendenza SO-NE, è costituito dal
banco roccioso (US 9725) e da alcuni scheggioni di
trachite relativi ad una delle suddette preparazioni
della strada (US 9763). Al suo interno si lasciano agevolmente identificare tre diversi livelli di riempimento (USS 9708, 9721, 9703), caratterizzati da una
grande frequenza di materiale ceramico e frustuli carboniosi nonché ossa animali (fra cui si segnalano resti
di carapace di tartaruga dall’US 9708 e di volatili).
Fra i frammenti ceramici, oltre ad una lucerna (forse
di produzione attica), spiccano soprattutto le forme
aperte, per lo più coppe a vernice nera, accanto a
forme da dispensa e da cucina di produzione tardopunica (Vegas 70), locale e nord-africana. Si segnala
anche il rinvenimento di uno stelo frammentario in
bronzo (US 9703), di frammenti di vetro e di un peso
(US 9708), come pure, quasi a contatto con il banco
roccioso, di un balsamario fusiforme integro. Di
estremo interesse si rivelano anche, all’interno dell’US 9703, una macchia limosa di colore giallastro,
da ricondurre forse alla presenza di un liquido organicamente molto ricco (vino?), nonché numerosi
grumi di cenere (di dimensioni decimetriche fino a
0,40 m), forse compattata o amalgamata con acqua
(US 9708).
Pur essendo parte di un’unica attività, la presenza
di tre riempimenti diversi per composizione e colore
del terreno ma non per classi di materiale, dimostra
chiaramente che non si tratta di un’azione unitaria di
riempimento. La datazione dei frammenti ceramici,
incrociata con i dati provenienti dall’analisi stratigrafica, permette di inquadrare questa attività con
buona sicurezza nell’ultimo quarto del II secolo a.C.
Rimanendo ancora nell’ambito delle modifiche
del piano stradale, sembra verosimile che a questa
stessa fase appartenga anche un’importante modifica
del lithostratos USM 9320 e in particolare del suo
181
lato occidentale. Qui, in luogo dei basoli sub-rettangolari attestati nel restante corpo della strada, è visibile un allineamento N-S di blocchetti (USM 9717:
da 121,85 a 122,12 m s.l.m.) disposti nel senso della
lunghezza. Esso si estende, con una pendenza analoga a quella del lithostratos da sud verso nord, per
una lunghezza complessiva di 2,10 m ca., per poi curvare ad angolo retto verso ovest. È verosimile che tali
blocchetti abbiano “incorniciato” una sorta di ballatoio lastricato (del quale avrebbero potuto far parte
anche le US 9351 e 9352, due lastre in trachite di
forma sub-rettangolare, rinvenute nel settore più meridionale).
Sempre nel corso di questa fase si procede alla costruzione di un nuovo corpo di fabbrica di forma trapezoidale (lungh. max. 27; lungh. min. 22; largh. 11
m ca.), costituito da almeno 11 nuovi ambienti, che
vanno ad aggiungersi a quelli già esistenti all’interno
del blocco occidentale del saggio IX, e da almeno due
cisterne – una terza è stata fortemente danneggiata e
come tale non risulta databile determinando un complesso architettonico di grandi dimensioni (lungh.
max. di 45,20; largh. max. 12,80 m ca.). Le novità
principali riguardano l’ambiente II.8, che va incontro ad una sostanziale modifica della sua planimetria,
nonché gli ambienti II.7, II.13 e II.14, ovvero i piani
inferiori della fase 1, che vengono ora completamente
interrati e tamponati sul lato ovest dalla costruzione
di una terrazza-ballatoio che doveva condurre ai
nuovi piani superiori impostati direttamente al di
sopra.
Dovendo adeguarsi al preesistente sistema viario,
i nuovi vani risultano ruotare gradualmente su sé
stessi in senso antiorario, finendo per modificare sensibilmente il proprio orientamento, che da EO diventa
piuttosto NE-SO. Procedendo da nord verso sud, è
possibile descrivere la situazione stratigrafica nel
modo che segue.
Le USM 9386 e 9387 (lungh. max. 1,30 e 3,60 m
ca.), tra loro legate, rappresentano i muri di chiusura
ovest e nord (rispettivamente 1,33 e 3,60 m ca.) del
primo ambiente sicuro da nord (ambiente II.14a-b); il
muro di chiusura meridionale è costituito invece dall’USM 9383 (3,20 m ca.). I tre setti murari definiscono un ambiente (intonacato interiormente: USR
9361, 9362) della larghezza complessiva di 3,35 m
ca., e che doveva aprirsi verso ovest con una soglia
(largh. 1,05 m ca.) definita dalle USM 9386 e 9382
(quest’ultima costituisce nel contempo anche il muro
di chiusura occidentale dell’ambiente immediata-
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182
Vincenzo Capozzoli, Massimo Osanna
distrutta, è d’altro canto probabile che i livelli pavimentali US
9460 e 9463 abbiano continuato ad essere utilizzati come
tali ancora nel corso di questa
fase 3 43. Tutto ciò deve aver richiesto una sostanziale modifica planimetrica, con la
chiusura degli accessi sul lato
orientale 44 e verosimilmente,
conseguente apertura di un
nuovo varco ad ovest: si procede dunque alla messa in
opera di una sorta di scala (US
9467-USR 9468: 120,976 m
Fig. 5. - Resti della nicchia USR 9380 all’interno dell’ambiente II.13.
s.l.m.) 45, lievemente disassata
rispetto agli ambienti II.11 e
mente successivo a sud, vale a dire II.13). La coII.12 ma con un orientamento compatibile con
struzione dell’USM 908/9359 (muro di chiusura est
quello attestato dagli ambienti ubicati nel settore
del bastione) impedisce di comprendere l’estensione
meridionale del complesso 46.
originaria di questo ambiente verso est: un approLe già menzionate USM 9382 (=1017) e 9383,
fondimento – non ancora completato – delle indainsieme all’USM 9365 formano rispettivamente i ligini all’interno del settore immediatamente ad est di
miti ovest, nord e sud di un nuovo ambiente (II.13),
quest’ambiente, sembrerebbe tuttavia indicare che il
del quale si conserva ancora buona parte del rivestisuo muro di chiusura orientale corresse con orientamento parietale (USR 9379, 9380) e che risulta inmento N-S esattamente al di sotto della successiva
dagato fino al livello pavimentale (US 9396).
USM 908/9359, che dunque ne avrebbe riproposto
Quest’ultimo (120,72 m s.l.m.) è realizzato con
l’andamento. La presenza di uno strato di rivestimalta grigio-biancastra a grana fine con piccoli inmento parietale lisciato sul parametro esterno delclusi rossastri ed è stato allettato al di sopra di due
l’USM 9387 sembra inoltre indicare l’esistenza di
differenti strati di preparazione (US 9423 e 9425).
un ulteriore vano a nord dell’ambiente II.14, eretto al
L’ambiente II.13 (largh. 3,75 m ca.) si apre ad ovest
di sopra del pianterreno dell’ambiente IX.11 della
con una soglia compresa fra le USM 9382 e 9364 e
fase 1: ad esso vanno riferiti due lembi dello stesso
di dimensioni lievemente maggiori (1,14 m ca.) ripavimento (US 9156 e 9157: 119,93 m s.l.m.), messi
spetto a quelle documentate per la soglia dell’amin opera direttamente al di sopra dell’alzato del vano
biente II.14. A differenza di quest’ultimo però,
inferiore.
l’ambiente possiede un orientamento parzialmente
Il nuovo complesso viene ad inglobare anche gli
ruotato in senso antiorario, come indica chiaramente
ambienti II.11 e II.12 pertinenti alla fase 1. Se è vero
l’andamento dei due lati corti (USM 9383 e 9365), e
infatti che la loro parete di fondo orientale (9259)
si distingue per la presenza di una nicchia ricavata
con il relativo muro di tramezzo (USM 9723) viene
nel muro di chiusura nord (fig. 5).
Gli strati di obliterazione rinvenuti al di sopra di esse si datano infatti alla prima età augustea, indiziando che le US 9460 e
9463 devono aver continuato a vivere, nonostante la distruzione
arrecata dalla costruzione del muro di recinzione/contenimento,
almeno fino all’erezione del bastione.
44
In questo settore lo scavo non è ancora terminato: tuttavia
si potrebbe credere che, nel momento in cui si è proceduto alla
erezione del muro di recinzione/contenimento USM 1820, si sia
spostata verso ovest la parete di fondo dei due vani. Si precisa comunque che tale muro non è stato effettivamente rinvenuto e la
sua esistenza può essere ammessa soltanto a livello ipotetico al
di sotto della successiva USM 9257=9368.
43
Si tratta di un taglio regolare del banco roccioso (lungh.
max. 2,80 m), segnato da un andamento rettilineo e interrotto soltanto all’estremità meridionale da un forte spanciamento verso
ovest, rivestito da un compatto quanto esiguo strato di malta
(USR 9468) accuratamente lisciato. Alla sua estremità orientale
l’intonaco sembra allettato in modo tale da legarsi al preesistente
piano pavimentale US 9460, definendo peraltro un ulteriore, più
ridotto gradino.
46
La successiva sovrapposizione dell’USM 908/9359, muro
di chiusura orientale del c.d. bastione, preclude la possibilità di
ricostruire l’aspetto della scala (US 9467-USR 9468) funzionale
al passaggio dagli ambienti II.11 e II.12 all’ambiente II.13.
45
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183
La presenza di una profonda fossa (US -9403) nel
piano pavimentale (US 9396) ha consentito di indagare una parte dei livelli di costruzione dell’ambiente
(US 9448, 9442, 9435, 9441, 9436, 9432), ovvero
dell’obliterazione del suo predecessore al piano inferiore, in modo da poter rialzare il piano. Proprio
l’analisi preliminare del materiale ceramico proveniente da alcuni di questi strati (US 9432, 9435, 9436,
9441 e 9442) conferma ancora una volta la cronologia dell’impianto fin qui proposta all’ultimo quarto
del II sec. a.C.
Oltre a delimitare l’ambiente II.13 sul lato meridionale, l’USM 9365 definisce anche il muro di chiusura settentrionale dell’ambiente II.7. I lati ovest e
sud sono formati rispettivamente dalle USM
9364=3085, che all’USM 9365 si lega, e 3074 47, entrambe caratterizzate da un elegante rivestimento parietale (USR 9385), legato al piano pavimentale (US
9363). Grazie alle più recenti indagini di scavo condotte all’interno dello spazio II.9 sappiamo ora che
tale pavimento (120,82 s.l.m.) non doveva spingersi
più ad est della successiva USM 9247 e anzi è probabile che il lato est dell’ambiente II.7 vada ricercato
proprio al di sotto di quest’ultima. Tale ambiente presenta una forma trapezoidale con una larghezza che
va gradualmente riducendosi da ovest verso est, passando da 3,50 a 3 m ca. e, come gli ambienti II.13-14,
è caratterizzato dalla presenza di una soglia nell’angolo sud-occidentale (largh. 1,15 m ca.), definita
dalle USM 9364 e dall’estremità nord dell’USM
3084.
Prima di passare oltre va precisato che le indagini
di scavo hanno permesso di verificare che l’USM
3074 viene in qualche modo “ammorsata” all’USM
9589 della fase 1, suggerendo che l’ambiente II.8, pur
andando incontro ad una trasformazione radicale, sia
comunque stato conservato all’interno del nuovo impianto. Sembra invece certo che l’ambiente II.7, analogamente a II.13 e II.14, appartenga al secondo
piano della struttura, dal momento che il dislivello di
quota con l’asse stradale sottostante (del saggio III) è
notevole 48.
Non essendo stati ancora interamente indagati, i
settori qui contrassegnati come II.9 e II.10 rappresentano invece una grossa incognita ed è pertanto
possibile avanzare soltanto delle ipotesi. Non v’è comunque al momento un motivo dirimente per dubitare che l’asse stradale N-S e poi E-O, qui ricostruito
per la fase 1, abbia continuato a funzionare come
tale 49, raccordandosi in qualche modo al c.d. ambitus
che doveva transitare con andamento N-S in questo
settore 50.
Immediatamente a sud di II.7 e II.9 si sviluppano
altri due ambienti, di differenti dimensioni e fra loro
comunicanti: II.5 e II.6. Il maggiore, II.5 51, presenta
una larghezza decrescente da ovest verso est (da 3,74
a 3,18 m ca.) – circostanza analoga a quanto verificato nell’ambiente II.7 – ed una lunghezza massima
di 3,46 m ca.; il minore una larghezza costante di 3,18
m ca. ed una lunghezza di 1,48 m ca. Entrambi sono
chiusi a nord dalla già descritta USM 3074, mentre
sul lato meridionale sono stati definiti da ovest verso
est due setti murari (USM 3083 e 9586). Essi, con
orientamento NE-SO e dunque perfettamente paralleli all’USM 3074, si legano in modo ortogonale ad
un nuovo setto murario (USM 9564), che di fatto costituisce parte del muro di tramezzo e contemporaneamente l’anta meridionale del passaggio da II.5 a
II.6. La metà settentrionale del muro di tramezzo è
formata invece dall’USM 9565, la quale si lega in
modo ortogonale all’USM 3074. Essa non si conserva per intero e non consente dunque di ricostruire
la larghezza originaria della porta qui presente. Il
muro di chiusura ovest dell’ambiente II.5 è rappresentato dalle USM 3084 e 3092 52, che si legano rispettivamente con le USM 3074 e 3083 e che
definiscono una soglia (largh. 0,95 m ca.), ubicata
nell’angolo sud-occidentale dell’ambiente. Il muro di
47
Grosso modo al centro di questo muro si segnala un apprestamento rettangolare (USR 9597), ottenuto con uno strato di intonaco (0,68 x 0,43 m ca.), e forse parte inferiore di una nuova
nicchia.
48
Non è chiaro quale sia stato nel corso di questa fase il destino del relativo piano inferiore (come per l’ambiente II.14). Il
fatto che lungo l’intera facciata occidentale del complesso si sviluppasse una terrazza-ballatoio potrebbe indicare che, analogamente a quanto verificato per l’ambiente II.13, anche il pianoterra
di II.7 e II.14 fosse stato obliterato e riutilizzato in fondazione
per gli ambienti del nuovo complesso.
49
Così indizia l’analisi stratigrafica dei livelli di riempimento
di II.9, che dimostra l’obliterazione di questo settore soltanto nel
periodo successivo, ovvero al momento della costruzione del c.d.
bastione.
50
Resta tuttavia al momento poco chiaro se tale varco sia stato
risparmiato per consentire l’accesso all’ambiente II.7, oppure se
questo esiguo diverticolo si sia più semplicemente trasformato
in un cul de sac.
51
Quota pavimentale: 121,30 m s.l.m.
52
Questa risulta inoltre impostata al di sopra di una sorta di
sottofondazione, l’USM 9583 (0,90 x 1,18 m ca.), la quale sporge
di 0,40 m verso est. Potrebbe trattarsi di una pedana, da mettere
probabilmente in relazione con l’USR 9598 (0,64 x 0,28 m ca.),
da interpretarsi forse con una nicchia se non addirittura con una
vaschetta.
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Vincenzo Capozzoli, Massimo Osanna
chiusura orientale dell’ambiente II.6 si conserva soltanto per un breve tratto (USM 9596), fondato direttamente al di sopra di un compatto strato (US
9595=9521) di cementizio a matrice sabbio-argillosa
ancora in situ, all’interno del quale risulta alloggiata
anche parte della ghiera della vicina cisterna Z 41, di
forma grossomodo ellittica (lungh max. 2,08; largh.
max. 0,50) e orientata in senso O-E 53. Ciò che dimostra l’appartenenza di quest’ultima alla medesima
fase costruttiva del complesso.
La cisterna Z 41, tagliata nel banco roccioso per
una profondità di 3,27 m ca., presenta una vasca di
decantazione rettangolare sul fondo; la copertura non
conservata doveva essere a “canna di pozzo”, rientrando all’interno del tipo della cisterna a bottiglia o
campanulata 54. La sua costruzione determina la distruzione dell’ambiente II.8 55, il quale viene riempito
con una serie di colmate di sabbia compatta mista a
macerie, funzionali a rialzare il piano per fondarvi,
tramite apposite gettate di cementizio (US
9512=9513), parte della ghiera della cisterna stessa 56.
Proseguendo verso sud si raggiunge l’ambiente
II.3, chiuso a nord dalla già menzionata USM 3083 e
a sud dall’USM 3014=3021. Quest’ultima (4,36 x
0,75 m ca.), si lega alla sua estremità occidentale all’USM 3034=9576 (2,40 x 0,77 m ca.) – a sua volta
impostata su una piccola risega di fondazione appena
visibile (USM 3033) – formando un angolo minore di
90°. Quest’ultimo setto murario definisce, insieme
con un blocco prospiciente di notevoli dimensioni
(USM 9580; 0,68 x 0,51 m ca.), una nuova soglia
(largh. 0,87 m ca.), nell’angolo nord-occidentale dell’ambiente 57. La larghezza dell’ambiente è di 3 m ca.,
mentre la lunghezza originaria dell’ambiente può essere ricostruita con sicurezza in 4,90 m ca., utilizzando come riferimento l’estensione della ghiera della
cisterna Z 43 che verrà inserita nel periodo successivo
all’interno dell’ambiente. L’analisi dei rivestimenti
idraulici di tale cisterna sembra indicare che la sua
realizzazione possa essere messa in relazione proprio
con la prima fase dell’ambiente II.3, mentre nel periodo successivo, sarebbe stata rialzata con l’aggiunta
di una ghiera interamente costruita (a differenza della
metà inferiore scavata nel banco), che avrebbe completamente obliterato l’ambiente 58.
