La questione della natura umana nel pensiero di Arendt
Thierry Ménissier
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Thierry Ménissier. La questione della natura umana nel pensiero di Arendt. Séminaire de philosophie
de l’éducation, Apr 2008, Salerne, Italy. hal-01665510
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Thierry Ménissier
Université Pierre Mendès France – Grenoble 2, Equipe Philosophie, Langages & Cognition
La questione della natura umana nel pensiero di Arendt
Università degli studi di Salerno, 20 maggio 2008
Dapprima vorrei ringraziare i colleghi dell'Università di Salerno, la cui gentile
invitazione mi concede la possibilità di presentarvi l'esito delle mie ricerche dedicate a Hannah
Arendt. E sopratutto, ringrazio di cuore il mio caro amico Francesco Adorno di avere iniziato il
progetto del intervento di oggi. Come l'avete sentito, provero di esporre il mio proposito nella vostra
lingua, ma, per cortesia, vi prego per anticipo di scusare i miei errori, rifletti dei limiti della mia
espressione italiana.
In quanto studioso interessato al dialogo fra filosofia e scienze sociali, m'interessa
molto l'opera arendtianna. Essa riguarda proprio un tale dialogo, tramite l'analisi del fenonomeno
del totalitarismo e anche per il tramite dell'esame critico delle società moderne. Si potrebbe dire che
la Arendt ritrova problemi classici della filosofia moderna attraverso l'esame di questo primo
fenomeno, il quale è stato pero impossibile da prevedere con gli strumenti del discorso e del tipo di
pensiero filosofico. Al centro di questi problemi, come provero di mostravi, c'è questo tema della
natura umana, un vero topos della filosofia moderna, ma in qualche modo rigenerato da analisi
originali, sconosciute da questa. In un certo modo, ereditata dalla tradizione metafisica della
filosofia moderna, la questione della natura umana rappresenta il legato di essa, di cui Arendt – se
stessa davvero inquieta del problema dell'eredità moderna – trae l'idea del suo proprio impegno
intelletuale, e salva la possibilità di fare filosofia oggi.
Arendt (nata in Germanaia nel 1906 e morta in New York nel 1975) fa farte delle
generazione degli autori che hanno dovuto affrontare il vero trauma rappresentato dalla salita del
nazismo nel loro paese, la Germania, considerato pero come il paese culturalmente piu sviluppato
del mondo. Infatti, i tedeschi prima della seconda guerra mondiale potevano senza sbagliare
considerarsi come i rappresentiti contemporanei dello spirito dell'Illuminismo, questo movimento
intellettuale che si confonde con lo sviluppo della modernità se stessa. Come si sa, c'è davvero un
mistero – un mistero persistente – nella trasformazione della nazione considerata come l'erede
contemporenea dell'Illuminismo in società capace di ospitare il fenomeno del totalitarismo. Questo
mistero evoca del resto qualche cosa che non sembrava possibile, cioè la trasformazione della
cultura della ragione, tipica del pensiero dell'Illuminismo, in barbaria e in violenza cieca. Si
potrebbe anche dire che l'opera arendtiana, dedicata all'esame di questo mistero, lo trasforma in un
problema per la filosofia. La vocazione del filosofo, secondo Arendt, verte sul problema della
trasformazione della cultura della ragione in un mondo barbaro – dato che questo trasformazione è
stata effettiva nei totalitarismi del Novecento, ma anche che a Arendt sembra sempre possibile,
dopo la sconfitta di questi regimi, nell'ambito delle società moderne.
Nella prima parte del mio intervento, vorrei guardare il modo secondo il quale Arendt
esamina il totalitarismo, analizzando qualche argomento noto della sua grande opera, Le origini del
totalitarismo (pubblicata, per la prima edizione, nel 1951). In questo famoso libro, come si è spesso
notato, nessun rammarico del mondo perso colla catastrofe della cultura moderna, ma una feroce
volontà di capire, anche colle rissorse dell'ironia. Ma anche nessun azzeramento : Arendt si
appoggia sulle macerie della storia europea nello scopo di capire la misteriosa trasformazione, e
considera l'incubo del totalitarismo come « il fardello del nostro tempo », come recitava in origine il
titolo dell'edizione inglese dell'opera.
