Si chiama Maurizio Pisciottu, ma nel panorama artistico italiano e internazionale è conosciuto come Salmo, pseudonimo con il quale il 35enne artista di Olbia nell’ultimo triennio, ha sfondato come pochi altri esponenti del suo genere musicale – l’hip hop – collezionando numeri da record sia discograficamente (25 dischi di platino e 20 dischi d’oro, oltre a 369 milioni di visualizzazioni su YouTube e una geniale quanto fortunata operazione promozionale su un canale non propriamente musicale quale Pornhub) sia a livello concertistico. Le sue ultime tournée sono ovunque «sold out» e coronata da grande successo si annuncia anche la sua prossima partecipazione, venerdì 14 giugno in piazza Grande a Locarno, al «Connection Festival»_organizzato da GC Events e dal Corriere del Ticino. E proprio in vista della sua attesa esibizione a Locarno (biglietti per l’evento su www.mediatickets.ch) lo abbiamo intervistato.
Il Ticino mi piace: ci sono pure venuto a sciare lo scorso inverno
Salmo, partiamo dal suo rapporto con il Ticino...
«È un rapporto che dura da molto tempo sia per le collaborazioni che ho avuto con artisti ticinesi o che ci vivono (Maxi B, Bassi Maestro, Gue Pequeno) ma anche perché è una regione che mi piace: ci sono anche venuto a sciare lo scorso inverno... E ci ho pure suonato parecchie volte in passato: si trattava ancora di posti piccoli, però ricordo che l’accoglienza e l’ambiente che ho sempre trovato era eccellente».
Ora però le cose sono cambiate e in Ticino arriverà da acclamata star: si aspettava il clamoroso successo dell’ultimo biennio e cosa ha cambiato in lei?
«Sui cambiamenti intervenuti nell’ultimo biennio ci stavo ragionando l’altro giorno. E mi sono reso conto che le uniche cose mutate sono il conto in banca, le comodità. Per il resto tutto è uguale a prima. Anche perché ho sempre questa sorta di incubo della povertà che mi rincorre sempre – l’ho detto anche in una mia canzone. Ci sono infatti determinati timori legati alla mia infanzia, quando non avevo un soldo, che continuano a tormentarmi e che credo mi porterò sempre appresso. Quindi non è cambiato niente in quanto a mood, a come sto vivendo. Ecco, nell’ultimo periodo è cambiata l’impressione che le persone hanno di me, specie dopo la mia apparizione a X Factor. Da quel momento è successo qualcosa, poi è arrivato il successo di Playlist che, sinceramente, non mi aspettavo così grande. Ci speravo, lo desideravo a tutti i costi, ma non credevo potesse arrivare a questi livelli. Perché Playlist non è un disco studiato a tavolino per arrivare al numero uno. L’ho realizzato in modo molto spontaneo e forse è proprio per questo che ha funzionato. Se lo avessi pensato un po’ troppo, probabilmente sarebbe venuta fuori una schifezza».
«Il cielo nella stanza» non è una canzone che ho pensato e scritto per farla entrare nelle programmazioni radiofoniche. Se così fosse avrei tolto le parolacce che contiene
Ora però si trova in una situazione un po’ paradossale: lei è infatti sempre stato un artista «contro», contro anche quell’industria musicale della quale oggi è la grande attrazione...
«Sì, però bisogna considerare una cosa: che questo successo l’ho costruito con le mie mani, come lo volevo io. Il punto, infatti, non è diventare famosi. È diventarlo con il tuo gusto, con la tua musica, la tua personalità, senza essere manipolato o filtrato da nessuno. Prendiamo una canzone come Il cielo nella stanza che è quella di Playlist ad avere avuto più successo: ebbene non è una canzone che ho pensato e scritto per farla entrare nelle programmazioni radiofoniche. Se così fosse avrei tolto le parolacce che contiene. Nella canzone ci infatti tante espressioni forti, che ne fanno una sorta di “poesia volgare” – perché è questa la realtà: l’intimità tra due amanti ha infatti degli elementi di volgarità. Però se questi momenti li racconti in una canzone che vorresti passasse in radio, un determinato linguaggio intimo non lo usi. Ecco quella canzone non è stata studiata per andare in radio: è venuta così spontanea, dunque non mi sono piegato alle leggi del mercato. L’ho fatto a modo mio e quella canzone è esplosa a modo mio».