L’esistenza di un ulteriore ambiente (II.4), immediatamente ad est del II.3, può essere ammessa solo a
livello ipotetico, per via della distruzione causata dall’esplosione di un ordigno bellico. L’ambiente II.1
(lungh. 3,40; largh. min. 2,35; max. 2,67 m ca.), invece ben conservato, è definito da quattro setti murari perfettamente legati fra loro che danno al vano
una forma irregolare (USM 3014, 3025, 3011 e
3013) 59. A differenza degli altri fin qui descritti, si
sviluppa sull’asse nord-sud 60, aprendosi sul lato meridionale, con una soglia (121,80 m s.l.m.) costituita
da due lastre di trachite con tre incassi rettangolari
(USM 528: largh. 1,02 m ca.), messa in opera al di
sopra di una piccola fondazione atta a livellare il
piano in pendenza del contiguo asse stradale 61. Il
53
In particolare la ghiera è costituita da blocchi di grandi dimensioni impostati per metà direttamente sul banco roccioso lavorato e allettati per il resto all’interno di due strati di legante
(US 9512=9513 e la già citata US 9595=9521), caratterizzati al
loro interno da resti in negativo di incassi forse relativi alla struttura di contenimento della cisterna stessa.
54
Si fa riferimento alla tipologia di I. Riera, in Utilitas necessaria: sistemi idraulici nell’Italia romana, Milano 1994, pp. 303309. Cfr. anche V. Castellani, S. Mantellini, Le cisterne campanulate in Pantelleria Punica, Bologna 2006, p. 120, fig. 7.
55
Accanto al taglio del suo muro nord (USM 9590) per la
messa in opera dell’USM 9587, si assiste ora da un lato alla rasatura pressoché completa dell’USM 9593, per far spazio al lato
nord della ghiera della cisterna, e dall’altro all’ammorsamento
dell’USM 3074 con l’USM 9589.
56
Questa viene inserita non già a ridosso dell’USM 9590, che
avrebbe potuto sfruttare come muro di contenimento nord, ma
2,10 m ca. più a sud. Si ha l’impressione insomma che tale funzione sia stata assolta piuttosto da un altro setto murario, ovvero
dal muro di chiusura nord dell’ambiente II.4, che potrebbe pertanto essere ricostruito subito a sud della ghiera stessa.
57
Da notare la sporgenza di questo blocco, con intonaco rossastro non lisciato su due dei suoi lati (ovest e nord): essa viene
peraltro sfruttata in modo da ottenere un piccolo canale di scolo
verticale (US 9582), compreso fra il blocco stesso e l’USM 3092.
58
Che la parte inferiore della cisterna Z 43 vada ascritta a questa fase costruttiva sarebbe indiziato, oltre che dal fatto di essere
ricavata interamente nel banco roccioso, anche dalla presenza di
due strati di rivestimento idraulico, il primo dei quali affine a
quello attestato all’interno della Z 41 e limitato esclusivamente
alla parte bassa del serbatoio.
59
Quest’ultimo possiede uno spessore assai più ridotto degli
altri, a denunciare probabilmente la sua natura di semplice tramezzo con l’ambiente II.2. Esso risulta inoltre realizzato contro
terra, con il paramento esterno funzionale a contenere le US
9567, 9810, atte ad appianare il dislivello naturale della roccia,
per potervi impostare il pavimento dell’adiacente ambiente II.2
(US 9568).
60
Dell’intonaco parietale risulta ben visibile soltanto lo strato
di preparazione (USR 9804) costituito da numerosi frammenti
ceramici (soprattutto anforici) legati con malta e funzionali a colmare i giunti fra i vari blocchi.
61
Sul lato interno di esse sono stati praticati due fori, uno ellissoidale e l’altro circolare, riferibili verosimilmente al sistema
di bloccaggio (doppio?) del battente. Ci si chiede se l’accurata
lavorazione di questa soglia non costituisca la spia in negativo
di una particolare rilevanza o almeno di una specifica funzione
di quest’ambiente, diversa da quella degli altri vani posti più a
nord.
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Emiliano
urbanistica
Cruccas di III sec. a.C. alla fortezza di Sesto Pompeo
185
piano di calpestio è costituito in parte dal banco roccioso levigato (US 3038: 121,75 m s.l.m.), in parte
da un compatto battuto (US 9820: 121,71 m s.l.m.).
Per la messa in opera di quest’ultimo si sono resi necessari una serie di strati di preparazione (US
9819=9826 e 9829), impostati a loro volta al di sopra
di un livellamento (US 9834, 9828, 9845), atto a colmare le irregolarità del banco stesso e al di sopra del
quale sono state fondate rispettivamente anche le
USM 3011 e 3013 (muri di chiusura ovest ed est dell’ambiente II.1).
Immediatamente all’esterno della porta, 1,10 m
ca. a sud, è stato portato alla luce un allineamento EO di lastre piane in trachite (USM 3006: lungh. 1,10
m ca.), lavorate soltanto sulla faccia sud e impostate
al di sopra di un compatto strato di legante (US
3060). Dal momento che tale strato si appoggia alle
fondazioni della soglia, è possibile ricostruire una
struttura di forma quasi quadrata (1 x 1,10 m ca.) che,
dalla soglia doveva spingersi fino alle suddette lastre,
certamente contemporanea all’ambiente II.1 – come
dimostra il rapporto di appoggio – e da identificare
probabilmente con una sorta di ballatoio o pianerottolo (121,62 m s.l.m.) 62.
Analogamente all’ambiente II.1, anche l’ambiente
II.2 era accessibile solo dalla strada, dal lato sud, mediante una soglia (US 9814), intagliata nel banco roccioso. Essendo stato parzialmente distrutto nel corso
del secondo conflitto mondiale 63, di esso si conservano soltanto dei lembi di battuto pavimentale (US
9568: 122,45 m s.l.m.; 9567=3015), impostati su uno
strato di livellamento (US 9810) 64. Tracce di lavorazione nel banco roccioso (USM 9569; USR 9570)
nonché alcuni blocchi rivestiti di malta idraulica rimandano all’esistenza di una cisterna (Z 40) parallela alla vicina cisterna Z. 41.
L’esame preliminare dei materiali rinvenuti all’interno delle US 9810, 9567 e 9568 costituisce
un’ulteriore conferma dell’appartenenza dell’am-
biente II.2 e in generale del complesso di cui fa parte
all’ultimo quarto del II sec. a.C.
Al muro di chiusura ovest dell’ambiente II.1 si
lega, per mezzo di una piccola scala della quale si
conservano tre gradini (USM 1510: 121,38-121,86 m
s.l.m.), una struttura muraria costituita da due setti
murari, legati fra loro ad angolo retto (USM
1511=3046 e 9557), a formare un paramento di grossi
blocchi in trachite, lavorati soltanto in faccia vista e
disposti tutti di taglio. Questo paramento murario
contiene a sua volta un nucleo interno (USM 9555)
molto consistente, realizzato con blocchi sub-circolari, scaglie di lavorazione e sabbia, e messo in opera
direttamente contro il paramento occidentale dell’USM 3011, ovvero contro la parte inferiore della
facciata del complesso.
La tecnica costruttiva ad unico paramento, il posizionamento a ridosso della facciata dell’ambiente
II.1 e la presenza dei gradini rimandano ad un’opera
di sostruzione (lungh. 5,45; largh. 1,45 m ca.), in fase
e in diretto rapporto con l’ambiente II.1, la quale doveva avere la funzione di condurre al suo piano superiore (indiziato anche dal forte spessore dei suoi
muri perimetrali) attraverso dei gradini.
Funzione analoga dovevano avere anche le USM
9614, 9471 e il battuto pavimentale (US 2814: 121,15
m s.l.m.), ubicati immediatamente ad ovest dell’ambiente II.5. L’USM 9614 costituisce un setto murario
(lungh. 4,15 m) ad unico paramento in blocchi squadrati di trachite posti generalmente di taglio, funzionale a contenere un piano di calpestio (US 2814)
estremamente compatto, cui si accedeva mediante
l’USM 9471 (legata all’USM 9614), a sua volta formata da due lastre squadrate in trachite disposte in
modo da realizzare almeno due gradini. È evidente,
insomma, che anche in questo caso ci si trova di
fronte ad un ballatoio 65, analogo a quello già discusso
in precedenza, e grazie al quale era possibile raggiungere la soglia dell’ambiente II.5, e allo stesso
62
Dal momento che tale ballatoio viene a dimezzare la larghezza dell’asse stradale (US 5=186), è verosimile pensare che
ciò sia stato possibile, soltanto in un momento in cui il secondo
non ha avuto più piene funzioni, ovverosia proprio a seguito della
realizzazione del muro di contenimento/recinzione (USM 1820),
che l’avrebbe quasi completamente chiuso.
63
Ciò nonostante, risultano ancora ben distinguibili i lati est
e sud che, a differenza degli atri due, sono ottenuti, almeno nella
parte bassa, impostando le fondazioni (USM 3078, l’unico tratto
parzialmente indagato) direttamente all’interno del banco roccioso. Quest’ultimo è rivestito con una sorta di intonaco idraulico
(USR 73), ben diverso dal solito rivestimento parietale, la cui
presenza suggerisce che l’ambiente II.2, o almeno la sua metà
orientale, forse separata da quella occidentale, abbia avuto una
qualche relazione con l’elemento idrico, al momento tuttavia non
ulteriormente determinabile.
64
Esso è stato allettato direttamente sul banco roccioso (US
9812), che rivela almeno in parte segni di lavorazione, forse pertinenti ad una fase precedente. Su questi, connessi certamente a
quelli rinvenuti all’interno dell’ambiente II.1, sarà necessario ritornare in futuro.
65
Sembra che, per poterlo fondare in modo stabile, si sia proceduti ad un’ulteriore lavorazione del banco roccioso, con la
creazione di una sorta di gradino, US 9626 (2,50 x 0,48 m ca.),
immediatamente ad est della strada.
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tempo quella degli ambienti II.7, II.13 e II.14, posti
sul versante occidentale e allineati tutti sulla stessa
fronte 66.
Le evidenze pertinenti a questa fase comprendono
infine, verosimilmente, un accurato taglio allungato
(US 1852=9269: da 122,98 a 123,34 m s.l.m.) realizzato nel banco con sezione ad “U”, e che si sviluppa
con orientamento N-S nello spazio compreso fra la
cisterna Z 41 ed il muro di recinzione USM 1820
(lungh.10,80 m ca; largh. 0,57 m ca.). La sua conformazione e la sua ristrettezza inducono ad interpretarlo come un piccolo ambitus che separava il muro
di recinzione/contenimento dal complesso architettonico fin qui descritto. Esso era accessibile dall’asse
stradale est-ovest (US 186), mettendo probabilmente
quest’ultimo in connessione con il lithostratos nordsud (USM 9320) e consentendo prima ancora il raggiungimento della cisterna Z 41 67. Infatti, benché
esso si interrompa in corrispondenza di questa cisterna, sembra chiaro che esso proseguisse ulteriormente verso nord, sia pure in forma diversa.
Periodo II: terzo quarto del I sec. a.C. (terminus post
quem) (tav. V)
prima età imperiale, indiziando una durata di vita
piuttosto breve per la struttura militare, che sarà inglobata almeno in parte al suo interno.
Distruzione degli ambienti II.11 e II.12
Il momento iniziale del periodo II è documentato
dalla distruzione del muro divisorio est-ovest degli
ambienti II.11 e II.12 (USM 9412), che viene rasato
(US -9413) fino al filare inferiore e obliterato insieme ai due pavimenti (US 9460 e 9463) qui presenti da due strati sabbiosi (US 9414 e 9429), molto
compatti e contenenti numerosi frustuli carboniosi,
da identificare con un sottile livello di abbandono,
depositatosi prima dell’edificazione della struttura
militare 68.
Per la cronologia si dispone di qualche materiale
anforico proveniente dall’US 9414 databile nella fase
terminale dell’età repubblicana. Una datazione che,
pur costituendo un terminus post quem, potrebbe rappresentare una conferma ulteriore della recenziorità
dei due strati rispetto alla costruzione vera e propria
del c.d. bastione.
A differenza di quanto verificato per il periodo I,
l’analisi stratigrafica ha permesso di ricostruire in
modo esaustivo una sola fase costruttiva che vedrà la
distruzione di buona parte del complesso di fine II
sec. a.C. e la costruzione di un’opera difensiva, articolata in diverse fasi di lavoro, alcune delle quali separate per via di temporanee interruzioni. In realtà,
accanto a questa fase il periodo II è caratterizzato
dalla presenza di almeno un’altra grande fase costruttiva – non considerata in questa sede anche per
ragioni tematiche – e che vedrà la nascita di una
nuova struttura (cfr. ad es. le USM 9368-9257), forse
di natura abitativa. In base all’esame preliminare dei
materiali ceramici rinvenuti in associazione, questa
nuova fabbrica sarà edificata già nel corso della
Avvio dei lavori di costruzione dei muri perimetrali
della struttura militare
Obliterando buona parte del complesso del periodo precedente con la distruzione di alcuni suoi ambienti, si procede all’erezione di un articolato corpo
di fabbrica di forma quasi perfettamente rettangolare
(lungh. 14,40; largh. min. 7,05; largh. max. 8,95 m
ca.) definito in passato “bastione”, sulla cui planimetria sarà tuttavia possibile esprimersi in modo definitivo solo con un prosieguo delle operazioni di scavo.
Questa complessa struttura difensiva è definita da
otto muri perimetrali (USM 908, 909, 9247, 14, 9400,
9585, 3090, 3093, 9612) e scandita al suo interno da
due setti murari trasversali (USM 9371, 9241), inseriti all’interno delle soglie del complesso architettonico del periodo precedente, e che definiscono tre
concamerazioni.
66
Pur non essendo stato effettivamente rinvenuto – in quanto
interamente inglobato all’interno del c.d. bastione – è praticamente certo che il ballatoio dell’ambiente II.5 si sviluppasse per
una lunghezza complessiva di 17,70 m ca. verso nord almeno
fino all’estremità nord dell’ambiente II.14.
67
Per le ragioni stratigrafiche e planimetriche già discusse in
merito all’ambiente II.8 è infatti necessario che la vera della cisterna Z 41 gravitasse su questo versante e che dunque l’approvvigionamento idrico avvenisse da questo lato. Non sarebbe stato
possibile invece accedervi da ovest, dal momento che la quota
minima attestata per la ghiera della cisterna Z 41 (US 9514:
123,00 m ca. s.l.m.) è incompatibile con la quota del piano di calpestio dell’ambiente II.5 (121,30 m s.l.m).
68
Non può essere tout-court escluso un rapporto di causa ed
effetto fra la distruzione degli ambienti II.11 e II. 12 e l’avvio dei
lavori di erezione della struttura difensiva, che si registrerà di lì
a breve. La notevole compattezza dei due strati potrebbe inoltre
suggerire che essi siano stati parzialmente risistemati in connessione con la sistemazione di quest’area, funzionando, almeno in
parte, anche da piano di cantiere per la realizzazione delle contigue USM 9451 e 908.
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Tav. V. - Periodo II: strutture murarie pertinenti alla fase 1.
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Vincenzo Capozzoli, Massimo Osanna
per una buona parte della sua
larghezza originaria 70. Mentre
in facciavista (figg. 6-7) sono
presenti blocchi squadrati in trachite (diversi di reimpiego e talora provvisti di bugne rustiche),
di dimensioni variabili, disposti
sia di testa che di taglio, suggerendo una tecnica vagamente
pseudo-isodoma, sul lato interno
i conci rivelano una sbozzatura
irregolare e risultano legati ad
una sorta di “emplecton” impropriamente detto (USM 9400) 71,
o meglio un riempimento che
viene a colmare lo spazio vuoto
Fig. 6. - Particolare dell’angolo nord-occidentale del bastione I.
compreso fra la cortina esterna
USM 14 e i muri perimetrali occidentali degli ambienti del periodo precedente. In tal modo
quest’ultimo finisce per impostarsi, sfruttandola e al contempo
obliterandola, sulla terrazza/ballatoio funzionale nel periodo I a
dare accesso agli ambienti II.7,
II.13-14.
L’USM 14 si lega ortogonalmente all’USM 909 (lung. 7;
largh. max. 0,78 m ca.), il muro
di chiusura nord, il cui zoccolo
di fondazione (USM 2735)
comporta il taglio (US -2736)
dell’asse stradale (US 2737,
come pure della sua preparazione US 2738), che proprio in
questo punto descrive una
Fig. 7. - Dettaglio del paramento ovest dell’USM 14 (c.d. “muro Cavallari”).
curva 72 e prima ancora la rasaPresso la terrazza sottostante rispetto a quella fitura completa del piano superiore dell’ambiente
nora descritta (saggio III), viene eretta l’USM 14
IX.11 73. È significativo che i giunti dei filari inferiori
69
(c.d. “muro Cavallari”) , impostata direttamente sul
(2-4 e 6) di tale struttura E-O sono accuratamente rigià ricordato asse stradale N-S (US 60) che, a seguito
vestiti con malta a grana media; essendo stata applidella costruzione della nuova fabbrica, viene ridotto
cata dall’esterno e penetrando solo per qualche
69
Quest’imponente setto murario (lungh. 13; largh. max.
0,90 m ca.), con orientamento N-S, possiede un unico paramento, quello esterno (occidentale), conservato per un’altezza
max. di 8 filari (4 m ca.) di blocchi squadrati disposti su assise
regolari.
