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Angelo Bastiani

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Angelo Sante Bastiani
Soprannome“Diavolo zoppo”
NascitaLicciana Nardi, 31 ottobre 1913
MorteRoma, 19 giugno 1996
Etniaitaliana
Religionecristiana
Dati militari
Paese servitoItalia (bandiera) Italia
Italia (bandiera) Italia
Forza armataRegio Esercito
Esercito Italiano
ArmaFanteria
CorpoForze armate dell'Africa Orientale Italiana
GradoGenerale di corpo d'armata
Feritezoppo
GuerreGuerra d'Etiopia
Seconda guerra mondiale
CampagneCampagna d'Africa Orientale
BattaglieBattaglia di Maychew
Battaglia di Gondar
dati tratti da Angelo Sante Bastiani[1]
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Angelo Sante Bastiani (Licciana Nardi, 31 ottobre 1913Roma, 19 giugno 1996) è stato un generale italiano, distintosi come ufficiale del Regio Corpo Truppe Coloniali operò prevalentemente in Africa Orientale Italiana nel periodo 1936-1941, dove fu più volte fu promosso per merito di guerra (a sergente maggiore nel 1940, a sottotenente nel marzo 1941) e pluridecorato (Una medaglia d'oro, sette d'argento, una di bronzo, una croce di guerra al valor militare, e 4 croci al merito di guerra)..

Nacque a Licciana Nardi (Massa Carrara) il 31 ottobre 1913,[1] figlio di Icilio e Teresa Ridolfi. All'età di diciannove anni iniziò a svolgere l'attività di apprendista giornalista presso un quotidiano di La Spezia.[2] Nel 1933[1] si arruolò nel Regio Esercito in qualità di Soldato semplice, operando come volontario in Libia, assegnato al 3° Cacciatori. Prese parte ad operazioni di polizia coloniale a Tripoli e a Bengasi, e nell'aprile 1935 sbarcò a Massaua,[1] Eritrea, con il grado di Caporalmaggiore, assegnato allo Stato maggiore della 1ª Divisione eritrea.[3] Inizialmente sotto il comando di Primo Tomellini, allora capitano, prese parte alla Guerra d'Etiopia distinguendosi nella battaglia di Mai Ceu, dove fu decorato al valor militare.[3]

Militare di carriera, fu assegnato in servizio alla Banda di Dessiè, poi intorno al settembre 1937, con il grado di Sergente[3] gli fu affidata una banda irregolare[4] che portò il suo nome, "banda Bastiani", con cui operò fino alla resa di Gondar nel 1941.[1]

Alla testa della sua unità prese parte a numerose operazioni di grande polizia coloniale[1] contro la guerriglia etiopica. Dopo aver conquistato Ghiscià, raggiunse zone dell'altipiano abissino (il Mens, l'Ambassel, Mishe Mariam, il Beghemeder, il Lasta) che, fino a quel momento, erano considerate santuari della guerriglia abissina, bene accolto dalle popolazioni locali fortemente taglieggiate dai ribelli.[1] Nell'aprile 1940, durante un combattimento, rimase ferito ad una gamba,[5] e poco tempo dopo, durante uno scontro con i ribelli del capo sciftà Iggigù si fece portare in prima linea su di una barella di fortuna.[5] Ricoverato in ospedale ne uscì il 28 novembre, ormai in piena seconda guerra mondiale, raggiungendo immediatamente i suoi uomini.[5] Inviato nel Semien a contrastare il Degiac Negasc che si era asserragliato sull'Amba Cinerfà, il Negus, che appoggiava il capo ribelle mise sulla sua testa una taglia di 10 000 talleri. Dopo aver conquistato l'Amba Cinerfà fu decorato con un'altra Medaglia d'argento al valor militare, e la taglia sulla sua testa fu aumentata.[5]

Nell'aprile 1941 fu chiamato presso il forte di Zerimà dal comando di Gondar, ma poco l'arrivo dei suoi uomini il fortino venne assediato dagli uomini di Negasc, e per spezzare l'assedio lanciò un contrattacco che ruppe le linee avversarie e consentì al suo reparto di raggiungere Debrivar.[5] Per questa azione il generale Guglielmo Nasi lo promosse al grado di sottotenente per merito di guerra.[5]

