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Pietra di Coade

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Frontone di Nelson, Old Royal Naval College, Greenwich
Leone e Unicorno, ingresso a Kensington Palace

La pietra di Coade o Lithodipyra o Lithodipra (greco antico (λίθος/δίς/πυρά), "pietra cotta due volte") era un gres che veniva spesso descritto come una pietra artificiale tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo. Era utilizzato per modellare statue neoclassiche, decorazioni architettoniche e ornamenti da giardino di altissima qualità che oggi rimangono praticamente resistenti alle intemperie.

La pietra di Coade venne utilizzata su ordine di Giorgio III e del Principe Reggente per la Cappella di San Giorgio al Castello di Windsor, al Royal Pavilion a Brighton, nella Carlton House a Londra, nel Royal Naval College a Greenwich e per la ristrutturazione di Buckingham Palace nel 1820.[1]

Il prodotto (originariamente noto come Lithodipyra) venne creato intorno al 1770 da Eleanor Coade, che gestiva la fabbrica di pietre artificiali di Coade, Coade and Sealy, e Coade a Lambeth, Londra, dal 1769 fino alla sua morte nel 1821. Continuò ad essere prodotta dal suo ultimo socio in affari, William Croggon, fino al 1833.[2]

La ricetta e le tecniche per produrre la pietra di Coade sono state riscoperte da Coade Ltd., che produce sculture nei suoi laboratori a Wilton, nel Wiltshire.

La casa di Eleanor Coade, Belmont House, a Lyme Regis, Dorset, con facciata ornamentale in pietra di Coade

Nel 1769 la signora Coade acquistò l'attività in difficoltà della pietra artificiale di Daniel Pincot a Kings Arms Stairs, Narrow Wall, Lambeth, un sito ora sotto la Royal Festival Hall.[1][3] Questa attività si sviluppò nella manifattura di pietre artificiali di Coade con Eleanor in carica, tanto che entro due anni (1771) licenziò Pincot per "rappresentarsi come il principale proprietario".[1][4]

Coade non inventò la "pietra artificiale". Diversi altri precursori ceramici di qualità inferiore alla Lithodipyra erano stati brevettati e fabbricati nei precedenti quaranta (o sessanta[2]) anni prima della sua comparsa. Fu, tuttavia, probabilmente responsabile del perfezionamento sia della ricetta dell'argilla che del processo di cottura. È possibile che l'attività di Pincot fosse una continuazione di quella condotta nelle vicinanze da Richard Holt, che nel 1722 aveva ottenuto due brevetti per un tipo di metallo liquido o pietra e un altro per fare la porcellana senza l'uso dell'argilla, ma ci furono molte nuove attività, all'inizio del XVIII secolo, ma solo quella della signora Coade ebbe successo.[3]

L'azienda vantava un illustre elenco di clienti come Giorgio III e membri della nobiltà inglese.[5] Nel 1799, la signora Coade nominò suo cugino John Sealy (figlio della sorella di sua madre Mary), che già lavorava come modellista, come partner nella sua attività, che poi commerciò come "Coade e Sealy" fino alla morte di Sealy, nel 1813, quando tornò a essere solo Coade.

Nel 1799 aprì uno show room Coade's Gallery su Pedlar's Acre all'estremità del Surrey di Westminster Bridge Road per esporre i suoi prodotti.[6][7]

Nel 1813, la signora Coade assunse William Croggan di Grampound in Cornovaglia, scultore e lontano parente per matrimonio (cugino di secondo grado). Gestì la fabbrica fino alla sua morte otto anni dopo nel 1821[7] dopo di che acquistò la fabbrica dagli esecutori testamentari per circa £ 4000. Croggan fornì molte pietre di Coade a Buckingham Palace, tuttavia, andò in bancarotta nel 1833 e morì due anni dopo. Il commercio diminuì e la produzione terminò nei primi anni del 1840.

Produzione attuale

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Nel 2000, Coade srl ha iniziato a produrre statue, sculture e ornamenti architettonici, utilizzando le ricette e i metodi originali del XVIII secolo.

La pietra di Coade è un tipo di gres. Il nome della signora Coade per i suoi prodotti era Lithodipyra, un nome costruito da antiche parole greche che significano "pietra due volte fuoco" (λίθος/δίς/πυρά), o "pietra due volte cotta". I suoi colori variavano dal grigio chiaro al giallo chiaro (o anche beige) e la sua superficie era meglio descritta come avente una finitura opaca.