70
Cfr. anche Osanna 2006, p. 41.
71
Si tratta di una gettata di cementizio (largh. max. 1,65 m
ca.), costituito da malta a matrice sabbio-argillosa mista a graniglia di tufo, all’interno della quale sono inseriti una grande quan-
tità di blocchetti per la maggior parte solo sbozzati e schegge di
lavorazione, così come elementi di reimpiego.
72
Analogamente all’USM 14, anche l’USM 909 è costituita da
un solo paramento conservato per l’altezza massima di 11 filari
(h. 6 m ca.), realizzati con blocchi lavorati in facciavista, di dimensioni variabili e talora caratterizzati dalla presenza di bugne
rustiche piuttosto irregolari.
73
L’USM 909 si imposta infatti, in corrispondenza della sua
estremità nord, al di sopra della rasatura dell’USM 9158.
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Cruccas di III sec. a.C. alla fortezza di Sesto Pompeo
189
centimetro all’interno delle fughe, essa potrebbe aver
costituito una base per l’applicazione di uno strato di
rivestimento sui paramenti esterni della struttura difensiva. Da precisare che anche all’USM 909 risulta
connesso il già descritto nucleo di malta a matrice
sabbio-argillosa e materiale vario da costruzione
(USM 9400), questa volta inserito nello spazio di risulta con il muro perimetrale nord dell’ambiente
II.14.
All’USM 909 si lega, in modo ortogonale, mediante un blocco squadrato d’angolo, un nuovo allineamento murario nord-sud (lungh. 9,38 m; largh.
max. 1,23 m). La sua tecnica costruttiva è diversa da
quella dei due tratti murari fin qui descritti, prevedendo una doppia cortina, con il paramento orientale
(USM 908) ben lavorato, e quello occidentale (USM
9359) assai più irregolare e grossolano: fra i due è
presente un nucleo interno molto compatto (USM
9358), ottenuto grazie all’uso del caratteristico legante a matrice sabbiosa nel quale sono inseriti
schegge litiche e blocchetti sbozzati. Il paramento
orientale (USM 908) si conserva per un’altezza di 56 filari (h. 2 m ca.) formati da grossi blocchi di trachite disposti di taglio, perfettamente squadrati sulla
sola facciavista e talora provvisti di bugne rustiche,
come pure di consistenti resti di malta almeno fra i
giunti degli ultimi tre filari 74. Tracce di intonaco proseguono anche sulla faccia superiore dell’ultimo filare conservato, determinando su almeno due dei
blocchi qui presenti una rientranza ad angolo retto
di circa 0,10 m rispetto al filo dell’USM 908. Ci si
chiede se esso non possa costituire la spia in negativo di un restringimento del corpo murario, oggi
non più visibile perché interamente rasato, ma che
all’epoca doveva svilupparsi direttamente al di sopra
dell’USM 908.
Quest’ultima si imposta al di sopra di una fon-
dazione (USM 9451), intercettata soltanto nel suo
tratto meridionale all’interno degli ambienti II.11 e
II.12 75, realizzata in modo da costituire una risega,
che va aumentando progressivamente da nord (0,10
m ca.) verso sud (0,23 m ca.), adeguandosi così perfettamente al profilo della scala qui presente nel
corso del periodo precedente (US 9467-USR 9468),
sulla quale è stata sistemata 76. Tale fondazione prosegue ulteriormente verso sud, per essere quindi cavalcata dalla successiva USM 9374, appartenuta al
medesimo progetto, ma probabilmente – proprio in
virtù di questo fatto – introdotta nel corso di una
modifica successiva 77. Si potrebbe dunque ricostruire una struttura muraria costituita da una fondazione irregolare non a vista, variabilmente
sporgente e necessaria alla stabilizzazione di uno
zoccolo di fondazione, una sorta di euthyntheria, al
di sopra della quale si sarebbe elevato il corpo di
fabbrica principale.
Secondo una dinamica analoga a quella verificata
per l’USM 908, la messa in opera dell’USM 9359
(paramento occidentale) richiede anzitutto la rasatura
dell’USM 9387 all’interno dell’ambiente II.14a, e
quindi l’erezione nella sua metà sud di un’apposita
fondazione (USM 9398) 78. Nell’ambiente II.13, la
costruzione dell’USM 9359 comporta, all’interno del
pavimento (US 9396), il taglio piuttosto irregolare e
con vago orientamento N-S (US -9419 riempita da
US 9430 e 9420), funzionale all’alloggio di un’ulteriore fondazione (USM 9397) 79, prosecuzione meridionale dell’USM 9398. Quasi certamente alla
medesima attività va riferita anche l’US 9402 80, la
cui consistenza e composizione ne chiariscono la natura di piano di cantiere relativo alla messa in opera
dell’USM 9359.
L’ultima struttura muraria pertinente a questa
prima fase di lavoro è costituita da un setto murario
74
Questo elemento, unito alle tracce di scalpellatura ancora
visibili sui blocchi, potrebbe confermare quanto già ipotizzato in
precedenza, vale a dire l’intento (non necessariamente concretato) di procedere ad un rivestimento della struttura muraria.
75
L’USM 9451 (lungh. max. 3,18; largh. max. 0,22; h. max.
0,13 m), sporge rispetto al filo dell’USM 908 ed è costituita da
un’unica fila di blocchetti di trachite, disposti in modo regolare
tutti alla medesima altezza e tendenzialmente di testa.
76
Lo spazio di risulta tra fondazione e scala è stato riempito
con quattro diversi strati (US 9452, 9450, 9444, 9443), con i due
superiori caratterizzati da una ricca frequenza di materiali ceramici misti a oggetti metallici (grappe e chiodi) e frammenti di
stucco. A questi strati che costituiscono il riempimento della parte
inferiore della fossa di fondazione, vengono a sovrapporsi altri
quattro livelli (US 9439, 9438, 9434, 9428).
Ved. infra.
Nonostante lo scavo non sia ancora terminato, tale fondazione si rivela pressoché identica nella tecnica costruttiva all’USM 9397 (sua prosecuzione sud), ancorché di dimensioni
minori (lungh. 0,74; largh. 0,23 m ca.).
79
Questo setto murario, con orientamento nord-sud e visibile
per un solo filare di blocchi di trachite squadrati di medie dimensioni (lungh. 2,50; largh. 0,12-0,19 m ca.), rappresenta il corrispettivo dell’USM 9451, sul lato opposto.
80
Si tratta di uno strato sottile e molto compatto di colore
giallo scuro con frequenti inclusi carboniosi, depositato su parte
della fossa di fondazione appena descritta (US -9419) e in particolare del suo livello superiore di riempimento (US 9420),
come pure sulla porzione centro-meridionale del pavimento
(US 9396).
77
78
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un’opera di fondazione (USM
9395), setto murario E-O, composto di un unico filare di blocchi di trachite di medie
dimensioni 82. Al di sopra di
esso corre con medesimo orientamento, anche se non perfettamente allineata, l’USM 9241
(lungh. 5,20; largh. 1,20 m) 83,
che viene ad occupare lo spazio
della soglia del preesistente
ambiente II.13. Mentre la
messa in opera del paramento
settentrionale richiede il taglio
parziale degli strati di preparazione del pavimento USM 9396
(fig. 8), per la costruzione del
paramento meridionale si proFig. 8. - Seconda catena del bastione I: particolare del paramento nord dell’USM 9241.
cede alla rasatura dell’USM
E-O (USM 9371=911), il quale si lega all’USM 9400,
9365, muro di chiusura settentrionale dell’ambiente
estendendosi, in modo da sfruttare l’apertura della soII.7 e ora “rifunzionalizzato” a risega di fondazione
glia dell’ambiente II.13 (che viene ora completasud dell’USM 9241 da interpretarsi come nuovo
mente obliterata), per una lunghezza di 3,36 m ca.
diatonos.
fino all’USM 9359, alla quale risulta semplicemente
Il taglio US -9403 praticato all’interno dell’US
appoggiato. Costituito da un doppio paramento
9402 (piano di cantiere relativo alla prima fase dei
(largh. 1,05 m ca.) di blocchi e blocchetti in trachite
lavori), costituisce un indizio abbastanza evidente
disposti di testa e legati con malta terrosa, tale setto
dell’appartenenza dell’USM 9241 e della relativa
murario potrebbe aver costituito una sorta di diatofondazione USM 9395 ad un momento posteriore alla
nos interno alla struttura, fungendo da muro di conrealizzazione delle USM 908/9359 84. Non è del tutto
tenimento e sostruzione allo stesso tempo.
chiara la ragione di questo intervento: la presenza di
un (sia pur breve) intervallo fra la costruzione della
Terminazione dei lavori di costruzione del “primo”
metà settentrionale e di quella meridionale del c.d.
bastione
bastione, piuttosto che rimandare ad una modifica in
Questo gruppo di attività è stato distinto dal mocorso d’opera del progetto originario, sembra attrimento che l’analisi stratigrafica dell’ambiente II.13
buibile ad una temporanea sospensione, intervenuta
documenta una breve interruzione nell’ambito dei
prima della realizzazione della seconda catena del balavori di costruzione della struttura militare. Dopo
stione.
un lasso temporale non determinabile il piano di
Terminati i muri perimetrali del “primo” bacantiere (US 9402) viene tagliato (US -9403), instione”, si assiste al riempimento completo, grazie
sieme al sottostante pavimento US 9396, da una
ad una grande colmata, di almeno due degli ambienti
fossa di grandi dimensioni 81. Tale azione di asporto
del complesso del periodo I (II.13 e II.14). In partipotrebbe essere in relazione con la costruzione di
colare nell’ambiente II.13, interamente scavato (a
81
Essa è stata distinta al momento dello scavo in tre differenti
azioni (US -9418 sul lato orientale, US -9427 sul lato occidentale,
US -9403 al centro), rispettivamente riempite dalle US 9417,
9426, e 9404-9405.
82
Questa fondazione si imposta, allo stesso modo di quanto
verificato per il pavimento US 9396, sulla cresta rasata (US 9413) dell’USM 9437 risalente alla fase 1 del periodo I.
83
Tale struttura è costituita da un doppio paramento di blocchi sia squadrati che parzialmente lavorati di dimensioni estre-
mamente variabili ma disposti tutti di testa (analogamente all’USM 9371=911), con nucleo centrale formato da legante e scaglie litiche.
84
Dal momento che il taglio (US -9403) relativo alla costruzione dell’USM 9241, ha intaccato parte dell’US 9402, la
quale a sua volta copre la fossa di fondazione dell’USM 9397
(risega dell’USM 9359), ne consegue che l’USM 9397 è precedente all’USM 9395 e di conseguenza l’USM 908/9359 all’USM 9241.
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Emiliano
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191
prontato sul pavimento, prima
della rasatura dei setti murari
dell’ambiente e prim’ancora che
si depositasse la stessa US 9533,
che in parte lo copre.
I due strati sarebbero dunque
relativi all’erezione della metà
settentrionale del bastione, e
probabilmente alla messa in
opera dell’USM 9241, dopo la
quale i lavori si sarebbero arrestati per un certo lasso temporale, come dimostra chiaramente
il fatto che entrambi sono stati
successivamente coperti dalle
USM 9247 e dall’USM 3093.
Dunque, una volta ripresi i lavori, la metà meridionale del baFig. 9. - Vista generale della metà meridionale del bastione con obliterazione in situ degli ambienti del periodo precedente.
stione sarebbe stata impostata
non già direttamente sui piani
differenza di II.14), sono stati individuati due strati
pavimentali degli ambienti, bensì al di sopra dei resti
(US 9376, 9372), pertinenti a tale attività di oblitedelle precedenti operazioni di lavoro, senza darsi cura
razione del vano 85.
di asportarli 87.
Modifica del progetto originario e terminazione dei
lavori di costruzione del c.d. bastione
Questa attività è stata distinta dal momento che
segna ancora una volta un’interruzione nell’ambito
dei lavori di costruzione, la quale, a differenza di
quella verificata per l’ambiente II.13, comporterà
delle conseguenze rilevanti sia sul piano tecnico che
planimetrico.
Su buona parte del pavimento (US 9363) dell’ambiente II.7 viene a depositarsi uno strato piano e
piuttosto compatto (US 9533), contenente qualche
resto di intonaco e frammento ceramico, interpretabile, anche per via della sua superficie regolare, come
piano di cantiere 86. Al di sotto dell’US 9533 era una
chiazza di cenere (US 9809) sub-circolare piuttosto
compatta, interpretabile come un piccolo fuoco ap-
Ripresa dei lavori di costruzione
Si riprendono ora i lavori e si porta a termine in
modo definitivo il bastione, realizzando i due muri
perimetrali est e sud (fig. 9), con l’aggiunta di una
sorta di sbarramento E-O immediatamente ad est del
corpo principale.
Come visto, l’ultimo – in ordine cronologico – dei
setti murari realizzati prima dell’interruzione dei lavori, è stata l’USM 9241. Ad essa viene appoggiato
un possente setto murario (USM 9247) a doppio paramento, di dimensioni pressoché identiche (lungh.
max. 4,8; largh. 1,20 m) 88, il quale funziona da muro
di chiusura orientale del complesso. La sua messa in
opera (fig. 10), al sopra dell’US 9533 (precedente
piano di cantiere), deve aver comportato la rasatura
completa del muro perimetrale ovest dell’ambiente
L’US 9376, conservatasi per un’altezza di 2 m ca., possiede una matrice sabbiosa ed una consistenza friabile, e si caratterizza per la presenza di varie classi di materiale ceramico,
nonché di elementi metallici e frammenti di stucco. Oltre a
questi reperti, si segnala anche la scoperta di una vasca in arenaria frammentaria (ma quasi interamente ricomponibile): ved.
infra.
86
Da precisare, come si vedrà anche in seguito, che tale strato
è coperto dalle USM 9247 e 3093, rispettivamente muri perimetrali est e sud della metà meridionale del bastione.
87
L’esame delle evidenze successive dimostra una certa su-
perficialità tecnica che caratterizza tutta la metà meridionale del
c.d. bastione e che vede molti dei setti murari poggiati direttamente sui piani di cantiere del periodo precedente (emblematico
è il caso, oltre a quello già discusso, delle USM 9374 e 9373),
nonché un cambiamento delle tecniche costruttive, ora divenute
assai più irregolari.
88
Esso è realizzato con blocchi in trachite parzialmente
squadrati posti di testa nel paramento occidentale e blocchi appena sbozzati e di forma sub-circolare nel paramento orientale;
il nucleo interno è in scheggioni litici e legante a matrice sabbiosa.
85
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3090 è costituita dall’USM 9585
(lungh. 1,85; largh. min. 1,10;
largh. max. 1,45 m ca.), che possiede anch’essa una forma trapezoidale, in modo da sfruttare
al meglio lo spazio vuoto compreso fra le suddette USM 3074,
9565 e 9596 (muro di chiusura
est dell’ambiente II.6).
Per mezzo di un’apposita colata di cementizio (USM 9401)
le USM 3090 e 3093 sono state
connesse all’USM 9612 (lungh.
2; largh. 0,62 m ca.), una struttura muraria a doppio paramento
murario con nucleo interno, con
orientamento E-O. I suoi due
paramenti differiscono per diFig. 10. - Dettaglio del paramento ovest dell’USM 9247 su piano di cantiere (US 9533).
mensioni e tecnica costruttiva: a
differenza di quello sud, segnato
II.7, e quella parziale del muro sud del medesimo amda una minore lunghezza (1,66 m) e da una larghezza
biente, risparmiato per l’altezza di 1 m ca. e inglodel tutto irregolare, che va aumentando da ovest (0,38
bato all’interno delle nuove strutture del bastione.
m ca.) verso est (0,60 m) 89, il paramento nord, in tecL’USM 9247 fa sistema con un ulteriore corpo
nica pseudo-isodoma, è in blocchi di trachite di
murario ad esso ortogonale (USM 3093: lungh. 2,15;
grandi dimensioni ben lavorati e disposti sia di testa
largh. 0,62 m ca.), realizzato incorporando interache di taglio su 2-3 filari. Una tecnica costruttiva anamente il muro di chiusura meridionale (USM 3074)
loga a quella documentata dalla contigua USM 14,
dell’ambiente II.7 Si tratta una struttura a singolo pacui l’USM 9612 pare semplicemente addossata (deramento (non a vista) in blocchi di trachite appena
finendo un angolo leggermente maggiore di 90°) 90.
sbozzati e di medie dimensioni, posti di testa insieme
Va precisato che l’USM 9612 determina una spora materiale di reimpiego, con un vago orientamento
genza di 0,90 m ca. rispetto al filo dell’USM 14,
est-ovest. Essa, fondata al di sopra delle US 9533 e
eretta direttamente al di sopra dell’asse stradale (US
9809 va messa in relazione con un’altro corpo mura60), in modo forse da sbarrare l’asse stradale per chi
rio della medesima tecnica costruttiva, di cui è in luce
provenisse da nord. A ciò si aggiunga anche che il paal momento solo la cresta rasata. Procedendo da ovest
ramento meridionale dell’USM 9612 non doveva esverso est si segnala l’USM 3090 (lungh. 3,20; largh.
sere a vista 91: lo dimostrerebbero la sua dozzinale
min. 0,27; largh. max. 0,93 m ca.) che, ad unico patecnica costruttiva, ma soprattutto il rinvenimento in
ramento, corre parallela all’USM 3093, con una sinappoggio di una serie di strati, alcuni dei quali a digolare forma trapezoidale allungata, determinata
retto contatto con il piano stradale (US 9625, 9624,
dalla necessità di inglobare, questa volta da sud,
9623) e altri depositati ad una quota immediatamente
l’USM 3074. La prosecuzione orientale dell’USM
superiore. Si tratta di strati a matrice sabbiosa estre-
Tale paramento si conserva per un’altezza di 5 filari assai lacunosi, formati da blocchi in parte lavorati solo sulla facciavista,
in parte squadrati, ma nel complesso di dimensioni assai inferiori
rispetto a quelle attestate per l’altro paramento e disposti tutti di
testa. Il nucleo interno è ottenuto mediante un’abbondante quantità di legante misto a conci appena sbozzati o a blocchi di reimpiego.