Il suo straordinario successo è comunque indice che qualcosa nel panorama della musica italiana sta cambiando.
«Non qualcosa, è cambiato tutto. E bisogna stare attenti perché tutto accade in modo estremamente veloce. Fino a qualche anno fa prima di arrivare al successo ci voleva sì fortuna, ma anche parecchio tempo. Adesso puoi invece arrivarci nel giro di due secondi. Adesso appena hai un minimo di talento ti spingono in alto caricandoti di responsabilità».
E lei le sente queste responsabilità?
«Mi rendo conto che ogni cosa è sempre più difficile, che l’ambiente musicale ti spinge a premere sempre più a fondo l’acceleratore, a superarti ogni volta. E che oggi tutti sono con te finché fai gol. E che quando smetti di segnare ti mollano immediatamente. Inoltre la gente ti sta sempre più addosso, pretende di dirti che fare. Io ad oggi ho sempre fatto gli affari miei, non ho mai ascoltato nessuno. E penso che continuerò a farlo».
Da ragazzino ascoltavo rock. Ora non più perché non ci sono più delle giovani rock band interessanti: in Italia ma anche nel mondo. Oggi i giovani fanno solo trap.
Le sue canzoni, rispetto a quelle di molti suoi colleghi, si distinguono, musicalmente, per una schietta vena rock. Quanto il rock è importante per lei?
«Molti pensano che io abbia iniziato a fare musica partendo dal rock. Invece non è così. Io ho iniziato dal rap e non ascoltavo altro. Però nella mia città, Olbia, eravamo in tre a fare rap (davvero pochi) e ci prendevano in giro, ci deridevano, perché tutti lì suonavano punk o metal. In un simile ambiente ho quindi giocoforza dovuto diventare abbastanza ibrido nei miei ascolti. Inoltre ho iniziato a suonare con delle band (ne ho avute tre con le quali ho inciso 5 dischi) e quindi quel background rock mi è rimasto. Tant’è che ogni volta che compongo mi ritrovo influenzato dal rock perché l’ho ascoltato e suonato in molte maniere, dal punk al metal al crossover, lo stoner. Credo insomma di avere un buon bagaglio rock...».
Dunque lo ascolta ancora...
«Da ragazzino lo ascoltavo. Ora non più perché non ci sono più delle rock band interessanti: in Italia ma anche nel mondo: dimmi infatti il nome di un gruppo rock composto da ventenni che spacca davvero, come facevano i Nirvana, i Metallica. Non ce ne sono. Oggi i giovani fanno solo trap».
E qual è il suo rapporto con la trap?
«Quella originale americana, nata dal disagio, che veniva raccontato nelle canzoni, mi piace. Quella italiana, fatta da figli di papà che fanno balletti dub e cantano con l’autotune mi fa vomitare. E comunque la trap si è evoluta così tanto che non so più che cosa sia».
Lo spettacolo di Locarno sarà più «slim» di quello nei palasport. Ma altrettanto coinvolgente.
Parliamo ora del suo live a Locarno...
«Non sarà uguale al tour che ho fatto nei palasport: sarà uno show più “slim”, meno vistoso. Anche perché impostato per essere eseguito all’interno dei festival. Ma sarà comunque coinvolgente e comprenderà sia i brani dell’ultimo album, sia cose più vecchie».
Quest’estate ha lanciato un’operazione decisamente inedita: un concerto-crociera tra Sardegna e la Penisola. Come le è venuta l’idea?
«Da quando da piccolo mentre prendevo la nave – dormendo il più delle volte sul ponte – sognavo di averne una tutta per me, per organizzarci delle feste e andarmene a zonzo facendo casino. Un sogno che alla fine è diventato realtà».
E a proposito di sogni, qual è quello che sta facendo più di recente?
«In questo momento non sto sognando parecchio. Ho realizzato quello di ottenere successo ed ora me lo sto godendo. Ho però dei piani per il futuro: vorrei fare qualcosa al di fuori della musica, metterla per un certo periodo in freezer e dedicarmi a qualcos’altro. Il cinema, ad esempio, mi intriga molto».