L'autrice tende a mostrare che lo sviluppo del totalitarismo è stato possibile con quello
di un processo di disumanizzazione. Quest'idea di processo di disumanizzazione offre la possibilà di
radunare elementi sparsi e anche lontani tra loro dal punto di vista cronologico come dal punto di
vista della loro natura. Quest'idea permette cioè di leggere la storia moderna come si facerebbe una
genealogia della morale della politica, per dirla come Nietzsche, e piu precisamente una genealogia
della barbaria moderna. Tali elementi possono essere scoperti in cose diverse come :
(1)l'antisemitismo, o pi esattamente la trasformazione dell'antisemitismo sociale tipico delle società
europee dal Ottocento al Novecento in antisemitismo politico o di stato nell'ambito di regimi tali
il nazismo tedesco ;
(2) l'imperialismo europeo, cioè il tentativo delle nazioni di allungare la loro propria sovranità, tanto
sul continente quanto al di là dell'Europa, sotto la forma del colonialismo. Il trattamento
arendtiano di questo tema richiede l'attenzione perché le vicende dell'imperialismo sono da lei
analizzate attraverso un vero paradosso : il dominio delle nazioni europee è generato non dalla
loro potenza, ma dalla loro fragilità politica. Il secondo volume delle Origini del totalitarismo,
intitolato proprio L'imperialismo, rivela infatti lo smembramento dello stato-nazione, e
soprattuto il suo fallimento come potenza d'azione politica.
(3) L'apparizione di un razzismo di stato nell'ambito dell'imperialismo europeo, concepito dalle
ideologie statali e realizzato dalle amministrazioni centrali nei paesi sottomessi. Il fenomena del
razzismo statale offre all'autrice la possibilità di mettere in rilievo il ruolo decisivo
dell'amministrazione nel processo di disumanisazzione : a questo proposito, in molti brani
soggestivi dei suo libri, Arendt sfrutta spesso le rissorse delle pagine di Kafka. Questo lavoro
interpretattivo suggerisce che in un certo modo, la modernità è contrassegnata dalla mutazione
tragica in realtà sociale delle pagine kafkaiane sull'assurdo. Inoltre, ultima conseguenza
dell'apparizione del razzismo statale, scompare l'alone di maestà dello stato, questa zona di
sicurezza creata dal pensiero giuridico e filosofico moderno nello scopo di produrre la sicurezza
pubblica, mediante l'ubbidienza delle popolazioni.
(4) Il collasso della rete dei legami umani normali sotto l'effetto dell'integrazione dei movimenti
totalitari nelle società tradizionali europei. Quest'integrazione procede dall'abolizione delle classi
sociali tradizionali e risulta della massificazione della società. Ed è stata generata secondo due
mezzi principali, identificati da Arendt come il terrore e l'ideologia. Infatti, coi mezzi del terrore
e dell'ideologia, i movimenti totalitari, il nazismo e il bolcevismo, sono riusciti a disciplinare i
comportamenti individuali, faccendo svanire le abitudini morali ereditate dalle culture cristiana e
illuministica della notra civiltà. Del resto, si tratta meno di una nuova disciplina imposta ai
cittadini dagli stati moderni, quanto di uno svenimento delle relazioni sociali, sulla base di una
frammentazione, per non dire di una atomizzazione dello spazio pubblico. Nei termini arendtiani
si direbbe che, con questa integrazione, si puo parlare della scomparsa del « mondo commune ».
Nelle società totalitarie, l'individuo si trova isolato dagli altri, prova un nuovo tipo di solitudine.
È rotta l'interdipendenza necessaria alla vita polica normale, nella quale si esprimevano le
categorie morali della filosofia politica classica, dalla filia aristotelica alla fiducia messa in luce
dal liberalismo come fondamento del legame civile, ad esempio da John Locke. La solitudine,
analizzata tradizionalmente, puo essere concepita come indipendenza del singolo individuo ; ma
nella società totalitaria, è un isolamento la cui conseguenza è una impotenza crescente in
confronto degli altri e di se stesso, una impotenza per sviluppare da una parte delle azioni
communi e dall'altro dei pensieri autentici. Alla fine del processo d'integrazzione totalitario della
società, lo stato, unico individuo sopraindividuale, gestisce l'esistenza intera degli uomini
Tali sono le varie condizioni di possibilità che si sono « cristallizzate » nella
modernità, creando il fenomeno imprevidibile del totalitarismo. Ora si deve badare all'effetto il più
incredibile – ma anche il pù necessario – di questo sistema. Si deve badare all'esperimento del
campo di concentramento, i quali sono descritti dall'autrice come « un immagine dell'inferno ». Il
campo, secondo la valutazione arendtiana, radicalizza l'isolamento degli uomini nella società
totalitaria, e traduce in una struttura fatta apposta il motivo ideologico generale dei movimenti
totalitari, che è di voler trasfomare gli degli uomini. È la struttura sociale la più adatta al tipo di
rapporti umani generati dall'ideologia totalitaria. L'indagine arendtiano mette in risalto il fatto che il
campo non è un effetto del sistema totalitario, ma ne è piuttosto uno dei principii, o almeno uno dei
scopi. Il tentativo provato nel campo di inferiorizzazione radicale dei prigioneri da il suo pieno
significato al fatto che nella società totalitaria tutto è ormai possibile – perché è sottomessa alla
volontà arbitraria dello stato, e questa lo è dal canto suo a quella del movimento, incarnato dal
leader del partito. Il campo traduce la capacità totalitaria di creare un organizzazione socio-politica
nella quale non c'è più nessuna volontà individuale capace di opporsi con successo alla volontà
dello stato controllato dal capo del partito unico.