90
Il giudizio definitivo è comunque destinato a rimanere per
ora sospeso, dal momento che vi sono ancora diversi strati in situ
89
relativi at terrazzamento moderno (USM 9606), a sua volta impostato direttamente al di sopra dei resti rasati dell’USM 14.
91
Non è invece ancora chiara la ragione per cui il paramento
nord dell’USM 9612 sia costituito da grossi blocchi squadrati di
trachite apparecchiati a facciavista, pur essendo in parte compreso all’interno della struttura stessa del bastione. L’ipotesi di lavoro attuale, in attesa del completamento dello scavo, è che in
questo caso fosse necessario disporre di una struttura più solida
e stabile di quella verificata nei settori adiacenti proprio per via
della presenza del dente murario est-ovest.
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mamente compatta, che rimandano ad un “nuovo”
utilizzo della strada (forse piani di cantiere relativi
alla messa in opera del tratto sud-occidentale della
struttura del bastione) e forniscono al tempo stesso
un utile terminus ad quem per la datazione dell’USM
9612 alla prima età augustea.
Se il semplice rapporto di appoggio dell’USM
9612 all’USM 14 costituisce un indizio in favore
dell’ipotesi di un “ripensamento” o comunque di
una modifica del progetto originario, una prova significativa in tal senso è costituita da quanto si verifica all’interno dell’ambiente II.11, in occasione
della costruzione non solo della già menzionata
USM 9369 ma anche della sua risega di fondazione
USM 9374. Quest’ultima (lungh. max. 3,40; largh.
max. 0,15 m) presenta un orientamento est-ovest e
viene appoggiata direttamente alla facciavista
dell’USM 908 92. Al di sopra ma arretrata di 0,20 m
verso sud, si imposta l’USM 9369 (lungh. 5,42;
largh. 1,11 m), costituita da un doppio paramento
con nucleo interno, conservatosi per l’altezza di due
filari di blocchi in trachite parzialmente squadrati e
materiale di reimpiego: essa, a differenza della sua
fondazione (USM 9374), viene ammorsata, almeno
nel filare superiore (il secondo dei due conservati),
all’USM 908, tagliata e risistemata proprio per questo scopo.
I due setti murari devono aver fatto dunque parte
di un progetto unitario, che avrebbe comportato
l’obliterazione della parte bassa (USM 9374 in appoggio) e lo “smontaggio temporaneo” della parte
alta dell’USM 908. Circostanze che confermano
l’ipotesi della modifica dell’originario progetto del
bastione. Una struttura costruita a più riprese, l’ultima delle quali comporta lo sbarramento definitivamente dello spazio rimasto libero in questo settore fra
il lato orientale del bastione (USM 908) e quello
ovest del muro di contenimento/recinzione (USM
1820).
Va infine precisato che le indagini di scavo condotte all’interno di II.9 hanno permesso di capire che
per l’imposta dell’USM 9374 è praticato all’interno
L’USM 9374 risulta al momento visibile solo nel paramento
settentrionale, costituito da 3-4 filari irregolari di blocchi squadrati di trachite di medie e piccole dimensioni.
93
È inoltre probabile che questo piano sia stato progressivamente danneggiato in occasione della costruzione dei setti murari
pertinenti al bastione, a giudicare dal rinvenimento di una serie
di fossette non altrimenti interpretabili e rinvenute ad O, E e S
(US -9840, -9838 e -9835 riempite da UUSS 9841, 9839 e 9837).
92
193
dell’US 9836 93, probabile piano di calpestio pertinente al periodo precedente, un piccolo taglio di fondazione, con relativo riempimento US 9842.
Ai lavori di edificazione delle USM 9374 e 9247
è certamente connessa anche l’US 9831, rinvenuta in
appoggio rispettivamente ai loro paramenti meridionale e orientale, e coperta dall’USM 9373 (la quale
va dunque necessariamente ascritta ad un momento
successivo). La composizione e consistenza di questo
strato, unitamente alla superficie piana rimandano ad
un livello di calpestio, forse un’altro piano di cantiere.
Sempre in relazione alla costruzione dello “sbarramento”, ma sul versante opposto, è l’US 9416, rinvenuta in appoggio al paramento settentrionale
dell’USM 9374 94. La sua superficie sostanzialmente
piana e regolare, unitamente alla sua durezza e al
fatto che tale strato si conserva principalmente a ridosso dell’USM 9374, potrebbe indiziare una sua
funzione come piano di cantiere relativo alla costruzione della sovrastante USM 9369.
Ultimazione dei lavori di costruzione della struttura
militare e rialzamento della cisterna Z 43 (?)
Questa ulteriore distinzione, corrispondente ad
una diversa fase di cantiere, è suggerita dall’aggiunta
di un ultimo, ridotto corpo murario alla struttura militare. L’elemento più interessante è costituito dall’obliterazione definitiva, per mezzo di consistenti
livelli di colmata, degli ambienti ubicati nella parte
centrale del complesso, ovverosia (da nord verso sud)
di II.7, II.9-10 e II.5-6. All’interno dell’ambiente II.7,
al di sopra del piano di cantiere US 9533, vengono
scaricati due grandi strati di riempimento (US
9525=9526, 9527=9356), per un’altezza massima di
1,27 m ca.
Immediatamente ad est, si procede all’ ultimo intervento costruttivo relativo al bastione, mediante
l’erezione, direttamente al di sopra dell’US 9831
(piano di cantiere della fase di lavoro immediatamente precedente), dell’USM 9373 95 e la successiva
obliterazione degli spazi di risulta con gli ambienti del
94
Si tratta di uno strato a matrice sabbiosa, dalla superficie
piuttosto piana, che occupa la parte centro-meridionale dell’ambiente II.11 e non conserva tutti i suoi limiti originari, dal momento che il lato orientale è coperto dall’USM 9257/9368,
pertinente ad una fase successiva non considerata – come già anticipato – all’interno del presente contributo.
95
Esigua struttura a doppio paramento (lungh. 0,78; largh.
0,95 m ca.) realizzata in modo pressoché identico alla prospiciente USM 9247.
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Vincenzo Capozzoli, Massimo Osanna
complesso precedente. Essa sembra potersi identificare come una sorta di contrafforte esterno alla struttura del bastione e funzionale a consentire una maggiore stabilità allo sbarramento (USM 9374/9369).
Alla sua messa in opera potrebbe essere messa in relazione l’US 9832, uno strato compatto, piano e privo
di inclusi, interpretabile come nuovo piano di cantiere.
Una volta terminata la costruzione della struttura difensiva, si procede all’obliterazione anche di II.9,
dove al di sopra del piano di cantiere, vengono scaricati due diversi livelli di colmata (US 9827 e 9800) 96.
Si passa infine all’obliterazione completa degli
ambienti II.5 e II.6, già parzialmente invasi dalla costruzione delle USM 9585 e 3090, con vari livelli di
colmata.
Almeno a livello ipotetico si potrebbe ascrivere al
medesimo momento il rialzamento della cisterna Z
43 all’interno dell’ambiente II.3 97: l’ampliamento
della capacità idrica della cisterna potrebbe essere
messo in relazione infatti alle nuove esigenze di difesa. La sua parte alta viene così inserita nel rettangolo dell’ambiente, sfruttando in modo completo
tutto lo spazio disponibile e riempiendo lo spazio di
risulta fra i muri perimetrali dell’ambiente II.3 e la
ghiera USM 9560 98, con delle colmate di conci appena sbozzati e materiale legante (USM 3017). Rispetto alla metà inferiore del serbatoio (pertinente al
periodo I) la parte alta si riduce in dimensioni, presentando una regolare forma ellittica (lungh. ric. 3,95;
largh. 1,20 m ca.).
A questa attività costruttiva possono essere connessi una serie di setti murari (USM 9578, 9579,
9558, 9559, 3035, 9581), addossati ora al paramento
esterno dei muri di chiusura occidentali dell’ambiente
II.3 (USM 3034 e 9580). Tali interventi sono almeno
in parte da collegare al rialzamento della cisterna,
come dimostra anche la presenza del canale di scolo
USM 9577, in una sorta di piccolo risparmio nel
punto di incontro fra l’USM 9559 e il paramento
ovest dell’USM 3034.
In merito all’USM 9559 va detto che essa definisce insieme alle USM 3035 e 9558, un piccolo
Se l’analisi delle stratigrafie orizzontali e murarie
consente di stabilire una cronologia relativa piuttosto
coerente, più scarsi sono gli elementi per fissare la
cronologia assoluta del periodo II, dato anche l’altissimo tasso di residualità – circostanza del tutto normale per grandi lavori di colmata come quello fin qui
descritto – documentato dagli strati indagati (la maggior parte dei quali ha restituito materiale compreso
la fine del III, e ancor più la seconda metà del II e la
seconda metà del I sec. a.C. 99).
Un primo dato significativo ai fini della cronologia è costituito da una delle due colmate rinvenute
nell’ambiente II.13 (US 9376) e da uno dei livelli
(US 9439) della fossa di fondazione dell’USM 9451.
Essi contengono materiale datante, inquadrabile genericamente in età augustea nel primo caso, più precisamente fra il secondo ed il terzo quarto del I sec.
a.C. nel secondo. Un aggancio ancora più puntuale è
fornito dagli strati compatti rinvenuti al di sopra dell’asse stradale US 60 (US 9624, 9625, 2803=2805 e
2804), interpretabili (come visto) come piano di cantiere relativo alla messa in opera dell’USM 9612: i
materiali rinvenuti all’interno possono essere inquadrati nella prima fase dell’età augustea. Allo stesso
orizzonte cronologico rimandano anche l’US 9621,
livello di obliterazione (colmata?) connesso sempre
alla costruzione dell’USM 9612, e soprattutto l’US
96
Una situazione analoga può essere ricostruita a livello ipotetico – non essendo ancora terminato lo scavo – anche per lo
spazio di risulta II.10.
97
L’attribuzione a questa fase è destinata a rimanere ipotetica,
dal momento che non è stato possibile rinvenire, anche per ragioni strutturali, alcuno strato connesso alle fasi di costruzione né
di vita della cisterna.
98
Essa è costituita da un singolo allineamento di blocchi di
medie e grandi dimensioni, per la maggior parte lavorati soltanto
sulla faccia interna e disposti per lo più di taglio, ad eccezione
delle zone angolari, dove invece si addensano blocchetti minori
posti tutti di testa.
99
Si pensi, ad es. (ma la casistica è ben più numerosa) alle US
9533, con materiale che si spinge al III sec. a.C., US 9356=9527 (seconda metà del II sec. a.C.), e infine alle US 9622 (fra il 150 e il 50
a.C.) e 9623 (fine II sec. a.C. fino all’età augustea).
setto murario E-O (lungh. 1,50; largh. 0,85 m ca.)
ad unico paramento e nucleo centrale, addossato
tanto alla facciata ovest dell’ambiente II.5 (USM
3034), quanto all’estremità nord (USM 9557) del
terrazzamento/ballatoio USM 9557 del periodo precedente. Sembra che tale struttura vada letta in parallelo con le USM 9579 e 9578, ubicate immediatamente a nord, e sia da interpretare dunque come
fondazione di una struttura (lungh. 2,50; largh. max.
0,85 m ca.) che doveva probabilmente svilupparsi in
altezza. Ci si troverebbe forse in presenza dei resti
di una scala o di una terrazza che doveva consentire
l’accesso alla parte alta e dunque l’utilizzo della cisterna Z 43.
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Nuovi dati su Cossyra ellenistica: dalla ridefinizione
Emiliano
urbanistica
Cruccas di III sec. a.C. alla fortezza di Sesto Pompeo
195
I dati fin qui presentati dimostrano dunque come
a partire dall’ultimo quarto del II sec. a.C. e poi, in
modo ancora più evidente nella seconda metà del I
sec. a.C., si registri a Cossyra una ridefinizione radicale degli spazi e della connessa viabilità, la quale
viene a modificare in maniera profonda l’aspetto
delle due terrazze superiori dell’Acropoli. Il primo
intervento, che altererà radicalmente gli spazi sommitali della collina, è costituito dalla costruzione di
un muro di recinzione che delimita in maniera geometrica gli spazi sacri del santuario da quelli “profani” dell’abitato e che porterà alla chiusura, a volte
parziale e a volte totale, dei percorsi stradali di accesso all’Acropoli fino ad allora in funzione. Il secondo, ancora più traumatico per l’impianto urbano
è da porre invece nel corso della seconda metà del I
sec. a.C. e comporterà una trasformazione radicale
in tutta la parte più elevata della collina di Santa Teresa, la quale viene interessata dall’invasivo impianto di una fortezza, a discapito di interi complessi edilizi, completamente distrutti per far posto
all’opera militare, e anche – dato assai significativo,
per riflettere sul significato di tale intervento – a discapito di parte dell’impianto santuariale, nel quale
spazi originariamente aperti e manufatti architettonici vengono obliterati per far spazio ad una serie ri-
levante di nuove cisterne per l’approvvigionamento
idrico.
Per poter comprendere al meglio la reale portata
di questi consistenti interventi edilizi e valutarne appieno le conseguenze non solo a livello urbanistico
ma anche sul piano della nuova strutturazione dello
spazio sacro, è tuttavia necessario fare un passo indietro a riconsiderare, sia pure brevemente, i principali eventi che hanno segnato nella diacronia questo
settore pluristratificato dell’insediamento antico, già
a partire dalla prima età arcaica 100.
Se la nascita del nuovo insediamento è ormai da
fissare nel corso dell’VIII sec. a.C., come dimostrano
ampiamente materiali residuali intercettati nello scavo
e i manufatti recuperati nel survey infra-site 101, al VII
sec. a.C. sembrano riferirsi le prime tracce di strutture
individuate: si tratta nello specifico di lacerti murari
individuati nei livelli più profondi del saggio VIII,
presso l’estremità settentrionale della terrazza sommitale. Qui l’indagine stratigrafica, condotta ai piedi del
podio I del santuario ellenistico, ha intercettato un setto
murario E-O (USM 1525) ammorsato, in modo pressoché ortogonale, ai filari inferiori della facciavista
orientale di un altro muro (USM 897), più tardi usato
come struttura di contenimento di una cisterna (Z 11),
cui sono associati due lembi di battuto in argilla sabbiosa con inclusi carboniosi. La cronologia può essere
determinata in base ad una serie di indizi, a cominciare
da un frammento di parete d’anfora arcaica reimpiegato fra le fughe dei blocchi del muro (USM 1525). A
ciò si aggiungono due livelli di obliterazione rinvenuti
al di sopra dei piani pavimentali (tra l’altro oggetto di
un rialzamento in una seconda fase), con materiali databili tutti a partire dal VII sec. a.C. 102. La frequentazione dell’edificio sembra proseguita anche
successivamente, almeno fino alla fine del IV/ inizi del
III sec. a.C., quando due scarichi (US 2448=1516 e
2439=1515) rinvenuti all’interno, ne segnano il definitivo abbandono 103. Per quanto riguarda planimetria
e funzione dell’edificio, gli esigui resti murari per-
Osanna 2006; Osanna 2009.
Che l’insediamento si sia strutturato già a partire da epoca
alto-arcaica, lasciavano ipotizzare già i materiali arcaici decontestualizzati recuperati da Paolo Orsi alla fine dell’Ottocento, ma
è ora documentato inequivocabilmente dal recente survey condotto tutt’intorno alla due colline, il quale ha restituito dati straordinari per riconoscere nel polo di Santa Teresa il primo nucleo
abitato, che nei terreni a valle, a est e a ovest, doveva aver individuato lo spazio per le necropoli: M. Almonte, Cossyra, ricognizione topografica. Storia di un paesaggio mediterraneo, Tesi
di Dottorato, Tübingen 2010. Ved. anche Almonte 2005.
102
I due livelli di obliterazione che contengono i materiali più
antichi individuati in contesto hanno restituito in un caso (US
1526) pareti di anfore cartaginesi (databili fra VII e IV sec. a.C.),
e una parete d’anfora spagnola di VII-VI sec. a.C., e nell’altro
(US 2453=2449) reperti riconducibili alla seconda metà del VII
sec. a.C.
103
Il rinvenimento all’interno dei livelli superiori di obliterazione, oltre a resti ceramici, di numerosi reperti ossei e vegetali,
fa sorgere il sospetto che all’abbandono e alla distruzione definitivi della struttura si sia accompagnata una specifica pratica rituale: analisi paleobotaniche e osteologiche sono in corso.
9416, piano di cantiere funzionale alla costruzione
dell’USM 9374 nell’ambiente II.11.
Alla luce di questi dati e dei risultati raggiunti dall’esame della sequenza stratigrafica appare pertanto
legittimo inquadrare la complessa e articolata attività
edilizia del periodo II nel corso del terzo quarto del I
sec. a.C.
(V.C.)
Spunti di riflessione alla luce dei nuovi dati (tav.