Riunitosi al presidio di Uolchefit,[5] composto da 1 500 uomini al comando del colonnello Gonella, durante una fase della battaglia di Gondar lanciò un contrattacco all'arma bianca alla testa della sua unità, ottenendo la distruzione del presidio nemico e la rioccupazione del passo Cinà.[5] Nel corso di questa operazione catturò personalmente ras Ajaleu Burrù[6] e per questo alla fine della guerra venne decorato di Medaglia d'oro al valor militare.[5] La guarnigione di Uolchefit resistette ad ogni attacco nemico, e si arrese solo perché ridotta alla fame il 28 settembre 1941. Gli inglesi resero a lui, al tenente colonnello Gonella, e ai loro uomini l'onore delle armi.[5]

Dopo la guerra fu a lungo presidente del Gruppo Medaglie d'Oro, associazione ex combattentistica dei decorati della massima onorificenza militare italiana.[1] Congedatosi con il grado di Generale di corpo d'armata, si spense a Roma, presso l'Ospedale militare del Celio, il 19 giugno 1996, all'età di 83 anni.[1]

Lettera che lo sciumbasci Belai Scibesci, dall'Eritrea, scrisse ad Angelo Sante Bastiani in occasione d'una delle ultime promozioni, riportata nel libro "Ascari K7":

<<Notizia tu stare vivo e promosso grande gioia per tutti noi, tuoi àscari banda del Mens, dell'Ancober, dell'Ambassel, del Beghemeder, del Semien, dell'Uolchefit, che tu hai portato vittoriosamente al combattimento e hai visti morire gloriosamente per l'Italia. Tutti con te abbiamo troppo combattuto e sempre vinto, morti e vivi. Ma oggi nostri fratelli morti tornati in piedi e con noi fare grande fantasia in tuo onore, Ambesà Bastiani, e speriamo tornare tra noi in questi nostri paesi, se inglisi lo vorranno. Ora noi pregare tanto per Mariam, Cristos e Ghiorghis perché ti facciano ritornare con noi, perché noi figli rimasti senza padre. Speriamo così abbia a essere. Così sia>>

