dal Myanmar
Il mercato birmano della giada vale il 48% del Pil nazionale.
Il Myanmar è sempre stato associato al commercio della giada: dura e trasparente, la pietra verde birmana è la migliore al mondo.
Eppure sembra che finora la sua importanza sia stata sottovalutata: secondo una recente ricerca di Global Witness, un’organizzazione investigativa che si occupa di risorse naturali, il valore della giada proveniente dal Myanmar sarebbe pari a 31 miliardi di dollari nel solo 2014 - vale a dire il 48% del Pil del Paese - e di 122,8 miliardi di dollari fra il 2005 e il 2014.
CINA PRINCIPALE IMPORTATRICE. Una ricchezza enorme, concentrata nel Nord e nel Nord-Est del Paese, in aree abitate da minoranze etniche - soprattutto dai Kachin – che sono da decenni in guerra contro le autorità centrali per ottenere un sistema federale.
La ricerca, durata 12 mesi, riporta dati molto diversi da quelli presenti nelle statistiche ufficiali - cinesi, dato che Pechino è il principale importatore - secondo cui il valore della giada venduta nel 2014 sarebbe stato di circa 12 miliardi. Il motivo? Secondo Global Witness fra il 50 e l’80% della giada – e soprattutto quella ‘imperiale’, la più cara - viene contrabbandata direttamente nella Repubblica Popolare, saltando i controlli.
AI BIRMANI RESTANO LE BRICIOLE. «La Cina è il maggiore mercato, e praticamente tutta la giada va a finire lì», dice a Lettera43.it Juman Kubba, analista di Global Witness. «Si tratta di una quantità di denaro colossale, anche noi siamo rimasti sorpresi. Le nostre stime sono le migliori possibili, ma non sono complete: è il meglio che siamo riusciti a mettere insieme e crediamo che sia importante che si sappia di tutto questo».
La ricerca sottolinea come solo una minima parte del ricavato finisca nelle tasche dei birmani o nelle casseforti dell’erario: la maggior parte va a rimpinzare i conti dei generali che hanno governato il Paese per 50 anni.
GLI INTERESSI DEGLI EX GENERALI. Secondo Global Witness, fra i principali beneficiari di questo commercio si trova la famiglia di Than Shwe, il generalissimo che ha tenuto banco dal colpo di Stato dei primi Anni 90 al 2011, insieme con quelle di Maung Maung Thein e Ohn Myint, entrambi ex generali ed ex ministri.
Queste famiglie «detengono varie concessioni che hanno generato in totale vendite lorde per un valore di 220 milioni di dollari alla fiera del 2014 (il mercato ufficiale per la vendita di giada del governo, ndr) e 67 milioni di dollari alla fiera del 2013», scrive Global Witness.
Non è tutto: «Un’altra compagnia che Global Witness ritiene faccia parte del gruppo guidato dalla famiglia di Than Shwe ha dichiarato vendite per un valore di 150 milioni di dollari nelle due fiere tenutesi nel 2013 e 2014».
Dalle compagnie cinesi ai signori della droga: chi guadagna dal commercio
Than Shwe, leader birmano dal 1992 al 2011.
Il documento rivela una rete di aziende ben collegate con le autorità, di compagnie cinesi, di organizzazioni ribelli e signori della droga che collaborano per estrarre, trasportare e vendere la pietra preziosa. Alcuni di questi gruppi sono in guerra l’uno con l’altro, ma secondo Global Witness finiscono per accordarsi quando si tratta di far soldi: pecunia non olet, diceva l’imperatore Vespasiano, e a quanto pare neanche la giada.
Fra le compagnie legate al narcotraffico, il documento cita Asia World, il celebre gruppo fondato da Lo Hsing-Han, noto signore della droga appartenente all’etnia dei Kokang, ed Ever Winner, meno nota ma probabilmente più importante nel settore della giada, dietro alla quale si nascondono una serie di compagnie che avrebbero guadagnato 190 milioni alle fiere del 2014 e 120 a quelle del 2013.
IMPRESE LEGATE ALL'ESERCITO. E non sono solo i generali di ieri a fare affari: anche quelli ancora in carica hanno le mani in pasta. Il Tatmadaw, come vengono chiamate le forze armate in birmano, ha infatti alcune imprese che lavorano direttamente nel settore dell’estrazione.
Le principali sono Myanma Economic Holdings Limited e Myanmar Economic Corporation, che insieme avrebbero venduto giada per un valore di 180 milioni di dollari nel 2014 e 100 milioni nel 2013.
Dove vanno a finire i loro profitti? È una domanda che non ha una risposta chiara, nonostante gli ufficiali neghino che vengano usati per comprare armi. Se l’esercito adoperasse il denaro proveniente dalla vendita della giada estratta nel territorio dei Kachin per autofinanziarsi emergerebbe un bel paradosso, dato che le autorità sono in guerra, fra gli altri, con il Kachin Independence Army (Kia), il braccio armato dell’etnia locale.
ANCHE I RIBELLI CI GUADAGNANO. Anche quest’ultimo partecipa al commercio della pietra preziosa. Secondo le fonti di Global Witness, l’organizzazione ribelle tassa le aziende che operano nella zona e avrebbe raccolto oltre 20 milioni di dollari solo nel 2012.
Potrebbe essere per questo che il governo ha sospeso le estrazioni nella zona di Hpakant - il deposito più ricco in assoluto - dal 2012 al 2014: i ribelli ci guadagnavano troppo.
Poco rimane invece ai civili locali, che vivono in una delle zone più povere del Paese e se la devono vedere con l’impatto ambientale delle cave, ma ricevono meno di quanto non ottenessero due decenni fa, quando erano loro a scavare e vendere la giada.
31 MILIARDI DI RICAVI IN UN ANNO. Ora sono in competizione con aziende molto più grandi di loro che spesso non li impiegano nemmeno come manodopera.
Secondo Global Witness, i 31 miliardi provenienti dal commercio della giada nel 2014 sono pari a 48 volte la spesa nazionale nel settore sanitario e, se solo una piccola parte dei profitti venisse reinvestita a livello locale, le cose potrebbero andare molto meglio: «Un solo chilo della giada della qualità migliore basterebbe a finanziare 147 cliniche nello Stato dei Kachin, farebbe una differenza enorme in termini di sviluppo».
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