Si puo ancora caratterizzare il tentativo provato nei campi con termini piu acuti : come
lo afferma l'autrice, la disciplina vissuta dai prigioneri, la fine del dominio al quale sono sottomessi,
è l'eliminazione dei motivi proprio umani, tali le differenze interindividuali o la capacità di parlare,
dando senso alle sperienze della vicenda umana, e persino alla sofferenza. Nei Lager, si impone la
divisa per rendere tutti gli uomini uguali nel dominio, e si impone il silenzio nello scopo di negare
l'attività umana di dare senso alle vicende dell'esistenza. Sono due modi fondamentali del dominio
totale sull'umanità.
Inoltre non si deve dimenticare il fatto che il campo sia concepito secondo una logica
che sembra industriale – il campo appare une struttura di lavoro (si ricorda a proposito la famosa
sentenza tedesca scritta all'ingresso di Auschwitz e di Dachau, di cui si deve sottolineare che era
anche stata scritta all’ingresso delle fabriche di IG Farben : « Arbeit macht frei »). Ma il campo è
una fabbrica paradossale, o, peggio contradittoria : non genera niente, o se genera qualcosa, con un
grande spreco di mezzi, è solo una nuova specie di umanità. Come lo dice Arendt, il campo
industrializza solo un tipo contradittorio di umanità : tende a produrre degli uomini assolattemente
rassomiglianti a tutti gli altri, degli individui privati di caratteri distinti, cioè degli individui che non
sono piu umani. Qui si deve badare a un fatto molto importante, come lo diremmo fra poco.
L'attività di lavoro assurdo ma continuo, alla quale i prigionieri erano sottomessi nel campo, ha lo
scopo di negare la diversità umana. Il lavoro rappresenta il mezzo privilegiato per ridurre l'umanità
a un certo tipo di vita, vicino alla vita degli animali.
Infine, in pagini soggestive (come si vede in certi brani dal manoscritto intitolato « Le
tecniche delle scienze sociali e lo studio dei campi di concentramento », che era stato pubblicato
dall'autrice nel 1950, e ora tolto dall'antologia curata da Paolo Costa, Milano, Feltrinelli, 2006)
Arendt spiega che il tentativo di dominare totalmente l'uomo conduce, per il tramite di un vero
percorso a tappe, alla riduzione degli esseri umani al più basso comun denominatore possibilie di
« reazioni identiche ». Nel campo – e percio esso sintetisa i caratteri rilevanti della società totalitaria
– l'uomo « è destinato a diventare un fascio di reazioni prevedibili ; la fine perseguita nel campo
consiste a ridurre gli uomini in cani di Pavlov. Cioè a ridurli allo stato di animali, o di esseri
generici, l'individuo è ridutto ai caratteri della sua specie. Questa riduzione dell'uomo, la vedo per
conto moi come un tentativo di « riduzione specifica ».
Le conseguenze dell'analisi arendtiana del totalitarismo sono molteplici. In questo
terzo momento del mio percorso nel pensiero arendtiano, mi fermero su tre consequenze
particolarmente salienti.
Prima conseguenza, l'autrice trae della sua analisi l'idea generale secondo la quale con
l'avvento del totalitarismo, e con tutte le vicende moderne, le condizioni ordinarie del giudizio sono
state sgretolate. Cosicché la faccenda della filosofia contemporanea consiste nel tentativo di
proporre nuove condizioni per il giudizio – in un certo senso, dunque, Arendt riprende il lavoro di
Kant, il lavoro chiamato in filosofia « critico », il cui scopo consiste a definire i diversi tipi di
giudiozio (giudizio teorico, pratico, teologico), e a circoscrivere le condizioni normali del giudizio ;
Arendt ha cercato nella sua opera a scrivere di nuovo le tre Critiche kantiane sul modo post
totalitaria. In un articolo famoso, Arendt ha proposto un'altra caratterizzazione del proprio cammino
intelletuale, spiegando che il suo è un tentativo di « comprensione » del totalitarismo, cio che
significa non solo capire il suo significato, ma anche provare di « riconciliarsi » col mondo.