Medaglia d'oro al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Comandante ed unico nazionale di banda irregolare intestata al suo nome compiva leggendarie gesta di valore, di capacità e di sublimi eroismi, scrivendo col sangue fulgide, gloriose pagine nella storia dei reparti coloniali. Strenuo difensore di Uolchefit prendeva parte a tutte le epiche imprese di quel glorioso baluardo Gondarino, affrontando alla testa dei suoi gregari i più duri cimenti, compiendo i più epici eroismi, sfidando continuamente la morte in una serie di ardimentosi combattimenti che lo imponevano all’ammirazione nemica. Nell’azione di Passo Cinà contro potente agguerrita formazione, incurante del pericolo della morte che derivava da una grossa taglia già posta sul suo capo, nascondeva le gravi condizioni di salute in cui trovavasi per sopravvenute gravi infermità ed elevato stato febbrile, aggravato da quattro ferite di guerra non ancora rimarginate e sdegnava il ricovero in ospedale per condurre ancora una volta i suoi valorosi gregari alla durissima prova ed alla vittoria. Incuneatosi abilmente nello schieramento nemico, con leggendaria temerarietà e sfidando rischi e pericoli mortali piombava di sorpresa, fulmineo e travolgente, sul posto di comando avversario, catturando personalmente il Ras comandante ed annientando in furiosi prolungati corpo a corpo la fortissima schiera che lo circondava. Facendo tacere con indomita forza dello spirito le sue gravi condizioni fisiche, guidando ancora con irrefrenabile slancio a successivi cruenti assalti all’arma bianca i suoi prodi, catturava larga messe di prigionieri, di materiali, di armi e munizioni e determinava il crollo politico-militare della resistenza nemica, riconfermando le sue preclari virtù di intrepido soldato e di comandante valoroso.»
— Passo Cinà (A.O.), Uolchefit dell'Amara, 22 giugno 1941
— 1941
Medaglia d'argento al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Sottufficiale comandante di banda, allo scopo di sanare una compromessa situazione politico-militare, decideva di attaccare forti nuclei di ribelli dislocati in posizione dominante. In undici ore di marcia notturna in terreno difficile e superando un dislivello di 1500 metri, sorprendeva ed attaccava i nemici, che opponevano accanita resistenza. Dopo aspro combattimento riusciva ad avere ragione dell'avversario che si dava a disordinata fuga, lasciando sul terreno numerosi morti, armi e munizioni.»
— Cineferà (A.O.), 10 dicembre 1940.
Medaglia d'argento al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Comandante di una banda, colpito a morte l'ufficiale comandante di altra banda con la quale trovavasi in ricognizione in terreno difficile ed insidiato da forti formazioni nemiche, benché ferito, assumeva il comando dei due reparti e, dando e controllando l'esecuzione degli ordini e animando gli uomini con la parola e con l'esempio, proseguiva l'azione che ultimava brillantemente con l'occupazione di importanti posizioni dalla quali batteva efficacemente il nemico costringendolo a retrocedere mentre predisponeva, organizzava e proteggeva lo sgombero dell'ufficiale ferito – poi deceduto – e delle altre perdite della giornata sino al posto di medicazione. Rientrava a missione ultimata in perfetto ordine dopo aver inflitto ai nemici rilevanti perdite. Già distintosi in precedenti azioni per capacità di comando, spirito di sacrificio e sprezzo della vita.»
— Libò Ghiorghis, 16 gennaio 1940.
— Regio Decreto 18 maggio 1942[9]
Medaglia d'argento al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Sottufficiale dotato di coraggio ed arditezza non comune, ha dato cosciente prova di cosciente capacità di comando di reparti coloniali, che ha sempre condotto a molteplici e brillanti operazioni belliche. Con una banda ai suoi ordini attaccava decisamente preponderanti forze nemiche, riuscendo a sconfiggerle. Riattaccato da rinforzi sopraggiunti sosteneva brillantemente l'azione e benché ferito una seconda volta nella giornata, continuava, dalla barella, ad infiammare ed incitare i suoi gregari, che lanciati all'assalto, disperdevano definitivamente i nemici in fuga. Non lasciva il reparto, ma ne guidava il rientro, dopo aver provveduto al recupero dei caduti e dei feriti. Magnifico esempio di alte virtù militari.»
— Cam-Cam, 22 aprile 1940.
— Regio Decreto 4 gennaio 1942[10]
Medaglia d'argento al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Comandante di una banda d'irregolari, la guidava contro forti nuclei di ribelli, trascinando ed animando con l'esempio i propri gregari. Durante un combattimento, rimasto con metà degli uomini a causa delle perdite subite, teneva salda la posizione, contrattaccando ripetutamente il nemico alla baionetta e spezzando la morsa che l'avversario stava stringendo attorno al suo reparto. Ricevuto l'ordine di ripiegare, con pochi uomini, ritardava l'azione dei ribelli. Esempio di coraggio e di elevato sentimento del dovere.»