VI)
100
101
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Vincenzo Capozzoli, Massimo Osanna
Tav. VI. - Planimetria generale delle principali evidenze architettoniche fra VII e I sec. a.C.
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urbanistica
Cruccas di III sec. a.C. alla fortezza di Sesto Pompeo
197
mettono di ricostruire con sicurezza solo due vani rettangolari allineati con orientamento est-ovest. Difficile dunque esprimersi sulla natura dell’edificio: se
per l’età ellenistica tale settore della terrazza di Santa
Teresa ricade all’interno dello spazio sacro, questo
non può essere affermato con certezza anche per le
epoche più antiche. Ciò nonostante in considerazione
dell’ubicazione significativa, all’estremità della collina, da dove si domina con ampia vista l’area portuale e la distesa marina, e della singolare
concentrazione di contenitori da trasporto di importazione, a mio avviso non si può escludere in modo
assoluto (tutt’altro!) una funzione di tipo sacrale.
Altrettanto poco chiara risulta la natura di un’altra struttura individuata poco più a monte, verso sud,
la quale risulta inglobata dai tre muri perimetrali del
podio I di età ellenistica, su cui porteremo l’attenzione più avanti: si tratta di un piccolo vano rettangolare (3,48 x 2,37 m), definito da quattro setti murari
fra loro legati, colmato da due strati di sabbia e materiale ceramico (US 2016, 2027). Al momento dello
scavo si è ipotizzato trattarsi di un sistema di fondazioni a camera dell’edificio ellenistico, destinate ad
annullare il forte dislivello della superficie rocciosa.
In realtà il fatto che, con l’eccezione del muro nord,
tale vano non sia affatto legato alle strutture portanti
dell’edificio, che invece risultano appoggiate ad esso,
ma soprattutto l’osservazione che la struttura presenta
medesimo orientamento e analoga tecnica edilizia dei
due vani di età punica, potrebbe spingere nel vedere
in questo vano un altro elemento dell’impianto santuariale di età arcaica.
In ogni caso riguardo la definizione e la vita del
santuario in mancanza di strutture chiaramente identificabili, un impianto precoce e una continuità di frequentazione può essere ipotizzata soprattutto in base
alla diffusa presenza residuale (con distribuzione in
tutta l’area che sarà occupata dal santuario ellenistico) 104 di manufatti ceramici che rimontano al VII
sec. a.C. e si scaglionano poi per tutta l’età arcaica e
classica (tra questi si segnalano materiali di importazione, come ceramiche corinzie e attiche, nonché anfore di varia provenienza, dalla Spagna a Cartagine
alla Grecia, ecc.).
Risulta dunque altamente probabile che la definizione dello spazio sacro avvenga a Santa Teresa assai
precocemente, di pari passo con la strutturazione
dello spazio abitativo, se non già nell’VIII, sicuramente nel corso del VII sec. a.C. Verso questa ricostruzione spinge del resto anche il parallelismo con il
santuario del Lago di Venere 105, la cui precoce definizione spaziale è ampiamente documentata tanto dai
vecchi quanto dai nuovi scavi. Sarebbe significativo
al riguardo poter leggere come spie di un univoco
processo di “territorializzazione” la nascita dei due
luoghi di culto, quello acropolico, perno del nucleo
insediativo “urbano”, e quello dello Specchio di Venere, ubicato all’estremità nord-orientale dell’isola 106. La definizione parallela dei due poli sacrali
sarebbe avvenuta al momento stesso della rioccupazione dell’isola, ove le forme di popolamento sembrano conoscere una forte cesura tra XIV e VIII sec.
a.C. La rinnovata occupazione dell’isola, dopo i fasti
dell’Età del Bronzo, potrebbe rimandare ad un precoce interesse da parte di Cartagine, dello spazio marittimo circostante (se si pensa che l’isola dista solo
70 km dalla costa africana) e conoscere come atto
“inaugurale” dell’organizzazione dei nuovi spazi acquisiti al popolamento punico, proprio la parallela
fondazione di due poli sacri 107. Ovviamente allo stato
attuale della documentazione è impossibile stabilire
se Cartagine sia piuttosto intervenuta solo in un secondo momento a riqualificare in senso “punico” uno
spazio già frequentato da genti fenice, come accade
in altre aree del mediterraneo occidentale 108. Certo è
che la cultura materiale, del tutto simile a quella cartaginese, sia per quel che riguarda forme e tipi dei
materiali “locali” (in senso cartaginese, per l’ap-
Si tratta per lo più di manufatti rinvenuti in seconda giacitura all’interno di scarichi vari destinati, nei momenti di ridefinizione architettonica susseguitisi tra età tardo-repubblicana e
proto-imperiale, a creare terrazze o definire nuovi livelli e piani
di frequentazione, o ancora all’interno delle cisterne una volta
esaurita la funzione di serbatoio.
105
Il riferimento è al polo cultuale “extra-urbano”, posto in
località Specchio di Venere, dove il singolare paesaggio, segnato
dalla presenza di acque termali, attira precocemente lo strutturarsi del sacro: M.L. Amadori et alii, Ricerche archeologiche al
santuario del Lago di Venere (1998-2002), in Pantelleria Punica,
pp. 139-275.
106
Negli ultimi anni il dibattito sulla “mediterranean urbanization” gode di nuova fortuna: interessanti contributi sul fenomeno in R. Osborne, B. Cunliffe (a cura di), Mediterranean
urbanization. 800-600 B.C., Oxford 2005. In particolare sul Mediterraneo occidentale si segnala il contributo di P. Van Dommelen, Urban Foundation? Colonial Settlement und Urbanization in
the Western Mediterranean, pp. 143-168.
107
Su questi problemi sono già ritornato in Osanna 2009.
108
Un quadro di sintesi su Cartagine e il Mediterraneo occidentale, con bibl., è tracciato da G. Garbati, in S.F. Bondì et alii,
Fenici e Cartaginesi. Una civiltà mediterranea, Roma 2009, pp.
103-154.
104
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Vincenzo Capozzoli, Massimo Osanna
punto) sia per quanto concerne il regime dei manufatti importati, sembra spingere piuttosto nell’ attribuire direttamente alla metropoli africana il primato
di una occupazione precoce almeno di questa isola
proiettata fortemente verso l’antistante Sicilia.
Tornando a prendere in considerazione lo spazio
sacro, dunque, nonostante lo iato di quasi quattro secoli che intercorre fra i pochi resti di edifici arcaici citati e il primo edificio di culto effettivamente
riconoscibile come tale (I.3), eretto nei decenni centrali del III sec. a.C., l’ampia presenza di manufatti
ceramici di alto livello e coroplastica, databili tra età
arcaica e prima età ellenistica, rimanda, come abbiamo visto, ad una estesa frequentazione, anche se
rimane preclusa la decrittazione delle forme della cerimonialità e delle dinamiche rituali che hanno segnato nel tempo la vita del santuario.
Per quanto riguarda le ulteriori esigue evidenze relative alle fasi pre-ellenistiche del santuario, l’esame
delle stratigrafie e soprattutto dei numerosissimi tagli
artificiali del banco roccioso, permette almeno di
tracciare una cronologia relativa delle principali linee
di strutturazione di quest’area e soprattutto di individuare alcune significative trasformazioni nell’organizzazione dello spazio e della relativa viabilità interna ed esterna.
La presenza nel settore nord-occidentale di alcuni
setti murari, sicuramente precedenti la seconda metà
del III sec. a.C. (ad es. USM 857), sembra indicare
che l’asse definito dai resti di età punica venga successivamente ruotato in senso orario, per essere sostituito da un nuovo asse generatore con orientamento
pressoché Nord-Sud. È probabile che in relazione ad
esso si disponga almeno una delle due cisterne più
antiche, la Z 12, all’interno della quale è stata recuperata la testa di Tito e, forse, anche la prima fase, tagliata direttamente nel banco, della cisterna Z 7,
ubicata 4,50 ad ovest della prima. A questa nuova
strutturazione potrebbe essere ascritta anche la cisterna Z 10 (da cui provengono le teste di Cesare e
Antonia Minor) 109, ubicata esattamente sullo stesso
asse della cisterna Z 12. Il suo orientamento lievemente divergente e compatibile con quello dei resti di
età punica, la quota del suo fondo (120,97 m s.l.m.),
e quella ricostruibile per la sua copertura (123,70 m
s.l.m. ca.), potrebbero connetterla con una fase pre109
Sul contesto di rinvenimento delle tre teste cfr. Osanna, in
Ceasar ist in der Stadt, pp. 39-48.
cedente, e riportarla ancora alla fase di vita del complesso di età punica.
Tale nuovo asse sembra rispondere ad una nuova
“forma” acquisita dall’area sacra, la quale prevede la
definizione di uno spazio segnato da assi est-ovest,
dall’andamento obliquo rispetto alle direttrici fino ad
allora definite. Interessante notare al riguardo il peculiare orientamento di una serie di cisterne realizzate
forse proprio in questo momento nella parte centrale
della terrazza (Z 2, Z 17 e, più tardi, Z 4 e Z 5a), il
quale potrebbe segnalare la presenza di un altro asse
parallelo al precedente appena descritto, o quanto
meno di un “limite” (forse il margine meridionale di
un proto-temenos che si estendeva a nord, fino ai resti
di età punica?) analogamente orientato. Se l’ipotesi
“asse stradale” cogliesse nel segno, sarebbe possibile
ricollegarlo alla meglio nota strada che metteva in
collegamento la città bassa con il santuario, la quale
dopo aver disegnato una curva a gomito all’altezza
del saggio II, entrava nello spazio sacro proprio all’altezza di questo filare di cisterne: qui dunque
avrebbe potuto realizzare un ulteriore gomito, questa
volta in direzione sud-est, passando immediatamente
a nord delle cisterne suddette e in particolare della cisterna Z 17.
Va infine segnalato che il peculiare orientamento
delle cisterne centrali ritorna anche presso l’estremità
meridionale della terrazza, dove è documentata la
presenza di un altro percorso E-O, tagliato nel banco
roccioso (US 5=5165).
Riguardo la definizione cronologica di questo intervento urbanistico, percepibile in particolare sulla
sommità della collina, non si dispone al momento di
dati precisi. Sarebbe tuttavia suggestivo collegare tali
attività (dalla nuova viabilità all’incremento dei serbatoi idrici) agli eventi che vedono Cossyra giocare
un ruolo significativo nel conflitto apertosi tra Cartagine e Roma: ossia gli eventi della prima Guerra Punica. La realizzazione di un nuovo cospicuo numero
di cisterne, che come vedremo, ritorna a Pantelleria
sempre in connessione con episodi “drammatici” o
comunque di conflitto “mediterraneo”, potrebbe essere letta come spia del potenziamento dell’isola da
parte di Cartagine, sia in vista di un potenziale assedio, sia come necessaria base di scalo della flotta tra
suolo africano e Sicilia meridionale, dove – dalla battaglia terrestre di Agrigento (261 a.C.) a quella navale dell’Ecnomo (256 a.C.) – si vengono a dispiegare momenti significativi dello scontro romanocartaginese.
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Cruccas di III sec. a.C. alla fortezza di Sesto Pompeo
Fig. 11. - Fronte settentrionale modanata dell’USM 2020 (podio I).
Con l’eccezione del sistema viario e di quello di
rifornimento idraulico, non si è in grado al momento
di ricostruire l’articolazione degli spazi all’interno
dell’area sacra e tantomeno al suo esterno, dove i
quartieri di abitazioni sono stati ampiamente trasformati – a più riprese – a partire proprio dalla seconda metà del III sec. a.C. A questa epoca appartengono le tracce di una ridefinizione urbanistica
con l’impianto di nuovi blocchi di abitazione definiti
da strade ortogonali. Il riferimento è agli esigui resti
murari del saggio II, e quelli invece più consistenti
del Saggio IX che permettono di ricostruire almeno
due o più probabilmente tre complessi, che si sviluppano sui due lati di un asse stradale N-S sul quale
si ritornerà fra breve (tav. II). Il primo (ricostruibile
con una lunghezza di 26 m ed una larghezza di 11,30
m. ca.) occupa buona parte del pendio nord-occidentale della collina e si lascia seguire, procedendo
da nord verso sud, dall’ambiente X.5 fino all’ambiente II.7, ovvero al piano inferiore ricostruibile
per quest’ultimo, che insieme a quello sottostante agli
ambienti II.13 e II.14, sarebbe stato obliterato dalla
costruzione del complesso architettonico della fine
del II sec. a.C. Tale piano inferiore doveva essere infatti accessibile direttamente dall’asse stradale US 60
(Saggio III), in perfetta analogia con quanto verificato per i suddetti ambienti X.5-6 e IX.9-11 ubicati
più a nord (fig. 3). Tale isolato si sarebbe articolato
in due file (ad ovest e ad est) di vani allineati (botteghe?) e organizzati su terrazze poste a quote differenti, ciascuno con ingresso autonomo e accessibili
199
sia da ovest, vale a dire dall’asse
stradale principale, che da est
per mezzo di un ulteriore asse
viario da ricostruire senza dubbio – come indicano le soglie
successivamente tamponate dei
vani qui presenti – al di sotto
del più tardo lithostratos (USM
9320). Esso (largh. ricostruita
1,90 m ca.) doveva risalire, superando la forte pendenza anche mediante una serie di gradini tagliati nel banco (saggio
XIII), dalla terrazza inferiore del
Saggio IV fino alla sommità dell’Acropoli per raccordarsi, in
modo pressoché ortogonale, al
percorso E-O già esistente dal
periodo precedente, immediatamente a nord della cisterna Z 7,
e dunque all’estremità occidentale dell’area sacra. Ad
est di tale asse si sviluppano altre due strutture, delle
quali sono noti soltanto due ambienti (saggio IX),
che, indagati parzialmente, rivelano un orientamento
parallelo al complesso antistante, dimostrando pertanto di inserirsi all’interno della stessa maglia spaziale. Distando i due ambienti 1,40 m circa l’uno dall’altro, sembrano presupporre l’esistenza di un
diverticolo E-O, che doveva condurre sul versante
orientale della collina.
Contemporaneamente nel santuario l’erezione di
un nuovo tempio deve aver trasformato in maniera
complessiva l’aspetto della terrazza sommitale. Lo
scavo ha portato qui alla luce un manufatto architettonico (fig. 11), caratterizzato da un possente
setto murario (USM 2020) con orientamento estovest (lungh. 6,50 m ca.), impostato al di sopra di un
zoccolo di fondazione in lastre irregolari di trachite,
e realizzato con grandi blocchi di trachite perfettamente lavorati, legati con malta di terra e stuccati in
modo tale da formare un’elegante zoccolatura, sottolineata da due differenti modanature (USR 2015).
Tale setto murario si lega ad ovest ed est a due altri
muri dalla medesima tecnica e conservatisi per una
lunghezza complessiva di 6,50 m ca., i quali permettono di ricostruire una struttura rettangolare, la
cui estensione verso sud è sconosciuta 110. Se quanto
conservatosi non permette al momento di restituire
110
Relazione preliminare già in De Vincenzo et alii 2005.
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200
Vincenzo Capozzoli, Massimo Osanna
dati solidi per la ricostruzione della planimetria dell’edificio, meno difficile è determinarne funzione e
cronologia 111. La fronte nord dall’alta parete intonacata e doppiamente modanata, suggerisce di riconoscervi un basamento destinato ad ospitare un
sacello completamente scomparso, ma di cui restano
numerosi elementi dell’alzato recuperati in giacitura
secondaria soprattutto all’interno di varie cisterne 112. Per quanto riguarda la cronologia del complesso, i materiali recuperati all’interno del
terrazzamento stesso e da connessi strati di livellamento (US 2016, 2017, 2027) restituiscono un orizzonte compreso tra secondo e terzo quarto del III
sec. a.C. In base a tali dati è assai verosimile che la
costruzione del nuovo tempio preceda il momento
della conquista definitiva dell’isola da parte di
Roma. Non è escluso del resto che si tratti di un edificio di culto realizzato al momento della ripresa
dell’isola da parte di Cartagine, seguita all’effimero
successo romano del 255 a.C. (con relativo trionfo),
quando per poco tempo l’isola era stata distrutta e
tenuta da Roma 113.
Se dunque planimetria e alzato del tempio restano
al momento incerti, un elemento interessante per la ricostruzione dell’organizzazione dello spazio in questa epoca è offerto dall’orientamento dell’USM 2020.
Se da un lato esso si rivela compatibile con quello
delle assialità definitesi nel corso dei secoli precedenti, dall’altro il singolare andamento obliquo che
ne deriva per l’edificio monumentale, permettono di
ipotizzare, su questo lato, l’esistenza di un elemento
topografico particolarmente condizionante. Potrebbe
trattarsi di un asse viario o forse un “piazzale”, che
avrebbe riprodotto, ad una quota più alta (125 m ca.
s.l.m.), uno spazio analogo definito in antico, la cui
“sacralità” ne avrebbe provocato il rispetto. Questo
risulta non a caso ancora una volta determinante nella
seconda metà del II sec. a.C., al momento della costruzione (per mezzo della messa in opera dell’USM
2208), di una nuova struttura addossata al podio I
modanato, che consentirà un ampliamento della terrazza verso est; e sembra essersi conservato come tale
ancora fino alla seconda metà del I sec. a.C., a giudi-
care dal posizionamento delle cisterne Z 13 e Z 14, le
quali vengono ad occupare tutto lo spazio qui presente addossandosi proprio alle strutture USM 2020
e 2208.
