Alba Longa
Cercata inutilmente per secoli e immaginata ovunque da un numero spropositato di studiosi – tra cui il famoso Heinrich Schliemann, lo scopritore di Troia – la “mitica metropoli delle origini” che ha originato una delle leggende più famose al mondo, non è mai esistita. Lo hanno dimostrato con assoluta certezza scientifica la straordinaria serie di scavi e relative scoperte archeologiche di questi ultimi decenni. Uno dopo l’altro, sono venuti alla luce i principali centri di pianura del Lazio antico (che sarebbero stati fondati da Alba Longa), documentando, dall’età del bronzo in poi, un mondo ben diverso da quello immaginato e descritto dalle fonti antiche. Infatti, un dato inoppugnabile ed un punto fermo a livello scientifico scaturito da quelle ricerche riguarda il fatto che se Alba Longa fosse realmente esistita, sarebbe stato solo un villaggio di capanne.
(Franco Arietti)
La ricerca dei resti di Alba Longa, distrutta dal re Tullo Ostilio, intesa come città fortificata, con templi, edifici pubblici, strade, ecc., ha affiancato nel corso dei secoli i nomi più prestigiosi di studiosi italiani e stranieri. A costoro si opponevano gli scettici, anch’essi molto numerosi e questa contrapposizione ha generato una produzione letteraria enorme.
In età romana, nessuno tra quelli che la descrissero, ha mai visto Alba Longa. Dionigi di Alicarnasso data la sua fondazione oltre mille anni prima di lui (al 1151 a.C.) e la sua distruzione, per ordine del re Tullo Ostilio, 400 anni dopo. Ma la data della sua fondazione ad opera degli esuli troiani (Ascanio è figlio di Enea), risulta assai vaga ed incerta, essendo legata a quella della distruzione di Troia che oscilla, per i maggiori storici antichi, tra il 1334 e 1135 a.C. Comunque sia, tra il leggendario arrivo dei troiani nel Lazio e la data varroniana della fondazione di Roma, il 753 a.C., intercorrono come minimo 400 anni. Questo spazio di tempo, definito la “lacuna mitica”, venne colmato con la serie fittizia dei re di Alba Longa (ne esistono 17 versioni tarde, palesemente contraffatte).
Come nasce la leggenda di Alba Longa? Gli storici moderni hanno ricostruito la dinamica della celebre vulgata con valide e sufficienti argomentazioni. Ma rimangono da chiarire numerosi punti oscuri. A cominciare dalla sua ubicazione, nel cuore del mondo albano.
Tito Livio ubica Alba Longa alle pendici del Monte Albano, quindi in località Palazzolo, sul bordo del lago Albano in un’area pianeggiante, ma poi pare contraddirsi, quando aggiunge che essa si trovava lungo la dorsale del monte. Dionigi di Alicarnasso sembra voler smentire Livio, quando, al contrario, la descrive in posizione dominante, con difese naturali possenti tanto da essere considerate vere e proprie mura. Queste apparenti contraddizioni, non solo hanno finito per delegittimare le rispettive indicazioni sull’ubicazione di Alba Longa, ma hanno alimentato il sospetto che essi, così come i loro contemporanei, avessero cognizioni assai vaghe sull’ubicazione di Alba Longa, Per queste ragioni Alba Longa è stata cercata ovunque e in modo del tutto arbitrario, soprattutto attorno al bordo del Lago Albano.
Uno studio recente (Arietti 2020) ha finalmente chiarito il mistero delle famose lettere inscritte sui basoli della strada che risale il Monte Albano fino alla vetta. Queste iscrizioni appaiono esclusivamente su 26 tratti restaurati in antico presenti nell’ultimo tratto di strada lungo 900 metri che si restringe appena superato il promontorio di Prato Fabio. Si tratta di iscrizioni che non trovano confronti nell’imponente rete stradale romana. La scrupolosissima e metodica ripetizione delle medesime lettere in spazi assai ridotti, tradisce il profondo carattere religioso connesso alla sacralità del luogo: il bosco sacro di Giove Laziale, nel quale la strada ha fatto il suo ingresso. L’ esistenza del bosco sacro di Giove Laziale ci viene tramandata in un noto passo di Tito Livio, e ben si accorda con la rilevante importanza del centro sacrale latino.
