Lo Monaco, granitico interprete di Sartre
Prigioniero
nel campo di concentramento di Treviri nel 1940, Jean-Paul
Sartre scrisse per i suoi compagni Bariona o il figlio
del tuono, «un racconto di Natale per
cristiani e non credenti», come lui stesso lo definì.
Lo allestì e riservò per sé il ruolo
di Baldassarre, il «filosofo» dei re Magi.
Ciò che colpisce dell' opera è il senso
profondo di speranza che non deve morire anche nei momenti
più cupi di dolore e oppressione, perché arma
potentissima contro i tiranni. Una speranza che deve
obbligare al fare in qualsiasi circostanza, a riconoscere
qual è la via che porta a quel bene assoluto che è la
libertà, a riconoscere, metaforicamente o spiritualmente,
il Messia, come succederà a Bariona, capovillaggio
ebreo ai tempi della dominazione romana che per opporsi
agli occupanti ordina al suo popolo di non fare più figli.
Un lento suicidio di massa contro l' invasore. La moglie
Sara, Maria Rosa Carli, si scopre incinta, non accetta
di abortire e fugge. Giunge la notizia della nascita
a Betlemme del Messia. Bariona decide di ucciderlo, ma
convinto da Baldassarre capisce che non si può uccidere
la speranza di un futuro e della vita e combatterà con
i suoi uomini l' esercito romano per permettere la fuga
e la salvezza del Bambinello. L' Istituto del dramma
antico di San Miniato ha affidato la regia di questo
dramma ridondante e prolisso ma non privo di spunti di
interesse a Roberto Guicciardini, che ha racchiuso l'
azione e gli spettatori tra i fili spinati di un lager.
Con poveri, semplici travestimenti sopra le tragiche
divise a strisce, gli attori fanno vivere su spoglie
pedane la storia di Bariona. L' idea registica si ferma
qui e lo spettacolo procede senza particolare inventiva,
sorretto dalla ottima prova di Sebastiano Lo Monaco,
un Bariona sofferto, granitico e fragile che svetta su
una compagnia dai livelli interpretativi non omogenei.
Magda Poli