Con l’erezione del podio I e del sovrastante sacello, va probabilmente messa in connessione la cisterna Z 1, la quale – come visto in precedenza – deve
essere stata alimentata proprio dal suo sistema di
sgrondo delle acque meteoriche. Ricavata quasi interamente all’interno del banco, se ne può ricostruire
una copertura a volta, come indicano i resti della sua
ghiera. Su di essa sarebbero stati impostati – secondo
una tecnica attestata anche in altri settori dell’Acropoli – le lastre piane di chiusura e ancora più in alto
il piano di calpestio vero e proprio, definendo così
un’ampia area pavimentata davanti all’ingresso del
sacello. Questa grande riorganizzazione dell’area
sacra è dunque segnata, ad eccezione del muro nord
del podio (USM 2020), da una parziale rotazione in
senso antiorario dell’asse generatore precedente,
come indicano il muro sud del podio e la cisterna Z
1, la quale viene ad aggiungersi a quelle del periodo
precedente, come la Z 10 e la Z 12. Queste, se da un
lato dovevano assicurare la presenza di acqua necessaria alla liturgia, dall’altro vanno lette anche come
riserva di acqua pubblica, posta sotto la protezione
della divinità, da utilizzare anche per scopi non direttamente religiosi e non da ultimo la guerra (e in
questa accezione non si dimentichi neppure l’importanza che deve aver rivestito il rifornimento idrico
per la flotta).
Allo spazio sacro si doveva accedere in questo periodo anche da ovest, attraverso l’asse stradale già ricordato, che risaliva con una certa pendenza dalle
terrazze inferiori ubicate a nord e a ovest: si tratta
della c.d. “rampa”, indagata a più riprese già a partire
dal 2000, funzionale a collegare “città bassa” e “acropoli”, e realizzata tramite una regolarizzazione del
banco roccioso affiorante. Proveniente dal varco
aperto a occidente nel sistema difensivo individuato
sul fianco occidentale della collina, questo asse può
essere seguito grosso modo fino alla sommità del rilievo, dove raggiungeva il santuario dopo aver dise-
111
Nel volume di prossima pubblicazione Cossyra I, saranno
editi stratigrafie, strutture e soprattutto i numerosi elementi architettonici che consentono se non altro di
112
Osanna et alii 2003; Schäfer 2006; T. Schäfer, Pantelleria.
Stadtanlage und Heiligtum, in Phönizisches und punisches Städtewesen, pp. 307-325.
113
Cfr. Zonara 8,14: Οἱ ἐς Σικελίαν πλεύσαντες, και
φρουρή σαντες τὰ ἐ κε‹, πρὸ ς Λιβύ ην æρμή κεσαν καὶ
χειμîνι ληφθέντες κατηνέχθησαν ἐς Κόρσουραν·
πορθή σαντες δὲ τὴ ν νÁσον καὶ φρουρ´ παραδό ντες
œpλεον αâθις. Su tali eventi ved. anche Osanna 2006, pp. 3536.
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Nuovi dati su Cossyra ellenistica: dalla ridefinizione
Emiliano
urbanistica
Cruccas di III sec. a.C. alla fortezza di Sesto Pompeo
201
gnato (nell’area del saggio II) una svolta a gomito.
Tale percorso, che qui corre in senso est-ovest e con
forte pendenza verso il fianco occidentale della collina, presenta proprio in questo settore, in corrispondenza dell’ingresso all’area sacra (dove più tardi
transiterà il muro di temenos), il tratto meglio conservato. Va segnalato che qui l’andamento continuo
dell’asse viario viene interrotto dalla presenza di una
complessa scalea (scalea I), articolata in una successione di gradini intervallati da un ballatoio, provvista
sul bordo meridionale di una canaletta (larga m. 0.25
ca.) scavata nel banco e coperta da lastre squadrate
di trachite, funzionale al deflusso delle acque provenienti dalle cisterne (Z 1 e Z 2) ubicate sulla sommità
dell’Acropoli 114. Che anche la scalea I abbia fatto
parte di questa grande fase di ridefinizione architettonica e spaziale è suggerito dal suo rapporto diretto
con la cisterna Z 1, in maniera ancora più evidente di
quanto già visto per il podio I. Il sistema di deflusso
idrico di tale cisterna è infatti assicurato da un canale
tagliato nel banco con singolare andamento ad “S”
(US 61, 225), che si infila al di sotto dei gradini superiori, dimostrando con ciò l’appartenenza di entrambi ad un’unica attività edilizia.
Le indagini del 2009 hanno inoltre portato alla
luce i resti di un ulteriore asse stradale (120,95121,04 m s.l.m.) con orientamento nord-sud 115, che si
diparte proprio dalla rampa appena descritta, per poi
biforcarsi in modo da condurre da un lato verso le
pendici sud della collina e dall’altro, con un orientamento est-ovest, parallelamente alla rampa stessa,
alla metà meridionale della terrazza sommitale dell’Acropoli. Se per un verso la datazione fornita al momento dello scavo (genericamente III sec. a.C.),
potrebbe confermare la sua appartenenza agli interventi della seconda metà del III sec. a.C., non escluderebbe per un altro che tale rampa sia appartenuta ad
una precedente organizzazione dello spazio, per poi
essere successivamente rimaneggiata, e quindi utilizzata ancora con piene funzioni al momento della
costruzione del muro di temenos.
Bisognerà attendere l’ultimo quarto del II sec. a.C.
per assistere ad una nuova intensa attività edilizia,
che interesserà sia il santuario che l’area immediatamente esterna ad esso, in particolare il versante occidentale. In realtà già prima di questa fase, ovvero alla
metà del II sec. a.C., si interviene nuovamente sulla
viabilità, mediante la costruzione di un lithostratos
(USM 9320: fig. 4), con elegante canaletta laterale
per il deflusso delle acque meteoriche e con forte
pendenza verso nord, il quale viene a rialzare notevolmente la quota della via che qui correva dalla seconda metà del III sec. a.C. e che già metteva in
connessione il settore settentrionale, più basso, della
collina con la terrazza sommitale dell’Acropoli.
Forse alla medesima iniziativa va attribuito anche un
secondo asse stradale (USM 5010) intercettato, per
un breve tratto nel corso delle ultime indagini, 20 m
ca. più ad est immediatamente a nord del dammuso
Bonomo, e provvisto di un andamento perfettamente
parallelo al primo e di un’analoga pendenza.
È lecito chiedersi inoltre se non vada inserito sempre nell’ambito di questa riorganizzazione dei percorsi viari anche il rifacimento della scalea
occidentale (scalea I), la quale risulta essere monumentalizzata nel suo tratto terminale da una pavimentazione in opus signinum che, sovrapponendosi
alla strada e alla sua originaria canalizzazione, viene
a definire in maniera nuova e raffinata lo spazio ad
occidente dell’impianto di culto 116.
In ogni caso è solo nell’ultimo quarto del II sec.
a.C. che si assiste ad un radicale intervento di ridefinizione degli spazi e della viabilità, di cui la costruzione del muro di temenos – non documentato per le
fasi precedenti – costituisce senz’altro l’aspetto più
appariscente. I cambiamenti interessano tanto l’area
sacra, dove si realizza un nuovo podio ad est e un’ulteriore struttura sul margine ovest quanto il circostante abitato, e in particolare il pendio occidentale
della collina, adesso occupato da un grande complesso architettonico.
Nel santuario si procede dunque all’ampliamento
del podio I verso est, mediante la parziale rottura del
suo lato orientale e dunque dell’intonaco qui presente
Cfr. supra Periodo I.
Si tratta di un piano di calpestio (USM 4334) costituito
sia da lastre di trachite allettate al di sopra di uno strato di preparazione, che dal banco roccioso appositamente livellato, e
dotato, nella parte inferiore, di un canale di scolo N-S a sezione quadrangolare (USM 4337), da considerare come la prosecuzione meridionale del canale presente nell’adiacente
rampa.
116
In generale sui pavimenti in opus signinum, identificabili
con i pavimenta poenica riferiti da Festo, p. 242. (Müll.), ved.
M. Gaggiotti, Pavimenta Poenica marmore Numidico constrata,
(«L’Africa Romana» V), Sassari 1987, pp. 215-221. Per ciò che
concerne la loro diffusione in Sicilia ved. C. Greco, Pavimenti
in opus signinum e tessellate geometrici da Solunto: una messa
a punto (Atti del IV Colloquio AISCOM, Palermo 9-13 dicembre 1996), Ravenna 1997, pp. 39-63, con bibliografia precedente.
114
115
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Vincenzo Capozzoli, Massimo Osanna
e l’ammorsamento (tramite l’USM 2208), di un
nuovo corpo di fabbrica (podio II), analogo per certi
versi al primo. I resti conservati suggeriscono di ricostruire una struttura con fondazioni a camera, di
forma trapezoidale, dal momento che il suo lato nord
risulta perfettamente allineato all’USM 2020 del
podio precedente. Nonostante la presenza del dammuso Bonomo al di sopra dell’angolo nord-orientale
del muro di chiusura est (USM 2046), sembra chiaro
che ci si trovi di fronte ad una nuova opera di terrazzamento con piccolo contrafforte sul lato orientale.
Una piattaforma che viene ad ampliare su questo lato
il podio precedente, in modo da realizzare un tempio
più grande o, meno verosimilmente, da aggiungere
un secondo sacello, parallelo al primo 117. A questo
nuovo corpo di fabbrica vanno probabilmente riferiti
i vari elementi architettonici decontestualizzati (tra
cui capitelli ionici in trachite stuccata e trabeazione
con sima decorata da protomi leonine), nonché le
sculture in trachite stuccata, confluite nei diversi livelli di riempimento della cisterna Z 1 e attribuibili al
cavo frontonale di un qualche edificio 118.
Particolare significato riveste inoltre il rinvenimento a ridosso delle fondazioni del primo “podio”
(USM 2020) di un cospicuo strato di cenere (US
2045), depositato sul lastricato del periodo precedente:
esso ha restituito una cospicua quantità di ossa animali
e di frammenti di ceramica comune e di vernice nera,
che, documentando una azione rituale espletata in relazione alla creazione della cisterna Z 11 immediatamente antistante (che “segna” un evento cruciale per
l’area sacra, ossia la creazione di un rinnovato piazzale, segnato da un nuovo piano di calpestio, antistante il podio I) 119, permettono di risalire ad un
orizzonte cronologico compreso entro la metà del II
secolo a.C. 120.
Un ulteriore edificio (I.1a-b), il quale si dispone all’estremità occidentale dell’area sacra, potrebbe essere
attribuito a questa fase 121, anche se gli interventi radicali di ridefinizione di tale struttura – eseguiti nella seconda metà del I sec. a.C. – consentono di cogliere
solo in modo approssimativo il suo sviluppo planimetrico e lasciano dubbi anche sulla precisa ubicazione
degli accessi. Articolato in due vani (comunicanti fra
loro?), l’edificio ingloba a nord, al di sotto del suo
piano pavimentale, la cisterna Z 7, la quale da esterna
diventa ora interna, mentre a sud viene ad obliterare,
per via del suo piano pavimentale, anche il tratto più
settentrionale della scalea I in opus signinum.
Quanto al temenos, esso viene a qualificare in
modo nuovo i limiti dell’area sacra, inquadrandola
in un recinto regolare e adeguandosi comunque alle
assialità definite nelle fasi costruttive precedenti.
Esso viene infatti a definire un rettangolo di 40 x 24
m ca., corrispondente ad 80 x 48 cubiti, ammettendo
un cubito grande di 0,50 m ca., effettivamente attestato all’interno del mondo punico ancora in età romana 122. Si tratta di un possente muro a doppio
paramento di blocchi squadrati di trachite in facciavista, noto nel suo sviluppo settentrionale, meridionale, e in parte occidentale (ad est non si è trovata al
momento alcuna traccia). Sembra inoltre evidente
117
Se questo intervento è stato con buona verosimiglianza
attribuito a questa fase, va sottolineato che qualche dubbio
persiste ancora sulla sua cronologia. In attesa di un esame finale dei materiali, un terminus post quem può essere comunque individuato in una serie di strati di livellamento dell’area,
che presentano manufatti databili nella seconda metà del III
sec. a.C., sul quale vengono impostate le sue fondazioni. Se
al medesimo lasso temporale rimanda anche il più alto dei
due riempimenti indagati all’interno di una delle due camere
di fondazione (US 2080), il secondo riempimento (US 2082)
ha restituito tra l’altro frammenti a vernice nera di Campana
A, compatibili con un orizzonte dell’ultimo quarto del II sec.
a.C.
118
Schäfer 2006.
119
Le ossa potrebbero essere interpretate come resti di un
banchetto avvenuto in occasione di tale ristrutturazione: cfr.
J.E. Stambaugh, The Functions of Roman Temples («ANRW»
II, 16.1), Berlin-New York 1978, in particolare p. 567. Sui rituali di fondazione in area punica ved. da ultimo K. Mansel,
Zeremonielle und rituelle Handlungen bei Baumaßnahmen zu
phönizisch-punischen Bauopfern, in C. Metzner-Nebelsick et
alii (a cura di), Studien zur vorderasiatichen, prähistorischen
und klassischen Archäologie, Ägyptologie, alten Geschichte,
Theologie und Religionswissenschaft, Interdisziplinäre Ta-
gung vom 1.-2. Februar 2002 an der Freien Universität Berlin(«Internationale Archäologie» IV), Rahden/Westf.2003,
pp. 129-148. Più in generale riguardo al rinvenimento di ossa
animali in edifici sacri ved. da ultimo W. van Andringa, S. Lepetz, Le ossa animali nei santuari: per un’archeologia del sacrificio, in O. de Cazanove, J. Scheid (a cura di), Sanctuaires
et sources dans l’antiquité. Les sourses documentaires et leur
limites dans la description de lieux de culte (Actes de la table
ronde, Naples, Centre Jean Bérard, 30 novembre 2001), Napoli 2003, pp. 85-96.
120
Oltre ad un frammento di lucerna a vernice nera con beccuccio ad incudine, si segnalano un piatto, un guttus, nonché
frammenti di anfore: cfr. S. De Vincenzo et alii, 2005, pp. 130,
134, fig. 12.
121
Va sottolineato tuttavia che l’esame dei materiali provenienti dal doppio riempimento della sua fossa di fondazione è
tuttora in corso (US 1816, 1818).
122
Cfr. P. Barresi, Sopravvivenze dell’unità di misura punica
e i suoi rapporti con il piede romano nell’Africa di età imperiale («L’Africa Romana» VIII), Sassari 1991, pp. 479-502. Cfr.
anche I. Oggiano, La città di Nora. Spazio urbano e territorio,
in Phönizisches und punisches Städtewesen, p. 429 con bibliografia.
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203
che la sua costruzione sia stata pensata in modo tale
che soltanto il paramento esterno fosse a vista, mentre quello interno doveva avere una funzione di contenimento. La forte erosione e le notevoli rasature
che hanno segnato l’area immediatamente all’interno, in particolare nel settore nord (dove il dislivello è molto più forte che a sud), rendono difficile
la ricostruzione dello spazio così sostruito. Solo a livello ipotetico si potrebbe avanzare che su questo
versante si sviluppasse una grande area pavimentata
– un rifacimento (a quota superiore?) di quanto già
documentato per l’epoca precedente. Di sicuro
l’USM 2412 veniva ora a inglobare le due cisterne
(Z 10 e Z 11) 123. Non è invece scontato che la medesima funzione di contenimento fosse prevista
anche sul lato sud del temenos, dove la diversa tecnica costruttiva e il corpo murario più esiguo in blocchi squadrati di trachite di dimensioni assai inferiori,
rimanderebbero piuttosto ad una funzione di recinzione e non già di contenimento, come del resto
comportava la quota assai più alta del banco roccioso. Per risalire all’altezza originaria del muro di
temenos, un possibile indizio è costituito senz’altro
dalla quota del piano di calpestio ricostruibile per
l’impianto cultuale della seconda metà del III sec.
a.C. e che si attesterebbe ad una quota di 125 m
s.l.m. Tenendo conto di un possibile innalzamento
del piano di calpestio fra III e fine II sec. a.C. e ipotizzando che tale muro di temenos deve aver funto
anche da parapetto per chi si trovasse al suo interno,
sembra verosimile ricostruire, per il suo filare superiore, una quota minima di 126 m s.l.m. Se tale ricostruzione cogliesse nel segno, ne conseguirebbe che
l’USM 2412 doveva possedere un’altezza – a partire
dalla sua fondazione USM 9271 disposta alla quota
minima di 122,70/80 m s.l.m. – di 3,30 m.
Comunque vada ricostruito, è chiaro che il muro
di temenos viene a determinare una radicale modifica
della viabilità definitasi in precedenza. Si assiste anzitutto all’obliterazione dell’asse stradale nord-sud
(USM 9320), con l’asportazione completa del suo
punto di arrivo nell’area sacra, dove a ridosso del temenos viene realizzato il già citato rito di fondazione.
Il lithostratos viene comunque nel corso della stessa
fase risistemato, immediatamente all’esterno del temenos, e continuerà a funzionare, sia pure con fun-
zioni ridotte, fino all’abbandono completo dell’insediamento (come indicano gli strati di obliterazione databili in età imperiale avanzata, rinvenuti immediatamente al di sopra di esso). Si procede nel contempo
alla modifica parziale, tramite una serie di inzeppature, del suo pendant orientale, ossia il tratto stradale
individuato nel saggio XVIII (USM 5010), il cui percorso viene deviato verso est, adeguandolo all’angolo
nord-est del temenos stesso. Sul lato ovest, invece non
è detto che la scalea I in opus signinum sia stata distrutta già in questo momento: al contrario è più probabile che essa abbia continuato a vivere lasciando
pertanto intatto l’accesso all’edificio I.1 qui presente,
per essere definitivamente obliterata soltanto nella seconda metà del I sec. a.C. a seguito della costruzione
della cisterna Z 6, che avrebbe distrutto anche l’edificio I.1.