La recentissima scoperta del bosco sacro di Giove Laziale si rivela pertanto di straordinaria importanza poiché le sue delimitazioni sacrali coincidono perfettamente con la morfologia del Monte Albano, così come veniva intesa nell’antichità, la quale corrisponde a sua volta con la moderna definizione di Monte Cavo. Quindi, la configurazione sacra di tutto il Monte Albano, fino alle sue pendici, diventa di estrema importanza, poiché ora sappiamo che il maestoso promontorio di Prato Fabio era evidentemente estraneo al Monte Albano, sia a livello giuridico sacrale che dal punto di vista morfologico.
(Sulla via sacra in particolare, vedi: https://www.osservatoriocollialbani.it/2017/10/15/le-strade-del-monte-albano-rocca-di-papa/)
In questa nuova prospettiva si comprende perché la versione di Tito Livio sia stata equivocata e che ora appaia sotto una luce totalmente diversa. Innanzitutto egli non ebbe alcun bisogno di ubicare il luogo dov’era sorta Alba Longa, poiché tutti lo conoscevano. Inoltre quando cita il Monte Albano, non sta genericamente alludendo alla morfologia di un monte qualsiasi, ma ad un contesto sacrale unitario, che si estende dalla vetta alle pendici, avvolto e delimitato dal grandioso e inviolabile bosco sacro di Giove Laziale. Sappiamo che la delimitazione giuridico sacrale del bosco sacro coincideva esattamente con le pendici del Monte Albano dove inizia la via sacra con le iscrizioni. Pertanto risulta chiaramente che tutto il famoso passo venne semplicemente concepito da Livio per spiegare perché Alba ricevette l’appellativo di Longa: per la particolare forma che assume, alle pendici del Monte Albano, lungo il dorso della montagna, dove si estende solo il promontorio di Prato Fabio.
Anche Dionigi allude palesemente al promontorio di Prato Fabio, quando descrive Alba Longa in posizione forte, strategica, difesa dalle sue stesse propaggini che fungono da mura.
Ma l’ubicazione più precisa di Alba Longa la fornisce in modo inequivocabile Porcio Catone, un tuscolano, che da Tuscolo vedeva il sito di Alba Longa tutti i giorni, la cui descrizione probabilmente compariva nel primo libro delle Origines. Quando spiega che il Monte Albano prende il nome da Alba Longa, egli sta menzionando un toponimo, e come tale, obbligatoriamente, il nome del luogo (Monte Albano) e la località da cui prende il nome (Alba Longa) debbono coincidere perfettamente a livello spaziale.
Ora sappiamo che una parte importante e fondamentale della tradizione antica relativa alle celebri vicende dei reges Albanorum e degli dei del Monte Albano, alludeva ad eventi che si irradiavano tutti dal medesimo luogo; ciò spiega la forza e la straordinaria intensità propulsiva che plasmò ogni momento della formazione storico-religiosa dell’ethnos latino così come trasmesso con dovizia di particolari dalle fonti antiche. La separazione, tutta moderna, di Alba Longa dal Monte Albano, ha reso irriconoscibile e gettato nell’ombra anche l’intero portato della millenaria civiltà albana e provocato la dispersione dei suoi principali tratti culturali, relegati in un arcipelago concettuale confuso e totalmente incomprensibile sia sotto il profilo archeologico che storico.
IL PRATO FABIO, ALBA LONGA E I FABI
Nel 1920 gli scavi per la costruzione di un villino portarono alla luce alcune strutture di epoca romana. Recentemente sono state identificate con un ninfeo posto sul ciglio del promontorio rivolto al Lago Albano (Arietti 2020). Un tempio (o sacello) che domina il Lago Albano dedicato a Venere (probabilmente intesa come Genitrice della gente Giulia) viene menzionato da Orazio in un’ode dedicata all’amico Paolo Fabio Massimo in occasione del suo matrimonio.