L'orizzonte della comprensione è meno teorico che pratico, si tratta di concepire categorie mentali
adatte alle nuove realtà sociali sperimentate nelle società e nei campi totalitari, il cui obiettivo è
l'azione in un mondo nel quale tali sperimentazioni sarebbero ormai impossibili. Cosi, nonostante il
suo colore oscuro, mediante il fatto che ci propone un certo tipo di lavoro intellettuale, l'opera
arendtiane fa intravedere un barlume di speranza per gli uomini delle società post totalitarie. A
questo proposito si potrebbe asserire che il lavoro del giudizio rappresenti per Arendt il baluardo
della libertà, la cui fine è una possibile rinconciliazione col mondo.
Seconda conseguenza, una delle nuove condizioni del giudizio proposte dall'autrice
riguarda l'abbandono della rappresentazione fissa di una « natura umana », al vantaggio di
quest'altra : la condizione umana. Come si sa, il titolo originale dell'opera arendtiana tradotto in
italiano col titolo Vita activa è The human condition ; e in questo libro l'autrice si fonde sul tema
della flessibilità fondamentale dei modi secondo i quali gli uomini diventano umani. Se questo tema
risuona dal tipo di pensiero esistenzialisto, trova la sua radice nella lettura arendtiana dello Spirito
delle leggi di Montesquieu ; alla Arendt piaceva spesso citare questo brano, estratto dalla prefazione
della grande opera :
« L'uomo, questo essere flessibile, che si piega nella società ai pensieri elle impressioni altrui, è
ugulamente capace di conoscere la propria natura quando gli viene mostrata e di perdere persino il
sentimento quando gli viene nascosto ».
Detto sul modo filosofico, Arendt ha una concezione della condizione umana come del
tutto sottomessa alle sue condizioni materiali di possibilità. In altri termini, l'autrice ancora la
condizione umana nella contingenza, in tal modo che il regime intelletuale del filosofo si trova
modificato : fare filosofia consiste ormai a pensare le condizioni materiali precise dell'esistenza
umana, la filosofia deve scendere sulla terra dei comportamenti concreti – ad esempio deve
accogliere la metodologia delle scienze sociali, tali la sociologia o la psicologia sociale.
Terza conseguenza, importantissima : Arendt utilisa lo stesso principio quando da
sfogo al suo esame critico delle società post totalitarie, cioè delle società democratiche. Certo, non
si puo affermare che questa sia totalitaria – sarebbe una stupidaggine affermalo, e Arendt si
preoccupava molto di questa distinzione : la società democratica non è totalitaria. Ma contiene
elementi capaci, secondo la sua espressione, di « cristallizzare » in totalitarismo. In altri termini, le
nostre società, invece di salvare l'umanità della riduzione specifica in modo definitivo
Fermiamoci un attimo su due elementi diversi :
(1)L'importanza del lavoro nelle società ma anche nelle esistenze moderne pone un problema
importantissimo. In effeti, in modo continuo nella modernità, in un processo che si confonde
colla constituzione di essa (dal Ottocento in poi, spiega Arendt in Vita activa), è il lavoro che
tende a dare significato e valore all'impegno esistenziale di ognuno. Ma per se stesso il lavoro
consiste un un attività che riduca l'esistenza ai bisogni ; lavorare si caratterizza in termini di
preservazione dell'esistenza organica. In un certo senso, acenna Arendt, il lavoratore – un uomo
che sarebbe solo un lavoratore, almeno – si comporta in un modo che ricordi l'animalità. C'è
dunque un grande pericolo nel valorizzare il lavoro come attività di riferimento. E questo
pericolo, le nostre « società di sciopero » lo vivono in modo molto acuto.
(2)La cultura mentis offre alle esistenze umani un mezzo per sfuggire una tale regressione. Il
mondo dell'arte è caratterizzato da una tendenza a generare tradizioni resistenti alla dissoluzione
organica tipica del lavoro. Ma neppure questo fatto « salva » l'umanità : le società
contemporanee hanno sviluppato un tipo di cultura industriale, che riduce la cultura mentis a una
specie di organicità. In termini arendtiani, adesso l'« azione » è contaminata dalla « vita ». Il
consumo di beni culturali, in un ambiente di grande spreco, fa perdere di vista la possibilità
offerta dalla vera cultura, la quale permette di rappresentarci la nostra esistenza fragile ma dotata
di conscienza del tempo per il tramite delle tradizioni culturali.