La costruzione del muro di temenos comporta
probabilmente l’obliterazione di un ulteriore accesso, pertinente probabilmente già alla fase 1 del
periodo I: si tratta di una piccola gradinata (scalea
II), intercettata immediatamente a sud della scalea I,
la quale prevede l’impiego combinato di blocchi lavorati e legante, rivestiti con uno strato di malta e allettati all’interno del banco appositamente lavorato.
Sembra verosimile che tale passaggio fosse servito
dal secondo asse stradale (USM 4334), immediatamente a sud della rampa del saggio II: un intervento
forse determinato dall’esigenza di accedere, nel
corso della fase 1, alla parte meridionale della terrazza sommitale.
Se questa è soltanto un’ipotesi, è invece sicuro
che, in questa stessa fase, all’esterno del recinto e
lungo il suo lato occidentale, viene ad essere eretto
in un’area fino ad allora rimasta in parte libera da costruzioni, un grande complesso architettonico (tav.
IV) a sua volta separato dal recinto stesso da una
sorta di ambitus (US 1852=9269), un angusto diverticolo dell’asse stradale principale (US 186) misurante 0,60 m ca., ovvero esattamente quanto lo stretto
passaggio risparmiato nel medesimo settore all’interno del muro di temenos.
Il complesso è costituito da almeno 11 nuovi
ambienti (che vanno ad aggiungersi a quelli già esistenti dalla fase 1), i quali da nord verso sud tendono ad assumere una forma più propriamente
123
Interessante notare che il suo paramento interno rivela, proprio in corrispondenza dei due serbatoi, un accentuato spanciamento verso sud, a suggerire la necessità di riempire uno spazio
altrimenti rimasto vuoto, facendo al contempo da contenimento
delle rispettive ghiere delle cisterne.
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Vincenzo Capozzoli, Massimo Osanna
trapezoidale, in modo da potersi adeguare alla viabilità preesistente. Sulla sua funzione sarà necessario ritornare in futuro, una volta esaminata l’enorme
mole di reperti mobili rinvenuti al suo interno (purtroppo sempre in giacitura secondaria). Al momento
si basti osservare la sua singolare articolazione planimetrica caratterizzata dalla presenza, sul versante
occidentale, di una serie di vani affiancati ma separati l’uno dall’altro e accessibili direttamente dall’asse stradale adiacente, alcuni di essi (quelli più
settentrionali) per mezzo di una terrazza-ballatoio,
necessaria a superare il salto di quota con il piano
stradale posto molto più in basso. Oltre alla mancanza di comunicazione fra i vari ambienti, interessa
notare che almeno tre di essi (II.13, II.5 e II.7) risultano caratterizzati dalla presenza di una nicchia
incassata nella parete, realizzata in modo accurato a
0,80 m ca. dal piano pavimentale (fig. 5). Completano l’impianto tre cisterne (la Z 40, quasi distrutta
da un ordigno bellico non è databile), di cui due (Z
41 e Z 40) disposte sul versante orientale e probabilmente in un’area non coperta, mentre la terza (Z
43) è realizzata al di sotto del piano pavimentale
dell’ambiente II.5, prima di essere rialzata, invadendo completamente l’ambiente, nel corso del periodo successivo. Se dunque difficile al momento
risulta puntualizzare la natura dell’articolato complesso, la sua planimetria e la presenza di ambienti
non comunicanti ma direttamente accessibili dall’esterno, esclude possa trattarsi di semplici abitazioni. Sembra più probabile richiamare una
destinazione commerciale, anche se la presenza di
nicchie, l’elegante decorazione parietale in bianco
e rosso, e il rinvenimento in un caso di una vasca da
abluzioni potrebbe spingere anche verso altre interpretazioni: non va infatti dimenticato che ci si
trova immediatamente all’esterno del santuario e a
ridosso del lato ovest del suo muro di recinzione.
Stupisce del resto per strutture commerciali, il constatare che le soglie – le quali peraltro non rivelano
veri e propri sistemi di chiusura – di vari ambienti
si aprono su una viabilità appartata e secondaria,
come la terrazza-ballatoio. Una soluzione a tale
aporia potrebbe incontrarsi nell’immaginare attività
“commerciali” in qualche modo connesse con
l’area sacra, anche se al momento sono possibili
solo speculazioni.
Per quel che concerne l’inquadramento cronologico di questa fase costruttiva, tanto i materiali ceramici restituiti dai livelli di costruzione di alcuni dei
vani del complesso, quanto quelli recuperati in una
serie di unità stratigrafiche affidabili, riconosciute in
rapporto al versante settentrionale del grande recinto,
indicano un omogeneo orizzonte. Qui una serie di
strati, tutti in appoggio alla struttura muraria, hanno
restituito materiale che non scende oltre lo scorcio
del II sec. a.C. Ma particolarmente significativo per
l’associazione di materiali e per il contesto di rinvenimento risulta la fossa (taglio US -9709 riempito da
9708, 9721, 9703, 9701) rinvenuta a ridosso delle
fondazioni (USM 9271) del lato nord del muro di temenos (USM 2412). Praticata direttamente sulla roccia, contiene una discreta quantità di ossa animali e
abbondanti reperti, tra cui si segnala ceramica comune e a vernice nera (in primis forme aperte), oltre
a vari frammenti di anfore. Particolare significato riveste il rinvenimento di un unguentario fusiforme integro sul fondo della fossa e a ridosso delle
fondazioni stesse. Le forme ceramiche documentate,
associate ai reperti osteologici (tra cui si segnala
anche un frammento di guscio di tartaruga), rimandano anche in questo caso inequivocabilmente ad
una azione rituale, praticata in connessione alla fondazione della nuova struttura muraria 124. La ridefinizione dello spazio sacro nella diacronia viene
scandita dunque da precisi atti rituali svolti in connessione con l’erezione di nuovi manufatti architettonici.
Tale fossa finisce per costituire un fondamentale
punto di aggancio per la cronologia del muro di temenos e dunque della trasformazione tardo-ellenistica del santuario: il materiale rinvenuto al suo
interno si distribuisce nel corso del II sec. a.C. e non
scende comunque oltre l’ultimo quarto dello stesso
secolo, momento in cui va dunque inquadrata l’intera
attività edilizia fin qui descritta.
La nuova fase individuata nell’ambito del santuario e delle terrazze immediatamente circostanti
coincide con un boom impressionante per la storia
urbana di Cossyra: non solo sulla terrazza sommitale, come già sottolineato, ma sull’intera collina di
124
Interessa notare che il ricorrere a porta-profumi nel corso di sacrifici di fondazione è documentato anche in altri contesti ellenistici
dell’Italia antica: cfr., ad es., M. Osanna, M.M. Sica (a cura di), Torre
di Satriano I. Il santuario lucano, Venosa 2005, pp. 87, 107.
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Santa Teresa dove si avvia un ampio progetto di riorganizzazione dello spazio che prevede la costruzione
di edifici residenziali, scanditi in blocchi paralleli separati da strade che si incrociano ad angolo retto 125.
Del resto i materiali ampiamente rinvenuti in tutte le
aree indagate documentano chiaramente come il momento più intenso di frequentazione dell’area coincida proprio con la seconda metà del II sec. a.C. 126.
La presenza di impianti domestici, anche di alto livello, i quali vengono costruiti a ridosso delle mura
una volta avvenuta la perdita di funzione del primo
sistema difensivo, si può datare dunque nei decenni
successivi al 146 a.C., anno della distruzione di Cartagine e della pacificazione di questa area del Mediterraneo.
Tale assetto dato alla collina di S. Teresa è destinato ad essere stravolto radicalmente nel terzo quarto
del I sec. a.C., quando viene eretto un monumentale
impianto individuato lungo il fianco occidentale dell’altura (tav. V). Obliterando le strutture del complesso edilizio di tardo II sec. a.C. dopo una rasatura
generale, viene messo in opera sull’angolo nord-occidentale della terrazza un possente corpo di fabbrica
di forma quasi perfettamente rettangolare (bastione
I: tav. VI), che si conserva nel suo lato settentrionale
per oltre 4 m di altezza, il quale risulta definito da
otto muri perimetrali e scandito al suo interno da due
catene, che attraversano le soglie del complesso del
periodo precedente, definendo tre concamerazioni,
funzionali a contenere le spinte esercitate tanto dai
muri esterni del bastione, quanto dagli imponenti interri con cui vengono riempiti gli ambienti precedenti. Tali setti murari in alcuni casi si appoggiano su
un’apposita fondazione mentre in altri casi si fondano
sui muri della fase precedente.
Le indagini condotte a più riprese fra il 2008 ed il
2010 hanno portato a comprendere appieno le varie
fasi di lavoro che hanno scandito l’erezione della
struttura difensiva, consentendo al contempo di individuare tutta una serie di piani di cantiere relativi
alle diverse operazioni edilizie, che hanno conosciuto
interruzioni e successive riprese, in un arco di tempo
non precisabile ma probabilmente assai limitato. L’ultima ripresa delle attività rimanda senza dubbio ad un
ripensamento dell’originario progetto con l’aggiunta
sul lato orientale del corpo di fabbrica di un setto murario est-ovest (USM 9374, 9369), apparentemente
slegato dal resto della struttura: si tratta di una modifica che avrà una notevole conseguenza tanto sul
piano urbanistico, quanto su quello concettuale. Dal
momento che l’USM 9369 ora aggiunta si sviluppa
fino alle fondazioni stesse del muro di temenos del periodo precedente, è chiaro che essa viene a sbarrare
definitivamente lo spazio rimasto ancora libero fra il
lato orientale del bastione e quello ovest del muro di
temenos. Venendo a diretto contatto con l’area sacra,
la struttura militare finisce ora per comportare l’obliterazione completa dell’ambitus in questo settore,
mentre è certo che esso abbia continuato a funzionare
immediatamente più a sud, in relazione alle due cisterne qui presenti. D’altro canto la regolare schematicità dell’originale corpo di fabbrica rettangolare
viene sacrificata in favore di una diversa scelta progettuale, che elimina l’isolamento della nuova struttura difensiva mettendola direttamente in connessione con il muro di recinzione dell’area sacra, che a
partire da questo momento, sarà parte integrante del
sistema difensivo.
Tale attività è testimoniata anche dalle strutture
indagate immediatamente a sud dell’asse stradale
(US 186). Qui lo scavo ha portato alla luce una serie
di setti murari, di dimensioni e tecnica costruttiva
identiche a quelle documentate dai resti del c.d. bastione, prevedendo un corpo murario a doppio paramento con nucleo centrale, con ciascuna delle due
cortine costituita da blocchi appena sbozzati in facciavista misti a elementi di reimpiego (fig. 12).
L’unica eccezione è costituita dal paramento meridionale dell’USM 4312, realizzato con blocchi in trachite di grandi dimensioni perfettamente lavorati in
facciavista e del tutto analoghi a quelli delle USM
908 e 909. Al centro di questi setti murari si staglia la
cisterna Z 39, pertinente ad una fase precedente (anch’essa fine II sec. a.C., come Z 41 e Z 43), ma rialzata proprio in quest’epoca 127. L’affinità delle
tecniche costruttive e la convergenza degli orientamenti con quelli documentati all’interno del bastione
non lascia dubbi sulla natura di questi resti: ci troviamo, anche in questo caso, di fronte ad una possente struttura difensiva (bastione II), ricostruibile
Osanna 2006.
La straordinaria vitalità del centro nel II sec. a.C. trova
ampio riscontro nell’ambito della Provincia di Sicilia: M.
Osanna, M. Torelli (a cura di), Sicilia ellenistica, consuetudo ita-
lica. Alle radici dell’architettura ellenistica d’Occidente (Atti del
Convegno di Spoleto, 5-7 novembre 2004), Pisa 2006.
127
Come dimostra il fatto che la sua ghiera è chiaramente ammorsata alle USM 57, 4302 e 4307.
125
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Vincenzo Capozzoli, Massimo Osanna
Fig. 12. - Resti murari relativi al bastione II e cisterna Z 39.
con una forma rettangolare (lungh. max. 11,30 m ca.;
largh. 4,45 m), che si sviluppa questa volta in senso
est-ovest (e non già nord-sud), venendo definitivamente ad obliterare (per via dell’USM 4312) l’asse
stradale che da nord-ovest si sviluppava in direzione
SE. Essa è posta a difesa del settore centro-meridionale della terrazza sommitale dell’Acropoli e presenta un elemento di novità rispetto al bastione I,
costituito dalla cisterna Z 39, il cui rialzamento non
va attribuito esclusivamente alle necessità di riserve
idriche, ma anche alla volontà di farne un elemento
integrante dell’opera di fortificazione: potrebbe aver
costituito insomma una sorta di torre sub-circolare,
che, sporgendo rispetto al lato nord del bastione,
avrebbe protetto non solo quest’ultimo, ma anche il
tratto finale dell’antistante asse stradale (US 186). Un
elemento di continuità con il settore del bastione I è
invece ravvisabile nella struttura muraria N-S (USM
57), a doppio paramento con nucleo interno, direttamente impostata in senso trasversale al di sopra dell’asse stradale E-O (US 186) e legata alla suddetta
cisterna. Tale muro porta dunque allo sbarramento
dell’asse stradale proveniente da sud, in perfetta corrispondenza con quanto verificato più a nord per
l’USM 9369, relativa alla modifica progettuale del
bastione I.
Il fatto che il muro USM 57 oltre a sbarrare l’asse
stradale prosegua verso sud fino a legarsi alla ghiera
della cisterna-torre, potrebbe costituire la prova di
quanto detto in precedenza in merito all’assenza del
muro di temenos in questo settore, segnato al contra-
rio dall’esistenza di un percorso
gradinato. In breve, la creazione
di questo sbarramento potrebbe
essere spiegata con la necessità
di chiudere, ovvero proteggere
in modo definitivo, senza per
questo obliterarlo, ma tenendosi
ad una certa distanza da esso,
quella che altrimenti sarebbe
stata una pericolosa apertura all’interno del temenos, ora parte
costitutiva della nuova fortezza.
L’opera di fortificazione
viene così a costituire una sorta
di ridotto fortificato che racchiude la sommità di Santa Teresa, la cui estensione e
planimetria non può essere al
momento definita. Al contrario
la sua datazione al terzo quarto
del I sec. a.C., ottenuta dall’analisi degli abbondanti
manufatti ceramici confluiti nei riempimenti degli
ambienti rasati e inglobati nel bastione I come pure
dagli strati (US 3008, 3010, 4329) rinvenuti in appoggio ai setti murari del bastione II, non sembra da
mettere in dubbio. Tale definizione cronologica suggerisce di mettere in rapporto tale opera di fortificazione con le vicende che interessano questa parte
del Mediterraneo in quest’epoca ed in particolare
con la presenza in Sicilia di Sesto Pompeo a partire
dal 42 a.C.
Del resto l’interesse del personaggio nei confronti di Cossyra è ricordato esplicitamente da Appiano, in base al quale è possibile documentare la
sua attività nell’isola, che si sarebbe protratta fino al
36 a.C. 128, anno in cui Agrippa sconfisse definitivamente le truppe ribelli nella celebre battaglia di
Nauloco. Il fatto che la nostra fonte ricordi in maniera diretta che il rivale di Ottaviano abbia, tra le
altre strategiche postazioni, provveduto a fortificare
anche Cossyra, rende virtualmente certo che le attività di fortificazione documentate archeologicamente nel corso del terzo quarto del I sec. a.C.,
vadano ricollegate proprio alle febbrili realizzazioni
di Sesto Pompeo.
Analogamente a quanto verificato sia per via epigrafica a Lilibeo (dove viene documentato per il 36 a.C.
un programma di ricostruzione di porta e torri da parte
128
sgg.
Appiano, B.C. V 97. Cfr. anche Silio Italico Pun. XIV 272
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Nuovi dati su Cossyra ellenistica: dalla ridefinizione
Emiliano
urbanistica
Cruccas di III sec. a.C. alla fortezza di Sesto Pompeo
207
di vista edilizio – operazioni militari di questi anni.
Tale intervento, avvenuto in
un momento particolarmente critico che richiedeva una azione
massiccia e quanto mai rapida,
rende meglio comprensibile la
complessa ridefinizione architettonica che stravolge complessivamente la sommità di Santa
Teresa. La fortificazione azzera
così un intero complesso architettonico posto a ridosso del santuario, lungo il suo lato ovest,
come pure porta alla distruzione
di strutture domestiche che si sviluppavano sul pendio nord-occidentale (ambienti dei saggi IX e
Fig. 13. - Veduta generale da est delle cisterne Z 8-11 all’interno del muro di temenos.
X nella terrazza inferiore), nonché sui versanti orientale e meridionale dell’Acropoli.
Non è certo casuale, considerati i tempi ristretti in cui doveva
essere realizzata l’opera, che i
paramenti murari dell’impianto
portato alla luce presentino ampiamente materiale lapideo di
reimpiego (figg. 10, 14). Ma il
dato più significativo è senza
dubbio da vedere nel rialzamento/ampliamento di una parte
delle vecchie cisterne (Z2, Z 5,
Z 7 e Z 10) e nella costruzione di
una miriade di nuove cisterne
che vengono ora ad occupare
buona parte delle superfici disponibili, tanto dentro quanto
Fig. 14. - Paramento ovest, con materiale di reimpiego, dell’USM 2213 (muro di contenifuori del muro di temenos (fig.
mento occidentale della cisterna Z 13).
