Italici: differenze tra le versioni
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I termini '''Italici''' o '''popoli italici''' sono impiegati, in varie accezioni, per indicare uno o più gruppi di popoli stanziati nell'[[Italia antica]]. Nel significato più rigoroso e ristretto, l'espressione designa l'insieme dei popoli di [[lingua indoeuropea]] che parlava [[lingue osco-umbre]] ed era stanziato lungo la dorsale [[appennini]]ca, dall'[[Umbria]] alla [[Calabria]]<ref name=villar478>{{cita|Francisco Villar|pp. 478-482}}.</ref>. |
I termini '''Italici''' o '''popoli italici''' sono impiegati, in varie accezioni, per indicare uno o più gruppi di popoli stanziati nell'[[Italia antica]]. Nel significato più rigoroso e ristretto, l'espressione designa l'insieme dei popoli di [[lingua indoeuropea]] che parlava [[lingue osco-umbre]] ed era stanziato lungo la dorsale [[appennini]]ca, dall'[[Umbria]] alla [[Calabria]]<ref name=villar478>{{cita|Francisco Villar|pp. 478-482}}.</ref>. |
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I termini Italici o popoli italici sono impiegati, in varie accezioni, per indicare uno o più gruppi di popoli stanziati nell'Italia antica. Nel significato più rigoroso e ristretto, l'espressione designa l'insieme dei popoli di lingua indoeuropea che parlava lingue osco-umbre ed era stanziato lungo la dorsale appenninica, dall'Umbria alla Calabria[1].
Italici come Osco-umbri o Sabellici
Nell'accezione più ristretta, Italici sono considerati, soprattutto dai linguisti, gli appartenenti ai popoli osco-umbri o sabellici, caratterizzati dall'uso delle lingue osco-umbre, famiglia linguistica indoeuropea attestata nella Penisola italica tra il I millennio a.C. e i primi secoli del I millennio d.C. Questa è l'accezione generalmente utilizzata nella letteratura storiografica specialistica.[1][2]
Italici come Osco-umbri e Latino-falisci
In un'accezione più ampia, basata su un concetto di "italico comune"[3] inteso più come «frutto di convergenze preistoriche e protostoriche» che una «lingua preistorica ricostruibile», Italici indica l'insieme sia dei popoli parlanti lingue osco-umbre sia quelle latino-falische.[4], con l'esclusione quindi di altri popoli, ugualmente di lingua indoeuropea, ma facenti parte di famiglie più ampie, estese anche in altre aree europee: come i Veneti, gli abitanti di Golasecca, i Galli cisalpini della famiglia celtica, i Messapi, gli Iapigi. Non fanno parte di queste popolazioni neanche i Liguri, così come non ne farebbero parte tutta una serie di popolazioni alpine di lingua preindoeuropea quali, ad esempio, i Camuni e i Reti, gli Etruschi e gli Euganei.
Italici come antichi popoli della penisola
In accezione ancora più estesa ma impropria, il termine "italici" è occasionalmente impiegato per indicare i popoli pre-romani della penisola italiana, includendo quindi anche i summenzionati Liguri, Camuni, Reti e gli Etruschi. Gli Antichi Greci designarono le popolazioni della Magna Grecia, con le quali vennero a contatto, con il termine "Italioti": anche tale termine sarebbe stato ripreso successivamente.