Sui ritrovamenti in generale, sul collegamento tra Venere e Alba Longa ed il ruolo di Paolo Fabio Massimo e in generale della gente Fabia, vedi: https://www.osservatoriocollialbani.it/2021/04/16/prato-fabio-alba-longa-scoperto-il-tempio-di-venere/
LA MITICA “REGIA” ALBANA
Un punto fondamentale riguarda il fatto (purtroppo del tutto trascurato o storicamente sottovalutato dagli studiosi) che questi luoghi si trovano all’interno del territorio albano e che nel corso dell’età protostorica – esattamente come in tutti i centri laziali di questo periodo delimitati da precisi confini (in particolare nella seconda età del ferro tra VIII e VII sec. a.C.) – Alba e il Monte Albano erano luoghi di culto rigorosamente riservati e accessibili solo dagli Albani. Infatti, con la formazione delle curie gentilizie (VIII – VII sec. a.C.), ciascuna posta all’interno dei rispettivi confini, Alba e il Monte Albano divennero probabilmente “spazi comunitari albani”. Anzi, in questo periodo, questi luoghi rispecchiano storicamente la risultante del millenario processo d’integrazione delle genti albane.
Solo con la successiva formazione delle città albane (VI sec. a.C. circa –Tuscolo, Ariccia, Lanuvio, Velletri e Labico) ed il loro rapporto con le altre genti latine (Roma compresa ovviamente), Alba e il Monte Albano acquistano la loro straordinaria sacralità all’interno del nomen Latinum nelle istituzioni come le ferie Latine e la lega latina. In questa prospettiva si evidenzia, nei due spazi contigui, il culto comunitario delle nascenti aristocrazie albane rivolto ad antenati mitici comuni (si pensi alla leggendaria dinastia del Silvii e quindi intesa come una sorta di primitiva “reggia” mitica) oppure alle divinità ctonie (sotterranee) venerate sul Monte Albano prima di Giove Laziale. In tal modo, la complessa stratificazione dei miti albani, latini e infine romani, formatasi nel corso dei secoli, sembra comporsi e trovare un ordine preciso, che possiamo riassumere schematicamente in vari momenti:
Ad iniziare dai miti albani relativi agli antenati, ai fondatori mitici, alle dinastie regali ecc., per poi proseguire con i leggendari re di Alba (in qualche modo sicuramente ascrivibili all’età arcaica o precedente) come Latino – divinizzato dopo la morte e successivamente venerato sull’adiacente mons Albanus come Iuppiter Latiaris, oppure attraverso racconti etruschizzanti di età arcaica come quello di Tarchezio “re di Alba” (VI sec. a.C.) prodotto nell’ambito dello sforzo egemonico dei Tarquini nel Lazio e sicuramente penetrato attraverso la parentela con Tuscolo. Si tratta di racconti che inaugurano la saga dei gemelli fondatori – ancora anonimi -, fatti uccidere e gettati in un fiume albano (probabilmente quello di Tuscolo), che dunque non fondano Roma ma probabilmente i principali centri di pianura (il che spiega il ruolo di Alba Longa intesa come fondatrice delle principali città latine).
(Su Tarchezio re di Alba vedi: Alba Longa e il suo fiume scomparso in: https://www.osservatoriocollialbani.it/2017/11/05/alba-alba-longa-tuscolo-e-il-suo-fiume-scomparso/)
Solo alla fine del III secolo a.C. si struttura definitivamente il mito di Alba Longa che conosciamo, ora intesa come antenata delle più importanti città da essa fondate nel Latium Vetus e la sua dimensione urbana (recintata da mura, con templi, edifici pubblici e strade) viene di conseguenza poiché scaturisce dalla necessità di postularne la fondazione in tempi antichissimi, in analogia con le città fondate da Roma.