La facilità con cui il prodotto poteva essere modellato in forme complesse lo rendeva ideale per grandi statue, sculture e facciate scultoree. Le commissioni una tantum erano costose da produrre, poiché dovevano sostenere l'intero costo della creazione di uno stampo. Quando possibile, gli stampi venivano conservati per molti anni di uso ripetuto.

La ricetta per la pietra Coade è ancora utilizzata da Coade Ltd. Si tratta di una ceramica, piuttosto che un materiale cementizio (come il calcestruzzo).

La sua fabbricazione richiedeva un controllo estremamente accurato e abilità nella cottura al forno per un periodo di giorni, difficile da ottenere con i combustibili e la tecnologia dell'epoca. La fabbrica di Coade era l'unico produttore di successo.

La formula utilizzata era:

Questa miscela veniva anche chiamata "argilla fortificata", che veniva impastata prima dell'inserimento in un forno a 1100 °C per la cottura in quattro giorni[5] una tecnica di produzione molto simile alla fabbricazione dei mattoni.

A seconda delle dimensioni e della finezza dei dettagli nell'opera, veniva utilizzata una dimensione e una proporzione diverse di grog di Coade. In molti pezzi era utilizzata una combinazione di grog, con argilla fine applicata alla superficie per i dettagli.

Una delle caratteristiche più sorprendenti della pietra di Coade era la sua elevata resistenza agli agenti atmosferici, con il materiale che spesso si comportava meglio della maggior parte dei tipi di pietra naturale nel duro ambiente di Londra. Gli esempi importanti elencati di seguito sono sopravvissuti senza apparente usura per 150 anni. Vi sono state, tuttavia, notevoli eccezioni. Alcune opere prodotte da Coade, soprattutto di epoca più tarda, hanno mostrato scarsa resistenza agli agenti atmosferici a causa di una cattiva cottura in forno dove il materiale non era stato portato a una temperatura sufficiente.

La pietra di Coade è stata sostituita da prodotti che utilizzavano cemento Portland naturalmente esotermico come legante e sembra essere stata in gran parte eliminata negli anni 1840.

Oltre 650 pezzi sono ancora esistenti in tutto il mondo.[9][10]

Nel 2020, la biblioteca di Birkbeck dell'Università di Londra ha lanciato online la raccolta di immagini di pietra di Coade, composta da diapositive digitalizzate di esempi di pietra di Coade lasciati in eredità da Alison Kelly, il cui libro Coade Stone è stato descritto da Caroline Stanford come "il trattamento più autorevole sulla materia".[12][13]

Galleria d'immagini

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  1. ^ a b c Addidi Inspiration Award for Female Entrepreneurs - Eleanor Coade, in addidi.com. URL consultato il 1º novembre 2011 (archiviato dall'url originale il 25 aprile 2012).
  2. ^ a b Howard Roberts e Walter H Godfrey, Coade's Artificial Stone Works, in Victoria County History, 23: Lambeth: South Bank and Vauxhall.
  3. ^ a b Parks and Gardens. Eleanor Coade – artist in artificial stone. By Timur Tatlioglu.
  4. ^ Yale University Library, Coade's Lithodipyra, or, Artificial Stone Manufactory Archiviato il 3 aprile 2012 in Internet Archive.
  5. ^ a b "A Couple of Dogs that Never Need Feeding, And Other Garden Gems", by Wendy Moonan; pg. B36 of The New York Times, 28 aprile 2006
  6. ^ Alison Kelly, Coade Stone in Georgian Architecture by Alison Kelly (art historian), in Architectural History, vol. 28, 1985, pp. 71–101, DOI:10.2307/1568527, JSTOR 1568527.
  7. ^ a b Hans van Lemmen, Coade Stone, Princes Risborough, England, Shire, 2006, p. 6, ISBN 978-0-7478-0644-8.
  8. ^ Materiale ottenuto dalla macerazione di rottami di refrattario, impiegato nell'industria ceramica.
  9. ^ BBC TV documentary series "Local Heroes", episode "South-East", 2004
  10. ^ The National Trust, What is Coade Stone?
  11. ^ (EN) Historic Images, su Portobello Online. URL consultato il 16 novembre 2021.
  12. ^ The Coade Stone image collection, su Birkbeck, University of London, 12 febbraio 2020. URL consultato il 18 marzo 2020.
  13. ^ Caroline Stanford, Revisiting the Origins of Coade Stone (PDF), in The Georgian Group Journal, 24 (2016), The Georgian Group, 2016, pp. 95–116. URL consultato il 18 marzo 2020.

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