13). Le nuove cisterne, che ridi L. Plinio Rufo, legato propretorio di Sesto Pomsultano tutte del medesimo tipo, presentando una
peo) 129, sia dalle fonti letterarie (il già citato passo di Apforma ellissoidale allungata e prevedendo l’utilizzo
piano) che archeologiche a Lipari 130, sappiamo ora con
di un analogo intonaco idraulico, vengono ora apconcretezza materiale che anche Pantelleria è stata teapoggiate al recinto stesso, lungo il lato settentrionale,
tro delle brevi – ma cariche di conseguenze dal punto
tanto al paramento interno (Z 8, Z 9, Z 13 e Z 14)
129
«Mag(no) Pompeio Mag(ni) f(ilio) imp(eratore) augure /
co(n)s(ule) design(nato) por(ta)m et turres / L(ucius) Plinius
L(uci) f(ilius) Rufus leg(atus) pro pr(aetore) pr(aetor) des(ignatus) f(aciendum) c(uravit)». Il blocco in calcare sul quale è riportata l’iscrizione è stato rinvenuto durante le indagini di scavo
a Capo Boeo a Marsala (Tp). Editio princeps in A. Salinas, Marsala - Di una rara epigrafe ricordante Sesto Pompeo, «NSc»
1894, pp. 388-391. Cfr. anche E. Caruso, Lilibeo-Marsala: le fortificazioni puniche e medievali (Quarte Giornate Internazionali
di Studi sull’area elima, Erice, 1-4 dicembre 2000), vol. I, Pisa
2003, p. 194.
130
L. Bernabò Brea, M. Chevalier, Topografia di Lipari in età
greca e romana; 2. La città bassa («Meligunìs Lipàra» 9), Palermo 1998, vol. II, pp. 204-205, figg. 55, 58.
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208
Vincenzo Capozzoli, Massimo Osanna
quanto alla facciavista esterna (Z 15 e Z 16), nonché
lungo i lati ovest (Z 6 e Z 34) ed est (Z 25), venendo
ad inserirsi o comunque ad addossarsi al podio di età
ellenistica. Non ci si accontenta di inserire cisterne in
tutti gli spazi “liberi” disponibili ma, circostanza
assai significativa, si interviene su edifici nel santuario per far posto a capienti serbatoi, come nel caso
dell’edificio I.1, che vedrà l’obliterazione del vano
nord per il rialzamento della ghiera della cisterna Z
7 – secondo una dinamica molto simile a quella verificata per l’innalzamento della cisterna Z 43 all’interno dell’ambiente II.5 –, e la distruzione di
quello sud. La stessa scalea in signino viene intaccata per la costruzione ex-novo di una cisterna ellissoidale (Z 6, fortemente danneggiata dall’esplosione
di un ordigno bellico).
Un destino diverso riguarda invece l’area occupata dai podi I e II: in questo caso le due grandi cisterne Z 13 e Z 14, ancora oggi visibili all’interno
del Dammuso Bonomo, sono state appoggiate ad
una parte dello zoccolo intonacato del podio I e alla
metà inferiore delle fondazioni del podio II. In questo modo, pur nascondendone la parte bassa, le cisterne non condizionano in alcun modo la vita
dell’edificio templare che si doveva innalzare al di
sopra: la quota della copertura della cisterna Z 13
(126,63 m s.l.m.) del resto è certamente inferiore (se
si pensa che già la rasatura del punto più alto del
podio giace ad una quota di poco inferiore: 126,51
m s.l.m.) a quella ricostruibile per lo stilobate del
sacello di II sec. a.C.
Particolarmente suggestivo, nell’ottica di tale
stretto rapporto tra la costruzione delle cisterne e la
definizione dell’impianto difensivo, sarebbe ipotizzare che alcune di esse - come già avanzato per la cisterna Z 39 del saggio II – potrebbero aver
assommato alla funzione di serbatoi idrici anche
quella di strutture difensive. Le cisterne Z 8-9 e Z 1314, in effetti, ubicate rispettivamente agli angoli nordoccidentale e nord-orientale del temenos e costituite
da possenti muri di contenimento (USM 2213 ad es.:
fig. 14) potrebbero aver funto da torri angolari, interne al temenos stesso, ma collegate – almeno nella
prima delle due coppie – alla struttura del bastione I
131
L’ipotesi del temenos-fortezza con torri angolari trova un
confronto interessante nel temenos del santuario di Astarte a
Malta, realizzato fra fine II e inizio I sec. a.C.: M.P. Rossignani,
Il santuario di Astarte a Malta e le successive trasformazioni del
suo volto monumentale, in Phönizisches und punisches Städtewesen, p. 123, con bibliografia.
del saggio IX 131. A fornire ulteriore protezione al santuario avrebbero potuto concorrere anche le cisterne
addossate al lato esterno del muro di temenos, finendone per obliterarne o comunque mascherarne l’elegante facciavista pseudo-isodoma. Tali cisterne – si
pensi soprattutto a Z 15 e Z 16 (o forse soltanto la
prima), come pure a Z 25 – potrebbero aver definito
anch’esse delle ulteriori sporgenze dal corpo murario del temenos, funzionali alla difesa dell’area.
Sintetizzando quanto detto finora le domande sollevate da questo nuovo e radicale intervento costruttivo sono di importanza centrale anche per le gravi
implicazioni sul piano storico e politico. La trasformazione radicale dell’area santuariale con il suo inglobamento nella fortezza, che prevede la
rifunzionalizzazione di interi settori nonché la distruzione di edifici di età ellenistica, va considerata
frutto di una mera decisione politica dettata dalla pericolosità e dalla straordinarietà del momento, che
avrebbe per così dire giustificato una manovra del genere? O bisogna piuttosto credere che l’iniziativa di
Sesto Pompeo abbia più semplicemente sfruttato una
situazione preesistente di distruzione (anche solo parziale), da ricondurre forse alle vicende della lotta tra
Mario e Silla, quando Pantelleria sarà luogo di rifugio per Gneo Papirio Carbone, poi catturato da Pompeo Magno (81 a.C.) 132, se non addirittura alle
numerose incursioni dei pirati, che colpiranno l’area
del Mediterraneo nel secondo quarto del I sec. a.C.,
portando poi alla promulgazione nel 67 a.C. della Lex
Gabinia per la concessione a Pompeo Magno del comando di un’apposita flotta? 133.
Tali quesiti sono destinati per il momento a rimanere senza risposta e si spera di poter approdare ad
una soluzione convincente in vista dell’edizione definitiva del contesto di scavo.
(M.O.)
Abbreviazioni bibliografiche
Almonte 2005 = M. Almonte, Cossyra. Ricognizione topografica nell’area dell’insediamento antico, «Siris»
IV 2005, pp. 147-172.
Caesar ist in der Stadt = M. Osanna et alii (a cura di), Cae-
Appiano, B.C. 1, 96. Cfr. Orosio V 21, 11; V 24, 16. Cfr.
anche Osanna 2006, p. 36.
133
Cicerone, Pro Lege Manil. 52, 58; Velleio Patercolo II 31;
Plutarco, Pomp. 25.
132
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Nuovi dati su Cossyra ellenistica: dalla ridefinizione
Emiliano
urbanistica
Cruccas di III sec. a.C. alla fortezza di Sesto Pompeo
sar ist in der Stadt. Die neu entdeckten Marmorbildnisse aus Pantelleria (Katalog zur Ausstellung im
Helms Museum Hamburg 2004), Hamburg 2004.
De Vincenzo et alii 2005 = S. De Vincenzo et alii, Scavi e
ricerche in località S. Marco diPantelleria. La campagna del 2005, «SicA»XXXVIII 2005, pp. 125-135.
Mosca 2009 = A. Mosca, Pantelleria 2. Contributo per la
Carta Archeologica di Cossyra (Fo 256 III, Pantelleria). Il territorio (Biblioteca Gaia. Archeologia, 3), Salerno 2009.
Osanna et alii 2003 = M. Osanna et alii, Ricerche a Pantelleria, «Siris» IV 2003, pp. 63-97.
Osanna 2006 = M. Osanna, Architettura pubblica e privata
a Kossyra, in Sicilia ellenistica, pp. 35-50.
Osanna 2009 = M. Osanna, Cossyra antica. L’insediamento dall’età arcaica all’epoca ellenistica, in Phönizisches und punisches Städtewesen, pp. 327-340.
Pantelleria Punica = E. Acquaro, B. Cerasetti (a cura di),
Pantelleria punica. Saggi critici sui dati archeologici
209
e riflessioni storiche per una nuova generazione di ricerca, Bologna 2006.
Phönizisches und punisches Städtewesen = S. Helas, Dirce
Marzoli (a cura di), Phönizisches und punisches Städtewesen, Akten der internationalen Tagung in Rom
vom 21. bis. 23. Februar 2007 («Iberia Archaeologica»
13), Deutsches Archäologisches Institut-Madrid,
Mainz am Rhein 2009.
Schäfer et alii 2001 = T. Schäfer et alii, Pantelleria. Bericht über Ausgrabungen und Forschungen 2000, in
«AA» 2001, pp. 213-239.
Schäfer 2006 = T. Schäfer, Decorazione architettonica e
stucchi di Cossyra, in Sicilia ellenistica, pp. 57-67.
Sicilia Ellenistica = M. Osanna, M. Torelli (a cura di), Sicilia ellenistica, consuetudo italica. Alle radici dell’architettura ellenistica d’Occidente (Atti del Convegno di Spoleto, 5-7 novembre 2004), Pisa 2006.
Vecchio 2006 = P.F. Vecchio, Proposta preliminare di articolazione in fasi per l’abitato di Kossyra, Acropoli di
S. Marco (Saggi IX-X), in Sicilia ellenistica, pp. 51-56.
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Indice
LO SPAZIO DELLA MEMORIA
NECROPOLI E RITUALI FUNERARI NELLA MAGNA GRECIA INDIGENA
Introduzione di Massimo Osanna
5
L’ORIZZONTE CULTURALE NORD-LUCANO
Lucia Colangelo
Le necropoli arcaiche di Torre di Satriano. Distribuzione delle tombe e rituale funerario
7
Antonio Bruscella
La necropoli arcaica di loc. Toppo S. Antonio a Baragiano: un nuovo caso di studio
21
Michele Scalici
Ruvo del Monte. La necropoli in loc. S. Antonio. Nuovi dati e prospettive di ricerca
37
Maria Luisa Tardugno
Atena Lucana: una necropoli indigena ai margini del Vallo di Diano
53
AREE FINITIME
Raphaëlle-Anne E. Kok
Un nucleo di tombe della necropoli di Melfi-Pisciolo.
Riflessioni sulla rappresentazione dell’identità nello spazio funerario
65
Maria Pina Gargano
Le necropoli di un insediamento della Peucezia: il caso di Monte Sannace
81
Rosanna Colucci
L’area bradanica: contesti funerari da Matera
99
Patrizia Macrì
Le necropoli della Valle del Sauro: Aliano, Alianello e Guardia Perticara. Proposta per una metodologia di studio
113
Conclusioni di Alfonsina Russo
123
Bibliografia generale
125
STUDI
Olivier de Cazanove
Luoghi di culto lucani a pianta centrale quadrata
131
Raimon Graells i Fabregat
Un manico di patera arcaica Gjødesen-IIA rinvenuto a Maiorca
143
Anna Colangelo, Annarita Stigliano
Ceramica da contesti medievali e post-medievali di Piazza Castello a Taranto
149
SCAVI E RICERCHE
Vincenzo Capozzoli, Massimo Osanna
Nuovi dati su Cossyra ellenistica: dalla ridefinizione urbanistica di III sec. a.C. alla fortezza di Sesto Pompeo
169
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Supplemento I
LO SPAZIO DEL RITO
SANTUARI E CULTI IN ITALIA MERIDIONALE TRA INDIGENI E GRECI
Atti delle Giornate di studio (Matera, 28 e 29 giugno 2002)
a cura di Maria Luisa Nava e Massimo Osanna
INDICE DEL VOLUME
Brinna Otto, Il santuario sorgivo di Siris-Herakleia nell’odierno Comune di Policoro – Antonia Serritella, Poseidonia: l’area
sacra di Capodifiume – Maria Cecilia Parra, Riflessioni e novità intorno al santuario di Punta Stilo (Kaulonia) – Valeria Meirano, Vasellame ed instrumentum metallico nelle aree sacre di Locri/Mannella, Hipponion/Scrimbia e Medma/Calderazzo.
Note preliminari – Valentina Barberis, Terrecotte votive e culti nel santuario urbano di Metaponto: l’età arcaica e severa – Enrica Calabrìa, Coroplastica votiva dal santuario urbano di Metaponto: nuove attestazioni di culto di età classica ed ellenistica
– Anna Lucia Tempesta, Attestazioni del mito di Io e del culto di Dioniso a Metaponto: alcune considerazioni – Enzo Lippolis, Pratica rituale e coroplastica votiva a Taranto – Maria Luisa Nava, Vincenzo Cracolici, Il santuario lucano di Rossano di
Vaglio – Marcello Tagliente, Il santuario lucano di San Chirico Nuovo (PZ) – Massimo Osanna, Maria Maddalena Sica, Articolazione dello spazio e pratiche rituali nel santuario lucano di Torre di Satriano – Ilaria Battiloro, Marco Di Lieto, Oggetti
votivi e oggetti rituali: terracotte figurate e thymiateria nel santuario di Torre di Satriano – Adele Lagi De Caro, Roberto De
Gennaro, L’area sacra in località S.Stefano (Buccino, SA) – Maria Cristina D’Anisi, Nuovi dati sui culti lucani: un deposito votivo inedito da Accettura – Paola Bottini, Rivello e Grumentum: affinità e diversità tra due stipi della Basilicata meridionale
– Gianni Bailo Modesti, Luca Cerchiai, Vincenzo Amato, Marcella Mancusi, Domenico Negro, Amedeo Rossi, Monica Viscione, Aurora Lupia, I santuari di Pontecagnano: paesaggio, azioni rituali e offerte – Marco Fabbri, Massimo Osanna, Aspetti del sacro
nel mondo apulo: rituali di abbandono tra area sacra e abitato nell’antica Ausculum – Giovanni Mastronuzzi, L’archeologia
di un luogo di culto in Messapia: Vaste - Piazza Dante
ISBN 978-88-7228-430-5
pp. 248, ill. bn
€ 50,00
Supplemento II
PROGETTI DI ARCHEOLOGIA IN BASILICATA
BANZI E TITO
a cura di Ilaria Battiloro, Massimo Osanna, Barbara Serio
INDICE DEL VOLUME
PARTE I - PER UN PROGETTO DI ARCHEOLOGIA A BANZI: Angelo Bottini, Ripensando il caso di Banzi – Chiara Nardella, Elisabetta Setari, Le necropoli di Banzi: dati preliminari per una ricerca sistematica – Rosanna Ciriello, Banzi: l’esplorazione della necropoli di Piano Carbone. Campagna di scavo 1993-1995 – Maddalena Sodo, La ricerca archeologica a Banzi:
nuove acquisizioni. Le indagini in località Orto dei Monaci (campagna di scavi 2004-2006) – Mario Torelli, L’iscrizione musiva del balneum di Bantia – Maria Luisa Marchi, Dinamiche insediative nel territorio di Banzi: i dati della ricognizione di superficie – Massimo Osanna, Per un progetto di archeologia a Banzi – Bibliografia generale
PARTE II - DALL’ABITATO ARCAICO ALLA DIOCESI MEDIEVALE: Helena Fracchia, Prolusione
PRIMA DI SATRIANUM: L’INSEDIAMENTO ANTICO TRA PRIMA ETÀ DEL FERRO ED ETÀ ROMANA: Alfonsina Russo, Il territorio nordlucano: note introduttive – Marco Di Lieto, L’area nord-lucana: il sistema insediativo – Lara Cossalter, Massimo Osanna, La nascita di un nuovo insediamento: Torre di Satriano tra VIII e V sec. a.C. – Ilaria Battiloro, Gianfranco Carollo, Massimo Osanna,
Nuovi dati sull’età arcaica. I risultati delle indagini del 2007 – Donatella Novellis, Tra abeti, querce e campi coltivati: dati archeobotanici preliminari da Torre di Satriano – Marco Di Lieto, Domenico Chianese, Enzo Rizzo, Massimo Bavusi, Marianna
Balasco, Giuseppe Tamburriello e Gregory De Martino, Scoprire senza scavare: i risultati preliminari delle prospezioni geomagnetiche – Barbara Serio, Nuovi dati sull’insediamento lucano: il centro fortificato e la campagna – Tonia Giammatteo, Ritornando al santuario lucano: le analisi archeometriche – Marco Fabbri, Barbara Serio, L’epilogo della vicenda insediativa:
l’abbandono del centro lucano e le trasformazioni del territorio in età romana
LA RINASCITA DELL’INSEDIAMENTO NEL MEDIOEVO: SATRIANUM: Alessandra D’Ulizia, Francesca Sogliani, Dai documenti di archivio al dato archeologico: Satrianum e la sua forma urbana – Lucia Colangelo, Il complesso architettonico della cattedrale
di Satrianum. I risultati delle nuove indagini – Francesco Melia, Manufatti in contesto: le ceramiche medievali di Satrianum
– Bibliografia generale
ISBN 978-88-7228-527-5
pp. 208, ill. bn
€ 35,00
SIRIS 10,2009 - Studi e ricerche della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera - ISBN 978-88-7228-618-0- © · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it