— Meschà Uollalè, Irrata Mens, 5 febbraio 1938.
— Regio Decreto 19 luglio 1940[11]
Medaglia d'argento al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Comandante di banda indigeni, si distingueva per capacità, spirito d'iniziativa ed esemplare ardimento nei combattimenti di Passo Assellei, Deivà Ghiorghis e Ambessà Masserià. Nel combattimento di Siftà Cuolisà, si lanciava impetuosamente alla testa dei propri uomini, all'attacco di forti posizioni nemiche. Dopo lungo ed aspro combattimento, superando notevoli difficoltà di terreno, riusciva ad infrangere, nonostante le sensibili perdite, l'accanita resistenza nemica. Inseguiva poi con impeto travolgente, per lungo tratto, l'avversario al quale infliggeva gravi perdite.»
— Passo Assellei - Deivà Ghiorghis - Ambessà Masserià - Siftà Cuolisà (A.O.I.), 4-7 aprile 1938 -13 ottobre 1938 -6 luglio 1939.
— Decreto Presidenziale 6 gennaio 1966[12]
Medaglia d'argento al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Valorosissimo sottufficiale comandante di banda sempre distintosi per virtù militari, perizia, valore personale, audacia. Alla testa della sua banda si lanciava all'attacco di una munitissima posizione tenacemente difesa; la raggiungeva tra i primi, ingaggiava furiosa lotta corpo a corpo, infliggendo all'avversario gravi perdite ed obbligandolo alla fuga. Lo inseguiva, penetrava profondamente nello schieramento avversario, catturando un ras – il maggiore esponente della ribellione – armi, materiali e prigionieri. Esempio sommo di virtù militari.»
— Passo Cinà, 22 giugno 1941.
— Regio Decreto 2 febbraio 1943[13]
Medaglia d'argento al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Sottufficiale comandante di banda regolare più volte distintosi per valore e capacità di comando. In un duro contrattacco contro formazioni ribelli e numerose forze regolari nemiche che avevano conquistato una nostra importante posizione, con ardimento e perizia trascinava i propri ascari all'assalto e dopo violenta lotta, poneva in fuga l'avversario infliggendogli gravissime perdite. Superba figura di combattente e trascinatore.»
— Debarek, 28-31 maggio 1941.
— Regio Decreto 2 febbraio 1943[13]
Medaglia di bronzo al valore militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Comandante di banda indigeni, durante un arduo combattimento svoltosi in terreno aspro e boscoso, trascinava ripetutamente all'attacco i propri uomini, dando prova di slancio e di non comune ardimento. Contrattaccato, reagiva prontamente ed alla testa del reparto, dopo ardua lotta ravvicinata, travolgeva la tenace resistenza nemica. Inseguiva poi l'avversario per lungo tratto e gli infliggeva nuove gravi perdite.»
— Livò Ghiorghis (A.O.I.), 28-29 novembre 1939.
— Decreto Presidenziale 6 gennaio 1966[12]
Croce al valore militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Durante un aspro combattimento, recapitava più volte ordine ai reparti di prima linea sotto un nutrito fuoco avversario, dando prova di abnegazione e sprezzo del pericolo.»
— Mai Ceù, 31 marzo 1936-XIV.
  1. ^ a b c d e f g h i Daniele 2010, p. 27.
  2. ^ Appassionati di poesia e pittura a quell'epoca militava in un Gruppo Futurista.
  3. ^ a b c Daniele 2010, p. 26.
  4. ^ Composta da Lui, da due sottufficiali indigeni e da 160 guerrieri Amhara scelti rigorosamente tra i migliori.
  5. ^ a b c d e f g h i j Daniele 2010, p. 28.
  6. ^ Solo il suo personale intervento salvò Ras Burrù dal linciaggio da parte dei suoi uomini.
  7. ^ Sito web del Quirinale: dettaglio decorato.
  8. ^ Sito web del Quirinale: dettaglio decorato.
  9. ^ Registrato alla Corte dei Conti il 17 luglio 1942, registro 14 Africa Italiana, foglio 99.
  10. ^ Registrato alla Corte dei Conti il 26 marzo 1942, registro 12 Africa Italiana, foglio 128.
  11. ^ Registrato alla Corte dei Conti il 14 gennaio 1941, registro 1 Africa Italiana, foglio 130.
  12. ^ a b Registrato alla Corte dei Conti il 31 gennaio 1966, registro 6 Esercito, foglio 21.
  13. ^ a b Registrato alla Corte dei Conti il 12 marzo 1943, registro 11 guerra, foglio 39.
  • Paolo Caccia Dominioni, Ascari K7 (1936-1937), Milano, Ugo Mursia Editore, 1995.
  • Leonida Fazi, Una leggenda africana vera: Bastiani il Diavolo Bianco, Roma, Ed. Piazza Navona, 1998.
  • Gianni Oliva, Soldati e ufficiali. L'esercito italiano dal Risorgimento a oggi, Milano, Oscar Mondadori, 2012, ISBN 88-520-3128-6.
  • Antonio Daniele, Angelo Sante Bastiani, in Il Nastro Azzurro, n. 4, Roma, Istituto Nazionale del Nastro Azzurro, luglio-agosto 2010, pp. 26-28.

Voci correlate

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