L'evoluzione del concetto di "Italici"
Inizialmente, gli indoeuropeisti erano stati inclini a postulare, per i vari popoli indoeuropei parlanti lingue italiche, ovvero appartenenti a quelle famiglie linguistiche indoeuropee attestate esclusivamente in territorio italico nell'antichità, un ramo indoeuropeo unitario, parallelo per esempio a quello celtico o germanico e per questo identificato sotto la comune etichetta di "italico"; caposcuola di questa ipotesi è considerato Antoine Meillet (1866-1936)[5]. A partire dall'opera di Alois Walde (1869-1924), però, questo schema unitario è stato sottoposto a critica radicale; decisive, in questo senso, sono state le argomentazioni addotte da Vittore Pisani (1899-1990) e, in seguito anche da Giacomo Devoto (1897-1974), che ha individuato l'esistenza di due distinti rami indoeuropei nei quali è possibile inscrivere le lingue italiche e i popoli che le parlavano. Variamente riformulate negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, le varie ricostruzioni relative all'esistenza di due diverse famiglie indoeuropee si sono definitivamente imposte, anche se i tratti specifici che le separano o che le avvicinano, nonché i processi esatti di formazione e di penetrazione in Italia, restano oggetto di ricerca da parte della linguistica storica[1].
Note
- ^ a b c Francisco Villar, pp. 478-482.
- ^ (IT) Alessia Ventriglia, Osco, su https://mnamon.sns.it, Scuola Normale Superiore, 2008-2017.«A tale identificazione, si oppone, però, la scuola italiana rappresentata da Devoto e da Pisani che, invece, preferiscono intendere per ‘italico’ ciò che si è formato all’interno della penisola e che, per i due studiosi, coincide, in buona sostanza, con il sabellico. Siamo, dunque, dinanzi ad una concezione di ‘italico stricto sensu’ da cui consegue che eventuali affinità con altre lingue della penisola, quali ad esempio il latino, non risalgono ad una ipotetica parentela originaria, ma sono piuttosto il frutto di contatti successivi. Sulla stessa linea, ma con ulteriori precisazioni, si colloca anche D. Silvestri nel momento in cui lo studioso osserva che il termine ‘italico’ “è, a ben vedere, un concetto più politico (guerra sociale) che linguistico, ma è proprio l’evidenza linguistica che consiglia di riassumere, faute de mieux, sotto questa documentazione unica, l’osco, l’umbro, il sudpiceno (quest’ultimo più affine all’umbro) ed alcune tradizioni minori, impropriamente definite ‘dialetti’ nella prassi manualistica, inquadrabili nei territori dei Peligni, dei Vestini, dei Marrucini, dei Marsi, dei Volsci e, forse, degli Equi e per le quali si potrebbe complessivamente parlare di ‘area linguistica medio-italica’”.»
- ^ (IT) Alessia Ventriglia, Osco, su https://mnamon.sns.it, Scuola Normale Superiore, 2008-2017.«Ma D. Silvestri specifica anche che, al di là di questo ‘italico stricto sensu’ è sicuramente esistito un ‘italico comune’ che potrebbe intendersi non come una lingua preistorica in larga misura ricostruibile, bensì come un insieme di fatti linguistici predocumentari caratterizzati da un indubbio livello di coesione, in estrema analisi frutto di convergenze preistoriche e protostoriche di cui è testimone il fatto che in esso si trovano alcune leggi fonetiche che non sono tuttavia esclusive dell’italico stricto sensu, ma che coinvolgono anche la tradizione latino-falisca secondo una cronologia indubbiamente alta.»
- ^ Theodor Mommsen, sulla base di elementi filologici, individua tre gruppi di popolazioni che popolavano l'Italia; gli Iapigi, gli Etruschi, e gli Italici, questi ultimi divisi in due grandi famiglie: i Latini e gli Umbri-Oschi (Storia di Roma, vol. I, Cap. II, par. 1).
- ^ Francisco Villar, pp. 474-475.
Bibliografia
- Giacomo Devoto, Gli antichi Italici, 2ª ed., Firenze, Vallecchi, 1951.
- Vittore Pisani, Lingue preromane d'Italia. Origini e fortune, 1978.
- Francisco Villar, Gli Indoeuropei e le origini dell'Europa, Bologna, Il Mulino, 1997, ISBN 88-15-05708-0.
Voci correlate
Altri progetti
- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Italici
Collegamenti esterni
- Italici, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 12 luglio 2015.